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    Prima catechesi
    Saldi nella fede
    Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna


    Elisabetta quando ricevette in casa sua la cugina Maria, la lodò soprattutto per la sua fede: "beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore" [Lc 1,45].
    In questa prima catechesi rifletteremo sulla fede, sorgente della nostra vera beatitudine. Non vi parlerò dunque di nessuna verità che noi professiamo nel Credo, ma cercherò di rispondere alla seguente domanda: che cosa significa credere? Vi dico subito la risposta, così che poi spiegandone ogni elemento, possiate seguire meglio. E la risposta è: la fede è la risposta della persona umana a Dio che le rivela Se stesso ed il suo disegno di salvezza, dando allo stesso tempo una luce sovrabbondante all’uomo in cerca del senso ultimo della sua vita.
    In questa descrizione della fede entrano in gioco due soggetti: l’uomo e Dio. Di Dio si dice che "rivela Se stesso ed il suo disegno di salvezza". Dell’uomo si dice che, credendo, risponde a questa rivelazione, cioè l’accoglie, restando così illuminato nella sua ricerca del senso della vita.
    Cercherò ora di riflettere brevemente su ciascuno dei due attori che costituiscono il dramma della fede. Parto dall’uomo.

    1. L’uomo alla ricerca di senso

    Tanti sono i nostri bisogni; tante sono le nostre domande. Ma se andiamo in profondità, possiamo prendere coscienza che ciascuno di noi non solo ha dei bisogni, pone delle domande, ma è bisogno, è domanda.
    La Samaritana ha il bisogno di andare ogni giorno ad attingere acqua, poiché, come ognuno di noi, vive dentro a questa sorte di dialettica: sete-acqua-sete. Ma Gesù le fa percepire che ella, che la sua persona stessa è sete.
    Tante persone vogliono eleggere Gesù loro re, racconta il Vangelo di Giovanni [cfr. cap. 6], perché ha saziato la loro fame. Ma non si rendono conto che non hanno solo bisogno di pane, ma che sono bisogno di nutrimento. Lo percepisce Pietro: "tu solo hai parole di vita eterna", dice a Gesù, e si attacca a Lui per sempre.
    Cari amici, che cosa significa "ognuno di noi è bisogno, è domanda"? vi aiuto a rispondere con l’aiuto di un nostro grande amico, S. Agostino.
    Egli, come sono sicuro ciascuno di voi, era affamato di amicizie. Ad un certo momento la morte gli strappa il suo amico più caro. Egli è sconvolto: perché la morte ti toglie anche le persone più care? Allora essa è più forte dell’amore? Ma se è così, perché continuiamo a desiderare un amore – in un parola: una vita – più forte? E Agostino conclude: "io divenni a me stesso una domanda" [factus sum mihimetipsi quaestio].
    Agostino ha sperimentato ciò che ognuno di noi sperimenta nei momenti più tragici o belli della sua vita: la vita è più grande del nostro stesso vivere quotidiano, perché porta in sé l’esigenza di ragioni per cui valga la pena vivere. La vita quotidiana è fatta di dolore, il dolore della morte dell’amico, ma dentro a questo vivere Agostino percepisce, o per lo meno desidera e sospetta, delle ragioni per cui valga la pena vivere, nonostante tutti i nonostante.
    Quali sono queste ragioni? Chi/che cosa risponde al mio desiderio di vivere una vita per cui valga la pena di vivere?
    Il bisogno è una mancanza con dentro una domanda [la samaritana manca di "acqua per spegnere la sua sete" e desidera e chiede quest’acqua]. Ma nel momento in cui prendiamo coscienza della nostra condizione, o presumiamo di non aver bisogno di nessuno per trovare risposta al nostro bisogno o ci convinciamo che alla domanda che è ciascuno non esisterà mai risposta.
    Cari amici, il rischio più grande che noi oggi corriamo è quello di assopire, o censurare, o perfino inibire questa immensa domanda che ci costituisce, questo grande desiderio di "uscire all’aperto per vivere nell’ampiezza delle possibilità dell’essere uomo".
    Se non ci immunizziamo contro questo rischio, vivremo secondo i nostri istinti sia pure dentro al quadro della legalità. Ma istinto e legge sono oggi gli strumenti principali del potere dominante.
    Cari amici, quando noi parliamo di fede, presupponiamo un uomo e ci rivolgiamo ad un uomo che non si accontenta semplicemente di vivere, ma che cerca veramente il senso ultimo della vita ed il suo gusto.

    2. Dio rivela Se stesso ed il suo progetto

    Vorrei partire da una pagina di Platone.
    "Infatti, trattandosi di questi argomenti, non è possibile se non fare una di queste cose: o apprendere da altri come stiano le cose, oppure scoprirlo da se stessi; ovvero, se ciò è impossibile, accettare, fra i ragionamenti umani, quello migliore e meno facile da confutare, e su quello come su una zattera, affrontare il rischio della traversata del mare della vita: a meno che non si possa fare il viaggio in modo più sicuro e con minor rischio su più solida nave, cioè affidandosi a una rivelazione divina".
    Come potete constatare l’uomo che cerca risposta, si rende conto che in fondo egli ha solo bisogno che nella sua vita accada un evento: che Dio stesso gli venga incontro.
    È in fondo la stessa posizione che Cesare Pavese espresse quando scrisse: "qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? e allora perché attendiamo?".
    Come avviene l’incontro fra due persone? Lo strumento basilare, la via dell’incontro è la parola detta dall’uno e la risposta dell’altro. Attraverso la parola si rivelano i propri sentimenti, i propri pensieri, i propri desideri, i propri progetti. In una parola: se stessi. Possiamo dire: l’incontro è un evento linguistico. Ma non solo, e non principalmente.
    L’incontro è anche e soprattutto una storia fatta di eventi, di vita condivisa in una reciproca appartenenza. Pensate, per esemplificare, all’incontro fra un uomo ed una donna che venga sigillato dal patto coniugale. L’incontro è una storia.
    Sono dunque questi i due elementi che costituiscono un incontro fra due persone: parole e fatti. L’incontro è sempre e un evento linguistico e un evento storico.
    Ascoltate ora il seguente testo: Cost. Dogm. Dei Verbum 2 [EV 1/873].
    "Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole tra loro intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole proclamano le opere e illuminano il mistero in esse contenuto".
    Chi è il credente? È colui che ha incontrato Dio, che "per la ricchezza del suo amore gli parla come ad un amico, si intrattiene con lui per invitarlo ed ammetterlo alla comunione con Sé". Gli parla e compie gesti divini di amore. La fede nasce da questo evento.
    Nel prossimo paragrafo spiegheremo meglio parlando precisamente dell’atto della fede. Ora mi preme richiamare la vostra attenzione su un punto centrale.
    Non è difficile capire che questo fatto: Dio in Cristo parla all’uomo e compie i sui gesti di amore, deve in un qualche modo accadere oggi. Non deve essere solo memoria di un evento passato, ma presenza oggi dello stesso evento passato. Non solo memoria, ma presenza: Cristo è nostro contemporaneo: solo così può essere risposta al bisogno che è ciascuno di noi. Se ho fame, non mi basta pensare a quando ho mangiato! Ho bisogno di avere il cibo ora.
    Contemporaneità di Cristo non significa che tutto comincia sempre da capo come se in un preciso momento e spazio non fosse accaduto nulla. Ma nel senso che quanto è accaduto una volta, rimane per sempre e ciascuno di noi in qualsiasi momento può incontrarlo. Come? Mediante la Chiesa. Ecco come il S. Padre spiega questo punto nella lettera ai giovani in vista della prossima GMG di Madrid.
    "Anche a noi è possibile avere un contatto sensibile con Gesù, mettere, per così dire, la mano sui segni della sua Passione, i segni del suo amore: nei Sacramenti Egli si fa particolarmente vicino a noi, si dona a noi. Cari giovani, imparate a "vedere", a "incontrare" Gesù nell’Eucaristia, dove è presente e vicino fino a farsi cibo per il nostro cammino; nel Sacramento della Penitenza, in cui il Signore manifesta la sua misericordia nell’offrirci sempre il suo perdono. Riconoscete e servite Gesù anche nei poveri, nei malati, nei fratelli che sono in difficoltà e hanno bisogno di aiuto".
    Vedete dunque come la fede, incontro personale col Signore, ci inserisce profondamente dentro alla Chiesa di ieri e di oggi. La mia fede è la fede della Chiesa: è questa che sorregge e protegge la mia fede.

    3. La risposta dell’uomo: la fede

    La risposta a Dio che rivela Se stesso ed il suo progetto di salvezza è precisamente la fede; il rifiuto della risposta è l’incredulità. Dobbiamo finalmente vedere che cosa è, in che cosa consiste questa risposta.
    Parto da una esperienza umana. Quando un ragazzo dice ad una ragazza che la ama, che desidera condividere con lei la vita, che sia lei la madre dei suoi figli, la ragazza ha tre possibilità di risposta.
    La prima è di pensare che quel ragazzo non è sincero, non è affidabile, la sta ingannando. La seconda è di rifiutare semplicemente quella proposta. La terza è di consentire, e quindi di iniziare una storia di amore.
    Proviamo ad analizzare brevemente la terza risposta. Essa implica un atto di intelligenza: "ciò che mi sta dicendo è vero; non mi sta ingannando". La ragazza è certa della verità delle parole dette. Ma questo non è tutto. Ricordate la seconda risposta? Potrebbe essere sicura che quel ragazzo non la sta ingannando, ma dirgli: "non mi interessi … non sei il mio tipo". Perché inizi una vera storia d’amore, è necessario che la ragazza si senta attratta verso il ragazzo; senta come una sorta di trasporto affettivo nei suoi confronti.
    Se mi avete seguito, non vi sarà ora difficile comprendere che cosa significa credere.
    Dio si rivolge a ciascuno di noi oggi [ricordate la contemporaneità] e dice: "ti voglio bene; desidero vivere con te una storia di amore, perché io sono Amore" [ricordate che cosa significa Rivelazione]. L’uomo ritiene che Dio veramente gli sta parlando; che quando gli dice il suo Amore, non lo sta ingannando: gli dice la verità. Ecco il primo costitutivo della fede: la fede è un atto della ragione che ritiene con certezza assoluta che Dio gli sta dicendo la Verità.
    Ma la fede non si riduce a questo, ad un assenso della nostra ragione. Essa implica anche un profondo interesse per quanto Dio sta dicendo; implica una sorta di attrazione interiore verso la parola, meglio ciò che Dio sta dicendo: in ultima analisi verso Dio stesso. Ecco il secondo costitutivo della fede: la fede è un atto della nostra libertà che decide di porsi nella relazione amorosa col Signore.
    Quando diciamo "credere a Dio" sottolineiamo l’aspetto razionale della fede: quando diciamo "credere in Dio" sottolineiamo l’aspetto affettivo della fede.
    Ma questo non è tutto. La dimensione più importante della fede è un'altra. Ritorniamo all’esempio.
    La ragazza dice sì perché si sente attratta verso quel ragazzo. Donde nasce questa attrazione? Sicuramente dalle qualità che la ragazza intravede nel ragazzo: la sua bellezza, la sua intelligenza … Nella fede accade qualcosa di grandioso.
    Dio esercita un’intima attrazione nei confronti della persona; gli mostra come un raggio della sua bellezza, gli dona come una pregustazione della dolcezza del suo amore. E la persona umana … cede e resta come sedotta. Certamente, quindi, la fede è un atto ragionevole e libero della persona che crede. Ma ancora prima e di più è un atto di Dio stesso il quale muove il cuore dell’uomo e lo rivolge a Sé, apre gli occhi della mente e fa gustare la dolcezza nel consentire alla parola di Dio.
    In sintesi. La fede è un’adesione personale di tutto l’uomo a Dio che si rivela, ed è costituita da un’adesione dell’intelligenza e da un movimento della libertà.

    Conclusione

    Immagino che avrete tante domande. Molti sono infatti i punti da chiarire ed approfondire. Ora nelle vostre parrocchie, nei movimenti ed associazioni dovete riprendere questa riflessione e coi vostri sacerdoti completarla: seguite il Catechismo della Chiesa Cattolica, dal n. 27 al n. 184.
    Due riflessioni conclusive. Non vi sarà difficile ora rendervi conto che la fede è la radice ed il fondamento di tutta la vita cristiana.
    La seconda riflessione è una citazione di S. Tommaso: "la fede è una pregustazione della conoscenza che ci renderà beati nella vita futura" [Compendio di teologia I,3].
     

    Seconda catechesi
    Radicati in Cristo


    I
    Cari giovani, so che molte sono le domande che urgono dentro al vostro cuore. Questa mattina una sola, grande domanda vi è posta. Gesù sta in mezzo a voi, e vi chiede: voi chi dite che io sia?
    Rispondere a questa domanda è di importanza fondamentale per la vostra vita. E in un certo senso siete costretti a rispondere, poiché il dire: "non mi interessa chi tu sia", come vedremo subito, vi pone in un gravissimo rischio.
    Siamo costretti a rispondere alla domanda fattaci da Gesù, perché Egli si presenta con promesse che nessuno prima di lui aveva fatto all’uomo: la promessa di una vita eterna, da subito e non solamente dopo la morte; la promessa di una beatitudine vera. In una parola: di una vita riuscita, non fallita.
    Di fronte a chi fa promesse simili, non è forse inevitabile chiedersi: ma chi è costui che mi fa simili promesse? Inevitabile, certamente, per chi non si è già rassegnato a vivere senza speranze illimitate, come il cuore suggerisce a ciascuno di noi; per chi non ha decurtato il suo naturale desiderio di vivere una vera storia di amore, e non solo qualche episodio; per chi non ha censurato quella tensione instancabile della propria intelligenza verso la Verità tutta intera; per chi non ha rinunciato a dare un senso alla sua vita.
    Cari giovani, quanti prima di voi hanno avuto dentro questa domanda, e non l’hanno censurata. Fra essi Paolo.
    La sua conversione è cominciata da una domanda che egli rivolge al Cristo che gli si mostra: "Chi sei, o Signore?". Sì, cari giovani, perché in questa mattina voi, in un certo senso, potete come Paolo dire a Gesù: "ma tu, chi sei, o Signore?".
    E quando ebbe risposto, la vita di Paolo cambiò. Ricordando quell’evento Paolo scrive: "ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo. Anzi ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore".
    Nel momento in cui voi rispondete alla domanda che Gesù vi fa questa mattina - "voi chi dite che io sia" - ed Egli vi rivela Se stesso, non a parole ma illuminando il vostro cuore, allora voi avete incontrato uno che vi fa vedere nello splendore della verità e gustare nella forza del bene l’intero significato della vita. Vi siete imbattuti nella persona vivente di Cristo e ne restate totalmente affascinati.
    Ma, come avete sentito nella pagina evangelica, non bisogno cercare la risposta in "ciò che dice la gente". Molte sono oggi le false risposte che vi propongono anche i grandi mezzi della comunicazione. Ma ve ne sono due soprattutto da cui dovete guardarvi.
    La prima è quella che vi presenta Gesù come il grande maestro di regole di vita [stavo per dire: una suocera noiosa che vi dice sempre che cosa dovete o non dovete fare].
    La seconda è molto più subdola, e potreste trovarla anche in libri di teologia e catechesi [si fa per dire]. Sono libri o persone che usano una tale sottigliezza di linguaggio da lasciarvi costantemente incerti sulla questione di fondo: ma Gesù è vivo oggi tra noi? lo posso incontrare nella Sua persona vivente della vita risorta?
    Cari giovani, alla fine la questione è questa: Gesù appartiene al passato e può essere solo ricordato oppure è vivo oggi e può essere incontrato? il resto sono chiacchiere.
    Avete sentito che cosa ci ha detto poc’anzi Benedetto XVI: "Anche a noi è possibile avere un contatto sensibile con Gesù, mettere, per così dire, la mano sui segni della sua Passione, i segni del suo amore: nei Sacramenti Egli si fa particolarmente vicino a noi, si dona a noi. Cari giovani, imparate a "vedere", a "incontrare" Gesù nell’Eucaristia, dove è presente e vicino fino a farsi cibo per il nostro cammino; nel Sacramento della Penitenza, in cui il Signore manifesta la sua misericordia nell’offrirci sempre il suo perdono. Riconoscete e servite Gesù anche nei poveri, nei malati, nei fratelli che sono in difficoltà e hanno bisogno di aiuto".

    II
    Cari giovani, conoscete la risposta di Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Noi questa mattina siamo qui perché il Padre nostro che è nei cieli riveli anche a ciascuno di noi la verità di questa risposta; ce la faccia "sentire" nelle profondità della nostra persona.
    Ma che cosa in realtà quelle parole significano? "Tu sei il Figlio del Dio vivente". Gesù, cari amici, è la presenza stessa di Dio in mezzo a noi. Non siamo più soli nella traversata della vita: siamo imbarcati e sulla nostra piccola zattera c’è anche Dio. Non possiamo affondare.
    Cari amici, Gesù ci ha donato molti doni e ci ha detto parole stupende che non passeranno mai. Ma il dono più grande che ci ha fatto è Lui; è che Lui sia presente fra noi.
    L’apostolo Paolo, parlando dei pagani del suo tempo, li descrive nel modo seguente: "senza speranza e senza Dio nel mondo" [Ef 2, 12]. Naturalmente egli ben sapeva che avevano molti dei, molti templi e pratiche religiose. Ma erano "senza Dio nel mondo"; cioè: vivevano in un mondo da cui ritenevano che Dio fosse assente. Ritenevano che la divinità non volesse, non potesse, non dovesse interessarsi delle brutte faccende umane. Quale era il risultato? vivevano "senza speranza", perché alla fine un mondo da cui Dio era assente, era buio.
    Cari giovani, quanto è attuale la descrizione che fa S. Paolo dei pagani del suo tempo! Un mondo da cui Dio fosse assente spegne la speranza; la speranza, intendo, che la nostra vita non finisca nel vuoto eterno.
    "Gesù" – dice Pietro - "tu sei … il Figlio del Dio vivente". Cioè: in te è presente fra noi Dio stesso. Dopo molti anni, un altro apostolo, Giovanni, scriverà: "la Vita eterna si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta". Se Dio è presente in mezzo a noi, noi possiamo conoscerlo; possiamo essere nella sua compagnia ["dimorare nel suo amore", dice Giovanni stupendamente]: e questo significa avere speranza.
    Ascoltiamo che cosa dice un grande scrittore russo. "Su Cristo, potete discutere, non essere d’accordo … Tutte queste discussioni sono possibili e il mondo è pieno di esse, e a lungo ancora ne sarà pieno.
    Ma io e voi … sappiamo che sono tutte sciocchezze, che Cristo – in quanto solo uomo – non è Salvatore e fonte di vita, e che la sola scienza non completerà mai ogni ideale umano e che la pace per l’uomo, la fonte della vita e la salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini, la condizione sine qua non e la garanzia per l’intero universo si racchiudono nelle parole : il Verbo si è fatto carne e nella fede in queste parole" [F. Dostoevskij]. È questa la portata della risposta di Pietro.
    Cari amici, come sarebbe la vostra vita se da essa, se dal mondo in cui vivete, Dio fosse assente? pensate veramente che la scienza, la politica, il benessere economico, l’uso sregolato della vostra sessualità possano darvi le risposte vere e definitive a ciò che il vostro cuore desidera più profondamente?
    "Tu sei … il Figlio del Dio vivente", ha risposto Pietro; e, logicamente, in un altro contesto egli dice: "tu hai parole di vita eterna, da chi andremo?".

    III
    Volendo vivere non in un mondo senza speranza; volendo incontrare il Cristo, il Figlio del Dio vivente, per ascoltare da Lui "le parole che danno la vita eterna", vi chiedete coi primi due discepoli che seguirono Gesù: "dove abiti?" [Gv 1, 38].
    Cari giovani, l’incontro con Cristo – non solo il suo ricordo – è possibile oggi a ciascuno di voi perché Cristo è presente nella Chiesa. Alla domanda: "Gesù dove abiti, perché io possa venire ad incontrarti, e rimanere con te?" Egli risponde: "nella Chiesa". È la Chiesa la dimora dove abita il Figlio del Dio vivente.
    "Nella totalità del suo essere essa ha per fine di rivelarci il Cristo, di condurci a Lui, di comunicarci la sua grazia; non esiste insomma che per metterci in rapporto con Lui. Essa solo lo può fare, e non potrà mai cessare di farlo … se il mondo perdesse la Chiesa, perderebbe la redenzione" [H. De Lubac, Meditazione sulla Chiesa, Paoline – Jaca Book, Milano 1979, 136], perché perderebbe Gesù.
    Senza la Chiesa, cari amici, la nostra vita sarebbe senza speranza perché la notizia che Dio è presente fra noi e che in Gesù ci ha mostrato il suo volto, sarebbe un discorso puramente informativo. Non sarebbe cioè in grado di trasformare la nostra vita, facendoci sentire nel cuore la verità delle parole di Pietro: Signore, tu solo hai parole di vita eterna.
    Cari giovani, forse sentendo queste parole, comincia ad insinuarsi in voi un dubbio: ma come è possibile che la Chiesa sia la custode della vita eterna, la custode della vera speranza per me, la presenza vera di Gesù fra noi, quando essa è fatta di uomini carichi di tanta miseria? Non vi preoccupate. Questo dubbio è vecchio di duemila anni. Quando Gesù si presentò come colui che rendeva presente ed operante la grazia e l’amore di Dio, dicevano: "non è costui l’artigiano, il figlio di Maria … E si scandalizzavano" [Mc 6, 2.3].
    Come potete vedere, lo stesso "scandalo" che ha per oggetto la Chiesa, ebbe per oggetto Gesù. Ma voi dovete guardare più in profondità la cosa. Non è commovente che Dio si sia umiliato fino al punto di essere fra noi, vicino a noi mediante non una società di angeli ma di uomini? Non è commovente che alla domanda di speranza che ciascuno di voi questa sera gli rivolge, abbia risposto non nel modo seguente: "cercami da solo", ma "cercami là dove c’è una comunità di uomini e donne come te, che credono in Gesù"?
    "Dobbiamo diventare beati l’uno con l’altro, dobbiamo giungere a Dio l’uno insieme all’altro e presentarci a Lui l’uno con l’altro" [Ch. Peguy, cit. da Youcat, 78].
    Perché è nella Chiesa che voi incontrate la persona vivente di Gesù? perché in essa vi sono i Sacramenti. Soprattutto l’Eucaristia e la Confessione.
    L’Eucaristia è il sacramento in cui Gesù ci dona il suo Corpo e il suo Sangue – ovvero se stesso – perché anche noi ci uniamo a Lui nell’amore, divenendo un solo Corpo, la Chiesa.
    La Confessione è il sacramento in cui Dio ci perdona e rimette i nostri peccati: ogni nostra piaga viene curata.
    Cari amici, il racconto della passione di Gesù scritto dal suo amico prediletto, Giovanni, termina con l’apertura del costato di Cristo crocefisso da cui sgorga sangue e acqua. È la ferita dell’amore. Accostate le vostre labbra in questi giorni pasquali a quella fonte della vita; lasciatevi purificare e rigenerare da quell’acqua che, sgorgata dal costato di Cristo, scorre nel sacramento della penitenza. E dentro il vostro cuore fiorirà la gioia vera; metterà radice la speranza; la luce della verità vi illuminerà, e diventerete capaci di fare della vostra vita uno splendido dono.
     

    Terza catechesi
    Testimoni di Cristo nel mondo


    1. Quando Gesù lascia visibilmente questa terra, dice ai suoi amici: «avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni … fino agli estremi confini della terra» [At 1, 8].
    Sappiamo che cosa significa “essere testimoni” o “rendere testimonianza”. Molto semplicemente narrare ciò che si è visto, oppure ciò che si è udito a chi ha l’autorità di chiederlo o a chi ha semplicemente interesse a sapere. A modo di esempio, ascoltate la seguente testimonianza: «ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita … noi lo annunziamo anche a voi» [1Gv 1, 1. 3]. È la testimonianza resa a Gesù dal suo più grande amico: Giovanni.
    La fede è un incontro vero e proprio con Gesù, perché Egli non è solo un ricordo, ma è una presenza reale in mezzo a noi. Nella fede e mediante i sacramenti noi viviamo una vera esperienza di amicizia con Gesù.
    Perché, uno potrebbe pensare, devo testimoniare, narrare ciò che mi è accaduto incontrando Gesù? Perché non posso tenerlo per me? Negli Atti degli Apostoli viene narrata una testimonianza resa da Pietro, assai interessante. Egli assieme a Giovanni ha appena compiuto il miracolo di guarire uno storpio. Essi vengono richiesti dal Sommo Sacerdote di rendere ragione del loro operato. Allora Pietro dice: «nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso, e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta dinanzi sano e salvo … in nessun altro v’è salvezza» [At 4, 10. 12]. È accaduto un fatto. Pietro ne dà la ragione: Gesù è presente fra noi con la sua potenza di salvezza. Pietro e Giovanni erano ben consapevoli di questo. Essi per primi lo avevano sperimentato. Ma Cristo non era un bene solo per loro stessi; è un bene da condividere con tutti, perché la sua salvezza è offerta a tutti. Chi crede in Gesù; chi lo ha veramente incontrato, e cerca di nascondere questo avvenimento che gli è accaduto, è come  uno che – direbbe Gesù – accende la luce e poi la copre perché non illumini.

    2. Ma, qualcuno si chiederà: come faccio concretamente a rendere testimonianza a Gesù? La risposta ce la dona S. Pietro nella sua prima lettera. È una lettera scritta a cristiani calunniati, perseguitati. E quindi anch’essi si facevano la stessa domanda: come faccio a rendere testimonianza a Gesù in questa società? Ascoltate bene la risposta di Pietro: «Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» [1Pt 3, 14-15].
    Tu rendi testimonianza prima di tutto, se non hai paura; se non ti lasci turbare dalla previsione di essere deriso e come “compatito” o squalificato [“ma come tu pensi ancora così?”]. Ma la vera fortezza è in un rapporto profondo - «nei vostri cuori» - con Cristo: «adorate il Signore». E poi finalmente ecco come si rende testimonianza a Gesù: «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Mi fermo su questo punto un po’ più a lungo.
    Voi date testimonianza di una speranza che è in voi e che è frutto dell’incontro con Gesù. Chi vive senza speranza, vive veramente in modo miserevole, perché non ha un futuro. Solo quando siamo certi che il futuro è sotto il segno positivo, anche il presente è vivibile. Chi incontra Gesù sa che Egli lo conduce sempre, anche quando passa attraverso valli oscure. Siate dunque testimoni di speranza: «sono molti coloro che desiderano ricevere questa speranza».
    Ma non si è testimoni se non si è in grado di rendere ragione della speranza. La nostra è una speranza ragionevole, che ha un fondamento incrollabile: la fede in Gesù. Dovete quindi conoscere profondamente le ragioni della nostra fede. Leggete e studiate il catechismo: da soli o assieme ai vostri amici. Fatevi aiutare dai vostri sacerdoti.
    Che cosa grandiosa è la vostra testimonianza! Essa dà gloria a Cristo: dando testimonianza, siete la gloria di Cristo in tutto quello che farete. L’Apostolo Paolo usa un’immagine bellissima. Dice che siamo il “profumo di Cristo”: «diffonde per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero. Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo» [2Cor 2, 14-15]. La gloria di Cristo nel mondo rifulge attraverso la testimonianza che gli uomini, i suoi discepoli, danno a Lui. La sfida di Gesù si può riassumere in questo: Egli scommette sui suoi discepoli, ipotizzando che il suo Amore e la sua Salvezza riveleranno la loro potenza e presenza nel mondo attraverso la testimonianza dei suoi discepoli.
    Voi sarete i testimoni di Gesù, la sua gloria, il suo profumo, e così «diventerete strumento per far ritrovare ad altri giovani come voi il senso e la gioia della vita, che nasce dall’incontro con Cristo».

    3. Non posso tuttavia tacere, cari giovani, l’esistenza di una grave insidia che può impedire la vostra testimonianza fin dall’inizio. È uno dei dogmi indiscutibili della cultura in cui viviamo. Potrei formularlo nel modo seguente.
    “La fede religiosa è un fatto privato. Ciascuno si tenga la propria o non ne tenga nessuna. Tutte alla fine hanno lo stesso valore. L’importante è che ci sia una reciproca tolleranza”. Provate a pensare ad un cristiano che accetti questa posizione, e chiedetegli di essere testimone. È come chiedere a uno di … bere litri di liquore e di non ubriacarsi! Cerchiamo dunque di analizzare seriamente, anche se brevemente, quella posizione.
    Essa presuppone – è questo l’errore fondamentale – che la fede religiosa, o meglio ciò che dice la religione non è né vero né falso, dal momento che essa non interloquisce con la ragione ma con altri interlocutori. Chiedersi quindi se una religione è vera o falsa, è come chiedersi … quanti chili pesa una sinfonia di Mozart. Verità e religione sono due grandezze completamente estranee l’una all’altra.
    Vi ricordate la testimonianza resa da Pietro? Perché Paolo percorse il mondo intero allora conosciuto per predicare il Vangelo di Gesù? Semplicemente per dire: “cari ateniesi, cari romani, questa è la mia opinione; però voi ne avete un’altra: è lo stesso!”?
    No certamente. La loro testimonianza nasceva da una certezza: ciò che testimoniamo è vero; e quindi vale per ogni uomo. Ora capite meglio perché vi dicevo: sappiate rendere ragione della speranza che è in voi.
    “Ma – vi si dirà – in questo modo tu sei intollerante”. Intanto costatiamo un fatto: i grandi testimoni di Gesù non solo non hanno mai imprigionato nessuno, o ucciso qualcuno. Sono stati imprigionati e uccisi, non raramente.
    È anche vero che lungo i secoli, non sempre nella Chiesa c’è stata chiarezza su questo punto. E quindi sicuramente dobbiamo fare attenzione.
    La verità non può essere imposta, ma solo proposta. Essa chiede solo di essere conosciuta. «E la vittoria che nasce dalla fede è quella dell’amore. Quanti cristiani sono stati e sono una testimonianza vivente della forza della fede che si esprime nella carità».
    Alla fine, perché testimoniare Cristo? perché è vero, e ne siamo certi, che affrontare la vita nella memoria continua dell’incontro con Cristo, è più intelligente, è più gioioso. In una parola: è più umano.


    T e r z a
    p a g i n A


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