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    L'oratorio salesiano

    tra memoria e profezia

    Juan E. Vecchi

    0. Una nuova domanda

    Una voglia di Oratorio percorre le chiese italiane. Fatti recenti in alcune diocesi e programmi per l'immediato futuro in altre lo confermano. Riscoperta tardiva, ultima speranza di ristabilire il contatto con la «massa dei ragazzi» o risposta ad una nuova domanda educativa?
    Le cause sono molteplici. La formula «Oratorio» ha l'autorevolezza di -un lungo rodaggio e ha beneficiato di successive trasformazioni che l'hanno mantenuta aggiornata pur con momenti di ristagno e recessione. La pastorale cerca un aggancio con quei giovani più o meno lontani che ancora conservano un certo riferimento alla chiesa o alla dimensione religiosa e scorge nell'Oratorio uno spazio di convocazione più largo di quanto non lo siano il servizio religioso, la catechesi parrocchiale, i gruppi e le associazioni ecclesiali.
    Non sono estranee a questo interesse le famiglie, praticanti e non, alla ricerca di luoghi di socializzazione umanamente e culturalmente affidabili, per far fronte al problema del tempo libero dei figli. I giovani medesimi, giunti a un certo grado di consapevolezza sociale, si orientano verso gruppi dove è possibile maturare rapporti e iniziative che li inseriscano attivamente nella vita della comunità umana. Questa, d'altra parte, sentendosi corresponsabile del proprio ambiente totale, fisico e umano, valorizza tutte le modalità di incontro che tendano a soddisfare domande sentite nel territorio e a favorire la partecipazione.
    C'è, dunque, un incrocio di attese ecclesiali, educative, sociali e giovanili. Alcuni cercano di rispondere rimettendo in sesto l'istituzione tradizionale con gli accomodamenti richiesti dal nuovo modo di concepire la presenza della Chiesa nella società e il suo riscontro più concreto e limitato che è la presenza della comunità cristiana nel territorio.
    Altri vedono difficoltà sostanziali nella formula ereditata per coinvolgere il nuovo soggetto giovanile, più adulto, meno disponibile alle apparenze, più bombardato da offerte. Tentano allora iniziative interessanti, talora troppo settoriali e si orientano verso i gruppi che rispondono a interessi, o verso «momenti» significativi (cfr. scuole di preghiera, case di spiritualità).
    È presto tuttavia per dire se le attese espresse da diverse parti sono state lette dalla medesima prospettiva e con gli stessi codici. Risulta quindi difficile verificare se il rilancio delle diverse «formule» va nella direzione dell'attuale domanda educativa, umana e cristiana. Ciò emergerà dalla prassi piuttosto che dall'enunciazione di intenzioni o proclami dettati da buona volontà e, dunque, da appoggiare con cordiale solidarietà, ma non sufficienti per assicurare la validità della proposta.
    Saranno da chiarire il posto e le finalità proprie dell'Oratorio nell'insieme della pastorale e, in particolare, tra le diverse articolazioni e vie della pastorale giovanile come l'attenzione religiosa ordinaria, i gruppi e movimenti, le istituzioni educative con obiettivi limitati, il contatto coi lontani...
    In questa mobilitazione e in questo incrocio di interrogativi, l'aggettivo «salesiano», indicativo del nostro contributo specifico, non è irrilevante né di poco conto. Don Bosco, secondo il parere unanime degli studiosi, assunse una istituzione esistente e la modellò conforme ai bisogni dei giovani a cui si rivolgeva e secondo la propria genialità o carisma. Ciò ebbe incidenza definitiva non soltanto sulla organizzazione esterna dell'Oratorio (attività, strutture...), ma plasmò il suo stile e la sua fisionomia interna. A questa trasformazione don Ceria dedica un capitolo degli Annali (cfr. vol. I, cap. LIX), riportando la valutazione di don Bosco sugli Oratori esistenti: «dal loro esame vide che non erano più per i nostri tempi». E ne indica le ragioni: «Oltreché stavano aperti solo qualche ora del mattino o della sera, non si ammettevano se non giovanetti di buona condotta,presentati dai loro genitori con l'obbligo di ritirarli, se non si comportassero bene; dove si radunavano i biricchini presso ospizi di discoli, si usavano modi polizieschi sia per spingerli che per trattenerli. Egli invece partiva da tre concetti diametralmente opposti. L'Oratorio doveva riempire tutta la giornata festiva, doveva aprire le porte al maggior numero possibile di ragazzi, doveva essere governato con autorità paterna» (cfr. commento in «Elementi e linee per un progetto educativo pastorale negli Oratori Centri giovanili salesiani», Dicastero di Pastorale Giovanile, 6-8).
    Ma se don Bosco 'diede forma originale all'Oratorio, questo a sua volta fece diventare prassi pastorali quella carità che l'aveva spinto verso i ragazzi. E così l'Oratorio plasmò l'identità, lo spirito e la pastorale salesiana. Ce lo ricorda l'articolo 20 delle Costituzioni: «Guidato da Maria che gli fu Maestra, Don Bosco visse nell'incontro con i giovani del primo oratorio una esperienza spirituale ed educativa che chiamò sistema preventivo... ce lo trasmette come modo di vivere e di lavorare per comunicare il Vangelo e salvare i giovani con loro e per mezzo di loro. Esso permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti personali e la vita di comunità, nell'esercizio di una carità che sa farsi amare».
    Il salesiano è, dunque, un «tipo da oratorio» e corrisponde ad una vocazione personale, in grado di capire e gestire una modalità tipica di risposta oratoriana. Anzi essa informa con lo stile oratoria-no altri ambiti di interventi (cfr. C. 40). È giusto perciò, all'inizio della riflessione, chiarire che studiare l'Oratorio salesiano non significa verificare tecnicamente la validità di una istituzione generica, ma risalire ad un carisma originale, collocandosi nella prospettiva della vocazione salesiana, della missione salesiana, dello spirito salesiano, della pastorale salesiana.
    Le Costituzioni raccolgono in maniera stringata la nostra memoria sull'Oratorio attorno a quattro riferimenti «casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria» (C. 40).
    Durante la vita di don Bosco il suo sviluppo ha un percorso tipico: comincia con una scelta pastorale, quella di dedicarsi ai giovani rivolgendosi in primo luogo e principalmente ai più poveri. Ne seguono incontri personali che danno origine a un gruppo sempre più largo di ragazzi. Quando il gruppo diventa numeroso si sente il bisogno di un luogo materiale in cui radunarsi e svolgere le proprie attività. La sistemazione degli ambienti, la progressiva articolazione di iniziative varie (pensionato, laboratori, scuole) e l'organizzazione delle responsabilità in appositi regolamenti corona il processo. L'Oratorio diventa allora un complesso centro giovanile che mette in programma anche particolari attività domenicali. Donde la distinzione tra l'Oratorio di San Francesco di Sales e l'Oratorio festivo (cfr. Annali, I, cap. LLX e LX).
    La storia passata e presente della Congregazione registra Oratori-Centri giovanili nei quattro stadi suddetti: quello della ricerca e incontro libero con giovani e gruppi, quello della progressiva formazione della comunità giovanile, quello della maturazione di un programma vario e articolato, quello della sistemazione definitiva delle attività, strutture e ambienti; tutto dipendendo dal contesto, dai soggetti e dalle possibilità concrete degli operatori.
    Si può far memoria e progettare il futuro richiamando soltanto uno di questi momenti: quello eroico e creativo degli inizi, quello della realizzazione congiunturale, quello dell'organizzazione completa. Però se non si colgono tutti insieme, si stenta a capire non soltanto lo spiri- to, ma anche le caratteristiche strutturali e operative dell'Oratorio sale- siano. La sua fisionomia infatti riflette la genesi non soltanto come antecedente storico, ma anche come dinamismo permanente.
    Il carattere dinamico dell'Oratorio salesiano ha dato origine però ad una diversità di realizzazioni che sovente trova una nelle giustificazione nelle domande giovanili del contesto; ma non poche volte scaturisce da interpretazioni personali rese possibili da un certo disimpegno
    istituzionale riguardo a un progetto consistente, garantito dalla preparazione e dalla permanenza del personale incaricato di animarlo.
    La prima e più grossa conseguenza di questo processo è la separazione e la marginalità dell'Oratorio-Centro giovanile riguardo ad altre opere salesiane operanti nel medesimo spazio. Da quell'unità e articolazione originale che ricorda l'articolo 40 si è passati alla settorializzazione con detrimento dell'immagine globale dell'opera salesiana.
    Ma una volta operata questa vivisezione, gli Oratori-Centri giovanili tendono a prendere configurazioni diverse. Nascono così gli Oratori «ludici-sportivi», e, per reazione, quelli «catechistici», quelli «associazionistici», quelli «movimentisti del quartiere», quelli che si propongono «casa della comunità».
    In un'altra sfilata di modelli vengono presentati «l'oratorio-contenitore che traborda di iniziative scollegate e avulse da un progetto unificante. L'oratorio-palestra che ruota ai ritmi degli allenamenti sportivi. L'oratorio-dancing, tutto festa, complessi e musica. L'oratorio-cenacolo chiuso nel giro di pochi intimi sintonizzati su pratiche devozionali. L'oratorio-weekend che soddisfa variamente l'annoiato fine settimana della gioventù bene. L'oratorio-frittomisto che miscela confusamente attività e spiritualità attinte all'AGI, ai GEN, a CL, all'AGESCI, alle AGLI, a MCL. L'oratorio-bronx di chi vuole imporre la legge del più forte. L'oratorio-azienda che articola cinema, teatro, sala giochi inzeppata da flipper e videogames per esaltare l'effimero, purché ci sia un congruo rientro finanziario» (Bollettino Salesiano, gennaio 1988: A cent'anni l'oratorio è sempre una scommessa).
    Le caricature mostrano l'ipertrofia di un tratto a scapito degli altri; ci fanno capire il rischio, reale o possibile, che l'identità originale venga travisata sotto la pressione di tre fattori: l'impressione che l'attuale realizzazione stia perdendo validità, i tentativi individuali di recuperare il «salvabile», la mancanza di un progetto ripensato e gestito comunitariamente.
    La relazione vorrebbe fare «profezia» riproponendo l'immagine totale «dell'Oratorio-Centro giovanile» e stagliando le caratteristiche del suo momento più genuino, quello del contatto spontaneo, libero, amichevole, partecipativo.
    Per questo offre alcuni spunti (soltanto alcuni!) su quattro nodi:
    – L'Oratorio salesiano è una «missione aperta» nel continente giovanile.
    – con un «ambiente» di riferimento e irradiazione,
    – che si propone la «salvezza» dei giovani,
    – accogliendo ed evangelizzando la «loro vita».

    1. L'Oratorio salesiano «missione aperta» nel continente giovanile

    Don Bosco ha avuto nei giovani poveri e abbandonati il primo e sostanziale riferimento per la sua vocazione.
    La missione affidatagli non consisteva nell'inserirsi, fosse anche con novità di impostazione, in una determinata istituzione pastorale, ma raggiungere i giovani con un intervento di salvezza.
    Sapeva che un oratorio poteva essere «parrocchiale», gestito dalla parrocchia e rivolto ai giovani che ne facevano parte. Ma stabili il suo appellandosi direttamente ai bisogni dei giovani, senza titoli di giurisdizione canonica, spinto e autorizzato dalla carità e dal sacerdozio ricevuto.
    Potendo collocarsi all'interno delle istituzioni pastorali esistenti, con le relative indiscusse competenze su determinati soggetti e aree di azione, scelse di rivolgersi «ai giovani che non avevano parrocchia e non sapevano a quale parrocchia appartenessero». Ebbe coscienza di essere inviato direttamente a loro, di essere missionario dei giovani.
    La relazione non consente di ripercorrere la discussione coi parroci e riesaminare gli argomenti che si approntavano in favore dell'Oratorio inquadrato nella parrocchia e di quello aperto senza confini sul fronte giovanile, fino al riconoscimento dell'arcivescovo che «autorizzava» l'operare di Don Bosco come valido complemento dell'azione pastorale là dove la chiesa «organizzata» non riusciva ad arrivare.
    L'Oratorio salesiano nasce diverso dagli altri: non come una sede per proposte «di servizi normali» per chi ne volesse approfittare; ma come una ricerca per le strade, le botteghe, i cantieri. Si colloca in un ambito umano e sociale piuttosto che in una giurisdizione territoriale. È una scelta di determinati soggetti prima che una programmazione di contenuti e attività. Se questi soggetti non si avvicinano bisogna, come prima mossa, uscire loro incontro: non dare per scontato che verranno se la proposta è oggettivamente valida secondo il parametro comune.
    Dall'incontro con questi soggetti nascono i programmi. Ciò influisce sullo stile dell'Oratorio e sul suo inserimento nella pastorale generale. I soggetti scelti infatti sono gli «ultimi» e, a partire da essi, tutti. Per questo e per il suo riferirsi direttamente alle urgenze dei giovani poveri anziché a titoli e strutture canoniche, l'Oratorio di don Bosco venne ad essere «marginale» dal punto di vista istituzionale, mentre fu emergente dal punto di vista della «significatività». Si trovò al centro dell'interesse sociale tanto e più di quello ecclesiastico, e divenne Lina iniziativa allo stesso tempo religiosa e secolare, un'espressione di carità pastorale e di solidarietà umana.
    Secondo una valutazione di Pietro Stella «Don Bosco si trovò in contrasto con i parroci, specialmente con quelli che maggiormente sentivano attraverso il loro territorio la sua forza attrattiva, che sottraeva dalle loro strade, sotto i loro occhi, ragazzi e giovanotti per riunirli a Valdocco, o negli altri due oratori da Lui diretti» (Stella Pietro, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, LAS, 1979, vol. I, p. 116).
    L'Oratorio di don Bosco appare così come un'iniziativa senza confini, come un movimento verso i giovani per incontrarli lì dove essi si trovano fisicamente e psicologicamente. Risulta universale come la volontà salvifica di Dio. Il movimento è sempre verso le frontiere e i margini religiosi, sociali e umani, con lo sguardo rivolto a coloro che le istituzioni regolari non prendono in considerazione, senza escludere, anzi invitando gli altri. È per tutti, non rivolto agli speciali dal punto di vista dell'eccellenza o della devianza, ma al povero comune nel quale sono vive le risorse per accogliere una proposta di recupero e crescita.
    La missionarietà non si riferisce soltanto ai soggetti, ma anche alla società. Attraverso l'intervento nel vivo di un problema sociale fortemente sentito, don Bosco mise in nuova luce la missione della comunità cristiana nella convivenza umana. Le sue espressioni riguardo alla forza della religione sui soggetti, sulle motivazioni degli educatori e sulla riforma della società, rivelano il tipo di messaggio che proponeva a tutto il contesto sociale.
    Questa è «memoria». Il tratto missionario che appare così nitido nelle origini dell'Oratorio e che si appanna in successive realizzazioni, provoca alla riflessione in alcune direzioni.
    Una prima riflessione riguarda il «tipo» di destinatario sulla misura del quale bisogna pensare oggi l'Oratorio e, a partire dal quale, aprirlo a tutti. C'è l'invito della chiesa a partire dagli ultimi; da coloro che sono rimasti fuori dai circuiti normali di evangelizzazione e di attenzione educativa. Sono i lontani. «Sul fatto della loro consistenza numerica non ci sono dubbi. Appare evidente nei dati sulla «assistenza» domenicale, sulla catechesi e persino sul battesimo e prima comunione. Il numero di giovani raggiunti dalle iniziative ecclesiali costituisce una percentuale insignificante sulla totalità dei soggetti. Una valutazione non uguale, ma certamente «analoga», si può fare riguardo alle istituzioni educative, visto l'andamento della marginalità giovanile.
    «Il fenomeno è stato oggetto di riflessioni approfondite e di accurate distinzioni. Ci sono i «lontani» da quelle preoccupazioni etiche che potrebbero costituire una base di dialogo; quelli che hanno perso l'interesse per la dimensione religiosa; quelli in cui il messaggio cristiano rientra nel generico del pensiero religioso; quelli che non si riconoscono affatto nella chiesa; quelli che, pur riconoscendosi in essa, non frequentano più. Non pochi di loro non si sono allontanati: sono semplicemente nati in un «altro continente culturale», hanno assimilato un «altro linguaggio», sono cresciuti in «altri ambienti», hanno sviluppato «altre appartenenze». Per loro la chiesa, e quindi il Vangelo, è stata più notizia giornalistica che annunzio ed invito. Il richiamo ad una nuova evangelizzazione è dunque più che mai giustificato anche per ciò che riguarda i giovani» (D.J. Vecchi, Raccontare il Vangelo della felicità ai giovani lontani, NPG, gennaio 1988).
    L'Oratorio non è né un cenacolo per i migliori né una sede per il ricupero di coloro che versano in gravi devianze. Si costruisce sulla misura di «questo» ragazzo-giovane comune, categoria a cui appartiene oggi il più grande numero. Da questa scelta si apre a urgenze più particolari nella misura in cui l'ambiente lo consente e la comunità si è resa capace di dare soluzioni a questi bisogni attraverso iniziative specifiche e articolate.
    La domanda sui soggetti riguarda anche il problema dell'età. L'Oratorio nato per i ragazzi fino all'adolescenza, sente oggi la necessità di adeguare le sue proposte alla gioventù non soltanto per la diminuzione demografica, ma soprattutto per l'allargamento dell'età giovanile e del periodo educativo. È infatti nell'età giovanile dove appaiono oggi i fenomeni più preoccupanti di abbandono, i rischi più gravi di emarginazione e anche le manifestazioni più interessanti di impegno e coinvolgimento.
    Un'altra serie di riflessioni riguarda la «missionarietà» sia degli Oratori parrocchiali sia di quelli che servono ad un'area più vasta. In chiese, come quelle di oggi, che si sentono comunione di energie apostoliche e di carismi, la distanza tra marginalità istituzionale e significatività carismatica dovrebbe essere superata o accorciata di molto. In comunità cristiane che sanno di essere missionarie nella comunità degli uomini, l'attenzione ai lontani dovrebbe essere un impegno di tutta l'azione pastorale e non soltanto di «pionieri» solitari.
    L'inserimento dell'Oratorio in una pastorale organica sembra dunque non soltanto possibile ma raccomandabile. Tuttavia come l'Oratorio non può esaurire tutte le possibilità di pastorale giovanile di una o più parrocchie, così l'azione parrocchiale non potrà inquadrare tutte le possibilità di un Oratorio. Questo sarà sempre un'iniziativa alle frontiere, nel punto di incontro tra comunità cristiana e società civile: una presenza dei cristiani tra la gioventù e un'iniziativa di evangelizzazione della comunità ecclesiale.
    I salesiani sono chiamati a mantenere i due poli della tensione: essere missionari oltre le parrocchie, operare entro la comunione ecclesiale piuttosto che soltanto entro i limiti di una circoscrizione pastorale, diventando sensibilizzatori delle comunità e dei pastori riguardo alla condizione giovanile e ai problemi che ne emergono.
    C'è infine la questione pratica di come attualizzare oggi quella ricerca dei giovani così caratteristica dell'Oratorio di don Bosco.
    Il contatto «fuori le mura» è indispensabile. Molti Oratori lo sviluppano rafforzando la propria capacità di convocare con la presenza in quelle sedi in cui confluisce gioventù. Ma il punto fondamentale è riuscire a collocarsi psicologicamente e pastoralmente nel vivo dei problemi in cui i giovani meno favoriti si dibattono.
    Il «territorio» diventa allora un riferimento obbligato e un punto di attenzione preferenziale come «campo di rilevamento» e come spazio di lavoro, ma anche come soggetto agente che ci permette di raggiungere i giovani e in forma più totale. Oltre alla presenza nelle sedi in cui si trattano problemi giovanili e al confronto con le agenzie che si occupano della formazione dei giovani, non è da escludere l'incontro diretto con i gruppi giovanili spontanei o la presenza nella strada mediante salesiani e animatori.

    2. La missione ha un «ambiente di riferimento e irradiazione»

    La missione aperta si esprime e si concentra in un ambiente, anche se non si limita ad esso. Se non ci fesse l'ambiente diventerebbe problematico, se non impossibile, sviluppare programmi consistenti di recupero e crescita; ma se l'Oratorio si rinchiudesse nel proprio ambiente, la sua missionarietà svanirebbe, diventando così un normale servizio di «mantenimento» religioso. L'ambiente è allora la base dove si opera, da dove si parte e verso cui si confluisce.
    Il significato di ambiente è composito. Comporta diverse componenti e relative attenzioni. La mentalità odierna ci aiuta a cogliere il suo significato globale, l'insieme completo ed equilibrato di fattori che favoriscono la qualità della vita.
    Don Bosco intuì la sua importanza sin dai primi incontri con i ragazzi nel carcere e per le strade, ne studiò accuratamente le condizioni per la crescita dei giovani e lo codificò attraverso molteplici indicazioni.
    Il primo riferimento per definire l'ambiente è quello umano: l'ambiente è costituito da una comunità e un tessuto di rapporti personali in cui ci si inserisce perché ci si sente riconosciuti, accolti e valorizzati in quello che si è e per quello che si ha attualmente.
    Don Bosco creò un ambiente quando non aveva ancora sede stabile, né chiesa, né scuola. Fu la comunità giovanile «nomade» «in gita domenicale», che rivestiva già caratteristiche peculiari: desiderava trovarsi con lui e condividere momenti di giochi e compagnia.
    La comunità ha una fisionomia propria, un'organizzazione, delle finalità. Consiste nella comunicazione spontanea favorita, nella corresponsabilità partecipata, nel coinvolgimento in obiettivi conosciuti, chiariti e accettati.
    La memoria ci ricorda i punti forti di questa trama: il direttore, il quale piuttosto che un organizzatore di cose, è colui che ha un'attenzione particolare per ogni persona, conosce i problemi giovanili e sa parlare «al cuore» dei giovani proprio sulla loro vita. Insieme a lui ci sono gli adulti, qualificati per portare i giovani attraverso un itinerario di crescita mediante il contatto informale, l'amicizia, le attività (assistenti, catechisti, «invigilatori di giochi»...).
    L'ambiente non si presenta dunque come risultato di un semplice affluire di giovani, un «porte aperte» in cui si mettono a disposizione spazi e cose; ma come un complesso di incontri significativi con «storia» e un assumere qualche cosa in comune.
    In questa comunità i giovani piuttosto che invitati a fruire delle iniziative preparate dagli incaricati dell'opera e dei rapporti costruiti tra gli adulti su loro misura, sono componente principale. La loro partecipazione non marginale dà il volto alla comunità: è un elemento della sua identità.
    Proprio per questo parliamo di un ambiente giovanile: non soltanto destinato ai giovani, quanto costruito da loro con l'aiuto degli educatori. La comunità viene ad essere così quello spazio umano in cui circolano le proposte elaborate con il contributo proprio di ciascuna età ed esperienza di vita. Essa accoglie e invita. Accoglie con gesti concreti e personali chi si avvicina anche solo per curiosità. Invita tutti, particolarmente quelli in cui scorge un bisogno di aiuto o un desiderio di ricerca.
    L'ambiente richiede una sede, un luogo fisico adeguato in cui dare volto alla comunità giovanile. Valdocco è stato l'approdo lungamente desiderato da don Bosco, in cui cominciò l'assestamento dell'Oratorio. Un luogo di aggregazione e di espressione giovanile è elemento indispensabile del sistema ecologico esigito dalla concretezza. Esso sta alla comunità come la casa sta alla famiglia.
    L'ambiente così costituito, comunità-organizzazione-spazio-programma-struttura, ha una caratterizzazione. È cristiano. Lo si sa collegato alla comunità ecclesiale, di cui è mediazione. Lo dicono i segni, i gesti della comunità e alcune esigenze ragionevoli di atteggiamento e comportamento. Don Bosco espresse queste esigenze nel suo regolamento, senza per questo porre limiti all'apertura massima: «Tutti vi possono essere accolti senza eccezione di grado o di condizione... non importa che siano difettosi... anche i giovani discoli possono essere accolti... è rigorosamente proibito bestemmiare, fare discorsi contrari ai buoni costumi, o contrari alla Santa Cattolica Religione... chi commettesse tali mancanze sarà paternamente avvisato... chi non si emenda il direttore lo licenzierà dall'oratorio» (Regolamento dell'oratorio, MB III, 91-92).
    Per quanto festivo, gioioso e libero, l'Oratorio è un ambiente regolato. A chi vi si inserisce si chiede, come minimo, la disponibilità a fare un cammino, non importa quali siano i ritmi e gli esiti. Si chiede anche la volontà di costruire assieme e non soltanto di adoperare in maniera «anonima» impianti e attrezzature.
    Ma non si presenta come luogo «religioso». Don Bosco sovente lo chiamava «giardino di ricreazione»... e con questo sottolineava la capacità di far spazio alle manifestazioni sane dell'età giovanile.
    L'ambiente è dunque onnicomprensivo e assume la totalità della vita del giovane, più che nella materialità delle sue molteplici manifestazioni, negli aspetti che determinano la sua qualità e che lui sente come più urgenti e meno soddisfatti.
    Non si sostituisce ad altre agenzie educative: non intende prendere il posto della famiglia, della scuola, della parrocchia, o fare concorrenza ai centri sportivi e alle sale di gioco. Aiuta invece a filtrare e a fare la sintesi delle esperienze che vi si fanno, nel confronto con la vita come il giovane la va sentendo, in cammino verso l'autonomia.
    È un'attività nel tempo libero, ma non semplicemente per riempirlo. Il giovane deve sentire che «il tempo senza obblighi» gli offre la possibilità di riprendere in mano la propria vita per scoprirla nei suoi aspetti più profondi e misteriosi: come grazia e vocazione.
    Si va creando così nel ragazzo un riferimento interiore all'ambiente che va oltre lo stare materialmente in esso, fino ad identificarsi con il suo stile e le sue prospettive. Allora l'Oratorio comincia ad essere dentro di lui: è diventato proposta.
    Anche questo secondo tratto ridestato dalla memoria fa sorgere degli interrogativi quando viene riportato alla situazione attuale.
    Il primo riguarda la specie di ambiente da ottenere e i requisiti per crearlo e mantenerlo. E in primo luogo la possibilità medesima di qualificarlo in un mondo «aperto» in cui le protezioni, i limiti, le norme e lo stesso diritto di garantire certe finalità hanno efficacia relativa.
    Per 'alcuni il problema va risolto attraverso la «selezione», anche soltanto indiretta, dei soggetti. È un punto che può far parte di una soluzione globale, ma non può essere l'unico. Se ci si ispira al criterio «missionario», si tenderà a potenziare la capacità delle comunità di assimilare elementi ancora non identificati totalmente con l'ambiente e allargare i margini di tolleranza. L'ambiente cercherà di essere a tal punto propositivo da attirare e «vincere» piuttosto che allontanare. Ma questa capacità risiede proprio nella convergenza studiata, non casuale, di svariati elementi che separati sono «poveri» e insufficienti. Nella misura in cui ciò non accade, l'indice di incidenza e quindi di tolleranza dell'ambiente scende e bisogna procedere per «tagli».
    Si inserisce allora un secondo rilievo che riguarda la comunità dell'Oratorio. La composizione, animazione e corresponsabilità, particolarmente della componente adulta, sono indispensabili perché riesca a lavorare senza un'eccessiva selezione iniziale. Il suo influsso infatti è superiore a quello dei «locali» e delle offerte di attività. La sua formazione è quindi uno dei primi punti di attenzione.
    Non sono pochi gli elementi che già esistono e che potrebbero raccogliersi in maniera più organica. Nell'Oratorio operano animatori, catechisti, allenatori, collaboratori. Si avvicinano genitori e amici, si radunano exallievi. Ricevere soltanto il loro appoggio morale o la loro collaborazione tecnica senza coinvolgerli nell'intenzione e nella progettazione educativa significherebbe trascurare la trama di sostegno dell'ambiente.
    Giungiamo allora, per forza logica, al ruolo del o dei salesiani all'interno di questa realtà, delle capacità che debbono mettere in atto, delle funzioni che conviene loro assumere e di quello che debbono delegare, affinché non vada in fumo la finalità medesima del tutto. Essi sono gli animatori: educatori alla fede ed educatori degli educatori in corresponsabilità, punti di riferimento per la comunione e la partecipazione.
    I laici, uomini e donne, non sono dipendenti né elementi secondari, ma una presenza necessaria che va allargata e apprezzata nel suo carattere di «vocazione» vicendevolmente complementare con quelle del sacerdote e del religioso e nelle sue possibilità operative e tecniche.
    Si cercheranno laici che «siano testimoni autenticamente cristiani, motivati, consapevoli e adeguatamente preparati. Essi devono avere un vivo senso ecclesiale che si esprime nella comunione interiore e visibile con la chiesa e nella coralità dell'azione pastorale; una profonda convinzione di essere educatori missionari inviati da Cristo in un oratorio «missionario» (cfr. Direttive pastorali per gli operatori delle diocesi di Bergamo, NPG 1987, n. 9, p. 43).
    Non sembrino queste esigenze eccessive per quanto poi nella pratica dovranno essere adeguate alle circostanze. Gli educatori non vanno considerati alla stregua degli oratoriani. Su di loro poggia la forza formativa dell'ambiente. Una selezione, guidata da criteri pastorali e non soltanto dal bisogno di prestazioni tecniche, appare quanto mai necessaria. D'altra parte non dovrà mancare una formazione sistematica nel quotidiano e in momenti di sintesi e ricarica, tendente a rafforzare la loro profondità cristiana, capacità pedagogica, senso pastorale e spirito salesiano. Tocchiamo qui uno dei punti dai quali dipende il futuro dei centri giovanili.
    Proprio alla componente adulta della comunità educativa è affidato l'approccio personale ai giovani. L'Oratorio è tutt'altro che un ambiente collettivo o anonimo. La sua forza educativa risiede nella capacità degli adulti di venire incontro a chi «entra» nell'Oratorio, facendolo sentire a casa sua.
    In fine il cammino di una comunità, come quella che abbiamo abbozzato, non ammette cambiamenti imprevisti e non motivati all'insegna di criteri individuali. Impostare l'ambiente oratoriano sulla misura dei giovani e del contesto comporta indirizzi chiariti e assunti alle volte con fatica. La loro messa in atto poi punta necessariamente sui tempi lunghi. Un'intesa per definire la prassi comunitaria eviterebbe i mutamenti non giustificati quando dovessero essere avvicendati i responsabili principali.

    3. Missione aperta e ambiente di riferimento si propongono la salvezza dei giovani

    La parola è forse inattesa in un incontro di progettazione. Pur essendo ricca di significati può apparire troppo comprensiva e quindi generica per esprimere le finalità concrete da proporre nella nostra situazione particolare.
    È utile però al nostro scopo approfondire il suo significato di evento oggettivo e di esperienza soggettiva. Come evento oggettivo la salvezza è liberazione reale dai rischi che possono compromettere lo sviluppo di una esistenza conforme alla vocazione dell'uomo, l'apertura a possibilità nuove di vita, l'offerta di opportunità e aiuto per realizzare queste possibilità intraviste.
    In quanto esperienza soggettiva è consapevolezza, vissuta gioiosamente dal soggetto, del proprio ricupero, dell'allontanamento dalle condizioni negative di esistenza e della scoperta di orizzonti di vita, incarnati in persone, proposte e ambienti.
    È stata questa l'esperienza di Bartolomeo Garelli quando passò dal «dominio» del sagrestano alla protezione e amicizia di don Bosco, dall'obbligo, in quel momento «terribile», di saper servire messa per potersi difendere dal freddo, al semplice riconoscimento del valore della sua persona senza altre condizioni.
    All'Oratorio dunque non corrisponde come prima e principale definizione quella di «catechismo», né quella di istituzione «educativa» in senso formale, né quella di iniziativa per il «tempo libero». È tutto ciò insieme in una «miscela» conveniente per aprire alla vita soggetti di un determinato contesto, mediante l'accoglienza e la valorizzazione di quello che essi già portano in sé come desiderio, tensioni, patrimonio acquisito, prospettive e mediante proposte che spingono ad andare oltre.
    La condizione generale dei giovani e il loro modo di elaborare le scelte e il senso così come i condizionamenti che possono compromettere il loro sviluppo, vanno quindi rilevati in continuità e interpretati alla luce della salvezza. L'Oratorio si presenta come un radar sensibile alle problematiche giovanili che emergono nel territorio per poter decidere in concreto in quale immagine, gesto, annuncio e intervento la salvezza può diventare evento ed esperienza.
    C'è però un'indicazione che appartiene all'identità. Per operare la salvezza della gioventù don Bosco, tra le molte possibili, preferì la via «educativa». Fu una scelta ribadita in forma particolare di fronte ad altre due: quella che pendeva più verso il politico e la partecipazione diretta alla riforma immediata della società (cfr. la discussione con i «patriottici») e quella che pendeva totalmente sul versante «catechistico»: che considerava cioè l'Oratorio alla stregua del catechismo parrocchiale con aggiunte soltanto di alcune attività ludiche, come attrattive senza rilevanza nella formazione del ragazzo.
    La medesima via educativa viene intesa più come capacità di affrontare la vita nelle sue attuali sfide e di prepararsi al futuro che come sviluppo di programmi formali e sistematici.
    Partendo dall'idea dell'Oratorio-catechismo don Bosco approdò ad una formula totale sebbene non totalizzante, mano a mano che prendeva contatto con le condizioni di vita dei suoi ragazzi. La forte connotazione catechistica rimase come un tratto fondamentale non unico e nemmeno isolato dagli altri che conformano la risposta globale.
    Agli Oratori di oggi si pone il problema del come essere evento di salvezza e come farla diventare esperienza soggettiva per i giovani. L'Oratorio, abbiamo detto, si colloca «nel tempo che lasciano liberogli altri impegni», ma non necessariamente si limita ad esso, né si propone di risolvere soltanto i problemi che esso pone. Il riferimento non è al «tempo», ma alla vita.
    Per molti giovani e famiglie il tempo libero si riduce ad attività che si esauriscono in se stesse, quasi fossero soddisfazione di un bisogno marginale. Secondo una visione unidimensionale della vita il lavoro-guadagno-posizione economico-sociale è lo zoccolo duro della propria esistenza; mentre il tempo privato, lo svago, il personale e il festivo rappresentano le parentesi necessarie di distensione, da consumare, all'insegna dell'effimero. Il tempo libero, piuttosto che integrato nella vita, viene considerato a se stante, «staccato», vissuto in maniera individualistica, non progettuale.
    Può darsi, dunque, che i giovani e le loro famiglie presentino domande povere. E coloro che orientano l'Oratorio possono essere esposti, per mancanza di attenzione o per rassegnazione di fronte alla mentalità corrente, ad attribuire tout court carattere educativo al tempo libero trascorso «senza pericoli».
    L'Oratorio si colloca nel tempo libero e oltre come momento di sintesi tra gratuito e funzionale, tra obbligo e distensione, con un certo progetto, per aiutare ed elaborare una visione e un senso che salvi la qualità della vita.
    Si inserisce nel processo di formazione dell'identità che il giovane percorre. Essa richiede di sperimentare valori, criteri e visioni della realtà che gli si offrono e, attraverso una disanima e interiorizzazione, approdare a delle scelte personali. Più che di contenuti sistematici alternativi o aggiunti, il giovane ha bisogno di radicare nella vita quello che va ricevendo in altri momenti, inclusi quelli catechistici. Ed è questo che intende fare l'Oratorio.
    Sa di offrire qualcosa che famiglia, scuola e parrocchia non possono assicurare e di non dover plagiare alcune esperienze che hanno in esse il loro luogo naturale. Perciò la completa. Tale completamento non consiste tanto nell'inserire «pezzi mancanti», quanto nel fondere la totalità in un cammino educativo tipico, fortemente sociale, partecipativo, libero ed esperienziale.
    L'Oratorio dunque ricicla, ridimensiona, integra e ristruttura messaggi ed esperienze per aiutare a farne una sintesi che è vitale, prima ancora che mentale, per l'incidenza degli incontri (persone significative), per l'influsso del clima, per le attività e per il sistema totale di comunicazione.
    La mediazione di salvezza che l'Oratorio si propone di essere può esprimersi in alcuni punti concreti tali come
    * costituirsi, in «osservatorio» della condizione dei giovani nel quartiere, rilevando quelle situazioni che attualmente congiurano contro la loro crescita umana e cristiana e quelle che favoriscono questa crescita;
    * farne prendere coscienza a tutta la comunità per coinvolgerla nella soluzione del problema giovanile;
    * preparare delle proposte significative contro i rischi di devianza e abbandono che appaiono nel quartiere;
    * attivare la domanda educativa cercando di qualificarla;
    * impegnare direttamente coloro che sono disponibili, perché già motivati umanamente e religiosamente, nell'incontro educativo coi giovani;
    * preparare un «progetto» globale di crescita umana e cristiana, con itinerari per le diverse fasce di età e le diverse situazioni dei giovani (rischio, sviluppo, maturità, coinvolgimento).

    4. Attraverso un programma originale di espressione giovanile, evangelizzazione, animazione culturale

    Dalla memoria conosciamo i tre elementi su cui si fondava l'Oratorio: giuoco, catechismo, istruzione-promozione (in seguito «doposcuola»). Ciascuno di essi sembra aver trovato luoghi propri, per cui l'insieme non serve più come legittimazione per l'esistenza dell'Oratorio.
    Non è infatti per fare una politica dello sport, perché tutti i ragazzi possano giuocare, che si fa oggi l'Oratorio; qualcosa di simile, con un po' più di rispetto, si potrebbe dire degli altri due aspetti (la catechesi e l'attività extrascolastica).
    Da questo spunto emerge il bisogno di una verifica accurata di ciascuna delle aree di attività dell'Oratorio e del loro insieme, proprio in rapporto alla sua identità e alle domande educative attuali dei giovani.
    Già il fatto di aver sostituito le parole comporta un cambio di prospettiva conforme al detto agostiniano: nova res nova nomina postulat. AI posto del «gioco» abbiamo messo «espressione giovanile»; «catechismo» l'abbiamo sostituito con «evangelizzazione»; le attività del doposcuola le abbiamo incluse nell'animazione culturale.
    Problema importante è il contenuto materiale di ciascuno di questi aspetti, ma più ancora la loro qualità. E questo ci porta ad approfondire il versante educativo e pastorale, anziché quello «tecnico».
    Quale gioco fa l'Oratorio per essere se stesso e non un club, una luna-park? Quale evangelizzazione ci si può aspettare dall'Oratorio per essere allargamento e non «replica» della catechesi parrocchiale? Quale animazione culturale si propone per non confondersi con gli innumerevoli «centri culturali» o comitati di quartiere?
    Va rilevato che nella «politica» oratoriana ciascuno dei tre elementi sopra menzionati include necessariamente gli altri. Tutti e tre confluiscono sull'obiettivo già descritto: la crescita personale e sociale, secolare ed ecclesiale, della persona mediante la partecipazione attiva in un ambiente propositivo. Ne segue che la qualità di ciascuno non si costruisce soltanto con gli elementi propri, ma risulta dal suo inserimento in un «sistema». Il rilievo che si dà a ciascuno di essi nell'insieme e l'orientamento «educativo-pastorale» che gli si imprime determinano quelle immagini globali di Oratorio che abbiamo elencato all'inizio della relazione.
    Il primo elemento a porre problemi è il gioco-espressione. Da esso, più che da qualunque altro elemento, l'Oratorio salesiano trae la sua originalità. Non che sia il più importante. Ma don Bosco e generazioni di salesiani lo sottolinearono come fattore educativo di primo ordine. Per dissipare ogni dubbio basterebbe ricordare la definizione che don Bosco dava di Oratorio e la classificazione di iniziative che considerava necessarie per i ragazzi (cfr. Regolamento dell'oratorio di S. Francesco di Sales, MB 111,90).
    Dalla sua esperienza personale e dalla sua prassi educativa pastorale don Bosco trasse alcune conclusioni che per molto tempo orientarono le scelte dei salesiani.
    La prima è che «il cortile attira più della chiesa». Sono sue parole. Il primo passo, dunque, per il tipo di soggetto che lui trattava, giovane e povero, era vivere positivamente questa tendenza. Le attribuiva un'importanza straordinaria nella totalità della vita del ragazzo, particolarmente di quello povero, per il quale costituiva il necessario contrappeso di libertà alle ore di lavoro e di convivenza difficile nelle botteghe e nella famiglia. Liberando e sviluppando la gioia e la vitalità, pensava di consolidare l'equilibrio umano e spirituale e predisporre al positivo. Il gioco aveva una funzione facilitante di tutto il processo educativo: «noi invece di castighi abbiamo l'assistenza e il gioco».
    Né per questo venivano sottovalutate le valenze che il gioco-espressione sviluppa per la sua stessa natura: senso di libertà, sviluppo delle forze corporali, disciplina concordata e accettata, comunicazione, abilità varie. Integrato in un ambiente comunitario e in un «sistema» di attività e interventi, assumeva altri valori tali come l'incontro con i compagni, l'amicizia, la collaborazione, il senso sociale, il clima festivo e dava all'educatore la possibilità d'inserirsi nel ritmo vitale del ragazzo, conoscendolo nelle manifestazioni spontanee e parlandogli da amico.
    Il problema è scoprire il significato che per i giovani ha il gioco-espressione e, conseguentemente, il posto e la modalità che deve assumere nell'Oratorio oggi.
    I giovani incontrano il gioco come un elemento caratteristico della cultura in cui crescono. La nostra è stata definita una cultura ludica non soltanto per il fenomeno macro-sociale degli spettacoli e per l'industria corrispondente, ma anche per il «tono» con cui ci fa avvicinare numerose realtà (cfr. turismo, apprendimento...). In questa componente quasi strutturale della nostra cultura appaiono, mescolati in maniera non facilmente identificabili, valori e controvalori: stima della corporeità (forma, forza, bellezza), tenacia e capacità di tenuta, disciplina e razionalità, successo, divismo, affarismo, consumo, rapporto non chiaro col bene comune. Emergono sopra tutti tre aspetti: consumo per chi ne fruisce, affare per chi lo gestisce, successo per chi lo esercita.
    Appare inoltre svincolato da particolari concezioni che lo ancorino a finalità ultime anche di tipo umano e succube dunque dell'etica immediata. Per tutte queste valenze positive e negative rappresenta bene la cultura attuale ed è uno dei canali più efficaci attraverso cui essa viena proposta e trasmessa. Lo hanno evidenziato attenti osservatori del nostro tempo. «Le visioni e le espressioni sociali di una generazione, scrive Mc Luhan, si possono trovare codificate nello sport. Vedete come gioca una generazione oggi e forse vi troverete il codice della sua cultura». La diffusione dei video-giochi, l'invasione degli «show» dalle più svariate caratteristiche, la dilatazione dello sport-dipendenza sono prove molto eloquenti.
    «La cultura umana viene trasmessa principalmente attraverso il gioco che costituisce uno dei principali canali comunicativi tra le generazioni» (Huitzinga). Anche abusando delle citazioni, mi sembra illuminante il rilievo del rapporto CENSIS sull'Italia 1987. «Un'altra esplosione: il giuoco. Non c'è quasi giornale o trasmissione televisiva a larga udienza che non abbia creduto necessario promuovere qualche forma di concorso a premi e comincia a diffondersi tra noi l'uso americano di abbinare premi e concorsi anche negli spettacoli. Entrando in contatto con i mezzi di comunicazione di massa il gioco da passatempo individuale o di piccoli gruppi, è diventato rito collettivo, vissuto come evento reale».
    L'interrogativo sembra delinearsi abbastanza netto. Si sa che in un'eventuale dissoluzione degli elementi che compongono il «sistema» Oratorio, il gioco-sport è l'ultimo ad affondare, anzi sovente fagocita gli altri. In quale misura e con quale modalità gli si deve fare spazio perché risponda alle finalità dell'Oratorio: il gioco passatempo e svago, il giuoco-sport a livello di competitività e professionalismo, il gioco attrazione e strumento di evangelizzazione, lo sport-agonismo e palestra di educazione fisica?
    Ecco un quadro di suggerimenti che possono fornire l'immagine del gioco «oratoriano».
    – Il gioco-incontro: l'Oratorio non è in primo luogo «giochi», ma cortile: giocare per stare insieme, stare insieme e giocare... compagni, salesiani. La condivisione è indispensabile. Un luna-park salesiano?
    – Il gioco-clima: perché tutti partecipano e perché nell'ambiente emerge la gioia e la gratuità, tutto diventa «ludico». Il gioco, come espressione libera e gioiosa, impregna tutti gli impegni e anche le celebrazioni.
    – Il gioco, aiuto alla normalità e alla crescita: senza eccessivi traguardi personali e comunitari, senza troppe lezioni tecniche né morali... scaricatensioni.
    – Il gioco-espressione: che sviluppa e fa affiorare le risorse di immaginazione che non trovano posto nella vita «regolata». Ciò comporta che sia spontaneo, svariato, creativo secondo le caratteristiche delle diverse età... e abbia a disposizione molteplici ambienti e attività.
    – Il gioco-educazione: per cui il soggetto cresce
    * nella ragionevolezza: non baldoria né irresponsabilità, ma rispetto degli strumenti e degli spazi così come delle finalità generali dell'ambiente e della comunità;
    * nella conoscenza di sé: non solo l'educatore conosce il ragazzo nel gioco, ma questo è accompagnato a scoprire se stesso nelle preferenze, nelle modalità, nei rapporti che esprime sotto la spinta della spontaneità. L'educatore trasferisce al soggetto la capacità di conoscersi e misurarsi;
    * nella percezione e assunzione di valori: quelli che riguardano la corporeità, quelli che riguardano la moralità, quelli che riguardano la socialità, quelli che riguardano l'equilibrio della propria vita.
    – Il gioco-cultura: acquisizione della capacità critica per giudicare i fenomeni che hanno luogo nella società attorno all'esperienza del gioco, e conseguentemente sviluppo della capacità di risposta agli stimoli e di scelta.
    – Il gioco-elemento di un «progetto»: comporta evidenziare il carattere subalterno rispetto agli altri problemi e desideri dell'uomo, spogliandolo di una certa autosufficienza anche riguardo alle proprie finalità; superare la dipendenza per includerlo in un progetto più ampio.
    – Il gioco-celebrazione: forma di rito e «festa» che accompagna gli eventi più importanti e sottolinea il senso dei misteri più profondi.
    – Il gioco-impegno sociale e apostolico: disponibilità gratuita delle proprie capacità e tempo per aiutare i «più poveri» ad accedere ai beni del giuoco «umano e cristiano».
    – Il giuoco-evangelizzazione: scoperta progressiva e forse «occasionale» del problema del senso, della «qualità della vita», della rilevanza della fede con risposte da parte dell'ambiente e degli educatori.
    Ma l'Oratorio si caratterizza dal fatto che il gioco-espressione giovanile è lievitato dall'annuncio del Vangelo fatto ai giovani, dal suo approfondimento attraverso un cammino «catechistico» e dalla proposta di una spiritualità da vivere, che si ispira alle beatitudini: «Ti voglio mostrare un cammino per essere felici...». Questo annuncio dà ragione dell'accoglienza della gioia giovanile spontanea e la approfondisce- fino a farla diventare programma. L'Oratorio fu dall'inizio un luogo di insegnamento della dottrina e di pratica religiosa personale e comunitaria.
    Anche riguardo all'evangelizzazione si pone l'interrogativo sulla qualità e sulle modalità possibili e desiderabili nell'Oratorio. Infatti circostanze, programmi e metodi conformano diversi modelli di comunicazione della fede: c'è il modello «familiare», quello «scolastico», quello «parrocchiale», quello «associazionistico», quello «secolare».
    Ciascuno di questi modelli rafforza alcuni aspetti, sottolinea alcune modalità, predilige un tipo di esperienza, sceglie una forma di comunicazione: sistematicità, esperienza immediata, inserimento nella vita della comunità, rilevanza del vissuto, confronto con i problemi culturali, impegno nel sociale.
    Qual è il modello oratoriano, che non sostituisce gli altri ma li ricicla in una nuova sintesi?
    • L'Oratorio si propone di fare un'evangelizzazione «missionaria»: parte dall'annuncio essenziale e lo riprende continuamente per collocarsi a livello degli «ultimi» e per ancorare ogni nuovo progresso cognitivo e pratico all'esperienza fondamentale. Ciò comporta:
    – la centralità della preoccupazione per l'annuncio di Cristo nella comunità, nell'organizzazione e nella qualifica degli operatori;
    – l'accoglienza di chi si trova a livelli bassi di fede;
    – la ricerca di chi è potenzialmente disponibile, ma non si dimostra interessato;
    – l'uscita dal proprio bastione... per comunicare un primo saggio dell'annuncio a chi non si avvicina;
    – la «pratica» delle diverse forme di primo annuncio.
    • L'Oratorio fa un'evangelizzazione che parla della vita e sulla vita. Ciò significa:
    – che i «fatti» che coinvolgono i giovani in esso diventano evento e annuncio dí salvezza (cfr. Don Bosco con Bartolomeo Garelli...);
    – che presenta la vita, con le sue pulsioni e speranze, come un «dono»: valorizza ciò che i giovani si portano dentro come desiderio e ideale senza riuscire a dargli ancora un nome religioso;
    – raccoglie le domande che provengono dal vissuto;
    – è prevalentemente «esperienziale»: aiuta a scoprire la fede e inizia nel viverla coinvolgendo in una vita già ispirata alla fede, piuttosto che con spiegazioni verbali.
    • L'Oratorio fa un'evangelizzazione che è più ricerca provocata e accompagnata che «lezione» anche didatticamente pregevole.
    – Il grande mistero da esplorare è la vita dei cristiani e di Gesù Cristo che cammina con loro.
    – L'accompagnatore è il catechista che si presenta più come amico-animatore che come «maestro».
    – Le vie sono molteplici; tutto porta un messaggio di salvezza: gioco, incontro personale, gruppo, celebrazione, comunità: sono vie complementari e convergenti.
    – Il criterio fondamentale: riuscire a dire ciò che i giovani sono capaci di vivere e vivere ciò che hanno potuto dire: percepire, imparare e riesprimere la fede.
    • L'evangelizzazione dell'Oratorio sa anche essere «sistematica» senza staccarsi dal vissuto.
    – La catechesi come elemento di tutti gli Oratori.
    – Selezione di «nuclei» significativi per un'illuminazione della esperienza vita-salvezza-Gesù Cristo.
    – I punti di riferimento per la scelta: la vita dell'Oratorio, l'età dei ragazzi (ciclo scolastico), gli eventi più significativi e vissuti, il ritmo liturgico, i problemi culturali.
    • L'Oratorio nell'evangelizzazione si propone traguardi «qualificanti» e cerca di raggiungerli seguendo il ritmo dei ragazzi: dalla formazione cristiana di base, che è sua caratteristica, alla professione forte, serena, militante della fede (Paolo VI):
    – conoscenza della fede,
    – cultura cristiana,
    – spiritualità salesiana,
    – sbocco in una presenza impegnata nell'area professionale e sociale: «buoni cristiani e onesti cittadini».
    Infine c'è un terzo elemento: l'animazione culturale. L'espressione richiama alcune realtà la cui conoscenza generale diamo per scontata. Ricordiamo soltanto che la cultura comprende l'allargamento dell'esperienza personale, la percezione di nuove dimensioni della vita e della storia, la ricerca e l'elaborazione di un senso per l'esistenza, l'incontro creativo con lo sforzo che persone e comunità fanno per la qualità della vita personale e sociale.
    L'animazione culturale mette in evidenza una modalità di approfondire la fede attraverso il confronto con i problemi della cultura e della convivenza, e di chiarire questi cercando il loro senso nella fede.
    Quale allora l'animazione culturale che si fa nell'Oratorio? L'Oratorio svolge
    • Un'animazione che parte e si sviluppa dalla libertà intesa come cuore-ragione: «attirare» diceva don Bosco.
    • Un'animazione culturale che parte dai «frammenti» o «semi» che i soggetti portano:
    – accoglie per quello che si è e inserisce nella dinamica comunitaria di partecipazione e di crescita;
    – sveglia l'aspirazione profonda di vivere e di crescere.
    • Un'animazione culturale «propositiva»: sempre in tensione verso l'oltre riguardo a quello che il soggetto sente di possedere e alle attività funzionali all'ambiente.
    • Un'animazione culturale «sintetica», non frammentaria, fatta di esperienze particolari ma anche di riflessione che riconducono l'esperienza ad alcuni «nuclei» catalizzatori:
    – il valore della persona,
    – il bisogno di senso,
    – la risposta etica,
    – la comunione e la solidarietà,
    – il mistero.
    • Un'animazione culturale «qualificata», non qualunquistica... graduale e molteplice secondo le possibilità dei soggetti, ma senza cedere alle richieste riduttive.
    • Un'animazione culturale aperta ai confronti e decentrata dall'istituzione e dalla «famiglia»:
    – l'oratorio: luogo di incontro di persone e tendenze significative;
    – l'oratorio: luogo di esercizio della razionalità per la formazione non condizionante di convinzioni e scelte di vita;
    – l'oratorio: laboratorio di iniziative e luogo da dove si irradiano proposte e interventi per la comunità umana ed ecclesiale.
    • Un'animazione culturale «critica» piuttosto che integratrice, che prepara a vivere e intervenire in un contesto
    – pluralista
    – secolare
    – deideologizzato
    – individualista
    – di progettualità a basso investimento.
    • Un'animazione culturale che sviluppa la capacità di imparare dalla vita: vuole, piuttosto che fissare posizioni definitive o comportamenti immodificabili, abilitare alla lettura degli eventi, al rilevamento delle forze interagenti, alla percezione della posta in gioco, alle scelte ispirate alle beatitudini anche se «perdenti».
    • Un'animazione culturale di tipo «educativo»: per il genere di iniziative e di intervento, per il rapporto con le istituzioni...
    • Un'animazione culturale che vede nei «gruppi» giovanili il perno del movimento comunitario e il luogo di elaborazione e socializzazione delle proposte. Un certo «modello» di gruppo.
    • Un'animazione culturale di comunione e consapevole del pro-pio contributo e della propria originalità
    – consistenza secolare-cristiana,
    – sensibilità verso le questioni giovanili,
    – capacità di dare risposte-segno alle nuove povertà e alle nuove insignificanze,
    – capacità di congiungere le «agenzie» di educazione e animazione culturale e religiosa.
    Tutto nell'Oratorio è progressivo: l'appartenenza e la identificazione, la crescita umana, la maturazione della fede, il coinvolgimento attivo. II bisogno del riferimento ad un itinerario è indispensabile, anche se non lo si può concepire a tappe rigide.
    I modelli di itinerari sono analoghi: alcuni sono basati sui tempi, altri sulla resa in un certo aspetto, altri sulle scelte espresse. Alcuni sono lineari, altri circolari.
    Quelli dell'Oratorio si basano sul ritmo «vitale», sui passaggi sottintesi nell'incontro tra la persona con i beni e valori educativi: scoperta spontanea, esperienza educativa, socializzazione, presa di coscienza, liberazione dalla superficialità e dall'alienazione che il primo accesso ad un'attività porta in forza dell'abitudine e degli stimoli ambientali, assunzione dei valori, inserimento in una «cultura» personale, responsabilità socio-politica, evangelizzazione. Ma questo è già compreso nel «metodo».

    5. Conclusione: quale profezia

    Siamo, si dice, in tempi di utopie e miti «freddi», eccezione fatta dei momenti collettivi di esaltazione. Forse la nostra è sembrata una «profezia contenuta», espressa sotto la forma di «risposta pastorale» che va all'incontro di una domanda attuale senza rinunciare a prospettive ulteriori.
    Se la si approfondisce bene però si scorgerà che si colloca sulla linea del futuro, della speranza, degli eventi di salvezza.
    L'Oratorio, così concepito, infatti vuol essere una forma di annuncio in un tempo di nuova evangelizzazione in contesti secolarizzati. Cerca di lavorare su un'immagine di uomo in tempi di progettualità a basso investimento; tenta di unificare cultura e vita in tempo di frammentazione; vorrebbe mettere l'esperienza cristiana al centro di questa sintesi in un tempo di rottura tra fede e cultura; si costituisce in luogo educativo e aggregativo in tempi di difficili appartenenze; cerca di ristabilire l'armonia fra libertà individuale e serietà obiettiva nella ricerca di senso della vita in un tempo di elaborazione individuale e di pluralismo: vorrebbe riproporre il gratuito come categoria centrale dell'esistenza in un tempo in cui domina il funzionale. È «mediazione di chiesa» per i lontani in un tempo in cui la comunità cristiana sente una certa irrilevanza almeno «numerica»; si propone di diventare fermento nella comunità umana in un momento in cui la chiesa si riconosce «nel» e «con» il mondo sebbene non «del» mondo.
    Non è questo un annuncio di futuro... una utopia della quale riusciamo a realizzare qualche saggio?
    Ai salesiani, che essendo già occupati nelle scuole adducevano mancanza di personale per aprire l'Oratorio, don Bosco rispose: «Solo in questo modo si può fare un bene radicale alla popolazione di un paese» (MB XI, 128). Per cui don Ceria conclude che «l'oratorio... continua a essere l'opera veramente popolare di don Bosco, opera alla quale è più legata la sua fama di apostolo della gioventù» (Annali, I, p. 633).
    Oltre quello che abbiamo potuto dire ci sono ancora riserve di profezia in quella carità pastorale che diede origine all'Oratorio e che oggi può farlo diventare «modello», punto di unità di ogni opera salesiana.

    6. Dibattito

    6.1. DOMANDA - Oratorio e preparazione dei salesiani
    RISPOSTA - È necessario avere una scuola per dirigenti e per coloro che guidano l'Oratorio.
    Nessuna professione si esercita senza una preparazione e nessun programma si gestisce senza una preparazione specifica per il programma.
    Così un Oratorio, che voglia oggi rispondere alle esigenze che provengono dalle richieste giovanili, non si può gestire, improvvisando il programma e l'azione degli operatori.
    A favore della preparazione e l'aggiornamento dei salesiani si stanno realizzando molte iniziative: giornate di studio, incontri, convegni.
    Questo aggiornamento deve essere più sistematico e periodico.
    Ricordiamo che è sempre un bene per la vita degli Oratori se coloro che devono dirigerli vengono preparati in modo specifico sia sugli aspetti generali sia sugli aspetti particolari del progetto oratoria-no.

    6.2. DOMANDA - Oratorio ed educazione all'impegno socio-politico
    RISPOSTA - Si dice che i giovani cresciuti nei nostri ambienti, quando si inseriscono nella società, difettano della dimensione sociopolitica.
    Sono convinto che questa dimensione va recuperata, approfondita e tradotta in esperienze, durante il periodo in cui i giovani più grandi frequentano l'Oratorio.
    L'impegno è di muoversi nel campo che la Conferenza Italiana chiama del pre-politico e che può corrispondere al socio-politico, che educa ad adoperarsi a partire dal bene comune, dai bisogni che si sentono in una determinata convivenza, e ad operare direttamente sulla collettività e anche sulle strutture del potere, non per occuparlo, ma per interagire dialetticamente con coloro che lo detengono.
    È uno degli impegni in cui bisogna qualificarsi di più.

    6.3. DOMANDA - Oratorio e formazione dei formatori
    RISPOSTA - Penso che, se i momenti di riflessione, di progettazione e di verifica pastorale di una ispettoria fossero condivisi anche dai formatori, questi potrebbero avere a loro disposizione tanti elementi, che, inseriti nel piano di formazione, servirebbero loro per orientare coloro che vivono nelle comunità formative.

    6.4. DOMANDA - Parrocchia e impegno giovanile
    RISPOSTA - Se la Parrocchia è una fuga dal compito giovanile, si può considerare un male per un salesiano, perché si dimostra che siamo diventati incapaci di affrontare i problemi giovanili.
    Anche la Parrocchia, animata in modo generico, non riesce ad affrontare i problemi dei giovani, perché è una di quelle istituzioni, che, organizzata in un certo modo non favorisce la presenza dei giovani.
    Se la Parrocchia si colloca in un ambiente popolare e giovanile ha nell'Oratorio il luogo privilegiato in cui affrontare e risolvere, almeno in parte, i problemi dei giovani.

    6.5. DOMANDA - Oratorio e apertura a tutti i giovani
    RISPOSTA - Sull'apertura dell'Oratorio a tutti i giovani io propongo alcuni elementi sui quali è bene continuare a riflettere, per precisare insieme la risposta.
    Io penso che il nodo del problema è come qualificare l'ambiente, entrando nel quale un ragazzo si senta in un luogo che sia proposta di valori e di rapporti sereni.
    Il problema è come mantenere un ambiente vivibile, sereno e propositivo per il giovane «normale» e «comune» e allo stesso tempo non chiudersi eccessivamente a quei giovani, che sono ben disposti ma debbono ancora percorrere tappe e tagliare traguardi più bassi di quelli che noi mettiamo come esigenza di base dell'ambiente.
    Penso che essere disponibili ed essere aperti a tutti vuol dire partire educativamente, mettendo traguardi possibili ai livelli più bassi di disponibilità e di buona volontà. Questo significa che si devono
    fare proposte, che rispondano ad interessi generali e di base dei giovani, in maniera che ci si apra a un numero maggiore di essi. E quando ci fossero dei giovani difficili?
    Se l'Oratorio ha una comunità educativa con un numero consistente e preparato di animatori, capaci di neutralizzare l'influsso di questi elementi negativi, in modo che non diano il tono all'ambiente, è possibile accettare anche questi giovani.
    Altrimenti è necessario pensare ad iniziative di aiuto per coloro che risultano sotto i livelli più bassi che abbiamo fissato.
    In un Oratorio salesiano ci deve essere sempre un movimento di ricerca e di incontro per i giovani, che non si inseriscono facilmente nell'ambiente e che noi possiamo trovare in altre sedi. L'Oratorio non si esaurisce nell'ambiente strutturato, ín cui si portano avanti molteplici processi educativi. L'Oratorio si estende «verso la periferia» e opera anche fuori della sua struttura.
    L'impegno di mantenere la qualità dell'ambiente e non chiudersi ai più, lontani si può risolvere se si è capaci di partire dai livelli più bassi, di reinventare iniziative articolate per quei livelli di partecipazione che nell'ambiente non funzionano ancora bene, di andare incontro ai giovani, che hanno bisogno di una mano.
    Il criterio di fondo può essere enunciato così: quanto più è preparata e competente la comunità educativa tanto maggiore è la sua capacità di neutralizzare comportamenti negativi, ancora non modificati e che potrebbero dare all'ambiente un tono di disimpegno, di violenza e di sopraffazione, e di fare proposte varie e interessanti.
    L'apertura a tutti, alla massa, non è solo da intendersi in termini quantitativi (chiunque può entrare), ma va intesa in termini qualitativi. In termini qualitativi vuol dire che la proposta è talmente forte e articolata in senso educativo che può proporsi ad un grande numero di giovani, perché non è apertura a tutti, fatta di tolleranza, ma apertura a tutti, fatta di accompagnamento educativo per ogni giovane, che ha la fortuna di entrare nell'Oratorio.

    6.6. DOMANDA - Comunione pastorale nella Parrocchia e indicazioni più urgenti.
    RISPOSTA - Per realizzare la comunione pastorale con la Parrocchia e, soprattutto, con la Diocesi, si possono indicare tre urgenze:
    1. È importante che nella pastorale globale si indichi con chiarezza il posto che si assegna all'Oratorio tra le articolazioni e le diverse vie che una pastorale giovanile intende adoperare.
    Nella realtà dei movimenti e della associazioni, nella realtà del servizio religioso ordinario, che cosa significa Oratorio?
    Non bisogna lasciarlo senza spazio e senza responsabilità nella pastorale d'insieme.
    2. La distanza tra istituzione e marginalità, tra Parrocchia e marginalità dovrebbe essere annullata o almeno accorciata.
    3. Il salesiano, anche quando opera in un Oratorio parrocchiale, non deve essere legato ai limiti parrocchiali, quando si tratta di salvare e di dare una mano a giovani, che non sono del territorio della Parrocchia e non fanno riferimento a nessuna Parrocchia.
    Egli più che preoccuparsi dei confini territoriali deve cercare di operare nella comunione ecclesiale, nella pastorale più ampia che investe una zona.
    Molte questioni giovanili oggi si giocano non nel territorio piccolo ma nel territorio grande, in quello spazio, non tanto fisico ma socio-culturale, in cui sorgono i problemi, e che può essere una intera città, una regione, e, per alcuni problemi, la nazione.
    Anche se per la realizzazione concreta il coordinamento si fa a livello parrocchiale, è vero però che le linee fondamentali di pastorale giovanile e alcuni orientamenti operativi si devono prendere a livello di aree pastorali molto larghe.
    L'Oratorio si colloca nella sua azione in queste linee pastorali, che fanno riferimento più alla Diocesi che alla Parrocchia.
    Lavorando con queste prospettive si è veramente missionari dei giovani e si vive in perfetta comunione con la Chiesa locale.
    Inoltre la comunione con la Chiesa locale nella pastorale si pratica, non soltanto ricevendo orientamenti, ma facendosi presenti nelle sedi dove si elabora la pastorale, per evidenziare quei problemi e quelle situazioni giovanili che solo l'Oratorio «missionario» può rilevare, soprattutto in quegli ambiti, in cui tante volte i servizi ordinari non arrivano, e per impegnare tutta la Chiesa locale a prendere coscienza dei problemi giovanili e a collaborare attivamente alla loro soluzione.

    (FONTE: CISI, Oratorio tra società civile e comunità ecclesiale. Atti della Conferenza Nazionale Cisi 1987, pp. 87-119)


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