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    Etty e il perdono


    Mischa mi ha annunciato il suo arrivo per sabato sera. Prima reazione: orribile. Minacciata nella mia libertà. Inopportuno. Che fare di lui? Invece di: che piacere che quel brav'uomo possa starsene lontano per qualche giorno da quella sua moglie sempre agitata, e da quella morta città di provincia. Cosa posso fare, con le mie poche forze e mezzi, per rendergli questo soggiorno il più piacevole possibile? Io, delinquente sciocca egoista. Oh sì, proprio così. Sempre prima pensare a te stessa. Al tuo prezioso tempo. Che è poi usato per pompare ancora un po' di sapienza libresca nella tua testa già abbastanza confusa. “E a che mi serve tutto ciò, se non ho l'amore”. Una splendida teoria per sentirsi nobile e in pace, ma nella pratica ti spaventi davanti al più piccolo gesto di amore. No, non è un piccolo gesto di amore. È una questione fondamentale, importante e difficile: nel proprio cuore voler bene ai propri genitori. Cioè perdonarli per tutte le difficoltà che ti hanno creato semplicemente con la loro esistenza: difficoltà nell'attaccamento come nella repulsione, e nel peso della loro vita complicata che s'aggiunge alla tua. Mi sembra di scrivere delle grandi sciocchezze. Poco male. E ora devo fare il letto di Pa Han e preparare la piccola lezione per l'allieva Levi, ecc. Ma questo, in ogni caso, è il programma per il fine settimana: nel mio cuore voler bene a mio padre, e perdonargli se mi sottrae alla mia comoda tranquillità. Gli voglio in fondo molto bene, ma è - o piuttosto era - un amore complicato: ricercato, spasmodico, e così mescolato alla compassione che quasi mi aveva spezzato il cuore. Ma era una compassione masochista, un amore che aveva portato a grandi esplosioni di compassione e dolore ma non a un semplice gesto; a grande cordialità e darsi da fare ma in modo così intenso, che ogni giorno della sua permanenza qui mi era costato un intero tubetto di aspirine. Tutto questo, però, succedeva tempo fa. Ultimamente era già assai più normale. Tuttavia sempre ancora il senso di essere incalzata e per questo, probabilmente, ero risentita con lui quando veniva a trovarmi. Ora devo perdonarglielo nel mio cuore. E pensare, e veramente sentire: che bello che possa tirarsi via da là per un pochino. Ecco, questa era una buona preghiera mattutina.

    Durante Beethoven, ho chiesto in silenzio perdono al profilo in ascolto di Dicky, con la bocca infantile e le ciglia ricurve. Ho accarezzato con il mio mignolo il suo piccolo naso all'insù, e lei subito mi ha rivolto un sorriso luminoso con i suoi piccoli denti bianchi. Ho chiesto perdono per le meschine gelosie e l'irritazione che a volte mi suscita. Lei non sa nulla né di quell'irritazione né della mia richiesta di perdono, del resto con tutto ciò lei non ha comunque nulla a che fare. Eppure cambierà qualcosa nell'atmosfera tra di noi. È un bene ed è giusto che, nella propria interiorità, si possa contribuire al miglioramento delle relazioni umane (che modo nauseabondo di formulare le cose!), anzi, l'unico posto dove si possa cominciare è con se stessi, in se stessi. Non vedo altra via, e tale via si delinea sempre più chiaramente davanti a me.

    In passato ritenevo che fosse un mio diritto cedere completamente alla tristezza, ogni altra cosa doveva lasciarle spazio e non c'era nient'altro di importante paragonato alla grande, enorme desolazione che attraversava tutto il mio essere. Adesso non è più così, anche se a volte si sfiorano i limiti. In un giorno come questo, in cui mi sento fisicamente davvero uno straccio, in cui la depressione mi affligge e mi cresce dentro una tristezza sempre più greve, sono subito tentata di perdonare troppo a me stessa e di liberarmi un po' del lavoro. Al momento non capisco dove devo prendere l'energia per preparare due lezioni e stasera andare anche alla prima della rappresentazione di Veterman. E forse ho tanta compassione per me stessa di fronte a un simile “fitto” programma. Figuriamoci: due allievi e una serata a teatro. E in mezzo tutto il tempo per me stessa.

    Mentre salivo le scale da Liesl, ieri pomeriggio, un pensiero paradossale mi ha attraversato la mente come un lampo: bisogna essere pronti a perdonare oggi chi un tempo ci è piaciuto. Intendo dire che non bisogna aspettarsi ingiustamente che qualcuno ci piaccia altrettanto in ogni occasione. E non si può certo rimproverarlo nel proprio cuore, nel più dimenticato e piccolo angolo del proprio cuore, se qualche volta ci piace un po' meno. È una tragedia eterna nelle relazioni fra le persone. La vita dà, la vita prende. A volte ti concede di amare molto qualcuno, di esserne follemente innamorata e affascinata, poi all'improvviso si porta via tutto. E quello per cui un tempo ti eri infiammata di passione sta là davanti a te, a un tratto, meschino e saccheggiato. Ma in genere non ci si può fare nulla. Forse hai amato troppo ciecamente, con scarsa attenzione alla realtà. Perciò compare all'improvviso una realtà nella quale l'amore non ha più spazio. E l'altro non ci può fare nulla. E tu stessa spesso non puoi farci molto. Ma non ci si deve biasimare a vicenda, anzi è necessario essere grati alla vita per i momenti di ispirazione che essa talvolta ci permette di vivere attraverso altri; bisogna rassegnarsi e accettare che tutto questo scompaia di nuovo, e soprattutto non si deve darne la colpa all'altro. Non è una questione dell'altro, è una questione della vita in sé. E qui non si può forzare nulla.

    “L'atrofizzarsi del senso del diritto, a partire dall'epoca dei Tartari, ha avuto anche un influsso inaspettatamente positivo, beninteso solo fra gli spiriti più illuminati della cultura russa. Aprì la via lungo la quale si comprese che l'idea di giustizia non è il supremo principio dell'etica, che al di sopra c'è l'idea di amore la quale, al di là del giusto e dell'ingiusto, della colpa e della vendetta, chiude per sempre la fonte della discordia fra gli uomini con un grande gesto di bontà che tutto perdona e tutto purifica, rendendo così possibile il regno di Dio sulla terra. Questo, che è il nucleo del cristianesimo e che, sia a quel tempo sia ai nostri giorni, ha incontrato e incontra fortissime resistenze, fu recepito più facilmente e coltivato con maggior serietà dall'élite morale russa che non dall'Occidente europeo, il quale risente della sopravvalutazione cui è andato incontro il principio di giustizia, sicché non riesce ad avanzare al di là di esso. Forse è la Provvidenza che, nei russi, abbassa la soglia del senso di giustizia, affinché - almeno in un luogo sulla terra - possa prima o poi realizzarsi la dottrina di Cristo circa il primato dell'amore”.

    Bisogna vivere con se stessi come con un popolo intero: allora si conoscono tutte le qualità degli uomini, buone e cattive. E se vogliamo perdonare agli altri, dobbiamo prima perdonare a noi stessi i nostri difetti.
    È forse la cosa più difficile, come constato così spesso negli altri e un tempo anche in me, ora non più: sapersi perdonare per i propri difetti e per i propri errori. Il che significa anzitutto saperli generosamente accettare.
    Vorrei proprio vivere come i gigli del campo. Se sapessimo capire il tempo presente lo impareremmo da lui: a vivere come un giglio del campo.

    Questo momento storico, così come lo stiamo vivendo adesso, io ho la forza di sostenerlo, di portarlo tutto sulle spalle senza crollare sotto il suo peso, e posso perfino perdonare Dio, che le cose vadano come devono andare. Il fatto è che si ha tanto amore in sé, da riuscire a perdonare Dio!!


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