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    «Sono così felice e riconoscente

    e trovo la vita così bella

    e ricca di significato»

    Etty Hillesum


     


    HO ACCETTATO CON GIOIA LA VITA

    Quella sera, solo pochi giorni fa, ho reagito diversamente. Ho accettato con gioia la bellezza di questo mondo di Dio, malgrado tutto. Ho goduto altrettanto intensamente di quel paesaggio tacito e misterioso nel crepuscolo, ma in modo, per così dire, «oggettivo». Non volevo più «possederlo». Sono tornata a casa rinvigorita, al mio lavoro. E quel paesaggio è rimasto presente sullo sfondo come un abito che rivesta la mia anima - tanto per dirla con paroloni -, ma non mi impicciava più.


    GUADAGNARSI LA GIOIA

    Per la verità non voglio scrivere niente: mi sento così leggera e raggiante e contenta che ogni parola peserebbe come piombo, in confronto. Però stamattina mi sono proprio guadagnata questa gioia interiore, ho dovuto lottare contro l'irrequietezza del mio cuore che batteva all'impazzata. Mi sono lavata con acqua gelida dalla testa ai piedi, e sono rimasta sdraiata sul pavimento del bagno fintanto che non mi sono sentita completamente calma. Sono diventata una persona «pronta a combattere», come si dice, e provavo un certo piacere sportivo, una certa eccitazione all'idea di questa «lotta».


    UNA GIOIA CHE PUÒ CORRODERSI

    Per una settimana me la sono cavata magnificamente, ma ora d'un tratto mi rendo conto di essere esausta e con il morale a terra. È come se in questo ambiente la mia gioia di vivere venisse di continuo corrosa, ormai non so più in che modo difendermi, è come se ogni parte del mio corpo - braccia, gambe, cervello, cuore - fosse gravato da pesanti pietre, che mi vogliono tirar giù, in una palude. Nei miei sogni mi pare di essere al Muro del pianto a Gerusalemme.


    LA BELLEZZA DELLA GIOIA DI VIVERE

    Il canto ha suscitato in me l'impressione che, con esso, con il dischiudersi dell'essere umano verso le sfere superiori, abbia luogo l'evoluzione, si giunga cioè al riconoscimento della bellezza, alla gioia di vivere, mentre il selvaggio, l'uomo non civilizzato, il quale gode a modo suo dell'esistenza, ne goda molto meno, viva in una sorta di nebulosità, che non è suscettibile di essere definita vera gioia, e ciò si rivela principalmente nella musica e nell'arte.


    PORTO CON ME LA MIA GIOIA

    A quanto pare, nel passato - mi sento sempre più in diritto di parlare di “passato” -, sembra si sia attuato in me un cambiamento che dura ancora: nei miei stati d'animo peggiori, nei momenti di depressione, avrei perso ogni contatto con l'altra me stessa. E questo adesso non accade più. Ora porto con me la mia tristezza e la mia gioia, e ogni altra cosa: l'una non esclude più l'altra e così è anche nelle mie relazioni con gli altri.


    TENERSI SOTTO CONTROLLO

    Ultimamente, quante più forze creative si liberano in me, tanto più velocemente io mi “riprendo” ed è come se per un attimo tirassi forte le redini di un cavallo selvaggio e imbizzarrito, senza che quello smetta di impennarsi, ma la tensione che deriva dal tirare le redini è una gioia in sé.


    PAESAGGI DI UMANITÀ FATTI DI VOLTI E DI GIOIA

    In ultima analisi, non si tratta proprio di vanità, ma di soddisfazione per tutte quelle diverse sorte di umanità, sempre più paesaggi, inaspettati e mai sospettati, fatti di volti e gioia perché riesco sempre a trovare la via d'accesso in tutte quelle persone diverse.


    GIOIA E VESCICHE AI PIEDI

    Bene, questa nuova certezza io l'accetto. Ora lo so: vogliono il nostro totale annientamento. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos'è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita dall'altra. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia. La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio - così, per me stessa, senza riuscire ancora a spiegarlo agli altri. Mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo per poterlo fare, e se questo non mi sarà concesso, bene, allora qualcun altro lo farà al posto mio, continuerà la mia vita dov'essa è rimasta interrotta. Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all'ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto daccapo, e con tanta fatica. Non è anche questa un'azione per i posteri?


    MI RIMANE PUR SEMPRE LA MIA GIOIA

    Nella generale rovina delle cose, in tutta la mia stanchezza, sofferenza, e così via, rimane pur sempre la mia gioia, la gioia dell'artista nell'osservare le cose, e nel trasformarle in un'immagine dentro il proprio spirito. Leggerò l'ultima espressione dal viso dei moribondi, con partecipazione, e la conserverò. Soffro con coloro con cui ora parlo tutte le sere, e che la prossima settimana lavoreranno in un luogo minacciato di questa terra, in una fabbrica di munizioni o Dio sa dove, sempre che possano ancora lavorare. Ma io registro in me ogni piccolo gesto, parola, espressione del loro volto, e lo faccio con una concretezza quasi fredda e oggettiva. Ho la disposizione dell'artista e credo che più tardi, quando sentirò la necessità di raccontare tutto, avrò anche abbastanza talento per farlo.


    UNA GIOIA LEGGERA, QUASI SCHERZOSA

    Che mi prende in questo momento? Una gioia così leggera, quasi scherzosa? Ieri è stato un giorno pesante, molto pesante; ho dovuto soffrire molto dentro di me, ma ho assorbito tutte le cose che mi sono precipitate addosso, e mi sento già in grado di sopportare qualcosa in più. Probabilmente questa serenità, questa pace interiore mi vengono dalla coscienza di sapermela cavare da sola ogni volta, dalla constatazione che il mio cuore non s'inaridisce per l'amarezza, che i momenti di più profonda tristezza e persino di disperazione mi lasciano tracce positive, mi rendono più forte. Non mi faccio molte illusioni su come le cose stiano veramente e rinuncio persino alla pretesa di aiutare gli altri, partirò sempre dal principio di aiutare Dio il più possibile e se questo mi riuscirà, bene, allora vuol dire che saprò esserci anche per gli altri. Ma su questo punto non dobbiamo farci delle illusioni eroiche.


    LA GIOIA DEL DONARE TUTTO
    Per carattere nutro un'inclinazione molto forte, quasi appassionata a donare, in qualsiasi forma: sin da bambino la mia gioia più impetuosa è sempre consistita nel non tenere nulla per me, ma nel donare tutto cominciando da ciò che mi era più caro. So che questa gioia, lungi dall'essere bontà, è piuttosto una sorta di debolezza, di avidità sentimentale quasi. Affinché ne risulti una virtù, devo trovare la forza di raccogliere tutto il mio donare in una cosa sola, pesante, faticosa: nel lavoro...”. In me c'è un silenzio sempre più profondo. Lo lambiscono tante parole, che stancano perché non riescono a esprimere nulla. Bisogna sempre più risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche che ci sono necessarie. E questa nuova forma d'espressione deve maturare nel silenzio.


    GIOIA COME LEGGEREZZA E RISOLUTEZZA
    Stamattina sapevo che avrei dovuto subire molte «trasformazioni”; sono stata “trasformata» di nuovo. Ancora una volta gioia e leggerezza e risolutezza insieme alla completa resa. E adesso devo andare a letto. Domani, mentre mi occuperò di tutte quelle lettere, spero di avere la possibilità di andare avanti un bel po' con Jung. Dovrò “accettare”, in nome di Dio, che il lavoro che faccio è monotono e che vengo maltrattata da ragazze d'ufficio alquanto primitive e vanitose, con la passione per l'organizzazione; tra una cosa e l'altra, comunque, mi rimane tanto tempo a disposizione: quindi devo cercare di impiegarlo bene, invece di sentirmi triste in una sorta di rabbia impotente. Ora sono serena. Vorrei davvero che lui rimanesse qui piuttosto che venire con me. Odierei vederlo soffrirmi accanto; anche se lui, con un unico sguardo, scambiato tra chissà quali sofferenze, potrebbe darmi nuova energia e sostenermi per lungo tempo. Lo chiuderò dentro di me, al sicuro, e lo porterò con me, per poter essere con lui ogni volta che voglio.
     


    FIDUCIOSA E FELICE

    Signore, sarà così duro, ma adesso che ho di nuovo sconfitto questo giorno dopo un inizio tormentoso, e sono seduta a questa scrivania, quasi fiduciosa e quasi felice, so che non sono ancora alla fine delle mie forze. Provo una gioia così singolare, per tutto quanto, per com'è stato e perché è stato certamente un bene - altrimenti non potrei sentirmi così forte, lieta e sicura.


    UNA GIOIA CHE SI SPRIGIONA INTENSA E COLORITA

    Che si possa essere un fuoco così sfavillante! Tutte le parole ed espressioni adoperate sinora mi sembrano grigie, pallide e scolorite, se paragonate all'intensa gioia di vivere, all'amore e alla forza che si sprigionano ora da me.


    FORZA CREATIVA E GIOIA DI VIVERE

    Credo di vedere sempre meglio gli abissi che inghiottono le forze creative e la gioia di vivere dell'uomo. Sono buche che ingoiano tutto e queste buche sono nella nostra stessa anima.


    LA FELICITÀ, UN TRAGUARDO
    Devo sradicare da me stessa ogni elemento di tensione e paura, e tutto l'innaturale che mi porto dentro e, maledizione, tutto questo sarà di certo sradicato. Una volta, sulle scale dell'università, Hans du Puis mi ha detto: «Sei una persona davvero radiosa». Credo sinceramente che potrei esserlo, potrei anche dare un po' di forza alla vita degli altri ed essere davvero felice, perché anche l'autentica felicità è un traguardo: essere davvero felice dentro, accettare il mondo di Dio e goderne senza voltare le spalle a tutta la sofferenza che vi regna. È una così triste orda, l'umanità oggi: tanto poco felice di vivere, nel vero senso della parola, e tanto poco radiosa. Un cumulo di piccoli complessi e preoccupazioni triviali, basse invidie, matrimoni infelici e figli malriusciti, ecc. Eppure, anche se abiti in un sottotetto e mangi solo pane secco, vale comunque la pena di vivere. E sebbene questi tempi rendano difficile l'esistenza, impedendoci di vivere appieno, non dovremmo comunque farne una tragedia o lasciare che tutto vada tristemente in malora. Anche questo fa parte della vita e non si può stabilire se la rovina debba colpire me o un'altra persona, ma non bisogna prendersi troppo sul serio nemmeno in tal caso. Adesso i rami di castagno sono sul piccolo tavolo bianco. Dai rametti più scuri e spogli fiorirà la vita più radiosa e gradevole.


    CONQUISTARLA COL SACRIFICIO

    Mettiti al lavoro, vecchia noiosa. Lavorando ti tieni in piedi di fronte al mondo esterno e giustifichi la tua esistenza. Eppure quel po' di lavoro infelice me lo devo sempre conquistare in me stessa con sacrificio. Dai, non lamentarti. Hai ancora un'idea sbagliata su questa vita. Essere un lavoratore a ore. Estasi, intossicazione, vivere in uno stato sognante. Non riesci a realizzarti in questa realtà. Riuscire a catturare l'essenza dello spirito solo per un'ora! Quell'unica ora rende la vita degna di essere vissuta ogni volta. Non devi aspettarti delle ricompense dalla vita sotto forma di felicità ritrovata. Non devi essere così «avida».


    FELICITÀ, GIOIA INTERIORE
    Tanta felicità, felicità interiore, più di quella che il pallido, nervoso funzionario predatore possa mai immaginare. E c'è davvero la sensazione di disporre appieno delle proprie forze, di una continua crescita delle energie e dell'amore, non solo per un uomo, per un insignificante uomo, ma realmente per tutti quelli con cui ci si trova a vivere. Ancora mille cose da scrivere, ma voglio continuare a leggere per un po' il mio buon Matteo.


    D'IMPROVVISO, LA FELICITÀ
    Oggi, in un solo giorno ho vissuto anni di torpore. Ho attraversato anni di un prolungato processo d'intorpidimento. Il pensiero del suicidio è di colpo emerso, ancora una volta, da profondità nascoste, ma poi è scomparso. Ero tanto oppressa dalla tristezza, stamattina, che pensavo che non avrei mai più conosciuto la felicità. Ma c'è sempre una forza che d'un tratto s'innalza gorgogliando da sorgenti nascoste e m'insegna che sono ancora molto lontana dalla fine. Oh, se si potesse far volare il proprio cuore, come un libero uccello, attraverso tutto ciò che accade!


    UNA PERFETTA FELICITÀ IN DIO
    Il sentimento che ho della vita è così intenso e grande, sereno e riconoscente, che non voglio neppur provare a esprimerlo in una parola sola. In me c'è una felicità così perfetta e piena, mio Dio. Probabilmente la definizione migliore sarebbe di nuovo la sua: “riposare in se stessi”, e forse sarebbe anche la definizione più completa di come io sento la vita: io riposo in me stessa. E questo “me stessa”, la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo “Dio”. Nel diario di Tide ho trovato spesso questa frase: Padre, prendilo dolcemente fra le Tue braccia. È così che mi sento, sempre e ininterrottamente: come se stessi fra le Tue braccia, mio Dio, così protetta e sicura e impregnata d'eternità. Come se ogni mio respiro fosse eterno, e la più piccola azione o parola avesse un vasto sfondo e un profondo significato.Mi sento anche la forza di partire, non penso più a far progetti e a correre rischi, andrà come andrà e sarà per il meglio.


    FELICIT
    À, UN TESORO COLMO
    Cristo può aver avuto ragione a parlar male delle cose terrene, in un tempo pieno di dèi appassiti e spogli, quantunque (non posso pensare altrimenti) sbocchi in un'umiliazione di Dio il non vedere in quanto ci è qui concesso un tesoro che, solo rettamente usato, ci può riempire perfettamente di felicità fino all'orlo dei nostri sensi! Il giusto uso, questo importa. Prendere in mano le cose terrestri giustamente, pieni di cordiale amore. Di meraviglia, come cose nostre, passeggere, uniche: questo è anche, per dirla usualmente, il grande avvertimento sul modo di usare Dio, questo intendeva descrivere san Francesco d'Assisi nel suo Cantico al Sole, che all'ora della morte per lui fu più magnifico della croce, la quale s'ergeva là solo per indicare la direzione del sole”. Rileggerò sant'Agostino. È così austero e così ardente. E così appassionato, si abbandona così completamente nelle sue lettere d'amore a Dio. In fondo, quelle a Dio sono le uniche lettere d'amore che si dovrebbero scrivere.


    FELICIT
    À È AMARE 
    Sono presuntuosa nel dire che possiedo troppo amore per darlo a una persona sola? L'idea che per tutta la vita si debba amare sempre e soltanto una persona mi sembra così infantile. Può impoverire e inaridire parecchio. Chissà se la gente imparerà che l'amore per la persona reca assai più felicità e buoni frutti che l'amore per il sesso, e che questo priva di linfe vitali la comunità degli uomini?Congiungo le mani in un gesto che mi è divenuto caro e attraverso il buio ti dico cose sciocche e serie, e imploro una benedizione sulla tua bella testa sincera - in una parola sola si direbbe che “prego”. Buona notte, mio caro!


    UN TEMPO, INFELICE
    Santo cielo, che povera infelice sono stata un tempo, rispetto a come mi sento adesso. Devo proprio rendermene conto, perché tra un po' questa diventerà la mia condizione normale. Ho appena fatto un giretto agile e felice, senza esaltazione, una felicità quasi oggettiva. È come se dentro di me, su un'immensa pianura, selvagge orde si fossero disperse dappertutto incalzandosi l'un l'altra e ora venissero messe in ordine, allineate da una mano potente; da esse emana una forza, un'energia serena, un che di sicuro e forte, armonico e coerente, una fiducia in se stessi; di colpo tutto questo è interiorizzato. Mal di testa e stanchezza d'un tratto scomparsi, anche se non sono ancora quel che si dice un maciste. In passato temevo a ogni istante che le mie forze mi abbandonassero ed esse mi lasciavano davvero, ma ora non ci penso più e le forze si rigenerano a ogni piccolo compito di cui mi faccio carico, e ogni volta spontaneamente. In me è accaduto una sorta di miracolo, e penso all'uomo S. con un amore profondo e sereno, che non è innamoramento e non ha nulla di erotico.... In realtà, ora mi sento molto felice e piena di energie al pari di chi sa affrontare la vita nella sua pienezza. Mi accorgo che sto diventando sempre più indipendente dal mio ambiente esterno.


    SOLITUDINE E FELICITÀ
    Conosco due forme di solitudine. L'una mi fa sentire terribilmente infelice, perduta e quasi sospesa; l'altra mi rende forte e felice. La prima è sempre presente quando non mi sento in contatto con i miei simili, quando in genere non ho il benché minimo contatto con alcunché: allora sono completamente tagliata fuori da tutti e da me stessa, non afferro il senso di questa vita né vedo ciò che unisce le cose, non avverto il mio posto in questa esistenza. Nell'altro tipo di solitudine mi sento invece forte e sicura, in contatto con tutti, con tutto e con Dio, e so di poter affrontare la vita da sola senza dipendere dagli altri. In quei momenti mi sento parte di un tutto ricco di significato, immenso, e mi sembra di poter ancora dare molta forza anche agli altri.La prima forma di solitudine è quella pericolosa. È quella a cui mi devo opporre. Tutto deriva dal non avere ancora il coraggio di confrontarsi con se stessi e con gli altri.


    FELICE NONOSTANTE
    È tutto passato. Mi sento in pace e serena, come non lo ero da anni, almeno così mi sembra. È come se vedessi di nuovo me stessa e ciò che mi circonda in una prospettiva normale. E mi sento pure più forte che mai, perché sono riuscita a superare ogni cosa da sola. Sono di nuovo così vasta e libera dentro; e quindi senza pretese. Così sognante, lontana dal rivolgere richieste esorbitanti a me stessa. In sintonia con il cosmo intero. Sì, è vero, mi sento felice adesso, e questo nonostante tutto e tutti. Viene da dentro, da me. È come se fossi tornata a me stessa, e mi fossi accorta che è davvero il posto migliore dove stare. Durerà a lungo? Ho di nuovo la sensazione che nulla possa intaccare quest'ampia pace interiore... Buona notte.


    SENZA FELICITÀ IL SENSO DELLE COSE SVANISCE

    Per me è indispensabile così tanta «igiene spirituale». Se cerco semplicemente di «vivere alla giornata», a un certo punto le cose si complicano. E mi sfugge il senso della vita. Devo mantenere il contatto con la «corrente profonda» del mio essere. Questo è il traguardo più alto e importante che posso raggiungere: «riposare in se stessi». Non c'è altro. Se vado a cercarlo fuori da me, lasciando vagare, per così dire, la mia anima, mi ritrovo persa e infelice, e non capisco più il senso delle cose. Sì, «riposare in se stessi»: ma a questo bisogna lavorare di continuo. Bisogna guadagnarselo. Se non mi do da fare, tra qualche anno sarò forse una donna irrequieta, ansiosa e con un grande desiderio di queste parole: «riposare in se stessi», ma senza la minima idea di come si raggiunge tale condizione.


    FELICITÀ E AUTONOMIA INTERIORE
    La nascita di un'autentica autonomia interiore è un lungo e doloroso processo: è la presa di coscienza che per te non esiste alcun aiuto o appoggio o rifugio presso gli altri, mai. Che gli altri sono altrettanto insicuri, deboli e indifesi. Che tu dovrai esser sempre la persona più forte. Non credo che tu sia il tipo da trovare queste cose in un altro. Sei sempre e daccapo rimandata a te stessa. Non c'è nient'altro, il resto è finzione. Ma doverlo riconoscere, ogni volta! Soprattutto come donna. Hai pur sempre un gran desiderio di perderti in un altro. Ma anche questa è una favola, seppur bella. Due vite non possono combaciare. Perlomeno non per me. Può succedere in alcuni momenti: ma quei momenti giustificano una vita in comune, possono tenerla insieme? Però è un sentimento forte anche quello, talora felice. Sola, Dio mio. È dura. Perché il mondo è inospitale...Ho un cuore molto appassionato, ma mai per una persona sola: per tutte le persone. È un cuore molto ricco, io credo. Una volta pensavo sempre che lo avrei dato tutto a una persona sola: ma è impossibile. E quando, a ventisette anni, si arriva a «verità» così dure, ci si sente a volte disperati, soli e impauriti, ma anche indipendenti e orgogliosi. Sono affidata a me stessa e dovrò cavarmela da sola. L'unica norma che hai sei tu stessa, lo ripeto sempre. E l'unica responsabilità che puoi assumerti nella vita è la tua. Ma devi assumertela pienamente.

     


    FELICI DI APPROFONDIRE LA CONOSCENZA DELLA VITA

    Sono felice che ci venga concesso di capire sempre di più, e di approfondire, di giorno in giorno, la conoscenza della vita. Ne sono tanto grata. E devo diventare ancora più paziente. I sentimenti sono più profondi e grandi delle possibilità espressive. Non so ancora in quale ambito cercare i miei strumenti. Aspettare e ascoltare ed essere paziente; fare le cose di ogni giorno; diventare sempre più me stessa e al tempo stesso un anello nel tutto: e nessuna consumata imitazione, né un vivere, nemmeno per un minuto, in modo inconsulto. Devi diventare uno strumento, non solo nella mente ma anche nel corpo. Questo l'ho scritto ovviamente sotto l'influsso di Rilke, di Rainer Maria, che, nelle ultime settimane, si è imposto come figura a grandezza naturale nel cuore della mia vita e che è ormai un sostegno sempre più stabile per i teneri ramoscelli che, tanto timidamente, sono sul punto di fiorire nel mio profondo; sotto l'influsso di Rilke, ma comunque anche per mia ispirazione.


    SONO LA CREATURA PIÙ FELICE

    A volte chiedo: Mio Dio, cosa ho fatto per meritarmi una vita tanto buona, bella e ricca? Ecco perché sono anche la tua creatura più felice su questa terra!

    Sì, mio Dio, Ti sono molto fedele, in ogni circostanza, non andrò a fondo e continuo a credere nel senso profondo di questa vita; so come devo continuare a vivere e ci sono in me, e in lui, delle certezze così grandi, Ti sembrerà incomprensibile ma trovo la vita così bella e mi sento così felice. Non è meraviglioso? Non oserei dirlo a nessuno con così tante parole.

    Signore, sarà così duro, ma adesso che ho di nuovo sconfitto questo giorno dopo un inizio tormentoso, e sono seduta a questa scrivania, quasi fiduciosa e quasi felice, so che non sono ancora alla fine delle mie forze.

     


    FELICE E RICONOSCENTE
    Dovrei forse fare una faccia triste o solenne? Sono forse triste? Vorrei congiungere le mani e dire: ragazzi, sono così felice e riconoscente e trovo la vita così bella e ricca di significato. Proprio così, e lo dico mentre sto accanto al letto del mio amico morto prematuramente, e mentre io stessa posso essere deportata ogni momento in una terra sconosciuta. Mio Dio, Ti sono così riconoscente per tutto quanto. Continuerò a vivere con quella parte dei morti che vive in eterno e risveglierò alla vita ciò che è morto nei vivi e così non ci sarà nient'altro che vita, un'unica grande vita, mio Dio.


    UNA BATTAGLIA DURA E FELICE
    So che prima o poi dovrò scegliere, e sarà molto difficile. Se voglio veramente scrivere, se voglio provare a registrare tutto ciò che in me chiede sempre più di esser messo in parole, allora dovrò appartarmi dagli altri ben più di quanto non faccia ora. Dovrò chiudere finalmente la mia porta e mettermi a lottare contro una materia non facilmente controllabile, e sarà una battaglia dura e felice al tempo stesso. Dovrò ritirarmi da una piccola società per rivolgermi a una società più grande. Forse non si tratta neppure di questo, forse è il puro istinto poetico, il desiderio di materializzare qualcosa della propria ricchezza d'immagini, è un fatto talmente elementare che non c'è neppure bisogno di spiegarlo.
    A volte mi domando se io non viva troppo intensamente: io vivo, godo e consumo la vita al punto che non ne rimane più niente. Forse è necessario che un qualche resto rimanga, perché si produca la tensione che induce a creare? 
    Io parlo molto con le persone, soprattutto ultimamente. Parlo sempre ancora in modo più espressivo e lucido di quanto non sappia scrivere. A volte penso che non dovrei sprecare le mie energie a parlare, che dovrei tirarmi indietro e proseguire la mia ricerca silenziosa sulla carta. Una parte di me lo vorrebbe, un'altra non riesce ancora a decidersi e si disperde nelle parole che dice agli altri.
    E non basta neppure avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono molti, e bisogna avere la grande pazienza di attendere che tornino. Perché neppure i ricordi sono ancora esperienze. Solo quando essi diventano in noi sangue, sguardo, gesto, anonimi e indistinguibili da noi, soltanto allora può succedere che la prima parola di un verso, in un'ora rarissima, si alzi ed esca dal loro centro”.


    T e r z a
    p a g i n A


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