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    L'oratorio salesiano:

    luogo di nuova responsabilità

    e missionarietà giovanile

    Juan E. Vecchi

    1. CIRCA LA NUOVA RESPONSABILITÀ E MISSIONARIETÀ

    Fermiamoci brevemente sulla responsabilità e missionarietà proposte come obiettivi finali di un cammino oratoriano. Insieme raccolgono la preoccupazione centrale della Congregazione in questo sessennio, educare i giovani alla fede; soprattutto quella prospettiva che ne ravvisa i nodi fondamentali e quasi la prova nella formazione della coscienza e nella dimensione sociale della carità [1]. La loro portata appare troppo grande per attribuire tout court all'oratorio la capacità innata di farle affiorare e portarle a maturazione.

    * Responsabilità è un termine usato oltre misura, e di conseguenza logoro. È difficile oggi ascoltare un discorso o semplice commento politico senza che lo si tiri in ballo. I suoi significati si danno come scontati e perciò appaiono generici. L'ovvietà e l'uso frequente non aiuta a coglierne la problematicità morale. Ma, ancor più rischioso, le dinamiche di formazione alla responsabilità vengono considerate evidenti. C'è chi la predica e ne deplora la caduta, ma non crea le condizioni perché i giovani la scoprano, la assaporino e la esercitino. C'è anche chi attribuisce un risultato educativo definitivo a esperienze gratificanti, fugaci, una specie di tour attraverso diverse forme di trattenimenti nobili. Entrambi si affidano ad un aspetto valido, ma non sufficiente da solo a produrre ciò che si attende.
    La responsabilità ha rapporto con l'agire morale di cui costituisce la spina dorsale e la dimensione formale. Un tempo ci si insegnava a distinguere gli «atti dell'uomo» dagli «atti umani». Tra i primi venivano inclusi anche quelli spontanei, riflessi o condizionati da cause esterne oltre la volontà dell'agente. Non si potevano giudicare dal punto di vista morale perché non rientravano nella categoria della responsabilità. Gli atti «umani» invece erano imputabili perché procedono dalla volontà deliberata, con avvertenza e libertà.
    Questa forma di pensare viene oggi attenuata. E ciò ha le sue ripercussioni sulla pedagogia. Una comprensione più unitaria della persona mostra che le distinzioni troppo rigide non hanno un esatto corrispondente nell'esistenziale. Ma mette in evidenza a quali energie della persona si rapporta la responsabilità: alla coscienza, alla libertà, alla verità. Sul versante pedagogico dunque porta a valorizzare aspetti che prima venivano trascurati; allo stesso tempo libera dal semplicismo e spinge a precisare le basi e i percorsi adeguati per uno sviluppo sicuro e completo del comportamento responsabile.
    Il tema perciò è decisivo nella formazione morale del giovane, ma non di meno per la sua educazione integrale. Questa infatti consiste in una responsabilizzazione progressiva riguardo alla propria esistenza e riguardo alla storia che si svolge vicino e lontano da noi. «Il senso di responsabilità è una qualità tipica dell'adulto riuscito. In essa l'educazione trova il suo termine di riferimento e la sostanza di quella ricerca di unitarietà personale che la caratterizza. In questa linea la finalità propria e ultima dell'educazione si potrebbe definire come la promozione nell'educando della capacità di decisioni responsabili con tutto ciò che essa suppone e che ne è condizione» [2].
    Parlare dell'oratorio come luogo di responsabilità è definirlo come ambiente di educazione completa e non soltanto come spazio e tempo di attività spontanee, complementari. Ora ciò, se non rappresenta un cambio di prospettiva riguardo alle forme precedenti di concepire l'oratorio, postula di certo una nuova qualità nella sua impostazione e orientamento. Infatti da alcuni si attribuiva all'oratorio–centro giovanile, la finalità di allentare e al contempo favorire, con la socialità il gioco e l'uso del tempo libero, quella tensione «forte» e sistematica verso la responsabilità matura che compie la scuola attraverso lo studio, la qualificazione professionale e tutto il corredo culturale per inserirsi nella società. La scuola rappresentava il «lavorativo», il quotidiano, il feriale. Uoratorio il «festivo», l'intervallo, l'hobby.
    Il senso di responsabilità si va strutturando su alcuni elementi di cui bisogna tener conto. Suppone in primo luogo di aver colto il carattere dialogico dell'esistenza. Si risponde di fronte a qualcuno o a qualche realtà che si impone alla coscienza per il suo valore o significato. Può essere lo stesso io che coglie ciò che realizza pienamente la vita e ciò che invece la frustra. In tal caso «la responsabilità... va in definitiva rintracciata nella relazione che lega l'agire dell'uomo alle dimensioni profonde del suo essere, alle intenzionalità ultime che guidano le sue scelte e al costante dinamismo che caratterizza la crescita umana nei vari stadi di maturazione» [3]. La fede suggerisce che l'interlocutore è Dio che si fa sentire attraverso la coscienza, le mediazioni naturali ed ecclesiali. Una responsabilità consistente è dunque fondata su una visione della realtà, sul senso che si dà alla propria vita e sulla percezione obiettiva dei valori.
    Non si tratta però di un dialogo solitario. I contenuti concreti della responsabilità si scoprono in una storia nella quale si convive e si interagisce con altre persone. È in questo contesto che bisogna definire le proprie scelte. La responsabilità viene a collegarsi così con l'identità personale e sociale in quanto superamento della dipendenza di qualsiasi tipo, della dispersione anonima negli altri o nella struttura; si manifesta nell'affiorare di una forte coscienza civile, nel discernimento delle proposte che ci sono sul mercato, nel crescere della partecipazione al comune processo di crescita personale e sociale [4].
    È mancante se non rende consapevoli dell'interdipendenza, della solidarietà, della mondialità; se non sensibilizza riguardo alla dignità della persona e alla situazione tragica in cui essa si trova in vaste zone del mondo; se non mette a fuoco questioni come l'uso e la distribuzione dei beni, il diritto alla vita e altri problemi che oggi sono al centro della storia.
    Senso, identità, comunità, storia; tali riferimenti fanno vedere quanto la maturazione in alcuni aspetti fondamentali della persona ricade positivamente sulla responsabilità e allo stesso tempo mette in evidenza la molteplicità di attenzioni che questa richiede.
    Non è di poco conto individuare i fattori che si intrecciano nella evoluzione favorevole della responsabilità, anche se va evitata l'atomizzazione di quello che nella persona agisce in interdipendenza e unità. Essi legittimano quanto diremo dell'oratorio.
    Il primo di tali fattori è il «vissuto» cioè l'esperienza positiva, l'affettività soddisfatta, il sentimento, «il clima psicologico che avvolge l'atteggiamento e l'atto responsabile, e, per così dire, «lo riempie fino a farlo traboccare» [5].
    La morale cristiana non si può intendere come la morale del puro sentimento o soddisfazione psicologica. Non cerca i criteri di autenticità soltanto nella gioia soggettiva, nella rettitudine dei sentimenti. Si preoccupa invece soprattutto del valore delle opere nei confronti del mondo e della storia». Ma attraverso un'esperienza gioiosa il giovane va diventando consapevole dell'influsso che le sue decisioni e azioni hanno su se stesso, sugli altri e sulla società. Questo primo elemento scoraggia le pedagogie «idealiste» o predicatorie e orienta decisamente verso il coinvolgimento dei giovani in azioni e situazioni reali.
    Ma al vissuto (sentimento, tono vitale, passione, coinvolgimento...) la pedagogia della responsabilità aggiunge sempre un elemento conoscitivo, un intervento della ragione o una qualsiasi forma di illuminazione.
    Esso radica le motivazioni e convincimenti nell'interno stesso della persona e dà ragione delle sue scelte. Bisogna dunque aiutare il giovane a capire la realtà, afferrare gli aspetti e principi di valore presenti in essa, prendere contatto con l'esperienza umana e soprattutto imparare dalla parola di Dio quali opzioni concrete corrispondono alla responsabilità del credente. In tal senso il CG23 invita a «educare ad una mentalità di fede che non tema il confronto con i valori» e raccomanda di «aiutare il giovane ad acquisire una sufficiente capacità di giudizio e discernimento» [6].
    Illuminazione oggi significa capacità critica e autonomia di valutazione di fronte ai messaggi che riguardano la vita privata (amore, denaro), ma anche di fronte alle complesse questioni della vita pubblica. Troppe solidarietà credule, quasi assegni in bianco di fiducia, sono state rilasciate in essa dispensandosi dal lavoro di un giudizio personale.
    C'è poi l'orientamento relativamente stabile che il soggetto va prendendo. È facile oggi «l'esperienza temporanea» anche di generosità e impegno. Contiene certamente una spinta positiva ma spesso non struttura la vita. Possiamo chiamarla «cammino di responsabilità»?
    L'atto di scegliere un indirizzo durevole in prospettiva di futuro non avviene in un momento preciso né risponde solo a una pura motivazione ideale, ma vi intervengono certezze istintive, percezioni non totalmente elaborate e sentimenti [7], Ma è il fattore che dà coerenza e continuità a tutto il processo di maturazione della responsabilità. Questa dunque non si sviluppa quando tale orientamento globale o progetto di vita dovutamente motivato non viene stimolato.
    Da ultimo la responsabilità tende ad esprimersi attraverso comportamenti e prese di posizione. «E valutabile all'interno del rapporto tra coscienza e struttura, tra individuo e società». Bisogna oggi più che mai liberarsi da una concezione solo «interiore», in ultima analisi individualistica e «astorica» della responsabilità e della morale. La prassi, dunque, se non costituisce il fondamento della responsabilità certamente ne è la rivelazione e la prova. È grave la dicotomia che pretende una responsabilità senza fondamenti di fede o di ragione. Ma non di meno quella che dà valore alle convinzioni e atteggiamenti interni senza badare alla coerenza della vita. «La parola non è veramente accolta se non quando passa agli atti» [8].
    Questi elementi, esperienza vitale, interiorizzazione delle motivazioni, formazione degli atteggiamenti, comportamenti e abitudini, pratica coerente e creativa, sono dunque altrettanti capitoli di un programma di formazione alla responsabilità.

    * Fa riflettere anche il termine «nuova» riferito alla responsabilità di cui l'oratorio viene indicato come luogo. Se questa parola non ubbidisce a sole intenzioni di «vendita», c'è da domandarsi sui suoi contenuti.
    Parecchi documenti della Chiesa hanno battuto, nell'ultimo tempo, sulla responsabilità morale e sociale dei cristiani [9].
    La novità riguardo alla responsabilità morale viene data dal contesto culturale, che tende a relativizzare la verità obiettiva in favore della valutazione soggettiva e sovente anche della convenienza o gratificazione personale. Si possono aggiungere altri elementi indicativi: la molteplicità di proposte omogeneizzate; una certa latitanza da parte della società e della famiglia nell'orientamento etico, il che genera un declino o oscuramento del senso morale comunitario [10]; le sfide poste alla capacità di decisione delle persone che riguardano beni fondamentali come la vita, la persona, l'amore, la natura.
    Il senso di responsabilità sociale, d'altra parte, è sfidato da fenomeni conosciuti: la caduta di quotazione ideale della politica e dell'impegno pubblico, l'indebolirsi della solidarietà sociale e il suo ripiego verso il «terzo spazio» (il privato sociale), l'ingovernabilità di alcuni problemi, il prevalere del fattore economico sull'orientamento ideale delle società, la consapevolezza delle piaghe, che si sono attaccate alla stessa coscienza dei credenti, l'emergenza di nuovi soggetti sociali, il conflitto tra le istituzioni, la crisi e confusione dei ruoli, l'esaurimento dei sistemi e delle ragioni precedenti di aggregazione. Non c'è praticamente oggi una «teoria politica o sociale» che trovi riscontro nelle realtà dei paesi. Per cui è difficile proporre visioni globali indiscutibili.
    L'ambiente educativo dunque non può seguire, riprodurre o completare la «cultura» etico–sociale corrente, ma si colloca come momento critico e ricostruttivo attraverso frammenti; cerca di supplire quello che la società non favorisce più. Questa infatti non offre «lezioni» di etica sociale o politica. Relegando la gioventù ad aree di parcheggio e prescindendo dalle idealità che sono ad essa connaturali, la società diventa deresponsabilizzante. «In tal caso agenzie meno globali possono, ma solo parzialmente rimpiazzare «l'educatore–società» [11], contando sulla propria credibilità e la capacità dei giovani di ricuperare valori smarriti.
    Questa descrizione non intende calcare la mano sul negativo della società che per altri versi assicura beni importanti, ma soltanto far risaltare la gravità attuale del compito educativo in fatto di responsabilità sociale.

    * C'è un secondo riferimento nel titolo: nuova missionarietà. La missionarietà altro non è che la responsabilità del battezzato consapevole della ricchezza che gli è stata donata, dell'obbligo e la gioia di comunicarla. L'atto di fede ha la struttura psicologica dell'agire morale nel senso che l'uomo risponde alla rivelazione o appello di Dio dalla sua coscienza [12] e conforme a tale appello ordina la vita individuale e la sua presenza nel sociale. La testimonianza e l'annuncio di Cristo scaturiscono dalla responsabilità gioiosa del cristiano, la ispirano, la alimentano. In tal senso questo tema è strettamente collegato col precedente.
    Riferirsi ad una nuova missionarietà giovanile significa far tesoro di un'insieme di percezioni, orientamenti e stimoli maturati nella Chiesa e nella Pastorale Giovanile negli ultimi vent'anni raccolti nella “Evangelii Nuntiandi”, nell'invito a una nuova evangelizzazione, nei movimenti ecclesiali, nelle giornate della gioventù. Ci sono dunque indicazioni, modelli e proposte di missionarietà a cui ispirarsi. Per cui non ci fermiamo ad enumerarle.
    Ma anche riguardo ad essa qualche chiarimento non guasta. Non c'è formazione alla e nella missionarietà se questa dopo un esercizio temporaneo non rimane come atteggiamento e pratica di vita fondata su esperienze convincenti e ragioni di fede.
    La missionarietà comporta una rimeditazione in termini di prassi della vocazione cristiana nel mondo: la percezione del Regno che si va aprendo strada, la scelta di Cristo e del suo Vangelo come via, verità e vita dell'uomo verso il compimento del suo destino come figlio di Dio, la fiducia nella mediazione della chiesa e nelle ricchezze di umanità che essa possiede, una lettura della storia per cui tutto quello che è umano ha significato e peso di salvezza, la comunione, corresponsabilità e complementarità delle diverse vocazioni. È dunque quasi un risultato finale del cammino di fede, sebbene venga esercitata in ogni fase secondo le condizioni dei soggetti.
    La «nuova» missionarietà è determinata da una parte dalla coscienza di popolo di Dio che la Chiesa ha maturato a partire dal Concilio Vaticano II, dall'apporto che essa si sente di dare all'evoluzione della società e della cultura e, di conseguenza, dal tipo di rapporto e presenza che vi si propone; dall'altra ci sono gli spazi culturali nei quali si vede l'urgenza del fermento evangelico, i problemi umani che sfidano la coscienza cristiana, enumerati nella ChL [13], la vicinanza possibile tra i popoli per via della comunicazione e i trasporti, la valorizzazione dell'esperienza religiosa nello sviluppo della persona e nella dinamica sociale, una domanda di spiritualità e di senso che la Chiesa crede di percepire in quest'«ora» dell'umanità.
    La missionarietà dunque si esprime nella testimonianza, e nell'impegno apostolico quotidiano ma richiede oggi attenzione ai segni e apertura generosa alla Chiesa universale e al mondo.
    Le due dimensioni, responsabilità e missionarietà, riflettono l'ideale educativo dell'«onesto cittadino e buon cristiano». Ma l'onesto cittadino di oggi è il cittadino del mondo e il buon cristiano non può essere che quello «cattolico». «Essere onesto cittadino comporta oggi per un giovane promuovere la dignità della persona e i suoi diritti in tutti i contesti» [14].
    Di fronte a queste esplicitazioni si scorgono le possibilità ma anche le eventuali fragilità del programma oratoriano e si intravede l'impostazione che corrisponde alle nuove esigenze. L'oratorio può diventare luogo di nuova responsabilità e missionarietà giovanile, non automaticamente ma a certe condizioni. Ci sono infatti casi in cui non lo è diventato ed è apparso solo come luogo di «consumo onesto del tempo libero». Non ha costituito rottura e differenza con altri programmi onesti rivolti ai giovani.
    Una sua qualificazione educativa e pastorale sembra il requisito indispensabile per percorrere le strade sopra illustrate.

    2. L'ITINERARIO ORATORIANO VERSO UNA NUOVA RESPONSABILITÀ E MISSIONARIETÀ

    L'oratorio possiede una dinamica interna di progressiva responsabilizzazione. È data da alcuni scenari nei quali avviene l'incontro dei ragazzi con determinate proposte e si prevedono, da parte di essi, risposte di sempre maggiore impegno: l'ambiente, i gruppi, l'animazione comunitaria, il territorio. Sono come fasi di un itinerario.

    * La prima fase ha come scenario l'ambiente oratoriano. Suppone nel ragazzo una preferenza per l'oratorio nei confronti di altri luoghi di ritrovo e svago giovanile, come risultato di una valutazione spontanea o riflessa di quello che esso offre. È la fase dell'oratoriano–cliente, che usa e anche sfrutta spazi, attrezzature, organizzazione, ma apprezza già il progetto e lo stile che traspare dall'insieme. La sua fiducia iniziale maturerà in senso di appartenenza e adesione interiore.
    I fattori che vi influiscono e costituiscono dunque punti di attenzione per coloro che gestiscono l'oratorio sono: i messaggi che l'ambiente emette, le attività, la presenza significativa degli adulti, il tipo di rapporto.
    I messaggi dell'ambiente non sono un risultato casuale né si possono considerare formulati una volta per sempre. Vanno invece continuamente verificati, riprogrammati e arricchiti. Si tratta infatti di un dialogo con i giovani mediante segni non verbali. Cambiando i destinatari e il contesto culturale pure le caratteristiche dell'ambiente richiedono adeguamenti. Da esse dipende la capacità di convocazione, di accoglienza, di fare spazio a quello che stimola le idealità ed energie di crescita dei giovani. Per loro l'oratorio non è solo il luogo di approdo nelle ore libere, ma il laboratorio delle esperienze significative, nel quale si lavora con persone che tali esperienze condividono e spingono.
    Il tono dell'insieme attira o respinge, e dunque mette in contatto o allontana dai valori che intendiamo proporre. L'oratorio dei «bambini o ragazzi» non interessa ai giovani, l'oratorio «tutto gioco» non invita chi cerca un certo tipo di impegno. L'oratorio «verticale e organizzato in forma fissa» non richiama chi desidera partecipazione e creatività. L'oratorio «attrezzato ma anonimo» non soddisfa chi abbisogna di incontri e dialoghi.
    L'ambiente oratoriano è caratterizzato dalle attività. Sono molteplici perché intendono rispondere ai diversi interessi dei giovani. Il punto risolutivo è che diventino esperienze educative e non si riducano a puro trattenimento. E ciò senza che perdano il loro carattere spontaneo e di libera scelta. Attraverso di esse i giovani possono imparare e mettere in pratica uno stile di vita, per la qualità degli incontri, per la collaborazione, per la fedeltà agli impegni e la verifica dei risultati.
    Una giusta diversificazione ed equilibrio, lo spazio per quelle più esigenti anche se portate avanti da pochi, il rafforzamento educativo di quelle più esposte al consumo, un aggiornamento creativo che superi la semplice ripetizione, e soprattutto il collegamento e il riferimento di tutte ad un progetto e ad una comunità innalzano il tono dell'ambiente. Mentre la settorializzazione a compartimenti stagno, la mancanza di intenzionalità educative in alcune, il distacco dagli obiettivi comunitari cagionano il calo della qualità. Se le attività infatti non aiutano i giovani a riconoscersi nell'ambiente educativo, nei valori e nel tipo di vita che esso cerca di realizzare diventano un'inutile dispendio di energie.
    Elemento dell'ambiente è la presenza attiva degli adulti. L'oratorio con il solo «incaricato» produce effetti molto limitati riguardo alle sue reali possibilità. L'oratorio «della comunità cristiana» diviene invece quel luogo di incontro dove adulti (animatori, genitori, collaboratori) e giovani riescono a interagire e dialogare, i primi per offrire la loro esperienza di vita, i secondi per elaborare con calma le loro intuizioni, interrogativi e acquisizioni. «Giovani e adulti vivono un'unica esperienza educativa secondo la propria ricchezza personale e la propria competenza: sono tutti a scuola, gli uni educatori degli altri. L'adulto scopre il suo ruolo specifico. Egli è consapevole di dover «trasmettere, a nome della Chiesa e della società, quanto lungo la storia è stato elaborato... soprattutto è loro compito far entrare in sintonia i valori umani e religiosi con la sensibilità e attese che le diverse generazioni giovanili si portano dentro» [15].

    * Un secondo scenario per l'ulteriore crescita nella responsabilità è il gruppo. Le ragioni della sua scelta sono state spesso presentate. Rispondono tutte ad un criterio: personalizzare. Il gruppo richiede dal giovane un coinvolgimento più motivato, una riflessione più articolata sui temi della vita, un apprendistato più paziente dei rapporti, un esercizio dell'espressione più esigente, una verifica più continua della propria affidabilità. Esige dunque definirsi di fronte agli altri nelle scelte occasionali e nel suo orientamento globale.
    Costituisce insomma una mediazione tra l'ambiente grande in cui si rischia l'anonimato e l'isolamento nel quale non è possibile mettere a frutto quanto si sprigiona dalla socialità. Se viene formato e animato secondo criteri pedagogici, il gruppo «espone» alla vita e diviene un esercizio di autonomia e corresponsabilità.
    Riproduce infatti in un campione più semplice come organizzazione e più facile da controllare, il vasto mondo sociale ed ecclesiale dentro il quale i giovani rischiano di disperdersi e di non inserirsi attivamente. In esso ci si esercita a vivere come uomini e come cristiani, a stabilire legami e svolgere attività nelle quali essere protagonisti delle proposte e non semplici destinatari–acquirenti di prodotti culturali o religiosi. L'oratoriano cliente–beneficiario diventa così quanto meno «azionista–socio» dell'oratorio. Le esigenze di responsabilità scattano in direzioni molteplici: verso i compagni, verso l'ambiente, verso le attività.
    Il gruppo prepara così ad inserirsi con un certo bagaglio di esperienza nella Chiesa e nella società. Di esse infatti il gruppo riproduce la pluralità delle persone, la loro diversità, la ricerca di una convivenza che rispecchi l'autonomia dei singoli e la solidarietà fra tutti, non solo nella linea dell'amicizia ma anche dei valori comuni. Ne rispecchia anche la struttura sociale, facendo sperimentare che il rispetto delle regole e, dunque, l'accettazione dei limiti della propria libertà è un arricchimento per tutti.
    Della.società e della Chiesa, il gruppo riproduce il difficile ma essenziale rapporto dei singoli con le autorità e con le sue diverse personificazioni. È il luogo dell'abilitazione a una obbedienza critica e costruttiva, nella quale la propria coscienza è viva, ma si lascia misurare anche dall'autorità e dalla istituzione sociale ed ecclesiale che essa rappresenta.
    Il gruppo abilita quindi a controllare i processi culturali; crea giusti contrappesi alle eccessive pressioni della società, filtra i messaggi e soprattutto può rafforzare gli anticorpi che consentono di sottrarsi al conformismo e alle dipendenze.
    Nel gruppo la personalizzazione raggiunge i nodi da cui cresce la responsabilità: il senso, l'esplorazione della realtà, l'elaborazione di un quadro interpretativo, il progetto di vita, la capacità di azione. Infatti in esso si apprende per ricerca; si suscitano le domande sottese al vissuto giovanile; si selezionano i contenuti culturali e religiosi individuando fra i tanti, quelli maggiormente capaci di parlare alla mente e al cuore dei giovani in quanto risposta provocante alle loro attese e alle loro domande; si propongono tali contenuti non come formule–soluzioni da accettare o rifiutare, ma come piste di ricerca personale o di insieme.
    Nel gruppo inoltre si impara ad agire, a intervenire in modo corretto in ogni situazione che richieda capacità di organizzarsi, soprattutto quando l'obiettivo è produrre un cambiamento.
    La dinamica oratoriana ha sempre contemplato una proposta variegata di gruppi con animatori capaci di ispirazione e guida, anche se mai si è costituito come una costellazione di sole associazioni ma ha lasciato sempre le «porte aperte» per il grande numero che viene a «vedere e provare».
    Oggi però sull'esperienza del gruppo si ripercuotono le tendenze giovanili: appartenenze molteplici, impegni fugaci, «uso» individuale, mutazione di interessi, scarsa tenuta nelle difficoltà. All'oratorio si impone di approfittare di una prassi assodata, suscitare nuove energie di aggregazione, adeguare la pedagogia di accompagnamento, qualificare i fattori di sostegno.

    * Il terzo scenario è la comunità responsabile dell' oratorio. Sono molte le competenze al suo interno: allenatori, tecnici, amministratori, organizzatori, capigruppo, catechisti, collaboratori.
    Nell'ultimo tempo abbiamo radunato tutte queste categorie tecniche in un'unica denominazione tipica dell'oratorio: gli animatori. Quale che sia la prestazione pratica di ciascuno il denominatore comune a tutti è quello di essere educatori che si esprimono nel tempo libero e nel rapporto non istituzionale. Sono capaci dunque di aiutare i giovani a elaborare il vissuto e a fare un cammino di fede collegando dialetticamente le due realtà per una crescita unitaria; sanno far maturare tra le persone e nella comunità–ambiente rapporti di corresponsabilità e appartenenza, stimolare alla partecipazione attiva; invitano a gestire personalmente i messaggi e le proposte superando la passività.
    L'animazione in quanto principio metodologico conta su una abbondante letteratura. Il numero di animatori è venuto aumentando in forma soddisfacente. Gli strumenti messi a disposizione della loro formazione (studi, fascicoli, riviste, scuole, programmi, organi di collegamento) ricoprono ampiamente la domanda.
    Come e perché coloro che si impegnano nell'animazione possono raggiungere una nuova responsabilità e missionarietà? Attraverso tre itinerari.
    Il primo è la partecipazione attiva nella progettazione dell'ambiente e delle attività oratoriane. Oltre ad esigere una ricomprensione della realtà giovanile, psicologica e sociale, il progettare allarga l'interesse del giovane a tutta la struttura e il programma, gli richiede di comunicare con altri edi farsi carico degli obiettivi finali, di giudicare l'adeguatezza dei mezzi e degli interventi.
    C'è poi un secondo itinerario che è quello intenzionalmente formativo nel quale si dà ragione delle scelte, si approfondiscono le ispirazioni che orientano l'insieme, si elaborano quadri interpretativi completi e coerenti, si aprono orizzonti ancora più vasti di impegno e si aiuta a fare sintesi del già sperimentato.
    Infine c'è il vissuto della spiritualità salesiana, all'inizio forse soltanto intuita, poi compresa nella sua organicità e progressivamente assunta come stile di vita e condivisa nella comunità responsabile dell'oratorio.
    Questa fase rende quindi in senso quantitativo e qualitativo nella misura in cui si riesce ad attivare alcuni dinamismi: l'esercizio reale della corresponsabilità, la preoccupazione formativa, la comunicazione dell'esperienza spirituale. Richiama dunque una certa organizzazione e funzionamento della comunità oratoriana, un'attenzione particolare alla profondità umana e spirituale degli animatori, al ruolo del direttore, più «pastore» che manager.
    Continuando con le immagini precedenti, diremmo che l'azionista–socio è passato ad essere proprietario–dirigente, per il fatto che egli non solo gode dei beni dell'oratorio ma sente che deve produrli per altri. Ma perché si possa raggiungere un tale traguardo oggi bisogna mettere a verifica e dare definitivo indirizzo ad alcune delle realtà a cui abbiamo accennato.

    * Lo scenario del quarto livello è il territorio, inteso come comunità umana, chiesa locale, contesto cittadino, società nazionale, orizzonte mondiale. Esso è presente in tutte le tappe precedenti nel senso che l'oratorio cerca di rispondere alle sue istanze, partecipa nei suoi momenti significativi culturali e religiosi. L'oratorio – si è detto – «è una missione aperta, si rivolge a tutti i giovani del proprio contesto e oltre con i quali intende agganciare un dialogo di crescita sulla loro misura.
    Il movimento è sempre verso le frontiere e i margini religiosi, sociali e umani». Per questo si inserisce in una pastorale ampia di gioventù e per questo «il territorio diventa un riferimento obbligato e un punto di attenzione preferenziale come campo di rilevamento e come spazio di lavoro, ma anche come soggetto agente che ci permette di raggiungere i giovani in forma più totale [16]. L'oratorio dunque non lavora solo «intra muros». Esplora i dintorni, si spinge lontano, propone progetti e cerca intese con altre istanze interessate all'educazione e alla cultura. La sede è il punto di irradiazione e concentrazione.
    I confini del territorio si allargano ancora quando attraverso il collegamento di gruppi e associazioni ci si apre a interessi trasversali o quando si rende consapevoli delle dimensioni mondiali che assumono alcuni problemi: la povertà, con le sue conseguenze di fame, mortalità e impossibilità di sviluppo umano, le guerre e oppressioni sociali, le situazioni dei profughi e perseguitati e altri.
    Con la crescita in età e in maturità l'attenzione dei giovani si sposta dall'ambiente oratoriano, al contesto sociale. L'oratorio risulta così una prova e un cammino per il coinvolgimento nella società. Rimane come riferimento, come luogo di prestazioni, rapporti e momenti di partecipazione limitati nel tempo ma significativi, come stazione di ricarica spirituale.
    Perché questo scenario in cui il giovane viene lanciato produca i risultati sperati bisogna sviluppare alcuni nuclei di contenuto, e favorire alcune esperienze.

    * Ne accenno tre. Una è la pratica apostolica o sociale dei gruppi giovanili nello spazio del territorio che veniva già raccomandata in un orientamento precedente [17]. Dipende certamente dal tipo e dall'interesse centrale dei gruppi, dall'età dei suoi membri, dal cammino di maturazione compiuto, ma anche da come il progetto dell'oratorio si rapporta e si apre alle domande e possibilità del contesto. Rimane comunque una prospettiva e un punto di esame.
    In tale pratica è possibile guidare i giovani a comporre in forma proporzionata l'azione con la riflessione. La prima immerge nella realtà e aiuta a non procedere solo per «principi». La seconda aiuta a costruirsi una sintesi con la dottrina già formulata, l'esperienza di altri e le conclusioni maturate nei propri interventi. È un metodo appena praticabile con la massa, è possibile invece con i gruppi e più ancora con coloro che si coinvolgono nell'animazione dell'ambiente o nei servizi al territorio. Con esso il circolo formativo, costituito dall'esperienza, il radicamento delle motivazioni, il plasmarsi di atteggiamenti e preferenze, l'acquisizione di quadri organici di interpretazione e la capacità di agire efficacemente, diventa completo.
    Una seconda indicazione riguarda l'attenzione da dedicare alla formazione sociale e politica dei giovani. Essa ha avuto nel tempo i suoi alti e bassi, momenti di proposta sicura ed entusiasta e altri di abbandono e disorientamento nei quali ha fluttuato tra richiami all'unità e aperture verso un pluralismo disimpegnato, tra il collateralismo scontato e la perdita dell'identità cristiana; tra l'insistenza ideale e la militanza confusa. Oggi vive una nuova stagione in cui il primato va alla coscienza personale illuminata dalla parola di Dio e dell'esperienza della comunità cristiana, raccolta nella dottrina sociale della Chiesa. La possibilità di aderire a gruppi e mediazioni politiche diverse è ormai ammessa. La funzione dei centri formativi si concentra nell'abilitare al discernimento e rendere capaci di un confronto sincero e lucido circa un «bene comune» in continua ridefinizione pratica, in base a valori e criteri suggeriti dalla fede.
    In ambito ecclesiale è stata rilanciata attraverso le scuole di politica, le settimane sociali, l'insistenza sulla conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, una serie di orientamenti del Magistero riguardo alla partecipazione sociale [18], la nuova evangelizzazione che rivolge particolare attenzione ai problemi sociali insieme a quelli della coscienza e del senso.
    La terza esperienza con relativi contenuti a cui è interessante accennare è quella del volontariato nelle sue diverse espressioni. Nell'attuale temperie sociale, diventa esemplare e trainante. I suoi effetti sono limitati riguardo ai nodi della società. La sua carica «formativa» è invece consistente. Nel fascicolo sul territorio si affermava: «Per noi il volontariato può esprimere una dimensione della formazione integrale della persona per i valori che in esso emergono:
    – La solidarietà: il volontariato si muove in una logica secondo la quale soggetti di diversi orientamenti, con motivazioni diverse, considerano la propria vita, la propria storia e il proprio destino saldati con la vita, la storia e il destino degli altri. È la lotta aperta contro il disinteresse, l'individualismo e le chiusure egoistiche.
    – La gratuità: quella del volontariato è un'attività compiuta liberamente senza remunerazione: la gioia di dare senza contropartita. Un valore questo radicalmente cristiano. È l'insegnamento evangelico «gratis accepistis, gratis date». È un valore così sconvolgente nella nostra cultura e nel nostro costume di vita che spesso non è creduto o è colto con diffidenza.
    – L'attenzione ai singoli: il volontariato nasce proprio dalla constatazione che alcuni, i più poveri ed emarginati, non sono trattati da persone, cioè con dignità e rispetto; vivono dovunque nell'umiliazione e nell'oblio.
    – Lo spirito di servizio: più del servizio materiale si tratta di ciò che lo informa. Implica un'attenzione all'evoluzione dei bisogni, un adeguamento costante delle prestazioni e, conseguentemente, l'impegno continuo per la preparazione e la formazione di coloro che svolgono il servizio.
    – La visione liberatrice: il vero aiuto dato alle persone è quello che provoca la loro uscita dallo stato di dipendenza e di povertà, verso una posizione di autonomia e di libertà. Si adotta dunque una metodologia che conduce progressivamente la persona a stare in piedi da sola. In tal senso viene accentuato il lavorare «con gli emarginati», più che il lavorare «per gli emarginati».
    Oggi il panorama dei valori, delle motivazioni e delle realizzazioni è molto più ricco e aperto. È all'opera un'organizzazione che provvede alla sensibilizzazione, alla preparazione, al coordinamento e alla sistemazione giuridica. Siamo dunque di fronte a una proposta per un numero limitato, capace però di motivare ed evangelizzare molti.

    3. L'ALVEO PIÙ PROFONDO

    Questa carrellata di obiettivi e contenuti da individuare, strutture e dinamismi personali da attivare, percorsi da costruire con relative esperienze e condizioni da assicurare può dare l'impressione di molteplicità. Ci tranquillizza il fatto che è già prassi e che ha una logica interna provata da una lunga applicazione.
    Ma fa sorgere una domanda quasi obbligata: c'è un riferimento unificante per cui tutti gli elementi convergono in un risultato che interessa la totalità della persona? La risposta è sì! La formazione alla responsabilità e alla missionarietà trova il suo alveo più profondo nell'orientamento e nella proposta vocazionale.
    Il concetto e la realtà della vocazione soggiacciono a tutto il discorso fin qui delineato. Il traguardo del cammino è riuscire a scoprire l'ambito e la modalità concreta secondo cui mettere a frutto la propria vita. Se dopo molti esercizi «di responsabilità e missionarietà» la vita rimane fuori dell'influsso dei grandi valori e dei motivi evangelici, il percorso tentato si rivela inautentico o almeno con sostanziali carenze pedagogiche.
    A ragione dunque il CG23 afferma: «La scelta vocazionale è l'esito maturo e indispensabile di ogni crescita umana e cristiana... L'impegno vocazionale diventerà in tutti responsabilità familiare, professionale, sociale e politica. Per alcuni fiorirà in una consacrazione di particolare significato: il ministero sacerdotale, la vita religiosa, l'impegno secolare» [19]. La prospettiva è dunque che si passi dall'esperienza di servizio ad un progetto di servizio che abbraccia tutta la vita.
    La coincidenza dei due percorsi, responsabilità–missionarietà e orientamento–scelta vocazionale si rileva dalla semplice coincidenza degli scenari in cui maturano entrambe. Sull'ambiente, sul gruppo, sul coinvolgimento responsabile nella comunità cristiana, sulla presenza impegnata nel territorio si parla in quasi tutti i documenti di pastorale vocazionale. Noi stessi le abbiamo inclusi in una serie di schede [20]. I due processi dunque si suppongono e si rafforzano a vicenda. La responsabilizzazione cristiana porta verso la provocazione vocazionale; l'itinerario vocazionale comporta prendere ed esercitare la responsabilità e capire l'urgenza missionaria.
    La vera sfida alla qualità educativa dell'oratorio è un'impostazione e prassi vocazionale, che raggiunga tutti: i gruppi, gli animatori, coloro che si impegnano in iniziative particolarmente valide. Ed è forse da questa visuale che va riletto l'itinerario medesimo che abbiamo descritto per scoprire le forze che possono sostenerlo, dargli profondità e portarlo a buon termine.

    NOTE

    1 CG23 182.191; 203-214
    2 Dizionario di Pastorale Giovanile, LDC 1992, voce Educazione, Carlo Nanni, pp. 326
    3 Dizionario di Teologia morale, Ed. Paoline, voce Libertà e responsabilità, Giannino Piana, pag. 672.
    4 Dizionario di Pastorale Giovanile, LDC, voce Educazione morale, Guido Gatti, pag. 343.
    5 Aranguren, Etica, pp. 337.
    6 CG23 n. 186.
    7 Marciano Vidal, L'atteggiamento morale, pp. 220.
    8 Veritatis splendor, n. 88.
    9 (Esortazione) Riconciliazione e Penitenza; Centesimus Annus; Verítatis Splendor; Educare alla legalità; Annunciare il Vangelo della carità.
    10 VS 106.
    11 Dizionario di Pastorale Giovanile, LDC 1992, voce Educazione morale, Guido Gatti, pp. 343.
    12 Gatti G., Temi di morale fondamentale, pp. 33.
    13 c III, nn. 35-44.
    14 CG23 228.
    15 L'animatore Salesiano nel gruppo giovanile, pp. 31.
    16 Dizionario di Pastorale Giovanile, Voce Oratorio, Juan Vecchi, pp 684.
    17 Comunità salesiana nel territorio, Dicastero per la Pastorale Giovanile, 1986, pp. 51-52.
    18 Educare alla legalità; La chiesa e le prospettive del Paese; Annunciare il Vangelo della carità.
    19 CG23 n. 149.
    20 Salesiani come e perché, Dossier Pastorale Giovanile 5, Esperienze a confronto, 1989, pp. 92-93; 100-101; 108-109.

    (FONTE: CISI, L'Oratorio dei giovani: insieme per essere fedeli alla vocazione giovanile e popolare. Atti Convegni 1993, pp. 55-71)


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