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    Nella Fossa dei Leoni 

    Michael Shano


    Spiavano i nostri passi,

    impedendoci di camminare per le nostre piazze.
    “La nostra fine è prossima", dicevamo:
    "I nostri giorni son compiuti, la nostra fine è giunta!"
    Lamentazioni 4,18 [1]

    Subito dopo la pubblicazione ridotta del Diario di Etty Hillesum, nel 1981, il redattore di un qualificato giornale dei Paesi Passi, senza il suo abituale atteggiamento ironico, definiva Etty Hillesum come "La santa della Piazza del Museo" perché, diceva, era capace di essere senza odio. Negli anni successivi, attraverso la lettura del Diario e di diverse pubblicazioni su Etty Hillesum, mi ero convinto che il Diario sia uno classico della letteratura psicologica e spirituale nel contesto pazzesco della Shoah e avevo collocato la sua figura nella cerchia di altri giganti della cultura moderna come Gandhi, Bonhoeffer, Martin Luther King e Thomas Merton. L'immagine che mi ero fatto di Etty era dunque nata da questa mia prima lettura e da questi accostamenti culturali.
    Accettare l'invito di contribuire a questa rivista italiana con un intervento esterno ha implicato per me l’avvio di una rilettura di questo classico che conoscevo, come ho detto, solo nella sua forma abbreviata. Non ho fatto uno studio approfondito di qualche aspetto particolare di questa figura che vedo, però, inevitabilmente, da una prospettiva diversa dalla maggior parte dei lettori italiani, proprio perchè scrivo guardando da una posizione geograficamente e culturalmente diversa. Sono un olandese, oriundo dagli Stati Uniti e residente nei pressi di Amsterdam.
    Mi rendo conto che la qualificazione di Etty come "la santa della Piazza del Museo", possa sembrare strana, ma non per un olandese mentre impensabili sarebbero espressioni come "santa laica" o "mistica laica" che ho incontrato in testi italiani che a un olandese sembrerebbero contraddizioni in terminis. Per quanto riguarda la piazza noi sappiamo benissimo di che piazza si tratta: è la Piazza del Museo, il Museumplein, il grande centro culturale e artistico nazionale. Partendo da qui vorrei accennare ad alcuni aspetti del contesto quotidiano in cui sono trascorsi gli ultimi anni della vita di Etty, quelli conosciuti attraverso il suo Diario, aspetti che non sembrano essere presi nella giusta considerazione quando si parla dell'ambiente in cui viveva Etty Hillesum ad Amsterdam.
    Propongo una passeggiata virtuale sul posto dove era collocata la sua abitazione. Ho visitato questo posto solo poche settimane fa e questa esperienza è ancora fresca nella mia mente.
    Può sembrare trascurabile la collocazione spaziale dell’abitazione dove Etty ad Amsterdam scriveva il Diario, ma, da buon lettori, lasciamoci aperti alla possibilità dell'inatteso. Etty tace su molti aspetti che considera banali o di scarso significato, ma ci ha lasciato ripetute descrizioni della sua cara "amichevole" camera. Era consapevole che sarebbe venuto un giorno in cui la possibilità di stare nella camera e godere dei libri le sarebbe stata tolta. La camera era arredata dai suoi libri e dalla scrivania con fiori davanti alla finestra; dalla finestra vedeva alberi, dal retro poteva entrare il profumo di gelsomino. Tutto molto famigliare. Ma quella camera era parte di una grande casa situata in un punto di Amsterdam fortemente caratterizzato nell’eccezionale periodo in cui lei vi abitava e in cui sotto l’occupazione nazista si organizzava il genocidio degli ebrei. Era proprio in quel particolare lembo del mondo, in quella società, in quello spazio e tempo, che Etty trovava la capacità di "mettere il coperchio sul chiasso", imparava a mantenere la sua dignità umana; là nascevano le parole per rendere grazie a Dio per il dono della vita, nonostante tutto.
    Per inaugurare una mia personale rilettura del Diario e le lettere, mi sembrava un ottimo punto di partenza visitare lo spazio fisico dove era situata la sua camera, che, ad essere sincero, non sapevo con precisione dove fosse situata. Avevo trovato in alcune biografie di Etty solo frettolose descrizioni del sito. Dicevano semplicemente che la casa si trovava in una piazza enorme in cui era situato da un lato il grande museo reale, il Rijksmuseum e la sala dei concerti, il Concertgebouw, e nel mezzo un campo da pattinaggio. Nessuno precisava dove stava la casa in rapporto alla piazza.
    Per prima cosa ho dovuto cercare l'indirizzo. La casa dove si nascondeva la famiglia di Anna Frank è una popolare attrazione turistica e tutti la conoscono, ma gli uffici turistici ignorano Etty Hillesum. Questa circostanza di per se stessa ci fa capire come Etty Hillesum e il suo Diario rimangano troppo "scomodi" per il grande pubblico. L'indirizzo che ho trovato ripetutamente su internet non dava il numero esatto della casa.
    Diceva che la via era Gabriel Metsu e questo confermava il mio sospetto che la casa fosse nei pressi dell'attuale consolato degli Stati Uniti. La circostanza la consideravo ironica e, per oscuri motivi, indesiderabile. Ma l'indirizzo di cui disponevo presentava dei problemi perché le abitazioni non avevano finestre che davano sul Museumplein come invece si deduce dal Diario di Etty. Era assolutamente necessario andare sul posto. Dalla stazione ho preso il tram 2 che ferma proprio nella Gabriel Metsustraat, una fermata che conosco bene perché è comoda per me: ci scendo ogni volta che vado a un concerto nella grande Sala dei Concerti, un "tempio" internazionale della musica chiamata semplicemente il Concertgebouw e che domina il lato sud della piazza. Siccome ci vado relativamente spesso, pensavo di conoscere bene la piazza.
    Sceso dal tram vedo che è necessario allontanarmi dal Concertgebouw e andare verso il consolato americano. Passato il consolato americano la strada ti porta via dalla grande piazza verso strade interne. Devo fermarmi e chiedere informazioni. Per fortuna nel giardino davanti alla casa dove mi fermo c'è un signore seduto che legge. Chiedo aiuto. Sa benissimo dove è la casa di Etty e gentilmente mi spiega che la casa è proprio di fronte alla fermata del tram dove ero sceso, a meta strada tra il Concertgebouw e il consolato americano. Il numero giusto è 6. Mi dice che c’è una piccola lapide che indica la casa dove Etty scriveva il Diario.
    Ritorno sui miei passi in uno stato di incredula agitazione e finalmente mi trovo davanti alla casa con la lapide come mi aveva indicato il signore che leggeva. Mi colloco con la mia schiena contro il muro, sotto la finestra della camera di Etty e guardo davanti, agitato da due sentimenti contrastanti. Da un lato sento di trovarmi in un posto del tutto abituale e ben conosciuto e simultaneamente mi sembrava di vederlo per la prima volta. Mi sembra di sentire il profumo di gelsomino di cui parlava Etty e mi rendo conto che a fianco dei portoni e sulle finestre delle case ci sono rose che sbucano dal marciapiede e si appoggiano sui muri e col pensiero entro nella camera di Etty in cui erano sempre presenti libri e fiori, i simboli da lei usati per la cultura e la natura: i due pozzi da cui attingeva l'acqua per soddisfare la sua sete, uno dentro di lei nel "grande spazio interiore del mondo" e l'altro, afferrabile, concreto, sensuale, fuori.
    Alle mie spalle, a sinistra, pochi metri più in là, sull'altra lato della strada, domina l'imponente presenza della grande sala di concerti. Per Etty, come ebrea, era vietato frequentare i concerti. Dentro quel prestigiosissimo tempio della musica aveva regnato per cinquanta anni il mitico Mengelberg, amico di Mahler, che apprezzava il genio musicale di Mischa, il fratello di Etty. Mischa aveva un "unheimlische" talento, secondo Etty ed era destinato a suonare il pianoforte in quella sala. Etty ci dice nel Diario del suo amore per la musica; ci racconta di serate musicali in case private, le cosiddette "serate nere" [2] dove suonavano talenti ebrei eccezionali, scappati prima della guerra ad Amsterdam, ai quali era proibito dare concerti pubblici. Eppure Etty rende il palazzo Concertgebouw invisibile ai nostri occhi di lettori del Diario, mentre stava praticamente alla soglia del suo portone e non tace di altri cose proibite, come l'uso del tram, della bicicletta, ecc. Diceva che molte cose avevano ormai perduto la loro importanza o che non erano rilevanti per lo scopo o intenzioni letterarie del Diario.
    E però quel giorno, in piedi, sotto la finestra di Etty, gli oggetti cosi familiari e quotidiani per lei erano tutt'altro che invisibili per me. Guardo sull'altro lato della strada. Sul prato dove c’erano gli alberi cari a Etty, adesso c'è un grande vuoto. È significativo che questi alberi siano ben presenti nel Diario: essi davano a Etty un senso di rassicurazione rilkiana, una prova della possibilità di fiducia nella vita, mentre, seduta alla scrivania, guardava fuori sulla piazza del Museo. Purtroppo appunto questi alberi non ci sono più.
    Basta fare alcuni passi nella direzione della sala di concerti e si apre una veduta generale della grande piazza. Davanti al "tempio" della musica si estende per almeno mezzo chilometro una immensa piazza quasi rettangolare fatta di un prato verde. Sul punto più alto del frontone del Concertgebouw sta il simbolo dorato di Orfeo, una grande lira. Sul lato nord della piazza si trova il grandissimo museo reale, il Rijksmuseum, che ha dato il suo nome alla piazza. Anche questo monumentale è un "tempio" dell’arte, una ricca pinacoteca di pittori del seicento come Rembrandt, ma anche di arte orientale. Stranamente, mentre Etty ignora il Concertgebouw, parla ogni tanto del museo dicendo che era visibile dalle finestre della casa. Ho guardato le foto della piazza in quell'epoca e la vista del museo sembrerebbe bloccata dagli alberi. Forse non era così in inverno, con gli alberi spogli. Il fatto che non citi mai il Concertgebouw molto visibile e invece citi il Museo nascosto dagli alberi forse ci dovrebbe porre qualche interrogativo a cui ora non siamo in grado di dare risposta. Etty tace anche di un altro elemento della piazza e questa circostanza fa venire i brividi: il palazzo in cui c'è ora il consolato americano e di cui parlerò più sotto.
    Dentro e ai lati di questa immensa piazza che è centro culturale e parco e campo sportivo non si trova una chiesa di qualsiasi confessione né una sinagoga né una moschea. Trovo questo emblematico. La piazza riflette l’apertura non-confessionale della cultura Europea moderna pluralista che anche Etty incarna e che non divide la società tra i campi opposti di Gerusalemme e Atene. Etty si rivolgeva a un uomo “pubblico", aperto a ogni persona "attenta, intelligente, ragionevole e responsabile" e non a persone chiuse in un ghetto mentale che fanno appello a misteri riservati per gli iniziati.
    Arrivando alla piazza portavo con me tutte le idee che mi ero fatto su quella situazione nella prima lettura del Diario. Mi ero convinto che quella piazza fosse vissuta da Etty da una parte come emblema della raffinata cultura artistica che impregnava la sua sensibilità letteraria e poetica e, d’altra parte, come fonte di quel senso di colpa che a volte si percepisce per il fatto di godere di una collocazione cosi privilegiata e addirittura chic, fuori del ghetto ebraico. Invece mi sbagliavo. Con una seconda lettura, più attenta, mi sono accorto che "amichevole" per lei era solo la sua camera e non la piazza di fronte alla quale era situata.
    Capivo che la mia perlustrazione richiedeva un'investigazione non soltanto spaziale, dell'ambiente, ma anche temporale. Rimaneva in me un’inquietudine nei confronti del consolato americano. Gli olandesi di oggi sono consapevoli della sua presenza quasi profanatrice della piazza perché richiama subito l'attenzione a situazioni di violenza e di odio e non alla non-violenza della "santa della Piazza del Museo". Durante la Guerra Fredda quella piazza era stata il luogo privilegiato della più grande manifestazione di protesta della storia olandese contro la collocazione delle armi nucleari che gli USA volevano situare nei Paesi Bassi. Spesso la piazza è anche lo scenario di manifestazioni culturali e politiche di importanza nazionale. Col tempo il consolato americano ha assunto aspetti vistosi di misure di sicurezza quasi a diventare una fortezza. Dopo l'attacco alle torri gemelle di Nuova York il consolato è stato trasformato in un quasi-bunker inquietante e inospitale. Appare oggi ai più come una stridula negazione dello spirito della piazza. Quando Etty abitava là di fronte, pensavo, era improbabile che in quello stabile ci fosse il consolato americano. Ho voluto quindi approfondire la storia e le destinazioni del palazzo durante la guerra.
    La scoperta stupefacente fu che quando la Germania, occupata l’Olanda, iniziava il sistematico genocidio degli ebrei, in quel palazzo di fronte alla casa di Etty c’era il consolato tedesco. Il comandante delle forze di occupazione aveva i suoi uffici là dentro. A due passi dalla casa di Etty stavano barricate con fili spinati, con sentinelle di guardia che controllavano attentamente ogni persona e ogni movimento. Forse quelle stesse sentinelle avranno visto Etty nella sua camera. Insomma, Etty Hillesum era precipitata nella fossa dei leoni come il profeta Daniele.
    Dentro e attorno a quella piazza si svolgevano le grandi e rumorose parate, le manifestazioni e buona parte degli avvenimenti pubblici di sostegno al regime nazista come le foto testimoniano. Etty poteva vedere e soprattutto sentire tutto questo. La sala di concerti aveva sullo sfondo una grande svastica e era usata come un spazio per la propaganda e la demagogia nazista. Si può ben immaginare come per Etty il Concertgebouw avesse smesso di simbolizzare il sublime raggiunto nella musica. Tra le pareti della sua stanza, nella vita quotidiana, si preparava a vivere con dignità al campo di concentramento di Westerbork ed è comprensibile come, alla fine, abbia preferito allontanarsi da quella Piazza e dall’odio guerresco che ispirava, sostituendola con i fili spinati di Campo Westerbork.
    Camminando per quelle strade con una stella gialla addosso, passando vicino e incrociando i soldati armati a guardia del comando nazista, sentendo dalla sua camera il chiasso delle bande musicali militari e i comizi demagogici dei nazisti, difficilmente si sarà sentita in colpa, come avevo immaginato, perché a differenza degli ebrei del ghetto, viveva in una parte privilegiata della città. Davanti a quel contesto tragico pensavo invece con stupore come riuscisse a conservare la sua profonda dignità umana e l'equilibrio mentale, insistendo sulla necessità di non odiare mai, nemmeno i tedeschi, per non aumentare il male nel mondo.


    NOTE

    1 Questo versetto delle Lamentazioni si legge scolpito su una lapide nel campo di concentramento di Westerbork.
    2 “Serate nere”, clandestine, come il “mercato nero”.

    (FONTE: https://www.academia.edu/9249854/Etty_Hillesum_nella_fossa_dei_leoni )


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