A cura di Eliana Vona
(NPG 1999-08-42)
Un angelo alla mia tavola
(Regia di Jane Campion) – Nuova Zelanda/Austria/GB, 1990.
(t.o. An Angel at my Table)
È la vera storia della scrittrice neozelandese Janet Frame, salvata dalla lobotomia grazie alla vincita di un premio letterario. Timida ed insicura, chiusa e solitaria, Janet è molto sensibile ed inizialmente non sembra credere alle sue doti letterarie; incoraggiata prima da un insegnante e poi da alcuni parenti, riesce ad uscire dal manicomio e ad acquistare una maggior fiducia in se stessa.
Film delicatissimo e poetico, costruito in bellissime scene in spazi aperti, offre un ritratto misurato e coinvolgente allo stesso tempo di questa figura femminile e ha affermato definitivamente il talento della regista neozelandese.
L’attimo fuggente
(Regia di Peter Weir) – USA, 1990.
(t.o. Dead Poets Society)
In una scuola tradizionalista, il professore Keating educa i suoi allievi al gusto della poesia e alla cultura intesa come libertà di pensiero. Alcuni dei suoi alunni rimarranno particolarmente affascinati dalle sue teorie che metteranno in pratica. Ma per qualcuno di loro far ciò significherà scontrarsi tragicamente con i ferrei ed intoccabili principi paterni.
Film di grande impatto e coinvolgimento emotivo, ci comunica, tra l’altro, che la poesia non è una disciplina che si può valutare su un asse cartesiano.
Fahrenheit
(Regia di François Truffaut) – GB, 1966
In una società, forse sempre meno lontana, tirannica e basata sulla concreta razionalità, i libri vengono proibiti e le forze dell’ordine sono incaricate di distruggerli. Ma una «setta», riunita in un giardino di imprecisa collocazione spaziale, li impara a memoria per mantenerne il ricordo. Il pompiere Montag, anche per merito della professoressa Clarissa, si unisce al «gruppo ribelle degli amanti del libro», venendo così meno ai doveri cui era stato chiamato. Un grande regista alle prese con una fantascienza sicuramente fuori dal comune e dai cliché stereotipati.
Grazie signora Thatcher
(Regia di March Herman) – GB, 1998.
(t.o. Brassed of)
Ancora un’altra bella ed interessante pellicola proveniente dal cinema inglese che va a riunire l’utopia del sogno alla cruda ed inevitabile realtà.
Siamo a Grimley, cittadina del New Hampshire nel 1992 e la miniera locale, che dà vita ad una importante e gloriosa banda, sta per chiudere, creando serie preoccupazioni e sconforto alle famiglie del posto. I minatori incominciano la lotta e contemporaneamente iscrivono la loro banda al famoso concorso che vede gareggiare tutte le bande musicali di Inghilterra e sperano nel sogno: quello di vincere, almeno solo in campo musicale.
E così sarà, la miniera chiuderà i battenti ma la banda trionferà e il suo maestro, al momento dell’esecuzione finale, terrà un polemico discorso in cui condannerà, appunto, la politica della sig. Thatcher.
La leggenda del pianista sull’Oceano
(Regia di Giuseppe Tornatore) – Italia, 1998.
Novecento è vissuto da sempre su una nave. Scopre di avere un formidabile ed inverosimile talento musicale, dato che oltre la sua nave, non conosce altro. Suona e intanto cresce senza mai scendere a terra e, quando la nave dovrà essere distrutta, decide di non abbandonarla.
Tornatore fa un inno alla musica e alla poesia, a quel cinema fatto di silenzi, di ampi movimenti della macchina da presa, culla lo spettatore tra le onde dell’Oceano avvolgendolo in un’atmosfera magica e immortale e gli regala con Novecento un personaggio profondo, commovente, unico proprio come una partitura musicale.
Lezioni di piano
(Regia di Jane Campion) – F/Nuova Zelanda, 1993
(t.o. The Piano)
Sul finire del secolo scorso Ada arriva dall’Europa, insieme alla figlia, in Nuova Zelanda per sposare un colono. La donna è muta dall’età di sei anni e ha come unico oggetto di comunicazione il suo pianoforte. Ma il marito non vuole portarlo in casa e lo lascia sulla spiaggia tra la disperazione di lei. Un maori recupera il piano e si avvicina ad Ada; il loro rapporto, dapprima basato solo su un mero approccio erotico, diventa sempre più forte ed intenso, tanto da spingere Ada a lasciare il marito e ad unirsi a lui, guardando al futuro con maggior serenità. Il pianoforte diventa l’oggetto simbolo del film e attraverso di lui, la musica fonte comunicativa in grado di unire, arricchendoli reciprocamente, due anime così diverse tra loro.
Il mio piede sinistro
(Regia di Jim Sheridan) – GB, 1989.
(t.o. My Left Foot)
Il film racconta la vera storia di Christy Brown che, in grado di muovere solo il piede sinistro, riesce progressivamente a controllarlo tanto da diventare un apprezzato pittore. Il protagonista percorre momenti difficili e duri che lo portano persino a chiudersi in se stesso evitando qualsiasi contatto con la realtà esterna. Ma sua madre, una donna energica e forte, crede ciecamente nella possibilità del figlio e lo aiuta a valorizzare sempre più le sue potenzialità artistiche.
Il film non è basato sul solito pietismo tipico di un certo cinema hollywoodiano e si fa apprezzare per la realistica rappresentazione della famiglia operaia di Christy e per le doti di bravura dei due interpreti principali Daniel Day-Lews e Brinda Fricker che ci offre un ritratto materno difficilmente dimenticabile.
Mr. Holland’s Opus
(Regia di Stephen Herek) – USA, 1996.
Glenn Holland è un musicista di talento che, per migliorare le sue condizioni economiche, decide di insegnare musica in un college, all’inizio solo per un’estate, poi per sempre.
Voleva diventare un musicista di successo, ma la sua vita è trascorsa vedendo crescere le diverse generazioni degli alunni del college cui si è dedicato con amorevole dedizione. Per questioni di bilancio il preside, uomo cinico e burbero, decide di eliminare proprio il suo corso, lasciando Mr. Holland sul lastrico e nella più cupa disperazione. Ma saranno i suoi allievi ad organizzargli un grande ritorno e suoneranno la sinfonia cui lui per anni aveva lavorato e mai rappresentato in pubblico. Il film strizza l’occhio al capostipite dei generi «L’attimo fuggente», ma anche se meno conosciuto, non gli è da meno e si mostra ben costruito e misurato e magistralmente interpretato da Richard Dryfuss.
Il nome della rosa
(Regia di Jean-Jacques Annand) – I/F/G, 1986
Tratto dall’omonimo bestseller di Umberto Eco, il film, ambientato nel 1327, racconta l’arrivo in un monastero francescano, dove avvengono misteriosi delitti, di Guglielmo di Baskerville, accompagnato dal novizio Adso da Melk. Guglielmo, che riuscirà a scoprire l’autore e il motivo di quelle strane morti, è una guida non solo spirituale per il suo allievo, lo spinge all’amore per la filosofia e la cultura. Gli comunica la sua stessa passione per i libri, grazie ai quali un uomo può incamminarsi lungo i veri sentieri della vita e trovare il profondo dubitare ma anche quel briciolo di verità cui aspira da sempre.
Nuovo cinema paradiso
(Regia di Giuseppe Tornatore) – I/F, 1988
Salvatore, regista affermato, riceve la notizia della morte di Alfredo, proiezionista del cinema del suo paese che ha lasciato da giovane e dove non è più tornato. Ripercorre così la sua infanzia e la sua giovinezza, e soprattutto la sua amicizia con Alfredo che gli ha comunicato e trasmesso la passione per il cinema. Innumerevoli e bellissimi i momenti trascorsi insieme nella cabina di proiezione, gli insegnamenti di Alfredo, i suoi moniti ad andar via da quel posto, a non rimanere per sempre come lui, operatore di un vecchio cinema in un vecchio paese.
Affascinante omaggio al cinema, alla figura dell’operatore che diventa maestro e punto di riferimento, sempre meno sottolineata nel panorama cinematografico moderno.
Il postino
(Regia di Michael Radford in collaborazione con Massimo Troisi) – I, 1994.
Mario Ruoppolo viene assunto al suo paese come postino ausiliario ed ha come unico incarico quello di portare la posta al poeta Pablo Neruda, lì in esilio. Tra i due nasce un sentimento di profonda amicizia; ciò dà a Mario la possibilità di conoscere l’alto valore della poesia e della parola come forza rivelatrice. Bellissima la scena in cui scopre il significato e le funzioni della metafora, altrettanto intense le scene in cui recita i versi del grande poeta cileno a Beatrice, la sua sposa. Ultima, struggente interpretazione di Massimo Troisi.
Shine
(Regia di Scott Hicks) – Australia, 1986
La vera storia di David Helfagott, pianista australiano vivente. Nonostante il suo grande talento, il padre, musicista fallito ne fa un frustrato impedendogli a tutti i costi di continuare a suonare; David, dopo aver vinto diversi concorsi, trova il coraggio di spezzare il legame con la famiglia, ma ad un prezzo carissimo perché comincia ad avere vari disturbi di schizofrenia. Una signora, attratta dal suo genio musicale ed innamorata di lui, lo riporta alla vita e al successo. La musica, dapprima ostacolo ad una piena realizzazione, diventa, grazie alla presenza di chi la ama e vuole testimoniarla, occasione per ricostruire la propria persona, anche se ancora in bilico tra pazzia e senso comune della realtà.