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    Ricercare il senso attraverso il bello



    Educare al bello /6

    Marisa Musaio

    (NPG 2009-08-45)


    La ricerca psicopedagogica analizza a ragione le difficoltà di crescita degli adolescenti, i fattori di rischio e le situazioni di disagio che possono interessare questa età alla quale si è soliti riferirsi in termini problematici. Guardare però l’adolescente sotto la lente continua delle difficoltà, non aiuta a prendere contatto con gli aspetti della sua esistenza che possono risultare precursori di sviluppi in positivo.

    Difficoltà e sentimenti in adolescenza

    A tal fine può risultare interessante assumere un’ottica pedagogica che, accanto all’individuazione dei cosiddetti «fattori di rischio», prenda in considerazione anche quegli aspetti «promozionali» per il percorso di crescita.
    Sulla base di tali rilevazioni non si vuole certamente negare la componente di problematicità insita in questa età che rappresenta un momento cruciale nello sviluppo psichico, umano ed esistenziale del soggetto, un’età nella quale si assiste ad un vero e proprio «attraversamento» dell’essere personale di ognuno in forme e modalità spesso prive di linearità e di coerenza, di frequente contraddittorie e conflittuali. A ciò va aggiunto il ruolo non meno rilevante esercitato dalle emozioni e dai sentimenti spesso contrastanti che concorrono a delineare il modo di «sentire» tipico degli adolescenti. Sono proprio i sentimenti e le dinamiche emotive, affettive e relazionali, che richiedono una particolare attenzione.
    Certamente quando si tocca il tasto dei sentimenti il piano di considerazione diventa complesso e incerto, soprattutto a fronte di una cultura come quella contemporanea in cui ancora persiste la scissione di impronta cartesiana tra mondo della ragione e mondo dei sentimenti, insieme alla concezione delle emozioni come aspetti irrazionali dell’anima, laddove invece i sentimenti costituiscono una modalità esistenziale che, come Heidegger ha fatto rilevare, appartiene ontologicamente all’uomo. Infatti in ogni momento e fase della nostra vita ci troviamo ad essere come «affidati» al sentimento della nostra situazione, e non risulta per noi indifferente avvertire un sentimento positivo piuttosto che uno negativo.
    Tutto il nostro modo di essere-nel-mondo si nutre di sentimenti attraverso i quali acquisiamo progressivamente la capacità di aprirci all’altro, di comprenderlo, e di entrare in empatia con lui, nel senso di aprirci al suo vissuto in modo tale che possa riecheggiare dentro di noi.

    Gli adolescenti tra crisi e ricerca di senso

    L’attenzione per i sentimenti è in grado di restituirci una percezione immediata di quella che è la realtà umana degli adolescenti impegnati nel trovare delle risposte alle loro domande di significato, così come molte forme di disagio e «ferite dell’anima»[1] non sono altro che la manifestazione di una mancanza di senso. Da qui la necessità di educare prendendo avvio dall’esistenza dell’adolescente riconoscendolo nel suo essere di uomo che ex-siste, nel senso heideggeriano di ex-sistere inteso come uno stare fuori nella «radura dell’essere», per chiedersi il senso del proprio esistere, essendo questa una componente specifica e propria soltanto dell’uomo.
    L’adolescente va aiutato a prendere dimestichezza con quella ricerca di sé che lo conduce a rintracciare la consapevolezza della propria essenza-esistenza, e a fare in modo che possa viversi come soggetto in grado di accorgersi di esserci e di fare proprie le domande: chi sono io?, qual è il senso della mia esistenza?
    In quanto esser-ci ognuno di noi è intrinsecamente interrogante, perché appartiene all’essere dell’uomo porsi quelle domande che alimentano il pensiero e la ricerca di significato.[2] Ma la difficoltà che si impone sul piano educativo è di passare da una ricerca attestata semplicemente su generiche affermazioni ad una ricerca in grado di coinvolgere l’esistenzialità concreta della persona, di rispecchiare non solo il quadro esistenziale degli adolescenti ma anche i loro modi di essere e di porsi all’interno delle relazioni, i loro desideri e aspirazioni più profonde.
    L’educatore dovrebbe aver presente che lavorare con gli adolescenti implica prendere atto che di frequente i loro stati d’animo hanno a che fare con la noia esistenziale, la fragilità emotiva e affettiva, la vulnerabilità sul piano personale, sentimenti ai quali corrisponde uno scenario di vita e di relazioni spesso instabile e poco incline a porsi il problema dei fini educativi verso i quali orientare la ricerca esistenziale dei ragazzi.
    In questa direzione può essere utile esercitare l’attenzione e la capacità di interrogarsi degli adolescenti proprio intorno alla problematicità dell’esistenza, per elaborare domande a proposito di aspetti sottaciuti o ritenuti poco interessanti da parte di quella cultura che tende ad omologare anche interessi e approfondimenti: si pensi al significato della solitudine, della noia, del desiderio, all’importanza di recuperare il senso dello stupore di fronte alla vita, di interrogarsi sul senso del tempo, sul significato delle proprie azioni, delle relazioni di amicizia e di amore che si è in grado di instaurare.
    Anche il bello può rientrare in questa serie di interrogativi da articolare in relazione a tutte quelle tematiche che aiutano a riattivare l’entusiasmo e la propensione degli adolescenti per la domanda di senso.

    Educare partendo dall’esistenza

    Educare prendendo avvio dall’«esistente» vuol dire avere la consapevolezza delle ragioni di quella crisi più ampia che investe oggi l’intera umanità, e che si manifesta sotto forma di diversificate situazioni di difficoltà riconducibili ad alcune cause di fondo: si pensi agli esiti del nichilismo che contribuisce a configurare sempre più gli adolescenti come «figli del nulla»;[3] alle dinamiche narcisistiche che interessano gran parte dei giovani configurando vere e proprie «sindromi narcisistiche»;[4] agli esiti della diffusa omologazione e standardizzazione di vita; all’influenza esercitata dalle tecnologie multimediali; alla crescente identificazione dei ragazzi con le dinamiche di gruppo, con la conseguente inibizione del valore dell’individualità e dell’unicità di ognuno; agli effetti prodotti dalla crescente solitudine esistenziale.
    Queste appaiono essere soltanto alcune delle principali coordinate che caratterizzano il vivere contemporaneo, e che condizionano inevitabilmente anche gli adolescenti alle prese già di per sé con una condizione di incertezza per via del fatto che il proprio corpo cambia, cambiano sensazioni e desideri, non si vive più un ruolo definito, ma una situazione che tiene come in sospeso tra il non essere più bambini e il non essere ancora del tutto completamente adulti.
    Il sentirsi sospesi tra un non essere più e un non essere ancora alimenta anche domande dal carattere «forte», alle quali si accompagna spesso un senso di solitudine interiore, insieme all’altalenante situazione dell’essere proiettati verso gli altri e, al tempo stesso, del sentirsi da soli di fronte agli interrogativi che pone il proprio destino. È in questa atmosfera interrogante che dovrebbero inserirsi positivamente delle piste educative in grado di rintracciare significati esistenziali capaci di incontrarsi con la «sete di senso» degli adolescenti.
    L’educatore può in particolare progettare percorsi di ricerca che prendano spunto in maniera concreta dal desiderio del bello presente in ogni adolescente, anche se in ordine a tale richiamo siamo abituati a concentrare l’attenzione sui significati della bellezza come immagine, sulla bellezza fisica come strumento per l’affermazione di sé circoscritta all’individuale e alla frammentazione del soggetto, mentre più difficile appare far emergere dal frammento della bellezza quel significato più ampio a cui essa è in grado di rinviarci. Non sempre però ciò che i ragazzi/e ricercano come bello risulta facilmente comprensibile o riconoscibile da parte degli adulti.
    Da qui la necessità di chiederci se siamo effettivamente in grado di cogliere il desiderio del bello che traspare in loro, anche quando richiama aspetti per noi insignificanti o apparentemente senza senso, e se sappiamo orientare il loro desiderio che tende ad intrecciarsi con la loro ampia capacità di saper fruire di tale dimensione secondo modalità e percorsi a volte del tutto inesplorati.

    Il bello come dinamica di senso

    Uno dei problemi che tende maggiormente ad evidenziarsi in un percorso di educazione al bello è che abbiamo a che fare non semplicemente con un problema di gusto estetico o con la ricerca di canoni in grado di avvicinare ragazzi e adulti nella scelta di ciò che è ritenuto piacevole, o che è in grado di esercitare attrazione.
    Al di là di sottolineature o accentuazioni di natura estetica, occorre tener presente che all’interno della relazione educativa il bello si delinea primariamente come esperienza che la persona avvia intorno a se stessa e alle sue relazioni, in modo da trasformare il bello percepito e vissuto in una «dinamica di significazione», vale a dire in un insieme di modalità attraverso le quali riesce a dar voce a quel domandare che le appartiene in maniera propria in quanto riguarda la struttura stessa della sua esperienza cosciente, e che la porta a chiedersi il perché delle cose e delle esperienze vissute, a porsi domande che nel loro insieme rinviano ad una domanda più ampia sul senso dell’essere e della sua esistenza. Sono domande che rispecchiano il nostro essere non astratto, ma che si dà e si dice sempre in maniera «personale», perché nell’interrogarsi siamo noi ad essere direttamente messi in gioco.
    L’esigenza di assumere una visione significante è propria dell’uomo in qualsiasi epoca storica si trovi a vivere. In ogni momento egli si è fatto portatore dell’esigenza di conferire un significato ragionevole alla propria esistenza, al fine di poter affrontare e superare quel senso di sofferenza interiore alla quale poeti, filosofi, esteti, hanno dato voce attraverso espressioni e sfumature diverse del pensiero. A differenza del passato in cui prevaleva maggiormente il senso del sentirsi in contrasto con realtà e forze esterne avvertite come antagoniste a sé, oggi l’uomo sperimenta in modo radicale un vivere senza senso la cui radice va ricercata nelle realizzazioni e nelle attività di cui egli stesso è l’autore, quasi come se fosse diventato la causa del suo stesso malessere.
    L’immagine che ci si profila sempre più frequentemente è quella di un uomo che sembra aver perso il controllo su ciò che può esprimere in termini di possibilità e potenzialità autentiche, a favore della supremazia assunta sempre più dalla realtà esterna. È come se l’uomo faticasse a ritagliarsi autonomamente uno spazio adeguato per la propria presenza.
    Alternando continuamente tra ricerca di senso e difficoltà nell’individuare i fini verso i quali tendere e per i quali impegnarsi, il soggetto contemporaneo vive in modo conflittuale anche la propria disposizione verso il sentimento del bello. Di conseguenza, anche sul bello tendono a proiettarsi le difficoltà proprie di un’epoca che stenta a fare sintesi sui valori attraverso i quali costruire le fondamenta di un vivere autentico.
    Se si prendono in esame le manifestazioni di disagio personale che si profilano a volte in termini di vere e proprie patologie dell’interiorità, si riscontrerà che si tratta di forme di estraniazione come l’individualismo esasperato, il narcisismo, l’indifferenza, la non partecipazione, l’incapacità di comunicare realmente, la difficoltà nel manifestare ed esprimere la propria affettività, che possono assumere anche punte estreme, e che, nella maggioranza dei casi, appaiono riconducibili al primato assunto dalla cultura oggettivante delle cose sulla cultura soggettiva degli individui.[5] Si pensi all’influenza esercitata da tali cause su tutte quelle situazioni in cui l’educare si situa all’interno di un contesto di difficoltà o quando ci si trova a dover interagire con ragazzi che manifestano difficoltà nell’attribuire intenzionalmente un significato alla realtà vissuta, nel pensare la propria posizione in relazione a sé e agli altri, nel fronteggiare quei sentimenti di noia, di rinuncia e di insoddisfazione che scaturiscono dall’incapacità di attribuire un senso alle cose vissute.
    In tutte queste situazioni si rivela quanto mai fruttuoso ricercare il bello come dimensione che serve ad attivare dinamiche di carattere intenzionale che accrescono la capacità del soggetto di muovere se stesso verso la scelta e la costruzione di qualcosa che è sentito e riconosciuto come bello per sé; dinamiche che accrescono le potenzialità di autopercezione relativamente a se stesso e al suo porsi come attore e parte attiva della propria storia di vita.
    L’esperienza del bello tende a profilarsi come «dinamica esperienziale» attraverso la quale l’adolescente riesce ad attribuire significato alle esperienze vissute. Ad un primo livello, il bello si riflette direttamente su di noi in termini di emozioni, sentimenti e vissuti (Erlebnis), come parte del nostro esperire che tende ad essere com-presa nel senso dell’essere presa dentro di noi, diventando parte di noi stessi per concorrere a definire la nostra personalità. In tal senso il bello costituisce il nutrimento della nostra dimensione interiore, sollecitazione a compiere una sorta di esplorazione intorno a noi stessi dietro la sollecitazione di cose, situazioni, persone, dato che il bello può essere suscitato da un’infinità di cose.
    Parlare di educazione attraverso il bello implica chiedere a se stessi, come educatori, di accogliere la domanda di senso che investe ogni soggetto, in ogni momento dell’esistenza. Comporta un coinvolgimento diverso, non soltanto in termini di impegno e di creatività, ma di adesione ad un percorso che si proietta in maniera netta verso un orizzonte di senso e verso una direzione esistenziale, che ricongiunge il proprio esistere, nelle caratteristiche e nei modi di essere che lo contraddistinguono, ad una ricerca di significato.
    Il bello costituisce, inoltre, una «dinamica interpretativa» che consente di educare il soggetto ad esercitarsi nell’interpretazione della realtà, per riuscire ad elaborare una propria visione del mondo e degli altri, una propria percezione della realtà attraverso stili percettivi, cognitivi, relazionali, etici, valoriali, stili che attingono a quelle componenti come la meraviglia e lo stupore che consentono di rintracciare non solo il bello visibile e immediatamente fruibile, ma anche quello che chiede di essere svelato, più difficile da cogliere e da valorizzare.
    Relazionarsi al mondo e agli altri attraverso il senso del bello è in definitiva uno dei diversi percorsi di significazione che l’uomo ha a sua disposizione per andare oltre ciò che è dato, per andare oltre la semplice attuabilità delle cose, e accedere e dare spazio ad una tensione progettuale che riflette la sua dimensione desiderante e, al tempo stesso, il richiamo al perfezionamento di sé.
    Il bello richiama l’uomo al suo essere più profondo, alla ricerca di un rapporto sostanziale con la realtà, anche se, come rileva il teologo von Balthasar, il mondo tende a smarrire il senso della bellezza perché non lo riconosce come componente originaria rispetto a tutte le altre espressioni umane [6] e, soprattutto, fa fatica a riconoscerla in rapporto alla verità e al bene.

    Tracce progettuali per la pratica educativa

    Se la nostra relazione col bello si esplicita all’insegna della ricerca del senso inteso sia nei termini di direzione o di fine sia come contesto ricco di significato al quale attingere, educare al bello non significa proporre percorsi prestabiliti di mera fruizione di oggetti, situazioni o esperienze di gratificazione già programmate, ma far leva su una modalità di ricerca personale del bello attingendo al tempo stesso ai valori etici, estetici e religiosi che concorrono a completare e umanizzare la persona.
    La considerazione del bello va articolata come valore da rilanciare con maggiore attenzione per superare un accostamento solo strumentale e funzionale alla realtà, per evitare che i ragazzi agiscano per ricercare cose e relazioni solo in funzione della gratificazione che esse possono dare, e indurli piuttosto a ricercarle anche per la dimensione bella che esse apportano alla formazione piena di loro stessi.
    Gli adolescenti hanno quanto mai bisogno di essere aiutati a scoprire la bellezza e l’armonia della vita, comprendendo che il bello non è componente accessoria rispetto a tutto il resto, ma che rientra a pieno titolo nella considerazione di una bildung, ossia di una formazione in senso ampio che considera anche un determinato universo di valori, tramite l’interazione con discipline come la filosofia, l’estetica, l’etica e la religione, ma anche attraverso l’esercizio della libertà e unicità di ogni persona, coinvolta in una rete di relazioni che ne fanno non solo un soggetto conoscente e acculturato, ma primariamente un uomo nel senso più completo del termine.
    Il bello si delinea come una modalità per l’acquisizione personale di una visione della propria vita, tale da informare una ricerca del bene come dimensione non semplicemente valoriale ma da coniugare e trasfondere nel quotidiano dei nostri rapporti con gli altri.
    La «via del bello», a cui da più parti oggi si accenna, è un itinerario nel quale coniugare verità/bontà e bellezza, itinerario attraverso il quale ricercare effettivamente un’autenticità e armonia personale e dell’esistenza, non senza averla coniugata anche con la Verità, perché il bello rimanda sempre oltre se stesso, rimanda ad un Oltre/Altro non manipolabile che ci restituisce quello che è il Mistero della Verità e della Bellezza insieme.
    Da qui l’importanza di saper coniugare i due aspetti fondamentali in una unità di verità e bellezza.
    Rifuggendo da una prospettiva improntata alla sola ricerca di aspetti e modalità immediatamente gratificanti, gli interventi educativi dovrebbero appuntarsi su alcune coordinate pedagogiche:
    – la relazione tra bello e senso dell’esperienza come ciò che ognuno di noi vive e attraversa entrando in contatto con sé, con la realtà e con gli altri;
    – l’importanza di attuare una sorta di «sperimentazione» del bello, per essere in grado di riconoscerlo, apprezzarlo e saperlo comunicare agli altri;
    – il legame tra bello e ricerca di senso come elaborazione e costruzione di carattere personale che concorre a conferire una sorta di «impronta» e di «forma» alle nostre azioni: in tal senso la studiosa J. Hersch ha affermato che la ricerca del bello costituisce una sorta di «presa umana», essendo quel modo particolare e unico con il quale l’uomo attua la propria adesione particolare e singolare alla realtà;
    – il bello insito non soltanto nel positivo e in ciò che attrae, ma anche nella difficoltà del proprio cammino formativo come ciò che ha in sé una componente implicita di disagio che ognuno vive a seconda della fase evolutiva e delle caratteristiche della propria identità, da considerarsi anche nei termini di dimensione bella di sé, in quanto condizione che muove verso il raggiungimento di una pienezza personale.

    NOTE

    [1] Cf F. Gabrielli, Cantieri dell’anima. La salute e la cura dei giovani: itinerari, FrancoAngeli, Milano 2005.

    [2] R. Manfredi, Esserci ed esistenza. Una ricerca sulla natura delle cose e dell’esistenza, FrancoAngeli, Milano 2000.

    [3] P. Basile, Figli del nulla: i giovani e il male di vivere tra nichilismo e buddhismo, Albo versorio, Milano 2006; cf anche U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Rizzoli, Milano 2007.

    [4] J. Hillman, Politica della bellezza, Moretti&Vitali, Bergamo 1999.

    [5] Cf U. Galimberti, Psiche e techne, L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 666-679.

    [6] H. U. von Balthasar, Gloria. Una estetica teologica. 1: La percezione della forma, Jaca Book, Milano 1985, vol. I.


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