Educare alla preghiera / 3
Altre cose da fare...
Alessandro Maggiolini
Sono molte le ragioni a cui ricorriamo per giustificarci del fatto che non abbiamo pregato - e che non intendiamo pregare: siamo maestri in quest'arte della difesa.
Molte ragioni. Ma ce n'è una che rechiamo forse con maggiore frequenza. La potremmo complicare un poco per darle un tono di maggior dignità; ma spesso è ridicola e un po' patetica, e tanto vale lasciarla tale.
Si esprime in questa formula lapidaria: non ho tempo per pregare. E così «salta» la Messa alla Domenica, si evita il «precetto» pasquale, le orazioni del mattino e della sera diventano pratiche da bambini e da donnicciole, e, se si è deciso di dedicare un quarto d'ora, poniamo, a Dio, questo povero quarto d'ora rimbalza da un'incombenza ad un'altra fino a scivolare in coda alla giornata, quando si è stanchi morti e si conclude con oggi no, ma domani vedrai: mi alzo un po' prima e inizio. E domani è la stessa storia...
Può darsi che stia esagerando. Nel caso, ne chiedo scusa...
Non ho tempo di pregare.
Che dire di fronte ad un motivo come questo?
Può essere vero, talvolta. Molto «talvolta»: in certe giornate, ad esempio, quando càpitano chiamate improvvise, giungono ospiti inattesi o davvero non si era previsto un impegno che ci ha tenuti legati fino a tardi ed altre faccende premono e se anche ci si raccogliesse in preghiera si finirebbe per dormire... Talvolta.
Ma se l'eccezione diventa la regola?
Si ha tempo per tutto: per la spesa, per le pulizie, per il lavoro, per il romanzo interrotto ieri, per le conversazioni che non dicono niente, per le scorrazzate gagliarde di fine settimana, per i film più fatui, per le telefonate chilometriche - in rete -, per i pettegolezzi più inconcludenti, per il passeggio del cane, per il giro delle vetrine... E per Dio?
Il discorso può apparire duro, ma lo faccio con senso di amicizia, per un'esigenza di onestà: e lo dico a me stesso.
Certo, il lavoro, lo svago, i bambini da curare... anche il cane da portare a passeggio, son cose serie. Ma si potrebbe forse ricostruire la fisionomia spirituale d'una persona - la scala dei valori che porta dentro - a partire dal programma, dall'orario secondo cui si imposta una giornata. Viene prima Dio o il romanzo iniziato ieri? Viene prima Dio o la canasta? Viene prima Dio o le ore al bar? Mi verrebbe perfino da chiedere: viene prima Dio o il lavoro, la famiglia, i bambini? Ma sarebbe ingiusta la domanda. Le cose devono coesistere. Ad una condizione: che a Dio si offra il primo posto, poiché al secondo egli non ci sta; non sarebbe più Dio. Il primo posto; il momento più fresco e più produttivo, l'ora più sveglia, il tempo più vivo...
Dimmi se e come preghi, e ti dico chi sei.
E chiederei di non obiettare che queste son cose d'altri tempi o impostazioni di vite monacali. Si tratta di credere o no.
E mia nonna ha allevato cinque figli senza perdere la Messa una mattina, se non proprio nei giorni - rarissimi - in cui era a letto malata grave; e non aveva né lavatrice, né lavastoviglie, né stufa a gas...
Oltre tutto, è tanto facile escludere Dio dalla propria vita: Egli si lascia escludere con facilità paurosa; non recrimina; non avanza chiassosamente diritti...
Tace. O parla nel segreto della coscienza togliendo la pace.
Non ho tempo di pregare.
Non sarebbe più leale ammettere che spesso non se ne ha voglia?
Dio inquieta, crea disagio nella giornata e nell'esistenza.
Dio dona una serenità strana... La serenità che ci manca perché la cerchiamo altrove...