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    "Ah, dài, fai la persona adulta!"

    Adultità e maturità nelle riflessioni di  Etty Hillesum



    E mentre tornavo a casa, dopo, avrei voluto essere investita da una macchina, e pensavo: Ma certo, diventerò pazza anch'io, come tutta la mia famiglia, un pensiero che mi viene sempre, quando, chissà perché, mi sento disperata. Ma oggi so benissimo di non essere pazza, è solo che devo lavorare ancora molto con me stessa per diventare una persona adulta, una persona al cento per cento. E lei mi aiuterà, vero?

    Comincerà davvero una nuova fase della mia vita? Ma il punto interrogativo è già un errore: comincia una nuova fase! La lotta è già in pieno svolgimento. “Lotta” in questo momento non è neanche la parola giusta, perché ora mi sento così bene, in armonia dentro e profondamente sana, meglio quindi dire: la presa di coscienza è in pieno svolgimento, e tutto quello che finora era nella mia testa in forma di teorie debitamente elaborate arriverà anche al cuore e si farà carne e sangue. E poi l'eccessiva consapevolezza deve sparire, mi crogiolo ancora troppo nel momento di transizione; ogni cosa deve diventare più spontanea e semplice, finché ci si ritrova infine adulti, forse, capaci di stare vicino agli altri mortali che popolano questa terra fra mille difficoltà, e di donar loro un po' di chiarezza grazie al proprio lavoro, perché si tratta comunque anche di questo.

    È come se oggi, stasera per la precisione, riconoscessi intimamente per la prima volta il mio rapporto con lui, come se solo adesso ingaggiassi battaglia con lui o, meglio, con me stessa. Etty, comportati da persona “adulta” e fai un po' di chiarezza, per te e forse per molte altre donne.

    Mentre lui è impegnato a trasformarsi in una specie di santo, il mio desiderio cresce, generando in me un senso di catastrofe e disperazione. Si sistemerà tutto. Non sono ancora una donna “adulta”. Oggi pomeriggio, piena di fervore, ho fatto la paternale a questa bimbetta, sul fatto che la vita è un lento processo di crescita e che bisogna essere pazienti. E, in effetti, vivo anche in accordo a quanto oggi pomeriggio ho predicato. Ma adesso arriva una nuova fase, che devo attraversare e superare sana e salva, e il più “adulta” possibile, vivendola nella sua più profonda miseria, per poter poi aiutare altri a superarla. E, per favore, cerca di diventare almeno un po', una donna “adulta” e dignitosa. Avverto vagamente che questo è l'inizio di una nuova fase, ma non so ancora come devo procedere. È ancora tanto piccola e confusa. In realtà dovrei maledirlo, perché penso che mi stia rifiutando, oh no, questo poi no; in più, mi sembra di non essere mai stata così ossessionata dal desiderio fisico, o forse era tanto acuto anche le altre volte?

    Gli ho anche raccontato che era terribilmente difficile essere una donna “adulta” e lui: Non bisogna avere una simile pretesa, bisogna vivere sino in fondo le proprie imperfezioni. Gli ho anche detto quanto fossi colpita da parole come Mitleid [“compassione”], Unfreiheit [“mancanza di libertà”], ecc. E lui: Sì, ma certi concetti devi vederli alla luce di determinati contesti. Poi gli ho raccontato di quando, di recente, in una fredda mattina, sul bus della linea 16, ho capito all'improvviso che avrei viaggiato in molti paesi e avrei visto tanti volti e scritto libri, e che mi sarei allontanata da lui; e che mi ero sentita più libera che mai ma anche sempre più legata a lui. E gli ho detto anche: Qualunque cosa accada tra di noi, quella sensazione di libertà, di essere un mondo a sé, e l'idea di non aver diritti su di te saranno sempre con me, è questa la ragione per cui ho sempre il coraggio di raccontarti tutto e di esprimere il mio desiderio, perché non è necessario un legame. È solo desiderio, nient'altro, un desiderio che chiede una parte di te, ma io rimango comunque libera.

    Sono felice che ci venga concesso di capire sempre di più, e di approfondire, di giorno in giorno, la conoscenza della vita. Ne sono tanto grata. E devo diventare ancora più paziente. I sentimenti sono più profondi e grandi delle possibilità espressive. Non so ancora in quale ambito cercare i miei strumenti. Aspettare e ascoltare ed essere paziente; fare le cose di ogni giorno; diventare sempre più me stessa e al tempo stesso un anello nel tutto: e nessuna consumata imitazione, né un vivere, nemmeno per un minuto, in modo inconsulto. Devi diventare uno strumento, non solo nella mente ma anche nel corpo. Questo l'ho scritto ovviamente sotto l'influsso di Rilke, di Rainer Maria, che, nelle ultime settimane, si è imposto come figura a grandezza naturale nel cuore della mia vita e che è ormai un sostegno sempre più stabile per i teneri ramoscelli che, tanto timidamente, sono sul punto di fiorire nel mio profondo; sotto l'influsso di Rilke, ma comunque anche per mia ispirazione. Penso ai paesi stranieri per i quali partirò - lo so con sempre maggiore certezza, con un'irrequietezza giovanile che si fa certezza - e i tanti volti che saranno altrettanti paesaggi, che un giorno raggiungerò: dovrò migliorare la mia conoscenza delle lingue. E ascoltare, dappertutto ascoltare, e ascoltare fino al fondo delle cose. E amare e dire addio e con questo morire, ma poi rinascere: è tutto così doloroso ma anche tanto ricco di vita. Ho ventotto anni e a volte penso che sia un'età adulta, e tuttavia sto iniziando a vivere solo adesso.

    E infine: alla tristezza del mondo non bisognerebbe offrire, di tanto in tanto, un piccolo rifugio? E un bel giorno dirò forse a Ilse Blumenthal: “Sì, la vita è bella, la lodo alla fine di ogni giorno, eppure so che figli di madri, e lei è una madre, sono trucidati nei campi di concentramento. E il dolore di tutto ciò bisogna saperlo sopportare; anche se te ne lasci devastare, dovrai rialzarti un giorno, perché un essere umano è tanto forte, perché il dolore deve diventare una parte di te, una parte del tuo corpo e della tua anima, non devi fuggirlo ma sopportarlo come una persona adulta. Non sfogare i tuoi rancori in un odio che vuole vendetta su tutte le madri tedesche, che adesso, in questo istante, hanno lo stesso tuo dolore da sopportare per i loro figli caduti e massacrati. Devi lasciare a questo dolore tutto lo spazio possibile in te stessa e concedere a esso l'asilo che gli è destinato, e forse, così facendo, il dolore nel mondo diminuirà, se tutti sopportiamo, onestamente e lealmente e in maniera responsabile, ciò che ci viene assegnato. Se invece non dai un opportuno ricovero al dolore, ma concedi maggior spazio all'odio e ai piani di vendetta - da cui nascerà ulteriore dolore per altri -, be', allora il dolore non finirà mai in questo mondo ma crescerà soltanto. Quando avrai concesso al dolore il posto e lo spazio che le sue nobili origini richiedono, allora sì che potrai dire: la vita è tanto bella e ricca. Lo è al punto che potresti credere in Dio.

    E ieri mi sono sentita d'un tratto stranamente seria, adulta e sicura e ho guardato in me stessa e ho visto... ecco! In quei mesi improvvisamente qualcosa era maturato in me, era lì, e tutto quello che dovevo fare era accettarlo.

    Dio, dammi molta forza. Devo diventate forte e scaltra come un uomo, come un adulto, per poter essere una sua valida controparte nel lavoro. Se fossi sposata con lui e avessimo una casa insieme, farei in modo che venissero a trovarci uomini astuti e intelligenti della sua età, colleghi adatti alla sua personalità, con cui potrebbe misurarsi. Non è così, e io non sono che una ragazzina. Eppure vorrei avere così tanta forza e intuizione e intelligenza da poter sostituire temporaneamente quei colleghi. Adesso, però, non ce la faccio a continuare a scrivere.

    No, non si deve proprio permettere alla tristezza di aver un simile potere su di noi. Adesso non più, adesso che stiamo diventando adulti. Si è conosciuto tutto e si è fatta esperienza di tutto, ma non può andare avanti così, perché alla lunga questo non è altro che egocentrismo e le forze migliori vanno perdute.

    Or ora una breve conversazione telefonica con lui, oggettiva e scolorita. Credo che ci sia anche questo: un “volersi esaltare” in una specie di sentimento tragico. E non solo un sentirsi sempre triste, ma un volersi sentire sempre più triste. Un portare agli estremi le situazioni drammatiche, per poi soffrirne di gusto. È un retaggio del mio masochismo? Serve poco fare dei saggi ragionamenti da adulti, nel nostro “strato superiore”, quando in quello inferiore pullulano piante velenose che devono essere sradicate. Probabilmente lui riderebbe non poco se conoscesse tutte le mie fantasie sui “sentimenti morti” nei suoi confronti, e direbbe con tono molto obiettivo, tranquillizzante e serio: in ogni relazione capitano dei momenti bassi, bisogna lasciare che passino, poi tutto va di nuovo a posto.

    “Quando, grazie a uno sviluppo interiore più pronunciato, una persona riesce a valutare meglio gli altri, questa maturità non deve manifestarsi come senso di superiorità verso coloro che sono meno sviluppati, bensì come tolleranza, pazienza e comprensione nei loro confronti”.

    Ieri, per un momento, ho pensato che non avrei potuto continuare a vivere, che avevo bisogno d'aiuto. La vita e il dolore avevano perso il loro significato, avevo la sensazione di “sfasciarmi” sotto un peso enorme, ma anche questa volta ho combattuto una battaglia che poi all'improvviso mi ha permesso di andare avanti, con maggior forza. Ho provato a guardare in faccia il “dolore” dell'umanità, coraggiosamente e onestamente, ho affrontato questo dolore o piuttosto lo ha fatto qualcosa in me stessa, molti interrogativi disperati hanno trovato risposta, l'assurdità completa ha ceduto il posto a un po' più d'ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo. È stata un'altra breve ma violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto di maturità in più.
    Ho scritto che mi sono confrontata col “dolore dell'Umanità” (questi paroloni mi fanno ancora paura) ma non è del tutto esatto. Mi sento piuttosto come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi, o almeno alcuni problemi del nostro tempo. L'unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità da qualche parte, trovare un luogo in cui possano combattere e placarsi, e noi, poveri piccoli uomini, noi dobbiamo aprir loro il nostro spazio interiore, senza sfuggire. Forse, su questo punto, io sono davvero molto ospitale, a volte sono come un campo di battaglia insanguinato e poi lo pago con un gran sfinimento e con un forte mal di capo. Ma ora sono semplicemente me stessa: Etty Hillesum, una laboriosa studentessa in una camera ospitale con dei libri e con un vaso di margherite. Scorro di nuovo nel mio stretto alveo e il contatto con “Umanità”, “Storia Universale” e “Dolore” s'è interrotto un'altra volta. Così dev'essere, del resto, altrimenti una persona impazzirebbe. Non ci si può sempre perdere nei grandi problemi, non si può essere sempre come un campo di battaglia; dobbiamo poter recuperare i nostri stretti confini e continuare dentro di essi - scrupolosamente e coscienziosamente - la nostra vita limitata, mentre quei momenti di contatto quasi “impersonale” con tutta l'umanità ci rendono ogni volta più maturi e profondi. Forse, in futuro, saprò esprimermi meglio, o farò dire queste cose a un personaggio di una novella o di un romanzo, ma sarà solo fra molto tempo.

    Ma credo davvero che diventerò una “ragazza matura” perché questa volta ho scoperto abbastanza velocemente la vera natura del mio malessere e non ho continuato in quella direzione negativa. Quello S. è comunque una bella gatta da pelare, buon Dio, e io sono orgogliosa di esserci riuscita, ma riesco anche a capire bene perché adesso provo un tale disgusto nei suoi confronti. Sono felice di andare un paio di giorni a Deventer per calmarmi un po'; è il momento di far maturare le cose in me e di portare avanti il mio lavoro con tranquillità.

    Si sta consolidando qualcosa in me, mi sento in qualche modo trasformata e non sono più così fluttuante, ma è soltanto l'inizio grezzo di un nuovo, più maturo stadio della mia vita. Tieniti ancora sotto controllo, piccola, ma sono comunque soddisfatta di te; stai andando avanti, davvero, ce la stai facendo. E adesso molla tutto: domani inizia un altro giorno da vivere appieno.

    Sono in cucina e sto riempiendo una caraffa, e d'un tratto un pensiero afferra la mia mente. Si tratta di un pensiero abbastanza illuminante, a mio avviso, e subito voglio scriverlo. Ma non ne viene fuori nulla, perché non trovo le parole e “il pensiero” si dissolve; eppure sembrava essenziale. Mi succede sempre. I miei pensieri e sentimenti mi sembrano abbastanza maturi ma hanno l'aria di non voler venire alla luce. O forse non sono poi così maturi. O magari mi manca la pazienza? Non lo so. E adesso, per davvero, buona notte.

    In futuro, scriverò di quanto adesso sta vagamente maturando in me. Forse si trasformerà in un fiume che si farà largo e al quale per troppo tempo è stato impedito di scorrere liberamente.

    Nelle ragazze la maturazione emotiva e quella intellettuale procedono forse più in parallelo. Ora che sto raggiungendo la maturità spirituale, mi accorgo che sono più consapevole nei miei studi, quasi più creativa, anche se mi sembra di fare troppo poco e di lavorare troppo lentamente. La mia intuizione precede ancora di chilometri la mia conoscenza. Ma non posso forzare le fasi temporali, posso solo preoccuparmi di dividere il mio tempo nella maniera più disciplinata possibile.

    Adesso sono le undici di sera e quando scruto la mattina attraverso le ciglia, essa appare molto distante. È come se, dopo aver attraversato un fitto bosco, mi fermassi a guardarmi intorno cercando il posto da cui sono partita, e in lontananza riuscissi a scorgere una luce familiare e cara. Quella della mia piccola lampada nel mattino grigio. È stato un giorno tanto lungo. Ho camminato attraverso questo giorno in maniera molto equilibrata; in realtà bisognerebbe trascorrere ogni giornata così: andando incontro alla sera, crescendo e maturando sin dal mattino. E come un frutto stanco adesso cado dallo stelo del giorno. Il forte stelo del giorno. E cado nel recesso scuro della notte. Dal dritto/forte/scivoloso gambo del giorno nel cesto misterioso della notte.

    Ieri ho pensato questo: c'è una grossa differenza tra il piacere sensuale che si prova nel cercare la sofferenza e l'accettazione della sofferenza in quanto tale. Il primo è un masochismo malato, la seconda, in realtà, è una salutare accettazione della vita. Non c'è neanche bisogno di cercarla, la sofferenza, ma là dove essa ci si impone, non dobbiamo tentare di evitarla. E ci si impone a ogni passo, eppure la vita è bella. Si soffre di più giocando a nascondino con il dolore e maledicendolo. Naturalmente ho pensato tutto questo in un modo molto diverso, ma lasciatemi avere almeno il coraggio di scrivere alcune incerte parole, che forse un giorno si tramuteranno in altrettanti appendiabiti imperfetti ai quali potrò infine attaccare dei pensieri più maturi.

    “Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l'albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz'apprensione che l'estate possa non venire. Ché l'estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l'eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d'ogni ansia. Io l'imparo ogni giorno, l'imparo tra dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto!”.

    È un bene parlare di tutto con qualcuno che è più maturo e ha più esperienza. Non si dovrebbe mai permettere che le cose macerino dentro di sé. Mi accorgo che anche nelle piccole cose riesco sempre a trovare una guida in lui e di quanto lui riesca a dirottare altrove, con una sola parola, le mie idee esagerate o a cambiarle.

    Matura per prendere il tuo destino su di te. È il grande cambiamento di quest'ultimo anno. Non devo più armeggiare con i pensieri e trafficare con la mia vita: ora c'è un processo organico in corso. Cresce qualcosa; lanci un'altra volta uno sguardo verso l'intero e là c'è di nuovo qualcosa che è cresciuto, e devi solo accettarlo e assumerlo, portarlo con te e lasciare che sbocci. Alcuni mesi fa mi sono chiesta se vorrei seguirlo in esilio o chissà dove. E nella mia fantasia si sono svolte molte scene strazianti. Dovevo scegliere tra questa cara scrivania, il posto più fidato che conosca, questa veranda assolata e la protezione equilibrata, onnipresente, di Han - tanto per chiamarla così - e una vita sradicata in chissà quale posto inospitale di questa terra, isolato da un passato e da un futuro, così pensavo, ecc.
    E nella mia immaginazione non sono riuscita ad arrivare a una scelta, ma in compenso ho inventato per lui preghiere stupefacenti, nel caso dovesse finire esiliato da qualche parte, lontano da me, e nei miei pensieri gli ho scritto lettere delle quali ritenevo con convinzione che, se le avessi potute scrivere davvero, sarebbero appartenute alla più bella letteratura mondiale. Ecc.
    E ieri mi sono sentita d'un tratto stranamente seria, adulta e sicura e ho guardato in me stessa e ho visto... ecco! In quei mesi improvvisamente qualcosa era maturato in me, era lì, e tutto quello che dovevo fare era accettarlo.

    Adesso io dico con semplicità e naturalezza; ecco, le mie forze arrivano fin qui e non oltre, non posso farci niente, devi prendermi come sono. Per me, questo è un passo ulteriore verso una maturità e indipendenza a cui sembra che mi stia avvicinando di giorno in giorno.

    Nel mio animo è un continuo confrontarmi con te, come persona e come uomo, e quando finalmente riuscirò ad avere un rapporto davvero chiaro con te, si chiariranno allora anche molte cose nel mio rapporto con gli uomini e con l'umanità intera. Cresco e maturo grazie a questo confronto interiore con te, ma talvolta è difficile, sai? Un giorno hai detto che per te io sono un compito, ma anche tu lo sei per me. Ed è bene che tu ci sia.


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