Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email


     Etty Hillesum

    e l'amore alla vita 

     

    «Prometto di vivere questa vita sino in fondo, di andare avanti»

    «E alla fine di ogni giornata sento il bisogno di dire: la vita è davvero bella»

    «Il senso della vita non è soltanto la vita stessa»

     

    LA SORGENTE

    La sorgente di ogni cosa ha da essere la vita stessa, mai un’altra persona. Molti, invece - soprattutto donne - attingono le proprie forze da altri: è l’uomo la loro sorgente, non la vita. Mi sembra un atteggiamento quanto mai distorto e innaturale. 

    IL SENSO PROPRIO DELLA VITA

    Di nuovo arresti, terrore, campi. di concentramento, sequestri di padri sorelle e fratelli. Ci s’interroga sul senso della vita, ci si domanda se essa abbia ancora un senso: ma per questo bisogna vedersela esclusivamente con se stessi, e con Dio. Forse ogni vita ha il proprio senso, forse ci vuole una vita intera per riuscire a trovarlo.

    LA VITA È BUONA

    La forza autentica, primaria, consiste in ciò, che se anche si soccombe miseramente, fino all’ultimo si sente che la vita è bella e ricca di significato, che si è realizzato tutto quanto in noi stessi e che la vita era buona.

    DENTRO LA STORIA

    Con tutto il dolore che ho intorno, comincio a vergognarmi di prendere sul serio i miei umori. Eppure devi continuare a prenderti sul serio, devi rimanere il centro, e in qualche modo devi venire a capo dei fatti di questo mondo; in nessuna situazione puoi chiudere gli occhi, devi ‘confrontarti’ con questi tempi orribili, e cercare una risposta alle numerose questioni di vita e di morte che essi ti pongono. E allora forse troverai una risposta ad alcune di esse, non solo per te ma anche per gli altri. Sta di fatto che devo vivere, e che devo affrontare ogni cosa. A volte mi sento come un palo ritto in un mare infuriato, fra le onde che lo battono da ogni parte. Ma io rimango ben ferma e gli anni mi passano sopra. Voglio continuare a vivere pienamente. 

    LA VITA QUOTIDIANA

    A volte faccio così fatica a costruire l’intelaiatura della mia giornata - alzarmi, lavarmi, far ginnastica, mettermi delle calze senza buchi, apparecchiare la tavola, in breve “orientarmi” nella vita quotidiana -, che non mi rimane quasi più energia per altre cose. E se allora mi alzo per tempo come un qualunque cittadino, sono fiera di aver operato chissà quale miracolo. Eppure, fintanto che la disciplina interiore non è a posto, quella esteriore rimane importantissima per me. Se io dormo un’ora di più alla mattina questo non significa che io abbia dormito bene, ma che non so affrontare la vita e che faccio sciopero. 

    OGNI COSA È UNA FESTA

    Ogni camicia pulita che puoi ancora indossare è quasi una festa; e così pure se ti lavi con un sapone profumato, in un bagno che è tutto tuo per quella mezz’ora. È proprio come se io mi stessi già congedando da queste raffinatezze della civiltà. E se un giorno non potrò più goderne, saprò in ogni caso che esistono e che possono rendere piacevole la vita, e in quanto tali le loderò, anche se non mi saranno toccate in sorte. Quel che conta, infatti, non è che tocchino proprio a me - vero? 

    LASCIARSI ABBRACCIARE DALLA VITA

    Ecco la tua malattia: pretendi di rinchiudere la vita nelle tue formule, di abbracciare tutti i fenomeni della vita con la tua mente, invece di lasciarti abbracciare dalla vita. Com’era già?: va bene che tu affacci la tua testa in cielo, ma non che tu cacci il cielo nella tua testa. Ogni volta vorresti rifare il mondo, invece di goderlo com’è. È un atteggiamento alquanto dispotico.

    LA CORRENTE DELLA VITA

    Mi accorgo che questo stato d’animo si ripete ogni volta: dopo giorni di vita interiore terribilmente intensa, ricerca di chiarezza, doglie patite per sentimenti e pensieri che non sono affatto pronti per nascere, enormi pretese da parte mia, e la ricerca di una piccola forma propria che diventa di un’importanza capitale, ecc. ecc. ecc. - ecco che poi tutto quest’affanno, improvvisamente, mi cade di dosso; il mio cervello è piacevolmente stanco, c’è bonaccia di nuovo, sento quasi una sorta di dolcezza anche verso me stessa, e su di me cala un velo attraverso cui la vita filtra più mite, e spesso più ridente. Sento allora di essere tutt’uno con la vita. Inoltre: che non sono io individualmente a volere o a dovere fare questo o quello, ma che la vita è grande e buona e attraente e eterna - e se tu dai tanta importanza a te stessa, ti agiti e fai chiasso, allora ti sfugge quella grande, potente, e eterna corrente, che è appunto la vita. 

    LA VITA FUTURA: QUI, ADESSO

    La vita è difficile davvero, è una lotta di minuto in minuto (non esagerare, tesoro!), ma è una lotta invitante. Una volta io m’immaginavo un futuro caotico perché mi rifiutavo di vivere l’istante più prossimo. Ero come un bambino molto viziato, volevo che tutto mi fosse regalato. A volte avevo la certezza - peraltro molto vaga - che in futuro sarei potuta diventare “qualcuno” e avrei realizzato qualcosa di “straordinario”, altre volte mi ripigliava quella paura confusa che “sarei andata in malora lo stesso”. Comincio a capire perché: mi rifiutavo di adempiere ai compiti che avevo sotto gli occhi, mi rifiutavo di salire verso quel futuro di gradino in gradino. E ora, ora che ogni minuto è pieno, pieno sino all’orlo di vita e di esperienza, di lotta e vittorie e cadute, ma subito dopo di nuovo lotta e talvolta pace, - ora non penso più a quel futuro, in altre parole mi è indifferente se riuscirò a produrre qualcosa di straordinario oppure no, perché sono certa che ne verrà fuori qualcosa. Una volta vivevo sempre come in una fase preparatoria, avevo la sensazione che ogni cosa che facevo non fosse ancora quella “vera”, ma una preparazione a qualcosa di diverso, di grande, di vero, appunto. Ora questo sentimento è cessato. Io vivo, vivo pienamente e la vita vale la pena viverla ora, oggi, in questo momento; e se sapessi di dover morire domani direi: mi dispiace molto, ma così com’è stato, è stato un bene…La vita la conosciamo, abbiamo già vissuto tutto sia pure in spirito, non siamo più così spasmodicamente attaccati alla vita.

    LIBERARE LA VITA

    E se si distruggono i preconcetti che imprigionano la vita come inferriate, allora si libera la vera vita e la vera forza che sono in noi, e allora si avrà anche la forza di sopportare il dolore reale, nella nostra vita e in quella dell’umanità.

    CIELI SOPRA E DENTRO DI ME

    Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave… Quel pezzetto d’eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola come in dieci volumoni. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra.

    C'È POSTO PER TUTTO

    La sofferenza non è al di sotto della dignità umana. Cioè: si può soffrire in modo degno, o indegno dell’uomo. Voglio dire: la maggior parte degli occidentali non capisce l’arte del dolore, e così vive ossessionata da mille paure. E la vita che vive la gente adesso non è più una vera vita, fatta com’è di paura, rassegnazione, amarezza, odio, disperazione. Dio mio, tutto questo si può capire benissimo: ma se una vita simile viene tolta, viene tolto poi molto? Si deve accettare la morte, anche quella più atroce, come parte della vita. E non viviamo ogni giorno una vita intera, e ha molta importanza se viviamo qualche giorno in più, o in meno? Io sono quotidianamente in Polonia, su quelli che si possono ben chiamare dei campi di battaglia, talvolta mi opprime una visione di questi campi diventati verdi di veleno; sono accanto agli affamati, ai maltrattati e ai moribondi, ogni giorno - ma sono anche vicina al gelsomino e a quel pezzo di cielo dietro la mia finestra, in una vita c’è posto per tutto. Per una fede in Dio e per una misera fine.

    NELLA FATICA DI OGNI GIORNO

    A volte devo chinare il capo sotto il gran peso che ho sulla nuca, e allora sento il bisogno di congiungere le mani, quasi in un gesto automatico, e così potrei rimaner seduta per ore - so tutto, sono in grado di sopportare tutto, sempre meglio, e insieme sono certa che la vita è bellissima, degna di essere vissuta e ricca di significato. Malgrado tutto. Il che non vuol dire che uno sia sempre nello stato d’animo più elevato e pieno di fede. Si può esser stanchi come cani dopo aver fatto una lunga camminata o una lunga coda, ma anche questo fa parte della vita, e dentro di te c’è qualcosa che non ti abbandonerà mai più.

    ANCHE NELLE ASSURDITÀ

    Se rimarremo vivi, queste saranno altrettante ferite che dovremo portarci dentro per sempre. Eppure non riesco a trovare assurda la vita. E Dio non è nemmeno responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi! Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto.

    SINO ALL'ULTIMO RESPIRO

    Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos’è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita dall’altra. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia.

    La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio - così, per me stessa, senza riuscire ancora a spiegarlo agli altri. Mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo per poterlo fare, e se questo non mi sarà concesso, bene, allora qualcun altro lo farà al posto mio, continuerà la mia vita dov’essa è rimasta interrotta. Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro.

    ANCHE LA MORTE

    La possibilità della morte si è perfettamente integrata nella mia vita; questa è come resa più ampia da quella, dall’affrontare ed accettare la fine come parte di sé. E dunque non si tratta, per così dire, di offrire un pezzetto di vita alla morte perché si teme e si rifiuta quest’ultima, la vita che ci rimarrebbe allora sarebbe ridotta a un ben misero frammento. Sembra quasi un paradosso: se si esclude la morte non si ha mai una vita completa; e se la si accetta nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest’ultima.

    COSA SALVARE

    Certo, accadono cose che un tempo la nostra ragione non avrebbe creduto possibili. Ma forse possediamo altri organi oltre alla ragione, organi che allora non conoscevamo, e che potrebbero farci capire questa realtà sconcertante.

    Io credo che per ogni evento l’uomo possieda un organo che gli consente di superarlo.

    Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, dovunque essi siano, sarà troppo poco. Non si tratta infatti di conservare questa vita a ogni costo, ma di come la si conserva. A volte penso che ogni situazione, buona o cattiva, possa arricchire l’uomo di nuove prospettive. E se noi abbandoniamo al loro destino i duri fatti che dobbiamo irrevocabilmente affrontare - se non li ospitiamo nelle nostre teste e nei nostri cuori, per farli decantare e divenire fattori di crescita e di comprensione -, allora non siamo una generazione vitale.

    UN BARLUME DI ETERNITÀ

    Un barlume d’eternità filtra sempre più nelle mie più piccole azioni e percezioni quotidiane. Io non sono sola nella mia stanchezza malattia tristezza o paura, ma sono insieme con milioni di persone, di tanti secoli: anche questo fa parte della vita che è pur bella e ricca di significato nella sua assurdità, se vi si fa posto per tutto e se la si sente come un’unità indivisibile. Così, in un modo o nell’altro, la vita diventa un insieme compiuto; ma si fa veramente assurda non appena se ne accetta o rifiuta una parte a piacere, proprio perché essa perde allora la sua globalità e diventa tutta quanta arbitraria.

    PER ESSERE PIÙ UMANI

    Ecco, le mie rose sono sempre lì… Sono molto stanca. Sono in grado di sopportare questo tempo presente, lo capisco persino un poco.

    Se sopravviverò a questo tempo e se allora dirò: la vita è bella e ricca di significato, bisognerà pur credermi.

    Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile.

    VITA COME PREGHIERA

    Arrivo sempre alla stessa conclusione: la vita è bella. E credo in Dio. E voglio stare proprio in mezzo ai cosiddetti ‘orrori’ e dire ugualmente che la vita è bella.

    Devo ogni volta esultare e acclamarti, mio Dio: ti sono così riconoscente perché mi hai concesso una vita simile.

    La vita è stata davvero molto buona con me, sempre e anche ora.

     

    Aggiungiamo qui pensieri sparsi, che non risultano dalla ricerca precedente condotta sul Diario "ridotto".

    Avanti, allora! È un momento pe¬noso, quasi insormontabile: devo affidare il mio animo represso a uno stupido foglio di carta a righe. I pensieri sono spesso così chiari e limpidi nella mia testa, i sentimenti così profondi, ma non riesco ancora a metterli per iscritto. Dev’essere più che altro la ver-gogna. Mi sento molto impacciata, non ho il coraggio di lasciarmi andare. Ma sarà pur necessario, se voglio indirizzare la mia vita verso un fine ragionevole e soddisfacente

    E così è in generale. Da un punto di vista intellettuale sono tanto fortunata da essere in grado di esprimere ogni cosa con formule chiare. Quando si tratta di pro¬blemi della vita, posso spesso apparire come una per¬sona ‘superiore’: eppure, nel profondo di me stessa, io sono come prigioniera di un gomitolo aggroviglia¬to, e con tutta la mia chiarezza di pensiero a volte non sono altro che un povero diavolo impaurito.

    Testimoniare che la vita non può essere rinchiusa in uno schema determinato.

    Debbo anche vincere quella paura indefinita che mi porto dentro. La vita è difficile davvero, è una lotta di minuto in minuto (non esagerare, tesoro!), ma è una lotta invitante. Una volta io m’immagina¬vo un futuro caotico perché mi rifiutavo di vivere l’istante più prossimo. Ero come un bambino molto viziato, volevo che tutto mi fosse regalato. A volte avevo la certezza - peraltro molto vaga - che in fu¬turo sarei potuta diventare “qualcuno” e avrei rea¬lizzato qualcosa di “straordinario”, altre volte mi ripigliava quella paura confusa che sarei andata in malora lo stesso”. Comincio a capire perché: mi ri¬fiutavo di adempiere ai compiti che avevo sotto gli occhi, mi rifiutavo di salire verso quel futuro di gra¬dino in gradino. E ora, ora che ogni minuto è pieno, pieno sino all’orlo di vita e di esperienza, di lotta e vittorie e cadute, ma subito dopo di nuovo lotta e talvolta pace, - ora non penso più a quel futuro, in altre parole mi è indifferente se riuscirò a produrre qualcosa di straordinario oppure no, perché sono cer¬ta che ne verrà fuori qualcosa. Una volta vivevo sem¬pre come in una fase preparatoria, avevo la sensazio¬ne che ogni cosa che facevo non fosse ancora quella “vera”, ma una preparazione a qualcosa di diverso, di grande, di vero, appunto. Ora questo sentimento è cessato. Io vivo, vivo pienamente e la vita vale la pena viverla ora, oggi, in questo momento; e se sa¬pessi di dover morire domani direi: mi dispiace mol¬to, ma così com’è stato, è stato un bene. In teoria ho già predicato queste cose, ricordo che era una sera d’estate e che eravamo seduti fuori da Reijnders, con Frans. Ma nelle mie parole di allora c’era soprattut¬to stanchezza, qualcosa come: vedi, se domani finisse tutto, non me ne farei un gran problema, tanto sap¬piamo come stanno le cose. La vita la conosciamo, abbiamo già vissuto tutto sia pure in spirito, non siamo più così spasmodicamente attaccati alla vita.

    Ma mentre pedalavo per l’Apollolaan è ricominciata quella scon¬tentezza, quel cercare irrequieto e sentire il vuoto dietro le cose, sentire che la vita non trova un suo compimento ma è un rimescolio senza costrutto. E in questo momento sono nella palude. E neppure il pensiero che anche questo passa, dopo tutto, riesce a darmi un po’ di pace.

    Di nuovo arre¬sti, terrore, campi. di concentramento, sequestri di padri sorelle e fratelli. Ci s’interroga sul senso della vita, ci si domanda se essa abbia ancora un senso: ma per questo bisogna vedersela esclusivamente con se stessi, e con Dio. Forse ogni vita ha il proprio senso, forse ci vuole una vita intera per riuscire a trovarlo. Comunque, io ho smarrito qualsiasi rapporto con la vita e con le cose, mi sembra che tutto avvenga per caso e che ci si debba staccare interiormente da ognu¬no e da ogni cosa. Tutto sembra così minaccioso e sinistro, e ci si sente anche così impotenti.

    Ieri, per un momento, ho pensato che non avrei potuto continuare a vivere, che avevo bisogno d’aiu-to. La vita e il dolore avevano perso il loro significa¬to, avevo la sensazione di ‘sfasciarmi’ sotto un peso enorme, ma anche questa volta ho combattuto una battaglia che poi all’improvviso mi ha permesso di an¬dare avanti, con maggior forza. Ho provato a guardare in faccia il “dolore” dell’umanità, coraggiosamente e onestamente, ho affrontato questo dolore o piutto¬sto lo ha fatto qualcosa in me stessa, molti interroga¬tivi disperati hanno trovato risposta, l’assurdità com¬pleta ha ceduto il posto a un po’ più d’ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo. È stata un’altra breve ma violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto di maturità in più.
    Ho scritto che mi sono confrontata col “dolore dell’Umanità” (questi paroloni mi fanno ancora pau-ra), ma non è del tutto esatto. Mi sento piuttosto co¬me un piccolo campo di battaglia su cui si combatto¬no i problemi, o almeno alcuni problemi del nostro tempo. L’unica cosa che si può fare è offrirsi umil¬mente come campo di battaglia. Quei problemi devo¬no pur trovare ospitalità da qualche parte, trovare un luogo in cui possano combattere e placarsi, e noi, poveri piccoli uomini, noi dobbiamo aprir loro il no¬stro spazio interiore, senza sfuggire. Forse, su questo punto, io sono davvero molto ospitale, a volte sono come un campo di battaglia insanguinato e poi lo pago con un gran sfinimento e con un forte mal di capo. Ma ora sono semplicemente me stessa: Etty Hillesum, una laboriosa studentessa in una camera ospitale con dei libri e con un vaso di margherite. Scorro di nuovo nel mio stretto alveo e il contatto con “Umanità”, “Storia Universale” e “Dolore” s’è interrotto un’altra volta. Così dev’essere, del re¬sto, altrimenti una persona impazzirebbe. Non ci si può sempre perdere nei grandi problemi, non si può essere sempre come un campo di battaglia; dobbiamo poter ricuperare i nostri stretti confini e continuare dentro di essi - scrupolosamente e coscienziosamen¬te - la nostra vita limitata, mentre quei momenti di contatto quasi ‘impersonale’ con tutta l’umanità ci rendono ogni volta più maturi e profondi. Forse, in futuro, saprò esprimermi meglio, o farò dire queste cose a un personaggio di una novella o di un roman¬zo, ma sarà solo fra molto tempo.

    La sorgente di ogni cosa ha da essere la vita stessa, mai un’altra persona. Molti, invece - soprattutto don¬ne - attingono le proprie forze da altri: è l’uomo la loro sorgente, non la vita. Mi sembra un atteggia¬mento quanto mai distorto e innaturale.

    A volte siamo così distratti e sconvolti da ciò che capita, che poi fatichiamo a ritrovare noi stessi. Ep¬pure si deve. Non si può affondare, per una sorta di senso di colpa, in ciò che ci circonda. È in te che le cose devono venir in chiaro, non sei tu che devi perderti nelle cose.
    Una poesia di Rilke è altrettanto reale e impor¬tante di un ragazzo che cade dall’aeroplano, ricor-datelo bene. Sono tutte cose che fanno parte di que¬sto mondo e non si può ignorarne una per favorirne un’altra. Va’ a dormire. Le numerose contraddizioni della vita devono essere accettate, tu invece vorresti fonderie in un unico insieme e in qualche modo sem¬plificarle dentro di te, così ti semplificheresti pure la vita. Ma il fatto è che la vita è composta di contraddizioni, che queste vanno accettate tutte come sue parti integranti, e che non si può accentuarne una a spese di un’altra. Lascia che il tutto giri e forse di¬venterà ancora un unico insieme. Come ti ho già detto, dovresti andare a dormire, invece di scrivere cose che non sei ancora in grado di formulare.

    Dentro di me c’è una sor¬gente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è co¬perta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allo¬ra bisogna dissotterrarlo di nuovo.
    M’immagino che certe persone preghino con gli oc¬chi rivolti al cielo: esse cercano Dio fuori di sé. Ce ne sono altre che chinano il capo nascondendolo fra le mani, credo che cerchino Dio dentro di sé [...].

    Ecco la tua malattia: pretendi di rinchiudere la vita nelle tue formule, di abbracciare tutti i fenome¬ni della vita con la tua mente, invece di lasciarti ab¬bracciare dalla vita. Com’era già?: va bene che tu af-facci la tua testa in cielo, ma non che tu cacci il cie¬lo nella tua testa. Ogni volta vorresti rifare il mondo, invece di goderlo com’è. È un atteggiamento alquan¬to dispotico.

    Dentro di me c’è una melodia che a volte vorreb¬be tanto essere tradotta in parole sue. Ma per la mia repressione, mancanza di fiducia, pigrizia e non so che altro, rimane soffocata e nascosta. A volte mi svuota completamente. E poi mi colma di nuovo di una musica dolce e malinconica.

    A volte vorrei rifugiarmi con tutto quel che ho dentro in un paio di parole. Ma non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare. È proprio così. Io sto cercando un tetto che mi ripari ma dovrò co-struirmi una casa, pietra su pietra. E così ognuno cerca una casa, un rifugio per sé. E io mi cerco sem-pre un paio di parole.

    La vita non può esser colta in poche formule. In fondo, è quel che stai cercando di fare tutto il tem-po, e che ti porta a pensare troppo: stai cercando di rinchiudere la vita in poche formule ma non è pos¬sibile, la vita è infinitamente ricca di sfumature, non può essere imprigionata né semplificata. Ma semplice potresti essere tu.

    “Sono così attaccata a questa vita”.
    Cosa vuoi dire con questa “vita”. La vita comoda che fai adesso? Si vedrà con gli anni se sei vera mente attaccata alla vita nuda e semplice, in qualunque forma essa si presenti. Ci sono forze sufficienti in te. C’è anche questo: “Che uno trascorra la vita ridendo o piangendo, è sempre una vita”. Ma c’è anche la dinamicità occidentale, che ogni tanto si fa sentire con forza: sei sanissima, stai crescendo in direzione di te stessa, stai diventando autonoma. E ora al lavoro.

    Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace. Non penserò più, nella mia ingenuità, che un simile momento debba durare in eterno, saprò anche accettare l’irrequietezza e la lotta. Il calore e la sicurezza mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi toccherà stare al freddo purché tu mi tenga per mano. Andrò dappertutto allora, e cercherò di non aver paura. E dovunque mi troverò, io cercherò d’irraggiare un po’ di quell’amore, di quel vero amore per gli uomini che mi porto dentro. Ma non devo neppure vantar mi di questo ‘amore’. Non so se lo possiedo. Non voglio essere niente di così speciale, voglio solo cercare di essere quella che in me chiede di svilupparsi piena mente. A volte credo di desiderare l’isolamento di un chiostro. Ma dovrò realizzarmi tra gli uomini, e in questo mondo.
    E lo farò, malgrado la stanchezza e il senso di ribellione che ogni tanto mi prendono. Prometto di vivere questa vita sino in fondo, di andare avanti. Certe volte mi viene da pensare che la mia vita sia appena all’inizio e che le difficoltà debbano ancora cominciare, al tre volte mi sembra di aver già lottato abbastanza. Studierò e cercherò di capire, ma credo che dovrò pur lasciarmi confondere da quel che mi capita e che apparentemente mi svia: mi lascerò sempre confondere, per arrivare forse a una sempre maggior sicurezza. Fin quando non potrò più smarrirmi, e si sarà stabilito un profondo equilibrio - un equilibrio in cui tutte le direzioni saranno sempre possibili. Non so se potrò es sere un’amica per gli altri. E se non potrò esserlo per ché non è nel mio carattere, bisogna che affronti anche questo. In ogni caso non devi mai illuderti. Devi aver misura. E tu sola puoi essere misura a te stessa.
    È come se ogni giorno io sia scaraventata in un gran crogiolo e ogni giorno io riesca a uscirne.

    È importante che non mi lasci dominare da quel che mi sta succedendo. In un modo o nell’altro deve rimanere un fatto subordinato al resto - voglio dire: non ci si dovrebbe mai lasciar paralizzare da una cosa sola, per grave che essa sia, la gran corrente della vita deve continuare a scorrere.

    Sento allora di essere tutt’uno con la vita. Inoltre: che non sono io individualmente a volere o a dovere fare questo o quello, ma che la vita è grande e buona e attraente e eterna - e se tu dai tanta importanza a te stessa, ti agiti e fai chiasso, allora ti sfugge quella grande, potente, e eterna corrente, che è appunto la vita. È proprio in questi momenti - e quanto ne sono riconoscente - che ogni aspirazione personale mi abbandona, la mia ansia, per esempio, di conoscere e sapere si acquieta, e un piccolo pezzo d’eternità scende su di me con un largo colpo d’ala. So bene che questo stato d’animo non dura a lungo: magari è già passato dopo mezz’ora, ma nel frattempo ho potuto di nuovo attingervi forza.

    E io lo dico ora con tutta umiltà e riconoscenza e sincerità, anche se so bene che tornerò a essere suscettibile e ribelle: Dio mio, ti ringrazio per ché mi hai creata così come sono. Ti ringrazio perché talvolta posso essere così calma di vastità, quella vastità che non è poi nient’altro che il mio esser ricolma di te. Ti prometto che tutta la mia vita sarà un tendere verso quella bella armonia, e anche verso quel l’umiltà e vero amore di cui sento la capacità in me stessa, nei momenti migliori.

    Ho aperto a casaccio la Bibbia ma stamattina non dava risposta. Non importa molto, del resto, non c’erano vere domande da fare, c’è solo una gran fiducia e riconoscenza che la vita sia tanto bella, e perciò questo è un momento storico: non perché tra poco io devo andare con S. alla Gestapo, ma perché trovo ugualmente bella la vita.

    E alla fine di ogni giornata sento il bisogno di dire: la vita è davvero bella. Davvero, mi sto facendo una mia opinione su questa vita - un’opinione che so persino difendere davanti agli altri, e questo dice non poco sulla ragazzina timida che sono sempre stata.

    Ero andata a dormire presto, dal mio letto guardavo fuori attraverso la grande finestra aperta. Ed era come se la vita con tutti i suoi segreti mi fosse nuovamente accanto, come se la potessi toccare. Avevo la sensazione di riposare sul suo petto nudo, di sentire il battito regolare e leggero del suo cuore. Ero fra le nude braccia della vita e ci stavo così sicura e protetta. Pensavo: com’è strano. C’è la guerra. Ci sono campi di concentramento. Piccole barbarie si accumulano di giorno in giorno. Camminando per le strade, io so che in quella casa c’è un figlio in prigione, in quel l’altra un padre preso in ostaggio, o un figlio diciottenne condannato a morte. E questo capita a due passi da casa mia. So quanto la gente è agitata, conosco il grande dolore umano che si accumula e si accumula, la persecuzione e l’oppressione, l’odio impotente e il sadismo: so che tutte queste cose esistono, e continuo a guardai- bene in faccia ogni pezzetto di realtà nemica.
    Eppure, in un momento di abbandono, io mi ritrovo sul petto nudo della vita e le sue braccia mi circondano così dolci e protettive, e il battito del suo cuore non so ancora descriverlo: così lento e regolare e così dolce, quasi smorzato, ma così fedele, come se non dovesse arrestarsi mai, e anche così buono e misericordioso.
    Io sento la vita in questo modo, né credo che una guerra, o altre insensate barbarie umane, potranno cambiarvi qualcosa.

    Stamattina pedalavo lungo lo Stadionkade e mi godevo l’ampio cielo ai margini della città, respiravo la fresca aria non razionata. Dappertutto c’erano cartelli che ci vietano le strade per la campagna. Ma sopra quell’unico pezzo di strada che ci rimane c’è pur sempre il cielo, tutto quanto. Non possono farci niente, non possono veramente farci niente. Possono renderci la vita un po’ spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’ di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori col nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati e oppressi, col nostro odio e con la millanteria che maschera la paura. Certo che ogni tanto si può esser tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia: sia mo soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare a se stessi” non è proprio una forma d’individualismo malaticcio. Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso - se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto d’eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola come in dieci volumoni. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra.

    E secondo la radio inglese, dall’apri le scorso sono morti 700.000 ebrei, in Germania e nei territori occupati. Se rimarremo vivi, queste saranno altrettante ferite che dovremo portarci dentro per sempre. Eppure non riesco a trovare assurda la vita. E Dio non è nemmeno responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi! Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bel la e ricca di significato. Ogni minuto.

    a volte devo chinare il capo sotto il gran peso che ho sulla nuca, e allora sento il bisogno di congiungere le mani, quasi in un gesto automatico, e così potrei rimaner seduta per ore - so tutto, sono in grado di sopportare tutto, sempre meglio, e insieme sono certa che la vita è bellissima, degna di essere vissuta e ricca di significato. Malgrado tutto. Il che non vuol dire che uno sia sempre nello stato d’animo più elevato e pieno di fede. Si può esser stanchi come cani dopo aver fatto una lunga camminata o una lunga coda, ma anche questo fa parte della vita, e dentro di te c’è qualcosa che non ti abbandonerà mai più.

    La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio - così, per me stessa, senza riuscire ancora a spiegarlo agli altri. Mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo per poterlo fare, e se questo non mi sarà concesso, bene, allora qualcun altro lo farà al posto mio, continuerà la mia vita dov’essa è rima sta interrotta. Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro.

    Non giocherò più con le parole che creano soltanto malintesi - per esempio: ho chiuso i conti con la vita, non può più succedermi niente, non si tratta di me e della mia distruzione ma del fatto che si distrugga.
    Così dico qualche volta agli altri, ma non ha molto senso, né riesco a spiegarmi - né importa, del resto.
    Con “aver chiuso i conti con la vita” voglio dire che la possibilità della morte si è perfettamente integrata nella mia vita; questa è come resa più ampia da quella, dall’affrontare ed accettare la fine come parte di sé. E dunque non si tratta, per così dire, di offrire un pezzetto di vita alla morte perché si teme e si rifiuta quest’ultima, la vita che ci rimarrebbe allora sarebbe ridotta a un ben misero frammento. Sembra quasi un paradosso: se si esclude la morte non si ha mai una vita completa; e se la si accetta nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest’ultima. È la prima volta che ho da confrontarmi con la morte. Non ho mai saputo bene come comportar mi con lei, sono vergine nei suoi confronti. Non ho mai visto una persona morta. Che strano: in questo mondo disseminato di milioni di cadaveri io, a ventotto anni, non ne ho ancora visto uno. Qualche volta mi sono chiesta quale fosse il mio atteggiamento nei confronti della morte; in realtà, non me ne so no mai preoccupata per me stessa, non era ancora il momento. E ora la morte è qui, in tutta la sua grandezza - e già è come una vecchia conoscenza che fa parte della vita e che si deve accettare. È tutto così semplice. Non c’è bisogno di fare profonde considerazioni. D’un tratto la morte - grande, semplice, e naturale - è entrata quasi tacitamente a far parte della mia vita. E adesso io so che appartiene alla vita.
    Ecco, ora posso dormire in pace.

    Un barlume d’eternità filtra sempre più nelle mie più piccole azioni e percezioni quotidiane. Io non sono sola nella mia stanchezza malattia tristezza o paura, ma sono insieme con milioni di persone, di tanti secoli: anche questo fa par te della vita che è pur bella e ricca di significato nella sua assurdità, se vi si fa posto per tutto e se la si sente come un’unità indivisibile. Così, in un mo do o nell’altro, la vita diventa un insieme compiuto; ma si fa veramente assurda non appena se ne accetta o rifiuta una parte a piacere, proprio perché essa perde allora la sua globalità e diventa tutta quanta arbitraria.

    È un nucleo di forza che continuo a por tarmi dentro, ma anche questo non va inteso in sen so troppo materialistico. La questione non è se il corpo poco esercitato possa resistere, questo è relativamente secondario: la forza autentica, primaria, consiste in ciò, che se anche si soccombe miseramente, fino all’ultimo si sente che la vita è bella e ricca di significato, che si è realizzato tutto quanto in noi stessi e che la vita era buona. Non riesco tanto a esprimermi, finisco sempre per usare le stesse parole.

    Dopo la grandissima, schiacciante disperazione del primo momento, quella storia ha preso molte pieghe singolari. La vita è così curiosa e sorprendente e infinitamente piena di sfumature, a ogni curva del suo cammino si apre una vista del tutto diversa. La maggior parte delle persone ha nella propria testa delle idee stereotipate su questa vita, dobbiamo nel nostro intimo liberarci di tutto, di ogni idea esistente, parola d’or dine, sicurezza; dobbiamo avere il coraggio di abbandonare tutto, ogni norma e appiglio convenzionale, dobbiamo osare il gran salto nel cosmo, e allora, allora sì che la vita diventa infinitamente ricca e abbondante, anche nei suoi più profondi dolori.

    Non ho neppure paura, non so, mi sento così tranquilla, talvolta mi sembra di trovarmi in al to sui merli del palazzo della storia e di far correre lo sguardo su territori lontani. Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo, senza soccombere. So tutto quel che capita e la mia te sta rimane lucida. Talvolta è come se sul mio cuore venisse sparso uno strato di cenere. O come se sotto i miei occhi il mio viso appassisse e si dissolvesse, e nei suoi lineamenti grigi i secoli si inabissassero uno dopo l’altro, e tutto si disfacesse, e il mio cuore la sciasse andare tutto. Sono solo brevi momenti, dopo di che ritrovo ogni cosa e la mia testa ridiventa lucida, e sono di nuovo in grado di sopportare benissimo questo pezzo di storia. Una volta che si comincia a camminare con Dio, si continua semplicemente a camminare e la vita diventa un’unica, lunga passeggiata. Com’è singolare tutto ciò.
    Riesco a capire un pezzetto di storia e di umanità ma per ora preferisco non scrivere, avrei l’impressione che ogni parola sbiadirebbe e invecchierebbe al l’istante, come se la parola nuova capace di sostituire quella vecchia abbia ancora da nascere.

    Sì, mio Dio, ti sono molto fedele, in ogni circostanza, non andrò a fondo e continuo a credere nel senso profondo di questa vita; so come devo continuare a vivere e ci sono in me, e in lui, delle certezze così grandi, ti sembrerà incomprensibile ma trovo la vita così bella e mi sento così felice. Non è meraviglioso? Non oserei dirlo a nessuno con così tante parole.

    Mi sembra di custodire un prezioso pezzo di vita, con tutta la responsabilità che me ne viene. Mi sento responsabile per quel grande e bel sentimento della vita che mi porto dentro, devo cercare di mantenerlo intatto in questo tempo per poterlo trasmettere a un tempo migliore. È l’unica cosa che conta e ne sono pienamente cosciente. Ci sono dei momenti in cui penso che dovrei rassegnarmi e soccombere, ma ogni volta ritrovo quel senso di responsabilità nei confronti della vita che in me va veramente tenuto vivo.

    Ieri sera, dopo quella lunga camminata nella pioggia, e con quella vescica sotto il piede, sono ancora andata a cercare un carretto che vendesse fiori e così sono arrivata a casa con un gran mazzo di rose. Ed eccole lì, reali quanto tutta la miseria vissuta in un intero giorno. Nella mia vita c’è posto per tante cose. E ho così tanto posto, mio Dio. Oggi, mentre passavo per quei corridoi così affollati, ho sentito improvvisamente un gran desiderio d’inginocchiarmi sul pavimento di pietra, in mezzo a tutta quella gente. L’unico atto degno di un uomo che ci sia rimasto di questi tempi è quello d’inginocchiarci davanti a Dio. Ogni giorno imparo qualcosa sugli uomini e mi rendo sempre più conto che non si può trovare aiuto negli altri, che dobbiamo sempre più contare sulle nostre forze interiori.

    Se sopravviverò a questo tempo e se allora dirò: la vita è bella e ricca di significato, bisognerà pur credermi.
    Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile.

    Credo che la vita pretenda molto da me e che mi riservi anche molto, ma devo saper ascoltare la mia voce interiore, devo rimanere onesta e aperta, e non sfuggire a quel sentimento.

    Ci sono dei momenti in cui mi sento come un uccellino nascosto in una grande mano protettiva.
    Ieri il mio cuore era come un uccello preso in trappola, ora è di nuovo libero e vola indisturbato dappertutto. Oggi c’è il sole. Preparo i miei panini e mi metto in cammino.
    Più tardi sarò il cronista delle nostre vicissitudini. Le comporrò in una lingua nuova e le conserverò in me stessa, se non avrò la possibilità di scriverle. Diventerò apatica e rivivrò, cadrò a terra e mi rialzerò, e forse, molto più tardi, mi capiterà di avere in torno uno spazio tranquillo che sarà tutto mio, e allora ci rimarrò anche un anno se sarà necessario - fintanto che la vita tornerà a zampillare, e mi verranno le parole giuste per testimoniare ciò che dovrà essere testimoniato.

    Parlerò con te, mio Dio. Posso? Col passare delle persone, non mi resta altro che il desiderio di parlare con te. Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te. E cerco di disseppellirti dal loro cuore, mio Dio. Ma ora avrò bisogno di molta pazienza e riflessione e sarà molto difficile. E dovrò far tutto da sola. La parte migliore e più nobile del mio amico, dell’uomo che ti ha risvegliato in me, è già presso di te. È solo più rimasto un vecchio con sunto e infantile in quelle due camerette, là dove ho vissuto le gioie più grandi e più profonde della mia vita. Ho sostato accanto al suo letto e mi sono trovata davanti ai tuoi massimi enigmi, mio Dio. Dammi ancora una vita intera per poter capire tutto quanto. Mentre scrivo queste cose sento che è un bene che io debba rimaner qui. D’un tratto mi rendo conto di aver vissuto così intensamente, in due mesi ho consumato le riserve di una vita intera. Forse ho esagerato a forza di vivere interiormente? Non ho esagerato se ora ascolto il tuo avvertimento.

    Vedi, ho ancora sempre lo stesso problema, non so decidermi a smettere di scrivere: all’ultimo momento vorrei ancora trovare la formula liberatoria, la parola che esprima il mio ricco, sovrabbondante sentimento della vita. Perché non mi hai fatta poeta, mio Dio? Ma sì, mi hai fatta poeta, aspetterò pazientemente che maturino le parole della mia dove rosa testimonianza: cioè che vivere nel tuo mondo è una cosa bella e buona, malgrado tutto quel che ci facciamo reciprocamente noi uomini.
    Il cuore pensante della baracca.

    E quante volte le percorrerò ancora, ovunque mi troverò, su quegli altipiani interiori della mia vita più profonda. Dovrei forse fare una faccia triste o solenne? Sono forse triste? Vorrei congiungere le mani e dire: ragazzi, sono così felice e riconoscente e trovo la vita così bella e ricca di significato. Proprio così, e lo dico mentre sto accanto al letto del mio amico morto prematuramente, e mentre io stessa posso essere deportata a ogni momento in una terra sconosciuta. Mio Dio, ti sono così riconoscente per tutto quanto.
    Continuerò a vivere con quella parte dell’uomo morto che vive in eterno e risveglierò alla vita ciò ch’è morto nei vivi e così non ci sarà nient’altro che vita, un’unica grande vita, mio Dio.

    Il sentimento che ho della vita è così intenso e grande, sereno e riconoscente, che non voglio neppur provare a esprimerlo in una parola sola. In me c’è una felicità così perfetta e piena, mio Dio. Probabilmente la definizione migliore sarebbe di nuovo la sua: riposare in se stessi”, e forse sarebbe anche la definizione più completa di come io sento la vita: io riposo in me stessa. E questo “me stessa”, la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo “Dio”. Nel diario di Tide ho trovato spesso questa frase: Padre, prendilo dolcemente fra le tue braccia. È così che mi sento, sempre e ininterrottamente: come se stessi fra le tue braccia, mio Dio, così protetta e sicura e impregnata d’eternità. Come se ogni mio respiro fosse eterno, e la più piccola azione o parola avesse un vasto sfondo e un profondo significato. S. mi ave va scritto in una delle sue prime lettere: “E se posso trasmettere qualcosa di questa forza sovrabbondante, sono contento”.
    Mio Dio, è un bene che tu abbia fatto fermare il mio corpo. Devo guarire completamente per fare ciò che devo. Ma forse, anche questa è un’idea convenzionale. Lo spirito non dovrebbe forse continuare a lavorare e a essere creativo anche quando il corpo è malato? E amare e hineinhorchen [“ascoltare dentro’] se stessi, gli altri, il contesto di questa vita, e te. Hineinhorchen, vorrei trovare una buona traduzione olandese di questa parola. In fondo, la mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro me stessa, gli altri, Dio. E quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La parte più essenziale e profonda di me che ascolta la parte più essenziale e profonda dell’altro. Dio a Dio.

    Vorrei poter dominare tutto con le parole - questi due mesi tra il filo spinato che sono stati i mesi più intensi e più ricchi della mia vita e una tale con ferma dei valori più importanti e più alti per me. Mi sono così affezionata a quel Westerbork e ne ho nostalgia. E là, quando mi addormentavo nella mia stretta cuccetta, avevo nostalgia della scrivania a cui sono seduta qui. Ti sono così riconoscente, mio Dio, perché in ogni luogo mi rendi la vita così bella che ne ho nostalgia quando ne sono lontana. Però, questo mi rende anche la vita pesante e difficile.

    Una volta ho scritto in uno dei miei diari: vorrei poter tastare i contorni di questo tempo con la punta delle dita. Ero seduta alla mia scrivania, allora, e non sapevo bene come accostarmi alla vita perché non l’avevo ancora toccata dentro di me. Ho imparato a farlo mentre ero seduta qui. Poi, d’un tratto, sono stata scaraventata in un centro di dolore umano - su uno dei tanti, piccoli fronti di cui è disseminata l’Europa. E là - sui volti delle persone, su migliaia di gesti, piccole espressioni, vite raccontate - su tutto ciò ho improvvisamente cominciato a leggere questo tempo come un insieme compiuto, e non solo questo tempo. Avevo imparato a leggere in me stessa e così ero in grado di leggere anche negli altri. Era proprio come se le mie dita sensibili sfiorassero i contorni di questo tempo, e di questa vita. Com’è possibile che quel pezzetto di brughiera recintato dal filo spinato, dove si riversava e scorreva tanto dolore umano, sia diventato un ricordo quasi dolce? Che il mio spirito non sia diventato più tetro in quel luogo, ma più luminoso e sereno? A Westerbork ho letto un tratto del nostro tempo che non mi sembra privo di significato. Ho amato tanto la vita quand’ero seduta a questa scrivania ed ero circondata dai miei scrittori, dai miei poeti e dai miei fiori. E là, tra le baracche popolate da uomini scacciati e perseguita ti, ho trovato la conferma di questo amore. La vita in quelle baracche piene di correnti d’aria non contrastava affatto con la vita in questa camera protetta e tranquilla. Non sono mai stata tagliata fuori da una vita per così dire ‘passata’, per me esisteva solo una grande, significativa continuità. Come potrò de scrivere tutto ciò? E far sentire quanto la vita sia bel la e degna di esser vissuta e giusta, sì, proprio giusta? Forse Dio mi concederà quelle poche, semplici parole? Parole che siano anche colorite, appassiona te e serie, ma soprattutto semplici? Come posso rappresentarlo con poche, tenere, leggere e robuste pennellate, il piccolo villaggio di baracche tra cielo e brughiera? Come posso far sì che anche altri leggano dentro a tutte quelle persone - persone che devono esser decifrate come geroglifici, tratto dopo tratto, finché non ci si trova davanti a un unico, grande e comprensibile insieme, incorniciato da cielo e brughiera?
    Una cosa è certa: non potrò mai scrivere le cose come la vita le ha scritte per me, in caratteri viventi. Ho letto tutto, con i miei occhi e con tutti i miei sensi, ma non saprò mai raccontarlo allo stesso modo. Potrei anche disperarmi per questo, se non avessi imparato che dobbiamo accettare le nostre forze insufficienti, però con queste forze dobbiamo vera mente lavorare.

    È vero che vivo intensamente, a volte mi sembra di vivere con un’intensità demoniaca ed estatica, ma ogni giorno mi rinnovo alla sorgente originaria, alla vita stessa, e di tanto in tanto mi riposo in una preghiera. E chi mi dice che vivo troppo intensamente non sa che ci si può ritirare in una preghiera come nella cella di un convento, e che poi si prosegue con rinnovata pace ed energia.
    Credo che sia soprattutto la paura di sprecarsi a sottrarre alle persone le loro forze migliori. Se, dopo un laborioso processo che è andato avanti giorno dopo giorno, riusciamo ad aprirci un varco fino alle sorgenti originarie che abbiamo dentro di noi, e che io chiamerò “Dio”, e se poi facciamo in modo che questo varco rimanga sempre libero, “lavorando a noi stessi”, allora ci rinnoveremo in continuazione e non avremo più da preoccuparci di dar fondo alle nostre forze.

    In me non c’è un poeta, in me c’è un pezzetto di Dio che potrebbe farsi poesia.
    In un campo deve pur esserci un poeta, che da poeta viva anche quella vita e la sappia cantare.

    Mi piace aver contatto con le persone. Mi sembra che la mia intensa partecipazione porti alla luce la loro parte miglio re e più profonda, le persone si aprono davanti a me, ognuna è come una storia, raccontatami dalla vita stessa. E i miei occhi incantati non hanno che da leggere. La vita mi confida così tante storie, dovrei raccontarle a mia volta, renderle evidenti a coloro che non sono in grado di leggerle direttamente. Mio Dio, mi hai concesso il dono di poter leggere, mi concederesti anche quello di poter scrivere?

    Sono ammalata, non ci posso far niente. Più tardi raccoglierò tutte le la crime e le paure, laggiù. In fondo lo faccio già in questo letto. Forse è per questo che ho la febbre e il capogiro? Non voglio essere il cronista di orrori. E neanche di fatti sensazionali. Ancora stamattina ho detto a Jopie: eppure arrivo sempre alla stessa conclusione: la vita è bella. E credo in Dio. E voglio stare proprio in mezzo ai cosiddetti ‘orrori’ e dire ugualmente che la vita è bella.

    Io credo che dalla vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte le circostanze, ma che si abbia il diritto di affermarlo solo se personalmente non si sfug¬ge alle circostanze peggiori.

    Vo¬levo solo dire questo: la miseria che c’è qui è vera¬mente terribile - eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce - non ci posso fan niente, è così, è di una forza elementare -, e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo com¬pletamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore do¬vremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravviveremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo an¬che il diritto di dire la nostra parola a guerra finita.

    Mi hai resa così ricca, mio Dio, lasciami anche di¬spensare agli altri a piene mani. La mia vita è diven-tata un colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande colloquio. A volte, quando me ne sto in un angolino del campo, i miei piedi piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti al cielo, le lacrime mi scorrono sulla faccia, lacrime che sgorgano da una profonda emozione e riconoscenza. Anche di sera, quando sono coricata nel mio letto e riposo in te, mio Dio, lacrime di riconoscenza mi scorrono sulla faccia e questa è la mia preghiera.
    Sono molto, molto stanca, già da diversi giorni, ma anche questo passerà, tutto avviene secondo un ritmo più profondo che si dovrebbe insegnare ad ascoltare, è la cosa più importante che si può imparare in que¬sta vita.
    Io non combatto contro di te, mio Dio, tutta la mia vita è un grande colloquio con te. Forse non diventerò mai una grande artista come in fondo vorrei, ma mi sento già fin troppo al sicuro in te, mio Dio. A volte vorrei incidere delle piccole massime e storie appassio¬nate, ma mi ritrovo prontamente con una parola so¬la: Dio, e questa parola contiene tutto e allora non ho più bisogno di dire quelle altre cose. E la mia for¬za creativa si traduce in colloqui interiori con te, e le ondate del mio cuore sono diventate qui più lunghe, mosse e insieme tranquille, e mi sembra che la mia ricchezza interiore cresca ancora.

    Co¬me eravamo giovani solo un anno fa su questa bru¬ghiera, Maria, ora siamo un tantino più vecchi. Noi stessi non ce ne rendiamo veramente conto: siamo stati marchiati dal dolore, per sempre. Eppure la vi¬ta è meravigliosamente buona nella sua inesplicabile profondità, Maria - devo ritornare sempre su que¬sto punto. E se solo facciamo in modo che, malgrado tutto, Dio sia al sicuro nelle nostre mani.

    Preghiera della domenica mattina. Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’og¬gi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani - ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affin¬ché tu non venga distrutto dentro di me, ma a prio¬ri non posso promettere nulla. Una cosa, però, di¬venta sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica co¬sa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’uni¬ca che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contri¬buire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uo¬mini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far mol¬to per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare re¬sponsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma toc¬ca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che all’ultimo momen¬to si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento - invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e ama¬rezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio cor¬po. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia. Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla, mio Dio, dopo questa conversazione con te. Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, mio Dio, tempi scarsa¬mente alimentati dalla mia povera fiducia; ma cre¬dimi, io continuerò a lavorare per te e a esserti fe¬dele e non ti caccerò via dal mio territorio.
    Per il dolore grande ed eroico ho abbastanza for¬za, mio Dio, ma sono piuttosto le mille piccole preoc¬cupazioni quotidiane a saltarmi addosso e a morder¬mi come altrettanti parassiti. Be’, allora mi gratto di¬speratamente per un po’ e ripeto ogni giorno: per oggi sei a posto, le pareti protettive di una casa ospi¬tale ti scivolano sulle spalle come un abito che hai portato spesso, e che ti è diventato familiare, anche di cibo ce n’è a sufficienza per oggi, e il tuo letto con le sue bianche lenzuola e con le sue calde coperte è ancora lì, pronto per la notte - e dunque, oggi non hai il diritto di perdere neanche un atomo della tua energia in piccole preoccupazioni materiali. Usa e impiega bene ogni minuto di questa giornata, e ren¬dila fruttuosa; fanne un’altra salda pietra su cui pos¬sa ancora reggersi il nostro povero e angoscioso fu¬turo. Il gelsomino dietro casa è completamente sciu¬pato dalla pioggia e dalle tempeste di questi ultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano qua e là sul¬le pozzanghere scure e melmose che si sono formate sul tetto basso del garage. Ma da qualche parte den¬tro di me esso continua a fiorire indisturbato, esu¬berante e tenero come sempre, e spande il suo pro¬fumo tutt’intorno alla tua casa, mio Dio. Vedi come ti tratto bene. Non ti porto soltanto le mie lacrime e le mie paure, ma ti porto persino, in questa dome¬nica mattina grigia e tempestosa, un gelsomino pro¬fumato. Ti porterò tutti i fiori che incontro sul mio cammino, e sono veramente tanti. Voglio che tu stia bene con me. E tanto per fare un esempio: se io mi trovassi rinchiusa in una cella stretta e vedessi passa¬re una nuvola davanti alla piccola inferriata, allora ti porterei quella nuvola, mio Dio, sempre che ne abbia ancora la forza. Non posso garantirti niente a priori, ma le mie intenzioni sono ottime, lo vedi bene.
    E ora. mi dedico a questa giornata. Mi troverò fra molta gente, le tristi, voci e le minacce mi assedie-ranno di nuovo, come altrettanti soldati nemici as¬sediano una fortezza imprendibile.

    Quando prego, non prego mai per me stessa, prego sempre per gli altri, oppure dialogo in modo pazzo, infantile o serissimo con la parte più profonda di me, che per comodità io chiamo “Dio”. Non so, trovo così infantile che si preghi per ottenere qual¬cosa per sé. Bisogna che domani gli chieda se prega mai per se stesso, e allora vuoi dire che lo farò an¬ch’io. Mi sembra infantile anche pregare perché un altro stia bene: per un altro si può solo pregare che riesca a sopportare le difficoltà della vita. E se si pre¬ga per qualcuno, gli si manda un po’ della propria forza.

    È vero che vivo intensamente, a volte mi sembra di vivere con un’in¬tensità demoniaca ed estatica, ma ogni giorno mi rin¬novo alla sorgente originaria, alla vita stessa, e di tanto in tanto mi riposo in una preghiera. E chi mi dice che vivo troppo intensamente non sa che ci si può ritirare in una preghiera come nella cella di un convento, e che poi si prosegue con rinnovata pace ed energia.
    Credo che sia soprattutto la paura di sprecarsi a sottrarre alle persone le loro forze migliori. Se, do¬po un laborioso processo che è andato avanti giorno dopo giorno, riusciamo ad aprirci un varco fino alle sorgenti originarie che abbiamo dentro di noi, e che io chiamerò “Dio”, e se poi facciamo in modo che questo varco rimanga sempre libero, “lavorando a noi stessi”, allora ci rinnoveremo in continuazione e non avremo più da preoccuparci di dar fondo alle nostre forze.

    Essere fedeli a tutto ciò che si è comin¬ciato spontaneamente, a volte fin troppo spontanea¬mente.
    Essere fedeli a ogni sentimento, a ogni pensiero che ha cominciato a germogliare.
    Essere fedeli nel senso più largo del termine, fedeli a se stessi, a Dio, ai propri momenti migliori.
    E dovunque si è, esserci “al cento per cento”. Il mio “fare” consisterà nell’”essere”! Soprattutto, devo essere più fedele a quel che vorrei chiamare il mio talento creativo, per modesto che sia. Ad ogni modo: ci sono tante cose che vorrebbero esser dette e scritte da me, e dovrei finalmente mettermici. Invece cerco in tutti i modi di scappare, e in questo manco. D’altra parte, so che devo aspettare con pazienza che le mie parole crescano. Ma devo anche aiutarle. È sempre così: si vorrebbe scrivere subito qualcosa di straordinario e di geniale, ci si vergogna delle pro¬prie sciocchezze. Ma se io ho un dovere nella vita, in questo tempo, in questo stadio della mia vita, è proprio quello di scrivere, annotare, conservare. Le cose, nel frattempo, le digerirò comunque. Io leggo la vita come un tutto coerente, so che sono in grado di leggerla, e nella mia presunzione e pigrizia giovanili penso che tanto mi ricorderò ogni cosa, e che più tardi saprò anche raccontarla. Ma dovrò pur crearmi dei piccoli punti di partenza. Io vivo la vita sino in fondo, ma sento sempre più che ho delle responsabilità verso quelli che vorrei chiamare i miei talenti. Ma dove cominciare, mio Dio. Ci sono così tante cose. Non devi neppur pretendere di scrivere le cose così come le hai appena vissute con tan¬ta intensità: sarebbe un errore. Non si tratta di que¬sto. Non so ancora come farò a dominare tutta que¬sta materia. So soltanto che dovrò fare tutto da sola, e che ho abbastanza forza e pazienza per riuscirci. Devo anche essere fedele, non posso più disperdermi come sabbia al vento. Io mi divido tra gli affetti, le impressioni, le persone e le emozioni che mi tocca¬no: devo rimaner fedele a tutti ma devo anche es¬sere fedele al mio talento. “Vivere” tutto quanto non è più sufficiente, ci vuole qualcosa in più.
    Credo di vedere sempre meglio gli abissi che in¬ghiottono le forze creative e la gioia di vivere dell’uomo. Sono buche che ingoiano tutto e queste bu¬che sono nella nostra stessa anima. A ciascun giorno basta la sua pena. Inoltre: l’uomo soffre soprattutto per la paura del dolore. Ed è la materia, è sempre la materia che attira tutto lo spirito a sé e non vice¬versa. “Vivi troppo con lo spirito”. E perché no? Perché non ho abbandonato immediatamente il mio corpo alle tue mani desiderose? L’uomo è una stra¬na creatura. Quanto vorrei scrivere. Da qualche par¬te in me c’è un’officina in cui dei titani riforgiano il mondo. Una volta avevo scritto disperata: è proprio nella mia testolina, nel mio cranio che dev’essere spie¬gato il mondo. Ora lo penso ancora di tanto in tan¬to, con una presunzione quasi diabolica. Riesco sem¬pre più ad affrancare la mia forza creativa dalle ne¬cessità materiali, dal pensiero della fame, del freddo e dei pericoli. È pur sempre un’idea, non una real¬tà. La realtà è qualcosa che bisogna prendere su di sé, con tutto il suo dolore e con tutte le sue difficol¬tà, e intanto che la si sopporta, la nostra pazienza aumenta. Ma l’idea del dolore - non il dolore ‘vero’, che è fruttuoso e può render la vita preziosa -, quel¬la va distrutta. E se si distruggono i preconcetti che imprigionano la vita come inferriate, allora si libera la vera vita e la vera forza che sono in noi, e allora si avrà anche la forza di sopportare il dolore reale, nella nostra vita e in quella dell’umanità.

     


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu