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    L'oratorio salesiano:

    luogo di

    formazione integrale

    Giovanni Battista Bosco

    Introduzione

    Nella rivista “Rogate ergo” (n. 4, 1993) ho scritto sull'oratorio salesiano quanto segue.
    «Oratorio salesiano! Una realtà con una lunga storia alle spalle, una struttura che suscita ancora interesse, una proposta dal sapore attuale. Ma per quale fisionomia!?
    Non certo per un oratorio «fritto misto», che miscela alla rinfusa iniziative e spiritualità; per un oratorio «flipper», zeppo di videogames e sale-giochi sino all'ultimo ritrovato, nella segreta speranza di non rimanere senza clienti; per un oratorio «week-end», che soddisfa l'annoiato fine settimana con musica e sport.
    E neppure vale una sua configurazione da «sacrestia», che si accontenta di quelli che ci stanno, oppure da club per eletti a soddisfazione delle loro intime esigenze.
    L'oratorio è luogo di convocazione giovanile, è centro di convergenza di tante energie a servizio dei ragazzi, è ambiente educativo che indica la direzione di marcia da compiere insieme, è laboratorio di proposte che coinvolgono tutti, è spazio aperto per il protagonismo del giovane, è palestra di vita nel segno dell'evangelo. Si pone in frontiera «tra società civile e comunità ecclesiale», per formare i giovani «onesti cittadini e buoni cristiani. L'oratorio è in missione aperta sul continente giovanile.
    Per questo, usando note metafore care ai salesiani, l'oratorio è «casa che accoglie»: si fa punto d'incontro in cui ciascuno si sente a proprio agio, accolto nella sua dignità e nei suoi molteplici interessi. È «scuola che avvia alla vita», perché assume la domanda educativa del giovane e l'accompagna nella formazione verso l'impegno responsabile. È «parrocchia che evangelizza» in quanto si propone di riconoscere il profondo desiderio di Dio del giovane per portarlo a maturazione nell'incontro con il Signore Gesù, volto del Padre. È «cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria»: il tocco tipico della voglia di vivere del giovane nelle più diverse espressioni della sua esistenza, senza di cui tutto il resto appare vecchio e stantio».
    In questa panoramica sull'oratorio salesiano intuiamo la verità e l'esigenza dell'assunto del titolo «L'oratorio salesiano: luogo di formazione integrale».

    1. Formazione integrale: una necessità?

    Per comprendere il problema è indispensabile una lettura pedagogica del tempo presente. Lo facciamo evidenziando tre accenti.
    Anzitutto è davvero superfluo tentare di negare che oggi si rileva inesorabilmente un certo «primato del negativo».
    Ne sono prove convincenti questi semplici cenni sul nostro mondo: la situazione di incertezza (EJ. King) di fronte ai ricorrenti cambiamenti, la fragilità esistenziale (GM. Bertin) che rende tutto problematico, la cultura dell'indifferenza (G. Campanini) intesa come neutralità rispetto ai valori e paura del coinvolgimento emotivo dell'impegno, lo scientismo tecnologico (L. Lombardi Vallauri) che dice manipolabilità integrale dell'essere da parte dell'uomo, la comunicazione senza linguaggio (W. Hartmann) per cui diviene impossibile il dialogo interpersonale e inter-culturale, la cultura del piacere (L. Olgiati) con la predominanza del desiderio e dell'immediato, la cultura della frammentazione (G. Cottier) con la conseguente crisi della verità e dell'etica.
    E d'altro canto si avverte oggi la ricerca di alternativa come risposta ai problemi: essa esprime «speranza progettuale».
    Non accettando di percorrere inesorabilmente la strada della negatività, la ricerca pedagogica intraprende la via dell'intenzionalità e della progettualità. Del resto gli stessi aspetti negativi indicati non sono privi di risvolti propositivi.
    Di fronte all'incertezza si può mirare a far crescere come centrale la voglia di vivere nel cambiamento. La progettazione esistenziale è una risposta per ritrovare la forza della ragione. Alla indifferenza si tratta di opporre una cultura della condivisione e solidarietà. Per superare i riduzionismi occorre riscoprire un sistema di valori da rispettare. In un'epoca senza linguaggio è necessaria la restituzione della parola piena, che crea relazione educativa e comunione. Alla cultura degli idoli si può contrapporre una cultura della vita nella sua genuinità. Di fronte alla frammentazione la ricerca di una visione integrata.
    Certo, le annotazioni sono tutte versioni in positivo di quanto viene rilevato in negativo, ma rappresentano le esigenze di una educazione che intende perseguire la «qualità della vita».
    In fondo però si tratta di riscontrare il senso dell'educare, partendo dal riconoscimento della fragilità attuale per ritrovare il vigore della proposta educativa nel contesto pluralistico odierno e per promuovere la vita di tutti a misura d'uomo.
    E infine il terzo accento cade sul nodo centrale dell'educazione oggi. Attorno a che cosa si gioca il compito educativo?
    Per rifarci all'immagine dei linguaggi educativi (di razionalità, di partecipazione, di valori, di differenza...) di Hartmann, noi ci troviamo oggi in una compresenza confusionale di una moltitudine di linguaggi che non riescono a sfociare in un discorso.
    E ogni volta che ciascuno di questi linguaggi pretende di essere tutto il discorso, perde di attendibilità ed efficacia. È necessario quindi ritirarsi dall'imperialismo di un singolo linguaggio per creare un discorso entro cui circoli l'aria dell'umano e si bruci l'ossigeno dell'educativo (C. Scura-ti). Le diverse parole, la punteggiatura e i linguaggi molteplici devono servire insieme a costruire il discorso che si chiama: formazione integrale.
    Questo binomio o sintagma può incorrere in ambiguità o perlomeno in ambivalenze, se non in equivoci. Ne configuriamo il senso in generale, per poi rivisitarlo in taluni aspetti particolari.
    La nostra concezione di formazione integrale si colloca all'interno di una attenzione all'uomo totale (Mounier). Il senso sta nella massima trasparenza della genuina umanità nell'uomo, per cui si educa a tutto ciò che c'è di umano nell'uomo (estensione), al riconoscimento radicale della sua dignità di creatura (profondità), al suo divenire e sviluppo lungo la vita (storicità).
    L'educazione, afferma Giovanni Paolo II, «consiste nel fatto che l'uomo diventi sempre più uomo, che possa 'essere' di più e non solamente che possa 'avere' di più, e che, di conseguenza, attraverso tutto ciò che egli 'ha, tutto ciò che egli 'possiede', sappia sempre più pienamente `essere' uomo» (Unesco 1980).
    Autorevoli documenti salesiani parlano ripetutamente di promozione integrale: «Educhiamo ed evangelizziamo secondo un progetto di promozione integrale dell'uomo, orientato a Cristo, uomo perfetto... Fedeli alle intenzioni del nostro Fondatore, miriamo a formare 'onesti cittadini e buoni cristiani'» (C 31). Unica è la finalità che presenta due aspetti che si coniugano costantemente: la promozione dell'uomo e l'educazione alla fede. È una integralità che si rifà all'umanesimo spirituale di Francesco di Sales.
    Anche i nostri Vescovi, negli Orientamenti Pastorali '90 della CEI, fanno trasparire la sollecitudine per la formazione integrale: «Il vangelo della carità – che racchiude la verità su Cristo, sulla chiesa e sull'uomo –deve diventare centro dinamico e unificatore di una integrale pedagogia della fede... Il metodo da seguire è quello dell'evangelizzazione di tutta l'esperienza giovanile» (ETC 45).
    In verità, formazione integrale, al di là del suo significato complessivo e unificante, può essere letto sotto differenti prospettive, che ne manifestano la ricchezza contenutistica.
    I suoi nuclei vertono attorno alla persona, alla relazione educativa, alla comunità educativa pastorale e alla azione culturale.

    2. Che significa formare integralmente il giovane oggi?

    La questione non è semplice e tuttavia resta fondamentale. I modelli da assumere possono essere differenti, ma l'esito finale deve convergere verso la piena maturità della persona nella fede.
    Per giungere a tale traguardo esaminiamo il nostro modo di intendere la crescita di una persona, la concezione che abbiamo di salvezza cristiana e la funzione liberatrice della evangelizzazione.

    2.1 Quanto alla crescita integrale della persona

    Costatiamo che il giovane soffre oggi di discrasia esistenziale: c'è divisione nell'io, il divario tra pensiero e gesto è usuale, l'anomia rende difficile la convivenza, la relazione viene frustrata dall'anonimato, la cultura dell'apparenza crea schizofrenia interiore, il relativismo minaccia l'unità di coscienza.
    L'integrità del giovane è minacciata dalle più diverse separazione che non trovano coniugazione o composizione nella persona.
    La fragilità personale deriva da questa situazione che rappresenta l'impedimento più determinante per la crescita armonica.
    La consueta risposta sta nell'invitare ad essere attenti a uno sviluppo armonico dell'aspetto cognitivo come di quello emotivo, della dimensione individuale e della sociale, della realtà corporea con quella psico-spirituale. È una strada legittima, ma che si sta rivelando insufficiente e poco organica.
    Una proposta alternativa alla soluzione del problema è la seguente. Consiste nel collocare socialmente la persona, come un centro di una rete di interrelazioni e interazioni.
    Secondo questa visione occorre promuovere l'individuo nella consapevolezza del suo essere con gli altri (struttura relazionale), per fare insieme agli altri (sistema di modelli di comportamento) e nel parlare con gli altri (schema di riferimento dei valori).
    Secondo questa concezione dello sviluppo della persona diventa decisivo far crescere il giovane nella capacità di porsi in dialogo, di mettersi in relazione: l'incontro autentico facilita la comunicazione delle esperienze e favorisce la riflessione sulla propria situazione esistenziale. Ma questa semplice operazione rischia di concludersi in un parlarsi a vuoto, se non si fanno esperienze insieme, dando vita a comuni stili di comportamento. Certe esperienze vengono assai più afferrate nella loro verità profonda, se vengono vissute in comune più che discusse. Eppure intuiamo che questi passi non bastano: ciò che matura la persona sono le motivazioni che portano ad agire. Un insieme di valori come schema di riferimento per guidare la vita non può essere trascurato. È del resto ciò che svela il senso della esperienza.
    Un intreccio organico di queste tre dimensioni contribuisce a far crescere le persone in modo integrato e dinamico.
    Il sapere la verità non basta a formare personalità, anche se occorre creare mentalità. L'agire semplicemente per il bene non matura un giovane, se non vengono riconosciute le motivazioni o ragioni delle azioni. Il sentirsi bene assieme può essere fatale per la crescita personale, quando ci si chiude a riccio e non si elaborano i valori da condividere con gli altri.
    Per formare una personalità armonica e integrale diviene indispensabile, sotto il profilo umano ed educativo, rendere consapevoli di essere in relazione con gli altri, di operare in vista di un compito e di maturare così valori e significati che danno senso alla propria esistenza.

    2.2 Quanto alla salvezza cristiana

    Non si può formare integralmente il giovane se si concepisce la salvezza cristiana in modo riduttivo. Non ci è lecito leggere l'annuncio evangelico in senso privatistico, spiritualistico o puramente escatologico; così come non ci è permesso di tradurre l'evento salvifico in termini semplicemente umani o politici, sociali e solidaristici. Occorre agire con una concezione integrale anche della salvezza cristiana che coniuga il mistero e l'evento con il riscatto sociale e la promozione totale dell'uomo.
    La salvezza cristiana è salvezza di tutta la famiglia umana in Cristo lungo la storia: all'interno della cammino comunitario ci salviamo, pur nella responsabilità delle scelte personali.
    La salvezza cristiana è salvezza di tutto l'uomo in Cristo: sappiamo come sia superata la formulazione «salvezza dell'anima», poiché non rende ragione oggi della verità che è in noi.
    La salvezza cristiana si attua già sin d'ora nella nostra situazione: è la vita divina che ci viene donata in germe per fiorire poi in compimento nel tempo definitivo.
    La salvezza cristiana è certamente in particolare un dono che ci viene dal Signore: è però un dono che attende risposta, un impegno che si traduce in fede, speranza e carità.
    Sono considerazioni notissime queste, ma che conviene richiamare dati i tempi che stiamo vivendo: non sempre infatti ciò che viene dato per scontato a livello teorico, lo si traduce poi nella prassi come una realtà non separata o divisa, anche se distinta.
    Ma che significano in concreto tutte queste affermazioni?
    Che non ci possiamo permettere di progettare delle celebrazioni della fede, come la preghiera e i sacramenti, lontane dalla vita dei giovani e dai loro linguaggi. Che non è possibile avere la coscienza a posto solo perché abbiamo dispensato cultura catechistica. Che non serve, soprattutto oggi, richiedere comportamenti etici senza le motivazioni spirituali, o assecondare gesti simbolici se non ci preoccupiamo di creare tessuto vitale.
    Il Kerygma, la Liturgia e la Diaconia sono da considerare tre dimensioni fondamentali nella costruzione della Ecclesia, perché possa veramente avverarsi la Koinonia, ossia la riconciliazione con Dio e la comunione con i fratelli.
    Il celebrare la gratuità del dono è strettamente collegato con la comprensione dell'annuncio dell'evangelo, che a sua volta esige la testimonianza di vita per essere credibile. Il rendere ragione della propria fede richiede una comunità che la vive, pur nella fragilità dell'umano, e la celebra insieme. L'operare della carità trova la sua sorgente in Dio che viene confessato come il Signore e Salvatore... Si tratta di fede creduta, celebrata e vissuta che trova il suo luogo più autentico nella comunità.

    2.3 Circa l'educazione e l'evangelizzazione

    Nella prospettiva della formazione integrale questi due termini assumono un significato del tutto singolare. Tra loro non c'è opposizione, come neppure confusione di senso. Riferiscono di realtà certamente distinte, ma non disgiunte: educare è proprio dell'uomo in quanto tale, evangelizzare è compito del credente che confida nella forza dello Spirito. Le due realtà si possono opportunamente coniugare, anche se conservano livelli differenti.
    Con l'una si opera sulla realtà della vita umana e sul suo sviluppo, e con l'altra ci si innesta, in forza dell'incarnazione di Cristo, sul tessuto umano per purificare, potenziare, perfezionare la vita stessa, sino a portarla alla sua pienezza nella santità. L'esistenza diviene così progetto di vita cristiana.
    Il sistema preventivo compendia, sia sotto l'aspetto contenutistico che metodologico, l'integrazione vicendevole dei due aspetti, in cui la comunicazione della fede non perde la sua centralità e l'educazione viene assunta in tutto il suo valore.
    Lo slogan «evangelizzare educando ed educare evangelizzando» ha incontrato fortuna perché formulava questa convergenza dinamica.
    In questa problematica si cela una chiara sollecitudine pastorale: non si tratta di disquisizioni superflue. La questione dell'educazione alla fede nella sua integralità deve trovarci sensibili anche sotto l'aspetto del metodo, che non è secondario.
    Il contesto sociale è mutato e la sensibilità giovanile è cambiata. Occorre trovare il coraggio di rivedere il nostro procedere.
    La prospettiva sta nell'evangelizzare «tutta l'esperienza giovanile» (ETC 45) ed evangelizzarla «non in modo decorativo, ma in maniera vitale (EN 20), secondo la nostra scelta educativa.
    Ciò significa assumere tutta l'esperienza giovanile come spazio d'azione educativa, e non solo gli aspetti religiosi della vita: oggetto di attenzione sono tutte le espressioni della vita del giovane e le dimensioni dell'esistenza, come ogni potenzialità o fragilità del suo vivere quotidiano.
    Vuol dire inoltre che intendiamo farlo in maniera vitale, ossia penetrando in profondità con la proposta di fede: i processi educativi sono per noi lo spazio privilegiato, perseguendo in essi la crescita della persona sino alla maturità. Ci si deve perciò preoccupare di «raggiungere i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero, i modelli di vita» (EN 41).
    E infine evangelizzare l'esperienza giovanile indica che dobbiamo guardare con attenzione ai giovani, come di fatto a «soggetti attivi, protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale» (ETC 46). «La Chiesa ha tante cose da dire ai giovani, e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa. Questo reciproco dialogo... favorirà l'incontro e lo scambio tra generazioni, e sarà fonte di ricchezza e di giovinezza» (ChL 46).
    Nella nostra visione l'integralità è qualitativamente cristiana. L'aspetto primo e più importante, quello che illumina tutto, è l'evangelo. Il cuore dell'oratorio era per don Bosco «il catechismo», l'evangelizzazione. È la profonda convinzione che Cristo è il volto di Dio, ma anche il volto dell'uomo, che scopre in Lui il senso vero della propria esistenza: «Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (GS 41).
    Ma dobbiamo essere schietti: oggi i credenti faticano a «dire Dio» alla gente (Martini). Il nostro modo di comunicare la fede, specie ai giovani, deve trovare «nuovo ardore, nuovi metodi e nuova espressione» (Giovanni Paolo II).
    Ed allora è anzitutto indispensabile «rivisitare la fede nell'oggi». Certamente la fede è quella di sempre (dimensione veritativa), ma è da riscoprire come una realtà viva che vivifica: essa è evento, alleanza, patto di vita. Per questo si tratta di «rendere ragione» della nostra fede, risignificandola. In un tempo di irrilevanza e indifferenza, occorre rifondarne l'affidabilità o attendibilità, perché essa risuoni piena di senso per l'uomo comune, come ragione di vita, della mente e del cuore. Bisogna rivelare che «in Cristo troviamo la chiave, il centro e il fine dell'uomo, nonché di tutta la storia umana» (ETC 38).
    In secondo luogo diventa essenziale ridire la fede nel cuore della vita. Nel dramma attuale del divario tra fede e vita (EN 31), rotaie di un binario che scorrono parallele, è senza dubbio urgente incarnare la fede nel tessuto della vita quotidiana. Ossia bisogna educare a «vedere la storia come Lui, giudicare la vita come Lui, scegliere e amare come Lui, sperare come insegna Lui, vivere in Lui la comunione con Dio» (RdC 38). Nulla deve rimanere estraneo alla fede: ciò che è dell'uomo e della sua storia riguarda la fede. Del resto «il vangelo è il più potente e radicale agente di trasformazione e di liberazione della storia» (ETC 38).
    E infine per rinnovare il nostro modo di comunicare la fede, bisogna saper ripercorrere la vita di fede in compagnia. La fede è uno stile di vita in cui ci si può riconoscere: ci si fa allora compagni di viaggio dei giovani per un comune cammino di crescita e costruirsi in Cristo come uomini nuovi. A tale scopo ci sentiamo interpellati a testimoniare una genuina vita teologale con una conseguente esistenza etica, provocati a comunicare la fede non con parole vuote, ma nello Spirito del Dio vivente. È proprio vero che «l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni» (EN 41).

    3. Quale metodo educativo per una promozione integrale?

    Per crescere il giovane in maniera integrale, assume importanza non irrilevante il metodo educativo che viene usato. La parzialità del metodo conduce a incompletezza di formazione.
    Noi fruiamo di un metodo educativo, il sistema preventivo, che garantisce l'unità e la convergenza degli interventi formativi.
    Si tratta di avvalersene senza riduzionismi o esasperazioni e di riattualizzarne le istanze fondamentali per l'oggi.
    La situazione odierna è sicuramente assai diversa dai tempi di don Bosco. I nostri sistemi educativi si dibattono tra il permissivismo che sembra avere la meglio, e l'autoritarismo che perdura nelle pieghe di nuove forme costrittive o plagianti.
    Non ci si può permettere, se si intende veramente educare, variare nell'alternanza dei comportamenti a seconda delle situazioni insostenibili, oppure scendere a compromessi nell'attuale pluralismo odierno delle proposte. Peraltro il sistema di don Bosco risuona come un forte appello a resistere con senso critico nei confronti delle mode del momento e dei miti in voga, per rifarsi alle cose che contano per la promozione della vita.
    Non si tratta quindi di trovare un compromesso tra ipotesi divergenti per risolvere il dilemma, o anche di imboccare la via media della saggezza antica che dice un po' dell'uno e dell'altro.
    Il sistema preventivo rappresenta al contrario una proposta di metodo educativo, che si configura come organico e peculiare.
    Per esplicitare meglio, esaminiamo brevemente due trinomi. L'uno è classico: ragione, religione e amorevolezza; e l'altro è attuale: prevenire, animare e orientare.

    3.1 Senso unitario di «ragione, religione e amorevolezza»

    Questo trinomio sta a fondamento della pedagogia di don Bosco ed esprime la triplice ispirazione che anima tutti gli aspetti dell'esperienza educativa proposta. Infatti di queste tre realtà è permeato il ricco patrimonio dei valori umani e religiosi che garantiscono lo sviluppo del giovane e la sua maturazione nella fede. E al contempo il trinomio è la espressione chiara di un modo di educare che permea l'ambiente comunitario, il rapporto interpersonale e lo stile di vita, come i traguardi e i processi di crescita.
    Con il termine ragione viene sottolineato il senso vivo dei valori genuinamente umani: il valore della persona, del vivere sociale, del lavoro umano, della cultura e del tempo libero... Si tratta di una visione antropologica aggiornata e integrale, libera da riduzionismi ideologici. Dice capacità di saper leggere attentamente i segni dei tempi per individuarne i valori emergenti.
    Ragione significa leggere la realtà giovanile per penetrarne i fenomeni, per infondere loro vigore razionale, per farne emergere la valenza umana. Vuol dire anche ragionevolezza, ossia ricerca concreta di saggezza e sapienza di vita. Di fronte alla complessità del reale e alla sua problematica, l'educatore usa tutta la forza della ragione per interpretare e progettare l'esistenza. La prospettiva culturale fa parte del suo agire educativo.
    La parola religione ci rammenta che la pedagogia di don Bosco è costitutivamente trascendente. La religione deve illuminare la finalità dell'azione educativa, ossia «l'onesto cittadino, perché buon cristiano».
    Essa sta a fondamento dell'edificio educativo, poiché motiva, ispira e accompagna tutta la realtà, che prende corpo in un sistema di valori esistenziali e in un stile educativo singolare. La fede incarnata nella vita permea il metodo in profondità e infonde energia vitale alla proposta educativa.
    In questa visione integrata «amare Dio significa trovare e servire l'uomo, l'uomo vero, l'uomo integrale; e amare l'uomo e fare il cammino con lui significa trovare Dio, termine trascendente, principio e ragione di ogni amore» (RdC 161).
    E infine l'amorevolezza rappresenta il supremo principio del metodo. Essa dice simpatia e volontà di contatto con il mondo giovanile, presenza attiva tra i giovani nell'amicizia e coinvolgimento, proposta significativa che testimonia l'Amore. È carità di Dio che si traduce in bontà educativa, una bontà eretta a sistema e una bontà che sa farsi amare. L'amorevolezza è il centro propulsore di tutta l'azione educativa: crea clima di famiglia, apertura di rapporti, densità attrattiva dei valori. Solo in un'atmosfera vissuta nell'amore, trovano spazio le migliori energie di bene e le fragilità vengono recuperate.

    3.2 Educare: prevenire, animare e orientare

    Il termine «educazione» trabocca di senso da sempre. La sua ricchezza di significati rischia di renderlo polivalente.
    Nella situazione odierna poi, di fronte alla molteplicità delle accezioni linguistiche, alla diversità degli approcci, alla frammentarietà degli orientamenti culturali, si avverte ancor più la necessità di renderne il contenuto più intelligibile e meno ambiguo. Ci si interroga: che significa educare oggi?
    Nei confronti del fatto educativo non basta porsi il problema degli strumenti o della comunicazione. La questione va fatta risalire anzitutto a quale tipo di uomo si intende promuovere e in quale società. Le ideologie non reggono più al caso, e tuttavia una Weltanschauung è esigita, se non si vuole abbandonare l'uomo al mercato dell'arbitrio.
    L'istanza originaria dell'esistere educativo è la totalità dell'uomo, la sua promozione integrale: nulla deve essere sottratto al potenziamento della sua dignità e alla qualità della sua vita.
    Collocata in questa prospettiva, l'educazione assume già un suo volto. Essa non si identifica con la sola socializzazione e non si consuma nell'inculturare, come neppure si limita al semplice apprendimento. Al contrario si configura per la sua chiara intenzionalità e progettualità, che si rifanno a un decisivo sistema di valori a servizio dell'uomo e della sua crescita.
    In questo contesto globale illuminiamo il termine educare nelle sue tre qualità di prevenire, animare e orientare.
    Nel dibattito pedagogico odierno l'educazione come prevenzione è una proposta concreta e una risposta al disagio giovanile. Educazione preventiva è infatti impegno a progettare l'avventura della vita non come una filastrocca di episodi, bensì quale intreccio di vicende che hanno dignità.
    La nostra idea di prevenzione non si arrocca su una concezione sostanzialmente difensiva, che chiede di svolgere un certo tipo di controllo sociale in vista della normalità comune. In un simile intervento si mettono in atto processi che mortificano l'azione educativa, che tende allo sviluppo interiore.
    Ma neppure accentua l'aspetto promozionale dell'educazione che si preoccupa di integrare nel far superare le negatività sociali, correndo i reali rischi di paternalismo e di assistenzialismo.
    Prevenire è per noi invece perseguire un progetto di autentica emancipazione e protagonismo nei riguardi dei giovani; è anticipare le varie forme di marginalità, anche religiose, ed esaltare la capacità di consapevolezza e le potenzialità giovanili.
    L'educatore allora si impegna a precedere il sorgere di esperienze negative che possono compromettere le energie del soggetto o costringere a recuperare con sforzo enorme esperienze deformanti.
    Prevenire dice un approccio alla realtà educativa in stile propositivo, che consiste nel favorire iniziative di decondizionamento proponendo esperienze costruttive.
    In definitiva significa anticipare e proporre un ecosistema di vita e di esperienze, che fa appello non alla costrizione, al plagio o alla protezione, bensì alle risorse dell'uomo. Per questo una tale visione presuppone la radicata convinzione di don Bosco che in ogni giovane ci sono energie di bene.
    Educare è anche saper animare per far crescere.
    Nella società odierna la gioventù vive spesso nella precarietà, subisce pressioni e condizionamenti di vario genere. Convivere con una prospettiva di vita mortificata, che tarpa le ali all'utopia e vieta i sogni, sembra ormai una norma sociale e culturale. La mediocrità vige come legge incontrastata e viene meno la creatività e la fantasia.
    Di fronte a simile situazione accettiamo la sfida dell'educazione, che provoca a nuova consapevolezza della gioventù. Sappiamo che l'educazione è uno strumento povero rispetto alle urgenze incalzanti, è un modo paziente per generare una crescita rinnovata.
    Certo, solo a condizione di un netto miglioramento della situazione strutturale e culturale i giovani troveranno spazio per essere davvero protagonisti. Nondimeno la scelta di educare conserva la sua notevole portata di cambiamento e di maturazione.
    Per far fronte a questo compito pensiamo all'educazione in stile di animazione, che significa rifarsi alla qualità dell'azione umana per scommettere sulla vita. Animare è sviluppare l'esistenza nelle sue più differenti espressioni. Credere che l'uomo può onorare la vita in ogni situazione è animare, è possedere un atteggiamento di fondo che dice passione educativa per -un pieno sviluppo della vita nella sua interezza. Il suo segreto sta nel non deludere le aspirazioni profonde del giovane: il suo bisogno di amore e di espansione, di gioia e di libertà, di futuro. Animare del resto è portare a scoprire dal di dentro i valori e gioirne in profondità.
    Per questo lo stile di animazione consiste anzitutto nel credere alla cultura come luogo in cui si elabora il senso degli eventi e della storia. Ciò non vuol dire esito garantito: esso è piuttosto frutto di scelte positive a favore della persona e della convivenza sociale. Lo stile di animazione rifiuta i modelli educativi che non interpretino i fenomeni sociali e culturali per lasciarsene provocare. Non concepisce l'educazione come un semplice decondizionare o una libera catarsi di energie recondite, o anche un solo curare il seme che cresce. Esso è invece assai più un'educazione basata sullo scambio di esperienze differenti, ciascuna carica del suo senso; sul dire qualcosa di sè per scoprire dentro motivazioni di vita, che divengono ricchezza per gli altri.
    Tale comunicare è valorizzazione delle esperienze di vita che si trasformano in saggezza e sapienza condivisi.
    Educare è prevenire, educare è animare.
    Educare è orientare a un progetto di vita.
    Non è pensabile proporre un modello di uomo, senza affrontare la questione vocazionale. Ogni vita è vocazione.
    In termini di prassi ciò significa che di fronte alle diverse opportunità occorre orientarsi, scegliere, decidere: il proprio ambito di vita, lo studio e la professione, le appartenenze sociali e religiose, lo stato di vita.
    Orientare è perciò una dimensione essenziale dell'educare: è una categoria che accompagna l'azione educativa, perché, mentre si insegna il mestiere di uomo, si sia in grado di scegliere progressivamente la propria collocazione sociale ed esistenziale.
    Nell'azione educativa, l'orientamento rappresenta la prospettiva di sintesi, è il punto di convergenza, indica il momento di proposta globale: in esso la persona da corpo organico ai suoi valori e ideali, al proprio impegno di vita.
    Educare in prospettiva orientativa sta allora nel portare progressivamente il soggetto a conoscere se stesso e la realtà che lo circonda, ma in particolare a guidarlo nella faticosa integrazione tra l'immagine di sè e il suo ideale per sfociare in un progetto realizzabile e soddisfacente da perseguire.
    In questo lavoro, l'educatore è chiamato a indicare, con verità e senza compromessi, le giuste vie da percorrere. A ragione il Papa scrive: «In un mondo tanto frammentato e pieno di messaggi contrastanti, è un vero regalo pedagogico offrire al giovane la possibilità di conoscere e di elaborare il proprio progetto di vita, alla ricerca del tesoro della propria vocazione... L'educatore ama ed educa veramente i giovani, quando propone loro ideali di vita che li trascendono e accetta di camminare con loro nella faticosa maturazione quotidiana delle loro scelte» UP 19).

    4. Quale azione di comunità per un'educazione integrale?

    La convergenza di comunità su una prospettiva di formazione integrale non può essere data per scontata. Sono senza dubbio necessarie una concezione di educazione integrale del giovane a cui tutti gli educatori si rifanno, come anche una visione di metodo educativo che sia organico e unitario.
    Certo, pure la comunità come tale, nei suoi diversi soggetti, deve trovare una propria configurazione ideale complessiva. Di fronte alle sfide della società, e in modo speciale dei giovani, risponde con convinzioni di base: essere segno di fede, scuola di fede e centro di comunione (CG 23). Ciò rappresenta il terreno fertile su cui spandere abbondante seminagione.
    E. tuttavia la comunità necessita anche di strumenti operativi per poter portare a termine nella prassi la sua missione educativa. Ha bisogno di un progetto educativo che crei convergenza dei diversi interventi, garantisca la coerenza interna della proposta, raccordi gli obiettivi con la situazione concreta dei soggetti, collochi la proposta educativa e pastorale all'interno del pluralismo odierno, manifesti la peculiarità della sua ispirazione.
    Non può mancare inoltre di tracciare con consapevolezza un itinerario da seguire per crescere in umanità e nella fede. Il cammino di educazione alla fede e della fede non può essere considerato oggi superfluo da una comunità. Per accompagnare nella maturazione i suoi membri, è indispensabile stabilire traguardi, prevedere le tappe, codificare le esperienze più significative.
    La comunità infine, per utilizzare tali mezzi in modo adeguato, avverte l'urgenza di riconoscere la sua ispirazione e richiamarsi costantemente alla fonte spirituale. La propria peculiarità educativa e pastorale scaturisce e si coniuga con la spiritualità a cui essa attinge e di cui vive.
    Affinché la comunità possa svolgere la sua azione in modo integrale nella prassi concreta, deve rifarsi a questi tre nodi.

    4.1 Il progetto educativo pastorale crea convergenza d'intenti

    La Chiesa italiana negli OR 90, dichiarando la necessità odierna di una PG «organica, intelligente e coraggiosa», asserisce che premesse indispensabili sono un preciso progetto educativo e di cammini di fede specifici (ETC 45). Non sono questioni marginali.
    Un progetto di comunità viene portato avanti comunque nella prassi. La questione non sta quindi nel procedere con un progetto o meno, bensì nell'operare con consapevolezza progettuale ed agire con mentalità di progetto: è il presupposto per una piattaforma organica e integrale dei diversi interventi.
    A garanzia dell'integralità, il progetto deve possedere una completezza organica, resa evidente da alcuni elementi.
    La meta globale anzitutto perché indica la visione complessiva del modello di giovane credente che si intende costruire insieme.
    Inoltre, le quattro dimensioni di base del progetto rappresentano gli aspetti fondamentali che convergono in unità.
    L'istanza educativa e culturale, quella della evangelizzazione e catechesi, la proposta aggregativa e quella vocazionale sono le chiavi interpretative dell'insieme progettuale, e al contempo gli elementi indispensabili per l'integralità del progetto. Insieme garantiscono quella interezza necessaria per la promozione integrale del giovane. Evidentemente sono dimensioni che conservano una loro peculiarità, ma che anche si integrano e possono essere coniugate per ottenere un esito completo.
    L'attenzione territoriale, politica e istituzionale, rende infine il progetto collocato dentro il tessuto umano attuale e in grado di trasformare l'ambiente attraverso l'educazione della persona.
    Si completa così il quadro progettuale che la comunità intende attuare nel rispetto dell'istanza di integralità.

    4.2 Il cammino di educazione alla fede garantisce l'organicità

    Al progetto si aggiunge il cammino di educazione alla fede. Non è un ritrovato odierno questo strumento di metodo: già Bonaventura descriveva itinerari spirituali. Oggi si avverte con urgenza la ricostruzione di queste vie concrete da percorrere per formare i giovani, nel rispetto dei loro livelli di maturazione.
    Ma anche per gli itinerari non si può evitare di porsi il problema della loro completezza organica, perché il cammino sia davvero compiuto e integrale.
    Al di là delle convinzioni educative che accompagnano ogni cammino, come il riconoscere la presenza operante di Dio nell'azione educativa, la necessità di farsi prossimi ai giovani per incontrarli in verità, la disponibilità a sostenerli e orientarli per raggiungere traguardi graduali verso la pienezza di vita, rimane assodato che «il processo educativo per la promozione totale della persona è lo spazio privilegiato dove la fede viene proposta ai giovani « (CG23 102).
    Allora l'educatore si fa compagno di viaggio «di un cammino verso la fede o di un ulteriore itinerario di fede», pensati come una progressiva crescita verso la meta globale, impegnandosi su quattro grandi aspetti della maturazione cristiana (CG23 116).
    Sono la crescita umana verso una vita da assumere come esperienza religiosa; l'incontro con Cristo, uomo perfetto, che porterà a scoprire in Lui il senso dell'esistenza; l'inserimento progressivo nella comunità deicredenti, quale segno e strumento della salvezza; l'impegno per il regno di Dio che prende volto in una precisa vocazione nella Chiesa e nella società.
    Queste aree del cammino di educazione alla fede corrispondono, in termini dinamici, alle rispettive dimensioni del progetto: la corrispondenza non è evidentemente casuale.

    4.3 La spiritualità come ispirazione, accompagnamento ed esito

    Progetto e cammino potrebbero suonare come semplici elementi dal sapore solo strumentale. E così accadrebbe, se essi non fossero accompagnati da una sorgente che li anima, ossia la spiritualità. La proposta di spiritualità, di santità giovanile (CG23 156) invece deve essere considerata «fonte, ispirazione e traguardo».
    Essa è fonte carismatica che risale alla corrente spirituale dell'umanesimo di S. Francesco di Sales, ritradotto da don Bosco: ci configura sotto il profilo evangelico, dà volto alla nostra scelta educativa e spirituale, esprime la sollecitudine della carità apostolica, è l'anima del sistema preventivo. -A questa sorgente attingono sia il progetto che l'itinerario.
    Tale «progetto originale di vita cristiana» ispira e accompagna l'attuazione progettuale della comunità e il suo cammino. Esso ne esprime i contenuti vitali, i temi generatori, le dimensioni e le aree essenziali sul cui terreno si sviluppa l'azione comune. I nuclei fondamentali della proposta SGS infatti corrispondono agli aspetti di base del cammino e del progetto: spiritualità del quotidiano nella gioia e nell'ottimismo, spiritualità dell'amicizia con il Signore Gesù, spiritualità della comunione ecclesiale, spiritualità del servizio responsabile per il Regno.
    E infine la proposta SGS è traguardo del progetto e del cammino di comunità: la santità è indicata da don Bosco, maestro di spiritualità giovanile, ai suoi ragazzi, come meta agognata cui tendere nella quotidianità dell'esistenza. t la vita in pienezza l'esito concreto e definitivo cui arrivare. La felicità del giovane sta qui: nella santità si realizza pienamente e integralmente la sua persona, la vita e la sua storia.

    5. Conclusione: formazione integrale e permanente

    In questa ricerca mi sono chiaramente ispirato al sistema preventivo che è «insieme pedagogia, pastorale e spiritualità». Ne è uscito un risultato caratteristico, contrassegnato dal nostro stile di carità pastorale, che mi auguro abbia illuminato quanto l'oratorio sia per noi «luogo di formazione integrale».
    Non si tratta evidentemente di quantità d'azione, bensì di qualità educativa pastorale. Se vuol seguire il suo slancio missionario, l'oratorio salesiano deve essere «scuola di formazione integrale e permanente».
    Affermano al riguardo i nostri Vescovi: «In quanto integrale, la formazione deve aiutare ciascuno a maturare la sintesi organica di tutta la propria vita. Tale unità di vita è, ad un tempo, espressione dell'unità dell'essere e condizione per l'efficace adempimento della missione. In quanto permanente, la formazione deve estendersi a tutte le età e a tutte le varie situazioni e condizioni dell'esistenza, in modo da far scoprire e vivere, senza sosta alcune ed anzi in continua crescita, le ricchezze della fede» (ALC 37). Ci auguriamo che sia così.

    (FONTE: CISI, L'Oratorio dei giovani: insieme per essere fedeli alla vocazione giovanile e popolare. Atti Convegni 1993, pp. 81-98)


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