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    perché per tutti

    Le dinamiche e lo stile dell'oratorio

    Pierpaolo Triani

    «Ho scoperto una grande verità: e cioè che gli uomini abitano
    e che il senso delle cose per loro muta
    secondo il significato della casa»

    (A. Saint-Exupery)

    Luogo familiare e ambiente istituzionale; un po' casa e un po' piazza, divertimento e impegno, festa e normalità, pallone e libro, tv e chitarra, smart phone e chiacchiere dal vivo, giornate di noia e momenti indimenticabili, amici con cui scherzare, giocare, litigare e adulti che ti «stressano», ti ascoltano, ti raccontano, ti controllano, ti annoiano, ti stupiscono...; e ancora molto altro.
    Tutto questo caleidoscopio di elementi è l'oratorio di molte parrocchie italiane. Esso non è un dispositivo formativo qualsiasi all'interno della comunità ecclesiale. È insieme un segno e un impegno aperto. È un segno, molto chiaro, dell'intenzione educativa della comunità cristiana, [1] del suo desiderio di stare con le persone dentro un preciso territorio e di promuoverne la crescita, di porsi a servizio della vita nel suo ordinario svolgersi; del suo cercare di comunicare con tutti, attraverso una molteplicità di forme capaci di intercettare le diverse sensibilità, caratteristiche, linguaggi del mondo giovanile.[2]
    È un impegno aperto, perché l'immediatezza dell'oratorio porta con sé un insieme di aspetti da curare con intelligenza e costanza. È facile far partire un oratorio: basta un luogo, anche piccolo, e alcune persone che lo frequentino; ciò che è più complesso da portare avanti, con consapevolezza e responsabilità, è renderlo davvero un ambiente significativo, un susseguirsi di relazioni ed esperienze feconde, capaci di promuovere il bene delle persone.
    In ragione di questo suo essere segno pedagogico significativo e impegno aperto la Chiesa italiana attraverso la nota pastorale Il laboratorio dei talenti [3] indica l'importanza di porre una particolare attenzione alla ricchezza delle dinamiche dell'oratorio e allo stile attraverso le quali esse sono realmente declinate e connesse tra loro.

    Le dinamiche dell'oratorio

    Interrogarsi sulle dinamiche di una realtà sociale la cui intenzione di fondo è di carattere educativo significa andare oltre ciò che si vede al primo sguardo, per cercare di cogliere, con maggiore accuratezza, quali siano quei fattori che permettono alla realtà stessa di essere vitale e coerente con le proprie finalità costitutive.
    Non è facile definire in modo esaustivo questi fattori; essi possono però essere descritti, anche alla luce delle sollecitazioni della nota pastorale, attraverso alcune categorie portanti.
    La prima è quella della prossimità. Al di là dei diversi modelli operativi, tutte le esperienze di oratorio - ci ricorda la nota - «sono di fatto accomunate dalla loro peculiare offerta di prossimità alle giovani generazioni, amate, accolte e sostenute nella loro concretezza storica, sociale, culturale, spirituale». [4]
    L'oratorio è tale quando rende possibile con facilità l'incontro faccia a faccia, la vicinanza, il contatto quotidiano che diventa progressivamente condivisione di linguaggi, attività, spazi, emozioni; quando permette quella frequenza ordinaria che consente alle persone di «abitare» uno spazio [5] e sentirlo familiare, perché in esso uno riconosce e si sente riconosciuto. Senza volti concreti con cui interagire lo spazio resta anonimo e, coloro che incontri, estranei, in quanto come scriveva Saint-Exupery: «Non puoi amare una casa che non ha un volto e nella quale i passi non hanno alcun senso». [6]
    È da questa centralità dell'incontro con l'altro, in modo innanzitutto informale, che scaturisce il profilo dell'oratorio come luogo aperto, a porte «girevole», dove si può entrare e uscire con libertà, dove la soglia di accesso è bassa [7] perché il requisito minimo richiesto è semplicemente il rispetto dell'altro e del luogo che si frequenta.
    È la prossimità tra le persone, che nell'oratorio è intragenerazionale e intergenerazionale, che permette a sua volta di far crescere quell'economia del dono reciproco che è forza imprescindibile di umanizzazione. Ha scritto E. Mounier «L'economia della persona è un'economia di dono, non di compensazione o di calcolo. La generosità dissolve l'opacità e annulla la solitudine del soggetto». [8]
    La seconda categoria può essere riassunta attorno ai termini espressività e operosità. L'oratorio non è un luogo in cui si transita anonimamente soltanto per chiedere qualcosa; è invece ambiente dove si propongono attività, dove si predispongo iniziative e progetti, dove è data possibilità alle persone non solo di usufruire degli spazi e delle proposte, ma di agire in prima persona, di esprimere le proprie risorse, di metterle in circolo senza cercare un tornaconto immediato. Si tratta perciò di un'operosità ad alto tasso di «gratuità», che si esprime attraverso una pluralità di forme, a partire da quella molto facile da attivare, ma molto «potente» nelle sue valenze educative, che è il gioco. «Il gioco è nato ed esiste sotto il segno della libertà tipica del gesto gratuito e ogniqualvolta si vogliono piegare i suoi effetti a un particolare disegno, esso si trasforma in lavoro, in manipolazione o in qualcos'altro, di cui tutto si può dire salvo che sia un gioco vero». [9]
    A partire dal suo essere luogo di incontro e di azione, l'oratorio mette in atto anche - ed ecco una terza categoria - dinamiche di socializzazione. La vita oratoriale «funziona» quando fa nascere e sostiene amicizie, compagnie, gruppi, trame di rapporti che diventano per le persone, siano bambini, ragazzi, adulti, spazi relazionali di appartenenza e di riferimento. Questo processo vuole tempi e spazi adeguati, richiede un'attenzione specifica in quanto, molto opportunamente sottolinea la nota, occorre «passare "dalla consumazione delle relazioni" a una sapiente e qualificata "costruzione delle relazioni"». [10]
    In quanto luogo di rapporti significativi, l'oratorio concorre anche a consolidare la rete sociale di un territorio, ne diventa un fattore di qualità in ordine alla promozione della crescita «serena» dei ragazzi e alla prevenzione delle situazioni di disagio.
    Le categorie viste fino a ora ne portano con sé una quarta: formazione. L'oratorio in quanto spazio vissuto è ambiente che plasma le persone che lo abitano, dal momento che vi è in esso una forza formativa che sgorga dalla molteplicità di relazioni e azioni che ne caratterizzano la vita. Perché, però, una realtà oratoriale possa definirsi propriamente tale, occorre che passi dal lasciare accadere processi formativi, a una loro promozione intenzionale tesa a promuovere nelle persone un armonico sviluppo delle loro diverse dimensioni: sociale, affettiva, cognitiva, morale, religiosa.
    La nota al riguardo è molto esplicita. L'oratorio è tenuto a essere, per sua mission, luogo di proposta formativa umana e cristiana attraverso «forme e attività adeguate alle esigenze e ai cammini sia dei singoli che dei gruppi»; [11] «esso "accompagna nella crescita umana e spirituale”, inserendosi nel ritmo quotidiano delle persone e della comunità civile e proponendo iniziative, percorsi, esperienze, relazioni e contenuti che, in modo esplicito o implicito, vogliono favorire l'incontro con il Signore Gesù e con il suo dono di vita buona». [12]
    La proposta formativa, però, evidenzia ancora la nota, deve saper sapientemente svolgersi nel rispetto delle diverse età e situazioni di vita attraverso la compresenza di percorsi differenziati: alcuni riferiti esplicitamente all'iniziazione cristiana e alla formazione religiosa, altri al primo annuncio, altri alla formazione sociale e culturale. [13]
    Emerge, perciò, una quinta categoria utile a descrivere la dinamica oratoriale: la pluralità, che riguarda i soggetti coinvolti, la tipologia di iniziative realizzate, i livelli di formazione proposti, le dinamiche stesse. Vi è un oratorio vitale, infatti, là dove sono compresenti la prossimità, l'operosità, la socializzazione, la formazione; dove si pone attenzione alla formazione delle differenti dimensioni della persona; dove il gioco, il momento di gruppo, la festa, e la serata di studio si intrecciano tra loro; dove bambini, ragazzi e adulti hanno l'occasione di condividere spazi ed esperienze comuni.
    Un oratorio non ha paura di avere a che fare con una pluralità di persone che vivono condizioni di vita diverse, di affrontare la sfida odierna delle differenze culturali, di attivare percorsi formativi diversificati. La sua forza, infatti, sta proprio nel saper stare dentro le differenze, capacità che gli viene dal suo avere a cuore la vita di ognuno e dal conseguente impegno di essere a misura di ciascuno. Esso è popolare proprio nella misura in cui sa essere eterogeneo. È straordinario proprio perché è per tutti.
    Non ci si può tuttavia fermare alla categoria della pluralità; ve ne è un'altra che descrive quella che può essere considerata, in un certo senso, la dinamica chiave della vita degli oratori, senza la quale le altre già messe in luce tendono a perdere di forza e a «deformarsi». Si tratta dell' integrazione di queste pluralità. È peculiare dell'oratorio il saper tenere insieme diversi linguaggi, diversi «registri» (ludico, ricreativo, formativo), diverse dimensioni del processo formativo. [14] La dinamica oratoriale «funziona» quando essa non separa e isola le varie istanze che la caratterizzano, ma cerca di farle interagire virtuosamente. Così facendo essa può configurarsi davvero come «un permanente laboratorio di interazione tra fede e vita»,[15] ossia un ambiente dove i valori evangelici non sono solo spiegati, ma vengono «respirati» attraverso ciò che si fa.

    Lo stile dell'oratorio

    L'integrazione tra le diverse dinamiche e i differenti aspetti della vita oratoriale è resa possibile dalla presenza di uno stile. Se il termine dinamiche richiama i principali processi che caratterizzano l'oratorio, lo stile indica invece il modo peculiare con cui questi processi sono portati avanti. Esso non è un comportamento temporaneo, ma è un modo di agire «fatto proprio» dal soggetto, che sgorga dai suoi valori, dal suo modo di «stare al mondo».
    È suggestivo richiamare l'etimologia del vocabolo. Stile deriva da «stilo» che nella lingua latina indica sia lo strumento sia il modo con cui si scrive. L'utilizzo del termine è stato poi esteso a tutto il comportamento per indicare in generale il modo di fare qualcosa fino al modo di essere. Porre attenzione allo stile dell'oratorio significa chiedersi quali siano i gesti e le parole fondamentali attraverso i quali esso scrive la sua storia quotidiana e aiuta le persone che lo frequentano a scrivere la propria.

    IL BARICENTRO

    Ciò che permette di dare unità all'oratorio, afferma con chiarezza la nota pastorale, è «uno specifico stile di evangelizzazione».[16]
    Con questa espressione ritengo si debbano intendere due aspetti strettamente connessi. Il primo riguarda il fine; ciò che si compie nella vita oratoriale trova la sua ragione ultima nel desiderio che le persone possano incontrare nella loro vita, a seconda della loro età, la forza liberante del vangelo: «...la missione evangelizzatrice dell'oratorio non si esprime solamente attraverso la catechesi e l'azione liturgica, per quanto essenziali e ineludibili siano da considerare tali aspetti; essa tende a innervare ogni singola attività ed esperienza, i tempi e i luoghi dell'oratorio, a partire dalle motivazioni chiare e profonde di coloro che vi operano».[17]
    Il secondo riguarda il metodo. Porre come baricentro lo stile dell'evangelizzazione significa, al riguardo, plasmare le proprie azioni e relazioni perché possano esprimere i significanti portanti del vangelo; preoccuparsi perché la vita dell'oratorio, la sua forma ordinaria, sia ricca di «parole buone» e «liberanti» per le persone; operare perché gli oratori possano essere colti dalle persone come luoghi in cui fare esperienze di «vita buona».

    LE CONDIZIONI

    L'esercizio dello stile di evangelizzazione richiede, osserva la nota pastorale, l'attenzione ad alcune condizioni.
    Innanzitutto «la testimonianza di fede in una concreta comunità cristiana da parte di coloro che animano l'oratorio: passione e competenza educative hanno nella consapevolezza del mandato ecclesiale e nel riferimento a Cristo buon pastore il loro fondamento sorgivo». [18] Un oratorio richiede perciò figure educative impegnate in prima persona nella vita cristiana, che, nei gesti semplici del quotidiano, lasciano trasparire ciò che credono e vivono; consapevoli che l'impegno che essi portano avanti non è un fatto semplicemente individuale, ma espressione della cura educativa della comunità.
    Una seconda condizione è l'attenzione alle singole persone, affinché si sentano partecipi della vita dell'oratorio e contemporaneamente possano sentirsi accompagnati individualmente nel loro processo di crescita. Occorre, osserva la nota, promuovere: «l'inserimento del ragazzo e del giovane in un'esperienza oratoriana che è allo stesso tempo cammino personalizzato e comunitario: l'ambiente nel suo insieme, con la ricchezza di relazioni personali, attività ed esperienze, ne accompagna e illumina la crescita [...]; tuttavia è nel rapporto personale con una guida e nella preghiera che egli viene aiutato a fare sintesi di vita e scelte di futuro in quanto discepolo del Signore».[19] L'oratorio pensato dalla nota è il luogo non di nomi «comuni», ma di nomi propri, dove ciascuno è riconosciuto nella sua singolarità e dove, proprio in nome di questo riconoscimento, ogni ragazzo è stimolato a «prendere in mano» se stesso attraverso l'aiuto di figure adulte.
    Una terza condizione è la presenza, ci torneremo anche tra poco, di una proposta di vita cristiana «alta», coraggiosa, affinché i ragazzi siano «pro-vocati e sollecitati nel loro cammino di crescita e maturazione verso la pienezza di maturità in Cristo, avendo come orizzonte l'inserimento responsabile nella comunità ecclesiale e civile e la propria santificazione».[20] Il carattere aperto dell'oratorio non va confuso con una presunta neutralità; esso consegna alla libertà delle persone una meta precisa, delle esperienze significative, dei cammini affascinanti e impegnativi.
    Una quarta condizione è l'articolazione della proposta formativa secondo una logica di gradualità e differenziazione, in quanto: «ragazzi e giovani, pur appartenendo alla medesima fascia di età oppure frequentando le medesime attività scolastiche e oratoriali, hanno esigenze e storie diverse, per cui è opportuno che il dono della vita buona del Vangelo si adatti a ogni singola persona, incontrando i giovani al punto in cui si trova la loro libertà e accompagnandoli nella loro piena maturazione». [21]

    I TRATTI

    Accanto alle condizioni, la nota pastorale permette di cogliere, in diversi passi, anche alcuni tratti ideali attraverso i quali lo stile dell'oratorio, evangelizzante nella ragione di fondo e nella tensione metodologica, si dovrebbe declinare.

    a) All'oratorio è chiesto di pensarsi e strutturarsi come un ambiente che possiamo chiamare:
    - vitale, capace di suscitare nelle persone interesse, attenzione, affezione, coinvolgimento;
    - significativo, capace di parlare al cuore e all'intelligenza delle persone, di suscitare domande, di proporre significati e ideali, di aprire alla ricerca, allo stupore, alla comprensione sempre più profonda della realtà.
    Tutto ciò comporta per l'oratorio la cura verso la qualità delle proposte formative, verso la loro chiarezza, in quanto l'essere ambiente per tutti «non può mai comportare disimpegno o svendita dei valori educativi».[22] Ne consegue l'importanza di elaborare un progetto educativo [23] all'interno del quale trovano senso le diverse attività e i diversi percorsi realizzati.
    La vitalità e la significatività passa anche attraverso l'attenzione verso i luoghi e gli spazi, in quanto, a loro modo, esprimono i significati su cui la vita dell'oratorio si fonda. Si legge nella nota:
    «Gli ambienti, il loro utilizzo e la loro gestione possono dire molto in riferimento alle scelte educative. È importante che gli ambienti dell'oratorio siano adatti alle attività educative e quindi sobri, ordinati e dignitosi. Essi dovrebbero essere percepiti dai ragazzi quasi come una seconda casa e perciò devono essere da loro misurati e custoditi al meglio».[24] Gli spazi dell'oratorio non possono che essere pensati in un'ottica di pluralità (perché molteplici sono le funzioni che l'oratorio svolge) che comporta, però, a sua volta, una visione di sintesi.
    «Per quanto possibile si cercherà di dotare l'oratorio di tutte le strutture utili alle attività giovanili, in particolare degli spazi esterni per il gioco libero e per lo sport e quelli interni per le altre attività, tra cui l'angolo della preghiera o una piccola cappella. Tutte le strutture di servizio, come un piccolo bar all'interno dell'oratorio, devono essere in linea con la proposta educativa dell'oratorio».[25]
    Accanto agli spazi, uno stile oratoriale, che voglia essere vitale e significativo, si preoccupa dell'organizzazione e della gestione dei tempi, cercando di coniugare una duplice esigenza: quella di sintonizzarsi con i ritmi di vita delle persone, quella di non svuotare la forza delle proposte che si vanno facendo. Si tratta come osserva la nota di un tema molto delicato che «costituisce oggi indubbiamente una questione che richiede una profonda riflessione e un intenso discernimento comunitario».[26] Inoltre la vitalità e la significatività dell'oratorio passano attraverso i linguaggi che esso utilizza. A questo proposito nella nota si colgono due indicazioni metodologiche:
    - la valorizzazione di varie forme d'espressione, in quanto «può permettere un'assimilazione dei contenuti più precisa e profonda, oltre che dare a ciascuno la possibilità di esprimersi a partire dalle proprie inclinazioni naturali»;[27]
    - la vicinanza alla sensibilità e ai costumi culturali dei ragazzi, che richiede «di servirsi dei linguaggi del gioco libero e creativo, dello sport spontaneo e organizzato, della musica, della narrativa, del cinema e di altre dinamiche comunicative riconosciute, apprezzate e frequentate dai ragazzi. Tra i vari linguaggi, merita una menzione quello della comunicazione nel nuovo ambiente digitale».[28]

    b) Un secondo tratto può essere sintetizzato nella formula uno stile accogliente,[29] capace di far sentire preziosa ogni persona e di permettere a essa di costruire relazioni «autentiche e significative».
    La vitalità di una proposta è effimera se non si basa su una solida trama relazionale. La nota pastorale lo sottolinea con forza: «Tutte le attività dell'oratorio sono perciò improntate a favorire un contesto di dialogo sereno e costruttivo nella consapevolezza che nessuna attività può sostituire il primato della relazione personale».[30]
    Il profilo relazionale ideale dell'oratorio è fatto, innanzitutto, di «accoglienza semplice e schietta, ascolto profondo e sintonia empatica».[31] A partire da questa base è chiesto alle persone di mettersi in gioco nella costruzione di uno stile caratterizzato da:
    - benevolenza: «il saluto, il sorriso, le "buone maniere", l'invito a partecipare alle attività sono le modalità con cui i frequentatori abituali e i nuovi arrivati si sentono accolti e messi a proprio agio»;[32]
    - estroversione, ossia capacità di esprimere la disponibilità e l'interesse a entrare in relazione;[33] gratuità, perché proteso totalmente «al bene dell'altro» [34] senza un tornaconto;
    - continuità, che è condizione per «costruire un percorso educativo promettente»; [35]
    - autorevolezza, attraverso la quale l'educatore guida l'educando avendo come base il riconoscimento reciproco di un bene condiviso assunto come obiettivo.[36]

    c) Un terzo tratto dello stile ideale dell'oratorio è il coraggio, che nasce dall'accoglienza, dalla tensione a cercare il bene delle persone a partire dalla loro situazione concreta. È coraggioso lo stile di una vita oratoriale che non si chiude in se stessa, su ciò che ha sempre fatto, che non si accontenta dei ragazzi che frequentano, ma che si attiva per affrontare le «sfide» storiche e quelle nuove.
    La sfida storica per eccellenza, come ricorda la nota pastorale, è quella di lavorare con le difficoltà dei giovani, con le situazioni di disagio, di marginalità, di devianza, di «misurarsi anche con situazioni di grave degrado sociale e culturale (criminalità organizzata, disoccupazione, alcolismo, droga...)».[37] L'oratorio non può lasciare i problemi dei ragazzi «fuori dalla porta», far finta che non ci siano, essere solo luogo di rifugio per i «bravi»; al contrario, forte della sua identità educativa, esso è tenuto a «farsi prossimo» anche di coloro che vivono situazioni problematiche e che possono trovare nella vita oratoriale un punto di riferimento e di sostegno.
    Vi sono inoltre due aspetti inediti, di natura diversa da quello appena descritto, che rappresentano nuove sfide per gli oratori. Si tratta della sfida posta dalla rivoluzione digitale e dell'importanza di confrontarsi con i new media, con i social network (per trovare in questi dispositivi «stimoli per nuove proposte e percorsi educativi» [38]) e della sfida posta dalla società multiculturale che non è semplicemente attorno, ma dentro la normalità della vita oratoriale per cui «anche la presenza di ragazzi e giovani provenienti da altre culture e religioni è motivo e occasione di ripensamento e di riorganizzazione della proposta oratoriana».[39] Affrontare queste nuove sfide richiede che al coraggio di percorrere strade inedite si accompagni senso dell'equilibrio, disponibilità a gestire situazioni complesse, competenze specifiche nel campo delle nuove tecnologie e dell'educazione interculturale.

    d) La vita dell'oratorio, soprattutto ora che si trova ad affrontare situazioni inedite, chiede anche che lo stile messo in atto sia creativo.
    La creatività che è richiesta alla vita oratoriale da un lato riguarda l'attenzione rivolta all'immaginare e provare strade nuove, dall'altra chiama in causa la capacità di diventare «laboratorio in cui si produce cultura»,[40] luogo di riflessione comune, di dibattito, di confronto, di proposta. Si tratta di avere a cuore la coltivazione di un oratorio che «ha qualcosa da dire», perché non si sottrae alla fatica del riflettere, e che si fa, anche per il territorio, crocevia di idee, interlocutore credibile attorno ai temi dell'educazione, partecipazione sociale, sostenibilità ambientale, promozione culturale, formazione alla cittadinanza, responsabilità civica, solidarietà, giustizia.

    e) Strettamente collegato alla tensione creativa, lo stile dell'oratorio non può che essere responsabilizzante, ossia capace di promuovere un «sano e virtuoso» protagonismo «che non ha nulla a che fare con le connotazioni negative riscontrabili nella cultura odierna»,[41] ma che si basa su una logica di fiducia.
    Un oratorio che voglia agire secondo uno stile di responsabilizzazione è bene che permetta ai ragazzi, come evidenzia la nota pastorale, di «imparare facendo», attraverso un fare che sia:
    - operoso, sostenuto dalla «passione nel dedicarsi e fedeltà nel mantenere gli impegni presi»;[42]
    - condiviso, in quanto «contesto essenziale al protagonismo oratoria-no è quello dell'agire comunitario, basato sul confronto e sulla condivisione, ragione per cui non si opera mai da soli e in forma isolata e autoreferenziale»;[43]
    - progressivamente competente, perché sostenuto da «percorsi di formazione» atti a sostenere ad accrescere le conoscenze e le abilità e alimentare la motivazione.
    A questo riguardo è opportuno mettere in rilievo come la vita degli oratori sia uno dei pochi ambienti dove i ragazzi non sono solo destinatari e fruitori di qualche servizio o proposta, ma soggetti attivi cui è chiesto di mettersi in gioco direttamente, coniugando il divertimento con il servizio e l'impegno.
    Dell'efficacia di questa strada ne sono testimoni i ragazzi stessi che affermano di apprezzare questa possibilità che è loro concessa. Emerge questo dato, ad esempio, dalla ricerca condotta alcuni anni fa con più di duemila adolescenti, coinvolti nel servizio educativo all'interno degli oratori estivi e i cre-grest lombardi.[44] Essi hanno messo in luce come questo servizio sia stato fonte di divertimento, possibilità di mettersi alla prova, modo bello per aiutare gli altri, occasione per diventare più responsabili.

    f) Un ultimo aspetto, ma non meno importante, da mettere in evidenza, riguarda il tratto collaborativo dello stile oratoriano. Il principio dell'alleanza educativa indicato dagli orientamenti pastorali per il decennio come uno dei capisaldi dell'educare alla vita buona del vangelo,[45] può trovare nell'oratorio una delle sue espressioni più chiare. Esso «per sua natura è chiamato a promuovere ampie e feconde alleanze educative, gettando ponti verso l'esterno. Si rende così più visibile ed evidente la sua natura estroversa, tesa a valorizzare ciò che di buono è già presente nel territorio, mettendosi cordialmente in dialogo con le diverse realtà».[46]
    La collaborazione, che chiama in causa il lavoro condiviso tra tutti coloro che operano in oratorio, ha un ampio raggio di azione che riguarda, in prima battuta, le famiglie, ma si estende poi alle scuole, ai servizi sociali, al mondo del terzo settore, alle associazioni sportive.
    Per realizzare una collaborazione, come auspicano i vescovi, costruttiva, è importante da un lato che un oratorio abbia una precisa identità formativa che orienti i passi e, dall'altro lato sappia pensarsi all'interno di una rete e consideri ciò che esso fa come una risorsa preziosa di una rete territoriale più ampia.[47]

    L'animazione come categoria di sintesi

    Come il concetto di integrazione delle pluralità può rappresentare la chiave di volta per indicare la dinamica dell'oratorio, ugualmente può essere utile individuare una categoria che, meglio di altre, può fare sintesi dei diversi tratti dello stile ideale che si è provato a tracciare brevemente. È la stessa nota pastorale a indicarci la strada quando afferma: «Il metodo proprio dell'oratorio è quello dell'animazione, ovvero quello del coinvolgimento diretto; è un metodo attivo che si caratterizza per il protagonismo del soggetto e per la notevole carica esperienziale».[48]
    Assumere l'animazione come categoria di sintesi dello stile dell'oratorio comporta l'uscire da una interpretazione riduttivistica di questo termine per assumerlo nel suo significato più forte, ossia come prospettiva pedagogica e come metodo educativo. In quest'ottica l'animazione si presenta come un modo intenzionale di operare, come un insieme co-costruito di azioni, che avendo come finalità la promozione della significatività della vita delle persone, mira ad accrescerne la consapevolezza, la partecipazione, la responsabilità operando soprattutto su alcune caratteristiche dell'uomo: la sensibilità (la capacità di sentire la vita), l'espressività (la capacità di dare forma comunicabile a ciò che l'uomo sente, comprende, desidera), la trascendenza (la capacità di uscire da sé), l'intersoggettività (la capacità di entrare in comunicazione con l'altro), l'immaginazione (la capacità di pensare il nuovo, l'inedito, il fantastico).[49]
    L'oratorio, per la sua ricchezza e la sua pluralità, si presenta come un ambiente idoneo ad animare la quotidianità delle persone. Attraverso i gesti semplici dello stare insieme, del giocare, dell'impegnarsi per uno scopo comune esso può alimentare la sensibilità, l'espressività, la trascendenza, l'intersoggettività, l'immaginazione dei ragazzi e promuoverne così l'autenticità. Per poter però saper intercettare l'animo profondo delle persone occorre coltivare il proprio: l'oratorio saprà continuare a parlare ai ragazzi e ai giovani solo nella misura in cui saprà custodire e alimentare la propria vitalità, le proprie motivazioni, il proprio «spirito».

    NOTE

    1 CEI, Orientamenti pastorali dell'Episcopato Italiano per il decennio 2010-2020, Educare alla vita buona del Vangelo, Roma, ottobre 2010.
    2 Per un approfondimento del ruolo educativo dell'oratorio cf. M. MORI, Un oratorio per educare, La Scuola, Brescia 2011.
    3 CEI - COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA CULTURA E LE COMUNICAZIONI SOCIALI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA FAMIGLIA E LA VITA, Nota pastorale sul valore e la missione degli oratori nel contesto dell'educazione alla vita buona del Vangelo, Il laboratorio dei talenti, Roma, febbraio 2013.
    4 Ib., n. 4.
    5 Cf. V. Iori, Lo spazio vissuto. Luoghi educativi e soggettività, La Nuova Italia, Firenze 1996.
    6 A. SAINT EXUPERY, Cittadella, Boria, Roma 1978, 25.
    7 Cf. CEI, Il laboratorio dei talenti, n. 16.
    8 E. MOUNIER, Il personalismo, AVE, Roma 2004, 62.
    9 M. Pollo, «Il gioco come luogo di animazione», in F. Floris (a cura di), L'animazione socioculturale, EGA, Torino 2001, 163.
    10 Ib., n. 15.
    11 Ib., n. 13.
    12 Ib., n. 13.
    13 Ib., n. 13.
    14 Cf. Mori, Un oratorio per educare.
    15 CEI, Il laboratorio dei talenti, n. 13.
    16 CEI, Ib., n. 14.

    17 Ib., n. 14.
    18 Ib., n. 14.
    19 Ib., n. 14.
    20 Ib., n. 14.
    21 Ib., n. 14.
    22 Ib., n. 16.
    23 Ib., n. 17.
    24 Ib., n. 20.
    25 Ib., n. 20.
    26 Ib., n. 20.
    27 Ib., n. 20.
    28 Ib., n. 20.
    29 Ib., n. 16; n. 17.
    30 Ib., n. 15.
    31 Ib., n. 15.
    32 Ib., n. 16.
    33 Cf. Ib., n. 16.
    34 Ib., n. 16.
    35 Ib., n. 16.
    36 Come hanno scritto Benasayag e Schimt: «Io ti ubbidisco perché tu rappresenti per me l'invito a dirigersi verso questo obiettivo comune, perché so che questa ubbidienza ti ha permesso di diventare l'adulto che sei oggi, come io lo sarò domani, in una società dal futuro garantito» (M. BENASAYAG - G. SCHIMT, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2005, 27-28).
    37 Ib., n. 16.
    38 Ib., n. 16.
    39 Ib., n. 16.
    40 Ib., n. 21.
    41 Ib., n. 18.
    42 Ib., n. 18.
    43 CEI, Il laboratorio dei talenti, n. 18.
    44 ODL, E-state in oratorio /1. L'esperienza educativa degli adolescenti negli Oratori Estivi e nei Cre-Grest lombardi, ILG, Bergamo 2007.
    45 Cf. CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 54.
    46 CEI, Il laboratorio dei talenti, n. 19.
    47 Cf. P. TRIANI, «Una rete per educare: condizioni essenziali», in Notiziario dell'Ufficio Nazionale per l'Educazione, la Scuola e l'Università 6(2007), 38-47.
    48 CEI, Il laboratorio dei talenti, n. 20.
    49 Cf. P. TRIANI, «L'animazione come metodo educativo», in Animare l'educazione, a cura di V. lori, Franco Angeli, Milano 2012, 13-20.

    (Da: Servizio Nazionale per la pastorale giovanile della CEI, I ragazzi dell’oratorio. Una rilettura della Nota dei Vescovi italiani, pp. 41-54)


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