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    Società sportive,

    oratorio e

    pastorale dello sport

    Claudio Belfiore

    (NPG 2009-05)


    Periodicamente in ambiente ecclesiale si ritorna a parlare di pastorale dello sport, con valide riflessioni e interventi illuminanti, dove si delineano orizzonti e modelli veramente convincenti. La prassi, tuttavia, spesso si riduce a una cessione più o meno disinteressata delle strutture e degli spazi parrocchiali o oratoriani. Come la voce del grillo parlante di collodiana memoria è risuonata la domanda a bruciapelo di un commercialista che mi ha chiesto: «Perché date le vostre strutture alle società sportive?». Ovviamente la risposta non poteva essere «per guadagnarci». È evidente che lo scopo di lucro, senza nulla togliere all’importanza dell’aspetto economico, non può essere il motivo qualificante l’azione pastorale della Chiesa in ambito sportivo. Quindi? Quali sono i motivi? Esplicito il punto di vista preciso, e quindi parziale, da cui prende avvio questa riflessione: non la pastorale dello sport in genere, che si rivolge anche ai grandi club professionistici, a tutte le discipline sportive e che è attenta agli eventi internazionali dello sport (le Olimpiadi, ma non solo). Punto di attenzione è la pastorale dello sport nelle nostre parrocchie e nei nostri oratori, nella quale siamo direttamente coinvolti tutti come comunità cristiana: laici, i genitori primi tra tutti, sacerdoti e religiosi.
    Altre domande ci possono aiutare per entrare nel cuore della questione: se non è il rapporto economico a qualificare la presenza di una società sportiva in parrocchia o in oratorio, in base a quali caratteristiche possiamo dire che risponde alla missione della Chiesa e della sua azione pastorale? Come e per cosa si qualifica lo sport in casa nostra?
    Inoltre, di che cosa si tratta quando si discorre di «sport educativo»? In cosa si distingue da quello agonistico?
    E, alla fine, lo sport ha una funzione specifica? Quale prospettiva presenta per la formazione integrale della persona?
    Quanto di seguito riportato trae spunto da molteplici riflessioni promosse dalla Chiesa italiana, codificate nel documento Sport e vita cristiana (SVC) del maggio 1995, cui hanno fatto seguito convegni e seminari (2003, 2006, 2007) promossi dall’Ufficio nazionale per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport (per i testi rimando al sito della CEI: www.chiesacattolica.it) e dalla prassi e dalla tradizione salesiana nel mondo dello sport.

    Alcune risposte «d’istinto»

    Alla domanda «come e per cosa si qualifica una società sportiva cristiana?» le prime risposte sono:
    – per il legame con la parrocchia e l’oratorio: non solo per l’utilizzo delle strutture, ma soprattutto per il riferimento alla comunità cristiana, un rapporto certamente non formale;
    – per la proposta formativa ed educativa che contraddistingue la società sportiva nella sua globalità;
    – per la qualità dei suoi dirigenti e allenatori, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche qualificati dal punto di vista educativo e cristiano;
    – e ultimo, ma non meno importante nel contesto attuale, per la presenza significativa e partecipante dei genitori.
    In un momento così delicato per le nostre comunità cristiane dobbiamo dare ragione del nostro impegno pastorale nel settore sport, sia come investimento di persone che di tempo. Dobbiamo dare ragione del perché manteniamo e spendiamo soldi per spazi e strutture sportive: le solite risposte, eppur valide, «togliamo i ragazzi dalla strada…», «utilizziamo le strutture altrimenti abbandonate», «ci garantiamo una seppur piccola entrata economica»…, non sono più sufficienti.
    Il già citato documento «Sport e vita cristiana» propone alcuni motivi di interesse pastorale. Al n. 7 scrive: «Anzitutto il gioco e lo sport sono attività profondamente umane… hanno un valore pedagogico e costituiscono una via immediata di educazione integrale della persona… Lo sport costituisce una delle matrici particolarmente significative della mentalità e del costume del nostro tempo…», e al n. 8: «La complessa realtà dello sport può essere pastoralmente considerata, per analogia, uno degli «areopaghi moderni»… nella prospettiva di una Chiesa missionaria… L’umanesimo cristiano non può che guardare con grande fervore a quanto di positivo emerge nello sport… Lo stesso umanesimo cristiano è vigile e coraggioso nel denunciare e rifiutare quanto di ambiguo e di negativo può contagiare il mondo dello sport».

    Per una valutazione dello sport educativo…

    Riporto in modo sommario alcuni elementi emersi nel corso del seminario organizzato dalla CEI nel dicembre 2006 «Tempo libero, turismo, sport in Oratorio» (i testi li trovi sul sito www.chiesacattolica.it).
    La opportuna e necessaria distinzione tra «gioco» e «sport», per poter discernere-verificare la loro portata «educativa». Il primo libero da vincoli oggettivi finalizzati al raggiungimento di uno scopo utilitaristico; è basato sulla spontaneità, creatività, espressività, gratuità; è divertimento, piacere di confrontarsi, gioia di stare insieme; è relazione ricca di comunicazioni amicali, di briosità, di estroversione. Lo sport, invece, è attività normata da regole proprie, organizzata in discipline specialistiche, ordinata da un arbitro, sostenuta da un apparato tecnico-atletico, finalizzata ad un risultato, evidenziata da agonismo competitivo, con supporti finanziari, con strutture federali, campionati, classifiche, ecc. È accompagnato da supporter, tifosi; crea una fedeltà (= fede calcistica!), un linguaggio, uno stile di vita, una cultura.
    Entrambi sono «educativi» se inseriti in un’intenzionalità educativa dichiarata e assunta in un itinerario di maturazione e di perfezione del soggetto. Sono valori relativi e non corrispondono a obiettivi di perfezione se non sono ordinati ad un fine più alto con l’intervento delle facoltà intellettive, cognitive e spirituali.
    Lo sport diventa educativo, offre una carica educativa, se è commisurato sull’uomo nella sua situazione generazionale (sport correlato con l’età evolutiva); se è collaudato su obiettivi di valore medio (condivisi, programmati, dichiarati) in relazione ai valori assoluti; se è attrezzato di strumenti atti a sviluppare le facoltà-doti-risorse-qualità proprie di ogni ragazzo (competenza dei dirigenti-allenatori-accompagnatori, strutture adeguate, ecc.); se è relativo ad altri essenziali impegni (religiosi, scolastici, familiari) che costituiscono l’asse portante della vita dei giovani; se è «guidato» da animatori (allenatori) ben motivati e consapevoli.
    Il criterio d’oro è: «Lo sport è per l’uomo e non l’uomo per lo sport» (cf SVC n. 12 che cita Giovanni Paolo II). Qui è apertamente indicata la centralità della persona rispetto a tutto il contesto sportivo, è chiarita l’imprescindibile relazione tra uomo e sport attraverso quel «per» decisivo e discriminante.
    Lo sport porta con sé un insieme di valori, articolati e complessi, con diversi livelli di profondità, affidati all’attenzione e alla cura di tutti gli operatori dello sport: sono costoro che, con competenza e abilità, possono rendere attuali le potenzialità educative e far parlare in modo nuovo il Vangelo del Dio della vita.

    Sport ed esercizio fisico-motorio.
    È il livello più elementare che mira allo sviluppo armonico dell’organismo corporeo e al suo benessere fisico; richiede una certa competenza specialistica che adatti gli esercizi alle differenziate tipologie dei soggetti.

    Sport e articolazione sincronica e volontaria tra mente (psiche) e corpo.
    Si attua per lo sviluppo della circolarità dinamica tra la sfera psichica della persona e la sfera organica, in modo rispettoso delle diverse condizioni dei soggetti e del grado evolutivo della personalità. Aiuta a coordinare l’intelligenza, la volontà, l’affettività, l’istintività con il movimento corporeo e a fondere in unità tutte le risorse personali, sperimentando, «in corpore vivo», l’unità psicosomatica della persona umana.

    Sport e conoscenza del «mondo interiore».
    Avviene attraverso il simmetrico riflesso del «gesto» tecnico-atletico nell’ambito del temperamento, della reattività, della carica conflittiva (emozioni, sensazioni, pulsioni, sentimenti, affettività, ecc. e loro contrari). È importante per lo sviluppo del controllo di sé, dell’ordinamento al fine sportivo di energie psichiche, di costruzione graduale del carattere. In tal senso lo sport rivela la struttura personale interiore e ne manifesta gli aspetti di «correggibilità» e di miglioramento.

    Sport e misurazione di sé in vista della riuscita personale.
    Si realizza la dosatura delle proprie capacità primarie (oggettive e creative) e la identificazione dei propri limiti al fine di potenziare l’impegno cognitivo e pratico per superarli e per esprimersi al meglio, attraverso l’accoglienza della «disciplina» sportiva. Lo sport in tal caso funziona come «radiografia» di se stessi e come stimolo di potenziamento continuativo di se stessi verso obiettivi possibili (il «successo» di sé).

    Sport e socializzazione-relazionalità mediata.
    Si struttura il rapporto con l’altro/altri rispetto ad un obiettivo da raggiungere insieme o rispetto al superamento competitivo dell’altro/altri (l’avversario); si costruisce il rapporto con l’adulto/autorità (arbitro, allenatore, dirigente) con cui fare i conti attraverso la sottomissione, l’obbedienza, la dipendenza, la collaborazione; la ricerca del consenso; l’assolvimento dei compiti nel progressivo passaggio dall’eteronomia all’autonomia; la collocazione nel gioco di squadra.

    … potenziale luogo di evangelizzazione

    Per queste ragioni lo sport può diventare «scuola di vita» e «palestra di virtù». Infatti non è difficile edificare su questi criteri/valori umani dello sport altrettante virtù cristiane, attraverso quel «circuito virtuoso» che qualifica la testimonianza evangelica e che si impernia sulla persona concreta. Ad esempio la gratuità del dono della vita (corpo-anima), il riconoscimento dell’atto creativo di Dio, l’ascesi e la disciplina, come via perfettiva di sé, la temperanza, il rispetto di sé e degli altri, e la pietà. Al riguardo di quest’ultima virtù, è interessante l’esortazione di San Paolo: «Esercitati nella pietà, perché l’esercizio fisico è utile a poco, mentre la pietà è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente come di quella futura» (Tim 4,8-9). La pietà è virtù religiosa ma non esclude la «pietas» umana che nello sport traduce altre parole, quali la gratuità, la magnanimità, la convivialità, la fraternità, e l’intero grappolo di virtù umane che fanno grande l’uomo di sport. Queste attitudini poi possono efficacemente e coerentemente edificare «un cittadino degno del vangelo» (Fil 2,3) che vive nel «mondo dello sport» la sua testimonianza di fede pubblica, secondo principi etici e civili di ineludibile riferimento.

    Alcuni punti qualificanti la pastorale dello sport in oratorio

    In questa parte dell’articolo emergeranno maggiormente i riferimenti alla tradizione salesiana e al sistema educativo di Don Bosco, dono dello Spirito Santo alla Chiesa e quindi tesoro non esclusivo dei salesiani, lasciando ad ogni operatore pastorale con la sua comunità cristiana il necessario compito di riattualizzare criteri, modalità, strategie e contenuti. Pur nelle evidenti differenze, ritengo sia proficuo rapportare idealmente l’azione pastorale nello sport a modalità pastorali in altri contesti, ad esempio l’iniziazione cristiana dei ragazzi nella forma del catecumenato o i percorsi di formazione del post cresima.

    La testimonianza educativa e cristiana di genitori, dirigenti e allenatori.
    Ogni azione pastorale ha delle persone precise a cui è affidato l’incarico, a nome e per conto della comunità cristiana. Le persone sono scelte, preparate, coordinate, accompagnate… Nello sport questo avviene molto di rado. È il primo punto qualificante, perché dice l’attenzione da parte della comunità cristiana, e non solo di qualcuno «appassionato» di sport: se nelle nostre comunità cristiane si respira l’aria di una Chiesa missionaria (SVC n. 8) con spirito educativo si può pensare al coinvolgimento di nuove figure in un contesto così popolato dai giovani e dalle famiglie delle nostre parrocchie.
    Il secondo passo è rendere accessibile anche agli operatori nello sport, come agli animatori e ai catechisti, un percorso di crescita interiore e spirituale, fatto di confidenza e familiarità con il Signore, coltivando un motivato spirito di servizio vissuto con gioia e impegno. Il primo servizio reso è quello del buon esempio.
    Il sistema preventivo di Don Bosco, che è metodo educativo, stile di vita e spiritualità che santifica, è il sistema della carità educativa: farsi amare più che farsi temere, volere il bene dei ragazzi e dei giovani, essere disposto a tutto per il loro bene, avere fiducia nei ragazzi e nei giovani e fiducia nel loro protagonismo educativo. Inoltre esso porta ad agire insieme, favorisce la disponibilità ad operare in equipe e in rete, perché ha di mira il giovane, vive lo spirito di famiglia anche nella collaborazione e nella condivisione educativa, perché rende anche consapevoli dei propri limiti.
    Nella formazione degli operatori pastorali è molto importante una preparazione globale adeguata, dove gli aspetti tecnici, fisici-motori, educativi e spirituali sono armonizzati in funzione del bene del singolo giovane e della squadra nel suo insieme. Inoltre, mentre per le competenze tecniche e fisico-motorie ci sono molte opportunità e adeguati strumenti, gli altri aspetti spesso sono lasciati alla libera iniziativa e sensibilità. Nei percorsi di formazione degli operatori pastorali si dovrà arrivare a offrire le medesime cure e attenzioni anche a coloro che operano nell’ambito sportivo.
    Certamente, come per tutti gli operatori del resto, ci sono momenti formativi che vanno vissuti insieme a tutta la comunità cristiana in cammino, altri sono propri e specifici.
    Tra le figure educative per nulla di secondo rilievo nel contesto sportivo ci sono l’arbitro, da ricercare e promuovere negli Oratori alla pari di un allenatore, e i genitori, da non coinvolgere in modo riduttivo solo come autisti e portaborse.

    La forza coinvolgente e trasformante dell’ambiente.
    Molta parte dell’educazione e dell’accompagnamento alla persona avviene attraverso l’ambiente, fatto di incontri con persone, di ricorrenze e opportunità, di momenti quotidiani e feste tradizionali: è un crescere in famiglia. Di qui il valore educativo e coinvolgente di esperienze legate all’anno liturgico e agli appuntamenti della comunità cristiana, così come le feste diocesane, i ritiri spirituali e la sensibilità missionaria. Se crediamo e diciamo che lo sport non è tutto, bisogna trovare il modo che ciò sia visibile e realizzabile: fa bene all’atleta partecipare ad iniziative extra sport, con i propri compagni di squadra e con gli allenatori e i dirigenti.
    La forza di un ambiente si esprime anche in una buona programmazione fatta di appuntamenti comuni, di convergenza e condivisione sui valori: in certo qual modo è frutto del patto educativo, della stima e della fiducia che si sono instaurate tra l’oratorio, la società sportiva, i dirigenti, gli allenatori, i genitori, gli atleti… I luoghi ufficiali di confronto e dialogo sono il consiglio pastorale parrocchiale e il consiglio dell’oratorio, vivificati da una presenza attiva e significativa.

    Uno stile che è anche metodologia.
    Ormai si parla molto di lavoro di equipe, lavoro di rete, di sinergie… Possono risultare delle metodologie moderne o delle necessità sociali data la complessità del fatto educativo. Non è forzato dire che lo spirito di famiglia, realtà in ogni comunità che si sforza di essere casa di comunione (Giovanni Paolo II), promuove un vasto movimento di persone attente all’educazione dei giovani: ci raduniamo, ci mettiamo attorno a un tavolo, ci sottoponiamo a rinunce e sacrifici per il loro bene.
    Trovando i giusti equilibri tra gli impegni personali, familiari e pastorali, bisogna promuovere e curare il lavoro insieme tra allenatori, dirigenti, genitori, sacerdoti e religiosi, senza dimenticare la preziosa collaborazione degli atleti stessi. Il lavoro di rete è la modalità con cui la società sportiva si rapporta con la famiglia dei ragazzi, con il catechismo, con i gruppi di fascia, con la scuola frequentata dai ragazzi.
    A conclusione di questa breve riflessione, riporto una mia sensazione e considerazione: l’aspetto più carente della pastorale dello sport è quello della dimensione comunitaria. Si vive una forma di isolamento da arcipelago, fatto di tante isole, sicuramente tutte belle, ma separate una dall’altra, con pochi spazi di confronto e di condivisione. Tuttavia, nel nostro contesto culturale è la dimensione comunitaria a qualificare e determinare l’agire pastorale in genere e la pastorale dello sport in particolare.


    T e r z a
    p a g i n A


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