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    Tra nostalgia e futuro


     

    Tra nostalgia e futuro

    Il rilancio qualitativo degli Oratori

    Laboratori di innovazione sociale e dialogo interculturale secondo il Vangelo

    condominio oratorio

    Nell’immaginario collettivo l’Oratorio è il luogo quasi incantato e nostalgico di partite di calcio, di gioco, amicizia, di incontri… Se ascoltassimo i racconti di alcuni genitori, di qualche nonno o di taluni exallievi, ci descriverebbero Oratori pieni di giovani e ragazzi, i loro occhi inizierebbero a brillare fino a commuoversi. Come darli torto, anche Celentano cantava: “Ricordo quand’ero all’Oratorio…” Intere generazioni cresciute all’ombra dell’Oratorio: amicizie, amori, gioco, sport, musica, teatro, cinema, scuola… Un universo educativo, un microcosmo nel quale le regole educative erano abbastanza condivise dai genitori, salve qualche sporadico caso, che apprezzavano l’operato dell’educatore. L’Oratorio rappresentava quasi l’unico spazio, certamente l’unico luogo educativo dopo la scuola, riservato ai ragazzi e ai giovani per socializzare, per crescere, per pregare.
    Oggi l’Oratorio è chiamato a confrontarsi con una società profondamente cambiata.
    Non esiste più una società monoreligiosa fondata sulla famiglia “tradizionale”, come era quella dei nostri genitori. Esiste una società plurale, multirazziale, aperta fondata su relazioni familiari spesso molto labili e fragili; anche l’educativo si è moltiplicato, diversificato, specializzato: sono nate palestre, scuole di sport, associazioni culturali e sportive, cooperative sociali in grado di gestire centri socio-educativi, centri aperti polivalenti, comunità alloggio per minori… insomma capaci di offrire servizi educativi di qualità.
    La realtà ci dice che l’Oratorio non è più da solo nel campo educativo (meno male!) e che se vuole incidere ed essere efficace sulla vita del giovane e del territorio, deve accettare la sfida di confrontarsi con la realtà per essere ponte tra la strada e la Chiesa: uscire verso le periferie esistenziali per evitare il rischio di una chiusura narcisistica e compiaciuta di cristiani fatti in provetta o che sanno di muffa. Meglio “una Chiesa incidentata, che una Chiesa chiusa e malata” (Papa Francesco). A tal proposito condivido ciò che afferma il documento della CEI nella nota sugli Oratori, “Laboratori di talenti”, recentemente pubblicata: gli Oratori non nascono come progetti “fatti a tavolino” ma dalla capacità di “lasciarsi provocare e mettere in discussione dalle urgenze e dai bisogni del proprio tempo”, con la stessa passione dei grandi “maestri dell’educazione”: san Filippo Neri, san Giovanni Bosco, san Carlo Borromeo… Gli Oratori non solo limitati “al recupero, all’istruzione o all’assistenza”, ma sanno “valorizzare e abitare la qualità etica dei linguaggi e delle sensibilità giovanili”, coniugando “prevenzione sociale, accompagnamento familiare e avviamento al lavoro”. In quest’ottica, oggi gli Oratori “devono essere rilanciati anche per diventare sempre più ponti tra la Chiesa e la strada”, come li definiva Giovanni Paolo II.
    Rilanciare gli Oratori non è uno spot, ma è una necessità per continuare ad esistere. Ce lo ricorda, molto chiaramente il Rettor Maggiore dei Salesiani, don Pascual Chavez Villanueva: “In un mondo profondamente cambiato rispetto a quello dell’ottocento, operare la carità secondo criteri angusti, locali, pragmatici (e qui dobbiamo riconoscere che Don Bosco non era certo in condizione di fare più di quello che ha fatto), dimenticando le più ampie dimensioni del bene comune, nazionale e mondiale, sarebbe una grave lacuna di ordine sociologico ed anche teologico. La maturazione etica della coscienza contemporanea ha infatti riscontrato i limiti di un assistenzialismo che, dimenticando la dimensione politica del sottosviluppo, non riesce a influire positivamente sulle cause della miseria, sulle strutture di peccato dalle quali scaturisce un contesto sociale da tutti sempre denunciato. Concepire la carità solo come elemosina, aiuto d'emergenza, significa rischiare di muoversi nell'ambito di un “falso samaritanesimo” che, al di là delle buone intenzioni, finisce talora col divenire un’espressione di solidarietà scadente, perché funzionale a modelli di sviluppo che puntano al benessere di alcuni, indorando l'amara pillola per gli altri”.
    L’Oratorio è dunque quantitativo perché è fatto per tutti, ma è chiamato ad essere qualitativo, nella misura in cui punta sulla relazione personale, per continuare ad esistere e ad essere significativo. Una relazione che deve non solo accogliere il giovane ma accompagnarlo nella crescita offrendo anche servizi in termini di competenze e di qualità a secondo dei contesti. E siccome gli Oratori, sono nati specialmente per le zone popolari delle città, in contesti “a rischio” come quello dove opera il Redentore di Bari, sogno un Oratorio chiamato a scardinare la cultura della prepotenza alimentata dal profitto per dare vita ad una cultura del dono gratuito e dell’impegno volontario. E sogno anche un Oratorio che sappia dare risposte concrete a ragazzi che evadono la scuola, a ragazzi che hanno genitori agli arresti domiciliari o in galera, a ragazzi purtroppo cresciuti in contesti di prostituzione, di spaccio, di delinquenza. A questi ragazzi non possiamo mandare giovani animatori volontari, sempre preziosi nel servizio gratuito verso i più piccoli, che per quanto capaci e formati non hanno le necessarie competenze ed esperienze per poter intervenire ed accompagnare. Affianco agli ottimi animatori volontari, per questi ragazzi, c’è bisogno di educatori professionali che possano dare il loro apporto specifico.
    In questi grandi laboratori di inclusione sociale, nei quali nessuno viene escluso o ghettizzato ed ognuno viene accolto ed accompagnato secondo il proprio reale bisogno, gli Oratori non solo incidono sulla qualità del welfare ma hanno una marcia in più: essendo comunità che condividono idee, azioni, progetti. La coesione sociale è facilmente visibile più in un Oratorio che in qualsiasi altro centro educativo perché la tensione verso un fine unisce e motiva l’operato più che ogni altra realtà, anche più del profitto. Ecco perché se affianco alla coesione sociale che un Oratorio esprime, ci fossero politiche di sostegno e di sviluppo, la qualità di un quartiere cambierebbe inesorabilmente in meglio.
    A questo punto la questione si fa interessante, perché se ammettiamo il fatto che la società è cambiata e che bisogna puntare su una educazione diversifica che vada dalla semplice accoglienza alla risposta qualificata ai bisogni reali dei ragazzi, l’Oratorio non può più essere quello di una volta e non può essere discriminato dal sistema dei servizi sociali di un territorio. La nostalgia si deve trasformare in speranza operativa e la valenza sociale degli Oratori deve divenire realtà. Insomma: o neghiamo la valenza sociale degli Oratori o li ammettiamo! Possiamo verificare e dialogare sugli indicatori che permettano un reale riconoscimento degli Oratori in Puglia (quali: il numero degli iscritti, il contesto sociale, il progetto educativo…) ma non possiamo essere indifferenti in una Regione che registra il 27,4% (la seconda in Italia) della popolazione povera. Anche nel campo educativo, si tratta di unire le forze per battere le povertà e non di moltiplicare le strutture.
    Non serve, nemmeno, trincerarsi in mancate risposte o in commenti come quelli che l’Assessora regionale al Welfare lasciava intendere. Non scriviamo letterine per ricevere contributi. Personalmente le letterine le scrivevo quando credevo a Babbo Natale, oggi credo in Gesù Cristo ed opero insieme a tante persone affinché ci sia un sorriso in più ed un pianto in meno sulla terra.
    Le forze e l'impegno spesi anche oggi dai nostri Oratori nell'attuale complesso tessuto socioculturale, drammaticamente segnato dalla crisi, sono notevoli. Davvero i nostri Oratori possono essere, in nome del Vangelo, laboratori di prevenzione educativa, innovazione sociale e di dialogo interculturale.

    Francesco Preite
    Oratorio Centro Giovanile Redentore
    Salesiani Bari


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