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    Oratorio salesiano:

    alcune note conclusive

    Giovanni Fedrigotti

    (NPG 2002-02-76)


    Un convegno vario e stimolante

    Siamo alla conclusione del nostro convegno. Non pretendo – nè mi è stato richiesto – di fare sintesi. Unisco, semplicemente, alcune riflessioni mie, fatte in margine ai due convegni di questi giorni.
    Si è trattato di un autentico convegno internazionale, in cui sono state rappresentate le ispettorie-province salesiane di molte parti del mondo: Italia, Europa Centro/Est (Polonia, Slovacchia, Ucraina, ecc.), Medio Oriente (Siria, Egitto, Palestina, Israele…), Estremo Oriente (India, Vietnam, Giappone…), Africa (Madagascar): un piccolo segno della mondialità raggiunta dall’oratorio di don Bosco a 150 anni circa dalla sua istituzione. Il convegno, naturalmente, ha rappresentato specialmente le presenze della Regione Italia-Medio Oriente MOR, dove sono presenti 123 parrocchie (più 3 del MOR); 177 oratori (più 13 del MOR).
    È stato un convegno in cui ci si è espressi «a tuttocampo»: c’è stato un ampio scambio nazionale fra stili oratoriani alquanto diversificati. C’è stato uno scambio intergenerazionale fra maturi pionieri della vita oratoriana e giovani salesiani alle prese con le prime esperienze oratoriane. C’è stata un’ampia gamma di interazioni educative fra ispettori-direttori-parroci-incaricati di oratorio, fra membri della Famiglia Salesiana e laici – la loro presenza è stata qualificante per il convegno! – fra esperienze di quotidianità ed esperienze di eccezionalità, rette, tuttavia, dal medesimo criterio oratoriano, che era nel cuore della nostra riflessione. C’è stata anche una ricca interazione di stili e iniziative di animazione, proposte nei dopocena.
    Ci siamo chiesti: che cosa è stato, ieri, l’oratorio di don Bosco? che cosa è oggi? che cosa è chiamato a diventare? Azzardo, velocemente, qualche flash, per accompagnare la nostra progettazione.

    Un oratorio in rapida trasformazione

    Ad essa hanno contribuito numerosi fattori, che dobbiamo tenere presenti, per dare un giudizio equilibrato su quanto sta sotto i nostri occhi.
    Nel 1985 avevamo in Italia 1.000.000 di diciannovenni; nel 2005 i diciannovenni in Italia saranno solo 560.000. Certo, si tratta di una classe campione, ma appare chiara la disfatta di una società che vede dimezzati i suoi giovani nello spazio di un ventennio. Questo segna pesantemente i nostri oratori. La presenza salesiana nell’oratorio si è attenuata per la riduzione dei giovani salesiani, per l’avanzamento dell’età, per la concentrazione di compiti importanti sulle spalle di troppo poche persone.
    C’è stata una forte «virata» del «pianeta giovani», che ha assunto una nuova direzione espressiva, culturale, progettuale che costringe a ricomprenderli in modo nuovo. È cambiata la struttura scuola, che, diffondendo il tempo pieno ed allargando gli spazi di accoglienza degli allievi nelle strutture scolastiche, ha finito col ridurre i tempi oratoriani disponibili, e spesso anche i tempi di interazione e di vita familiare degli allievi. È nata, sul territorio, una ricca rete di proposte educative e di educatori flessibili e disponibili – ma spesso anche ben professionalizzati – i quali – attraverso associazioni, cooperative, enti locali, ecc. – allargano notevolmente la proposta educativa fino a proporre, in taluni casi, autentiche attività oratoriane alternative.
    In queste condizioni, come possiamo progettare i nostri oratori? Il convegno ha fornito numerose risposte. Ne sottolineo alcune.

    Alcuni tratti che meritano attenzione

    * L’Oratorio è una comunità educativa – fatta di SDB, di membri della Famiglia Salesiana, di laici salesianamente motivati – capace di dare origine ad una progettazione complessa (cf i contenuti e i lavori fatti dagli otto laboratori...), per giungere ad una meta unitaria irrinunciabile, per don Bosco e per noi: l’onesto cittadino e il buon cristiano, il figlio dell’uomo e il figlio di Dio.
    Normalmente, parrocchia e oratorio sono gestiti da un’unica CEP, per ovvie ragioni di unità progettuale ed operativa, oltre che territoriale. Una CEP progettante non può vivere di rimessa, se così si può dire, lasciandosi troppo condizionare da scelte fatte altrove (regione, ente locale, Asl, ecc.) per altre ragioni (legittime, ma non dirimenti). I finanziamenti eventuali connessi ad un progetto sono un elemento interessante, da tenere in conto, ma non possono essere l’elemento determinante delle scelte. Si tratta di un’attenzione che non pare inutile richiamare nell’Italia di oggi. Invitati da Giovanni Paolo II a proporre una «misura alta della vita cristiana ordinaria» e a riscoprire «una vera e propria pedagogia della santità» (NMI, n.31), non dobbiamo essere troppo esitanti nel proporre ai giovani sfide coraggiose, in direzione delle persone (divine e umane) e dei valori, che danno senso alla vita. In un clima d’amore e di rispetto per la libertà del giovane, ad opera di persone di cui si conosce l’amore oblativo e la fedeltà, nel seno di una comunità che non smentisce la grande sfida che si vuol lanciare, tutto questo può essere fatto.
    * L’oratorio è uno spazio segnato da un pensare positivo nei confronti dei giovani. Esso ispira un linguaggio di speranza, a fronte di troppi profeti di sventura e di disperazione, che creano attorno ai giovani un’aria irrespirabile ed asfissiante. Vede nei giovani, anzitutto, una risorsa su cui puntare in vista del futuro. Li apprezza, anche se scomodi, come portatori di una indispensabile novità, più ricca di futuro che di passato e di presente. Riconosce e provoca la libertà di chi vede nell’oratorio un luogo per essere, «contemporaneamente dentro e fuori» – con comprensibile sconcerto dei bravi animatori – fino a trasformarlo in un luogo in cui è bello «essere per», scoprendo come e con chi e per quale causa giocarsi la vita.
    * L’oratorio è luogo in cui i giovani trovano un ascolto, così attento ed appassionato da riaccendere continuamente la creatività, in risposta ai loro bisogni. Questo è stato lo stile che ha segnato l’inizio dell’oratorio di Valdocco. Don Bosco fu uomo in perenne ascolto, per diventare perennemente creativo. Anche oggi i migliori oratori si presentano come grembi sempre fecondi, cantieri sempre aperti per costruire la «casa sempre nuova», di cui i giovani hanno bisogno: una casa «su misura di ragazzo», programmata con «spazi vivibili per loro». È un ascolto siffatto che porta gli animatori dell’oratorio ad articolare la loro proposta educativa in una gamma che va dalla larga accoglienza, alle offerte educative-espressive-sportive, che rispondono a molteplici interessi, a quelle culturali, formative, religiose, ecc. Si tratta di una gamma di offerta che configura un disegno a piramide, con una base larga e un volume che si restringe e riduce a mano a mano che si sale: generose appaiono le offerte ricreative-sportive-espressive; più esili quelle culturali, formative, religiose... È ancora l’ascolto che rende l’oratorio recettivo degli elementi di novità, che emergono dalla storia dei giovani e dal territorio, proponendoli alla riflessione ed elaborazione dell’équipe educativa (quali i drammi della immigrazione giovanile, le esperienze fuori dai cancelli, il dialogo interreligioso giovanile-oratoriano, rapporto fra educatori di strada e di oratorio, rapporto fra volontariato oratoriano ed educatori stipendiati, dinamiche oratoriane a confronto di schegge giovanili emarginate o violente, ecc.). Ogni oratorio possiede allora un modulo o una sezione, che potremmo definire il laboratorio dell’innovazione, che meriterebbe un confronto più sistematico anche a livello nazionale.
    * L’oratorio è clima in cui l’esigua fiamma, che palpita nel cuore dei giovani, cresce fino a diventare roveto ardente, che brucia, ma non si consuma, perché il suo nome è «fedeltà» (patos e logos, ci ha detto Mons. Chiarinelli). Essa è il distintivo di chi riceve in missione l’oratorio, che cresce attraverso l’umile e tenace fedeltà della presenza dell’educatore. Questa fedeltà riguarda anche i nostri animatori. Avremo notato che nella ricostruzione di Francesco Motto i gruppi impegnati all’oratorio di don Bosco erano 12 (più un tredicesimo che operava ad extra). Lì sta l’anima dell’oratorio, la cui fedeltà diventa sua vita. Ma l’impegno riguarda anche tutti i giovani, per i quali fedeltà vuol dire responsabilità e capacità di impegnarsi in un progetto di vita credibile: essa regge i matrimoni riusciti, le vocazioni religiose serene e perseveranti, i cristiani maturi. Essa deve crescere fino a formare «il prete alla don Bosco» – il salesiano di fatto o in voto – uomo votato alla incandescenza della carità (secondo i due atti fondazionali del 1854 e del 1859, che troviamo ricordati nelle camerette di don Bosco).
    * L’oratorio è un progetto che ha il coraggio delle preferenze. Questo indica che la nostra scelta va di preferenza all’ambiente popolare dei giovani, ai più poveri (che sono spesso immigrati diversi per cultura, lingua, religione, ecc.), all’accoglienza dei giovani lavoratori (con essi don Bosco ha cominciato ogni cosa!). La nostra preferenza va all’oratorio «aperto», il più possibile, in orari e requisiti. La prassi salesiana è sempre stata di accogliere tutti... coloro che accettano il nostro progetto educativo o almeno non lo combattono, facendo male a sé e agli altri. La nostra accoglienza è sempre promozionale.
    Dice «vieni», ma dice anche «cammina», «alzati», «rialzati» «non lasciarti andare». Alzati e cammina, diceva Gesù. Vieni e cresci, dice l’Oratorio. L’esperienza ci ha insegnato che quanto più il cortile è folto di animatori, tanto più l’oratorio salesiano è capace di accoglienza. Quanto più è povero di presenza e di animazione, tanto più devono essere invalicabili le barriere, densi i filtri, scoscese le scale che portano ai cortili... Uno sguardo complessivo ci permette di cogliere un’altra preferenza, chiamata a colmare una vistosa carenza, presente a livello nazionale: quella dell’offerta culturale (anche nell’ambito della fede), dell’impegno e della riflessione sociale, dell’educazione all’amore e alla responsabilità familiare. È un campo in cui appare urgente l’impegno degli oratori, anche in considerazione del basso profilo di cultura sociale, familiare e politica, che si riscontra nell’attuale cultura italiana. Occorre che l’oratorio incoraggi ancora il giovane a riflettere, ad essere critico, a prendersi a cuore l’approfondimento e il confronto sulle grandi questioni etiche, sociali, politiche (nell’ampio senso greco del termine, che non permette di limitarlo a beghe di partiti o a interessi di bottega!).
    * Oratorio è umiltà e tenacia nella formazione. Dai laboratori – proprio da tutti, se non vado errato – [1]e dai gruppi di riflessione si è levata un’insistente domanda, che evidenzia il bisogno di maggior formazione salesiana, per plasmare un cuore oratoriano, che sia culturalmente avvertito, oltre che salesianamente motivato.
    Ciò ne farà un cuore meno esposto agli infarti e all’aritmia. Una tale formazione va irrobustita durante la fase della formazione iniziale, e tradotta in iniziative ed abitudini di autoformazione e di formazione permanente. Essa vale per tutti, ma è particolarmente preziosa per i giovani salesiani, all’inizio del loro cammino di preparazione apostolica, specie in ambiti quali il significato e le modalità della presenza in oratorio, l’equilibrio nei confronti della concorrenza tecnologica che erode i tempi di servizio oratoriano, le modalità e la proporzione del rapporto fra educatore-singolo, educatore-gruppo, educatorecortile, educatore-massa giovanile, ecc. Lo stesso va detto con forza per tutti gli animatori oratoriani, chiamati ad essere non già dei faccendieri tuttofare, ma educatori in senso forte, alla don Bosco.
    * L’oratorio è il nodo di una rete collegata alla comunità e alla Famiglia Salesiana, al mondo e alla missione, alla Chiesa ed alla famiglia, al gruppo giovanile e al centro culturale, alla scuola e all’ente locale. Certo, per mantenere tutti questi link non basta un salesiano. Ma una comunità educativa, la presenza di un laicato motivato, un consiglio d’oratorio non formale ma operante possono rispondere alla sfida.

    Conclusione

    Usciamo da questo convegno alquanto affaticati, non solo per i ritmi piuttosto serrati, ma anche perché ci troviamo sulle spalle una bisaccia piena zeppa di potenzialità, che stentiamo a portare. La bisaccia si fa più leggera non appena l’una o l’altra di queste potenzialità viene individuata e tradotta in attuazione ispettoriale, locale, personale.
    Abbiamo riflettuto su molte cose, ma in vista di farne almeno alcune. Abbiamo percorso l’intera gamma delle prospettive e delle possibilità, ma solo per poter muovere uno o più passi concreti, commisurati al nostro oratorio e alla sua storia. Incoraggiandoci, don Bosco ci dice: «Se non si può compiere tutto l’alfabeto, ma si può fare ABCD, perché tralasciare di fare questo poco?».[2] Questo convegno ha dato un contributo per educare la facoltà dell’attenzione, sull’orma di don Bosco, uomo di straordinaria attenzione ai giovani, perché animato da incessante amore per loro. In fondo – notava Simone Weil – educare significa formare la facoltà dell’attenzione.

     

    NOTE

    [1] Cf i comunicati Stampa relativi ai Convegni che sono reperibili in “www.donbosconews.it /Speciale Oratorio”.

    [2] Citato in CG23, n. 300.

     


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