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    Roma:

    storia e arte

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    CENNO STORICO


    La città di Roma ebbe origine da un insediamento di pastori e agricoltori sul Palatino, allargatosi agli altri colli circostanti. I ritrovamenti preistorici sul Palatino, appartenenti agli inizi dell'età del ferro, si collocano tra la fine del IX sec. e gli inizi del VII. La data tradizionale (753 o 754 a.C.), se riferita non ai primi insediamenti sul colle di Evandro ma a quando questi assunsero consistenza di città, appare anticipata. Ci dovette essere, per la creazione di Roma, fusione di nuclei di abitanti, provenienti da stirpi diverse: una combinazione di elementi latini, sabini, etruschi. Discussa è l'etimologia del nome, e altresì l'origine etrusca o latina di esso; Roma potrebbe significare la «città del fiume», oppure la città dei Ruma, gentilizio etrusco. Presentemente, la seconda etimologia raccoglie maggior favore.

    DALLE ORIGINI AL SEC. VI DOPO CRISTO

    La posizione della città, militarmente forte e al tempo stesso commercialmente opportuna - presso al mare e alla foce del Tevere - contribuì al suo sviluppo. Esso fu notevole già nel periodo leggendario della monarchia (i «sette re»): deve peraltro considerarsi senza fondamento l'attribuzione a questo periodo sia di un'ampia cinta di mura (mura serviane), sia di istituzioni politiche sviluppate, sia di grandi conquiste. Dovette bensì formarsi assai presto in Roma una robusta classe dirigente, che esplicò la sua opera nel passaggio dalla monarchia alla repubblica (data tradizionale, 509 a.C.): passaggio connesso con lo scadimento della potenza etrusca, dominante a Roma con i tre ultimi re. La repubblica fu da principio schiettamente aristocratica, con il reggimento di due consoli annuali e del Senato; ma la plebe si affermò rapidamente e fortemente, con l'istituzione dei tribuni, sorti a sua difesa e divenuti magistrati di importanza primaria, e col pareggiamento progressivo (e dalla metà del IV sec. a.C., totale) dei diritti fra patrizi e plebei. Ciò ebbe per effetto non la democrazia pura, ma un grande ampliamento e rinnovamento della classe dirigente (la «nobilitas»), e l'accresciuta importanza, di fronte al Senato, dei comizi popolari.
    Le lotte interne vivacissime non nocquero, ma piuttosto contribuirono all'espansione della città, che nel IV sec. acquistò la supremazia sul Lazio. Dopo la pausa dovuta all'invasione gallica (c. 390), Roma ristabilì e completò il suo dominio nel Lazio, batté i forti montanari sanniti, e trionfò di loro e degli altri popoli italici, gli Etruschi, i Galli e i Greci dell'Italia, meridionale, non riusciti a saldare durevolmente e organicamente le loro forze contro di essa. Circa il 270 a.C. tutta l'Italia peninsulare era soggetta a Roma, in minor parte per annessione diretta, nella maggiore per protettorato. Ne risultò l'avviamento intorno a Roma dell'unificazione italiana, non solo politica, ma anche culturale. Roma, che dall'inizio aveva subito profondamente l'influenza etrusca, assorbì sempre più la cultura greca proveniente dall'Italia meridionale, infondendovi tuttavia spiriti propri e creando una letteratura e un'arte romane con caratteristiche proprie.
    Dalla metà del III sec. a.C. Roma si espande fuori della Penisola. Le due prime guerre puniche (264-201 a.C.) le danno il dominio del Mediterraneo, e ciò la conduce nel secolo e mezzo successivo alla supremazia in Oriente, sui regni usciti dall'impero di Alessandro Magno, e in Occidente sui popoli semibarbari di Spagna e di Gallia. Si costituisce così l'Impero romano, come dominio esterno, prima che come regime interno. Roma, rimanendo il centro della vita politica e culturale italiana, diviene la capitale del mondo civile. A ciò corrisponde il suo ampliamento urbanistico e demografico, il suo splendore artistico e sociale, che raggiungono il culmine nei primi due secoli dell'Impero.

    Il regime imperiale si inizia con Augusto, negli ultimi decenni avanti l'era volgare. Esso conserva il carattere formale di una combinazione di varie magistrature repubblicane, riposante sulla volontà del popolo e del senato romano. Prevale però sempre più il carattere assolutistico e militare, in corrispondenza anche con la crescente pressione esterna dei barbari ai confini. Ciò conduce a uno spodestamento di fatto di Roma: la città cessa di essere dimora degli imperatori e perde qualsiasi influenza effettiva sul corso degli avvenimenti. Il popolo era stato politicamente esautorato agli inizi dell'Impero; ora anche il Senato si riduce a poco più di un consiglio municipale. La lunga decadenza dell'Impero è innanzi tutto decadenza di Roma: politica, culturale, artistica, demografica. Dopo le prime occupazioni barbariche (Odoacre, Teodorico) questa decadenza tocca il culmine al tempo della ventennale guerra gotica.
    Rimane tuttavia la grandezza di Roma, come città prima e senza pari al mondo, maestra di civiltà, fondatrice e centro morale di un impero mondiale, nella coscienza dei barbari non meno che dei romani. Questa grandezza morale prende nuovo corpo grazie al fatto che Roma diviene la metropoli della Cristianità, la sede del primo vescovo del mondo cattolico, del successore di Pietro, principe degli Apostoli, il cui sepolcro, con quello dell'altro principe degli Apostoli, S. Paolo, è custodito nell'Urbe. Nel processo di diffusione e di organizzazione della Chiesa cristiana nell'Occidente romano-barbarico il papato assume posizione eminente e centrale, e di questa posizione beneficia Roma, che conserva così il suo dominio universale, ma con una profonda trasformazione. Non è più protagonista storico il popolo di Roma, ma la città di Roma è il teatro, la sede della nuova istituzione mondiale.

    DAL SECOLO VI AL SECOLO XVI

    Politicamente Roma è, dalla metà del VI sec., una città dell'Impero bizantino, la cui sede primaria in Italia è a Ravenna. Due secoli dopo essa è la capitale del dominio temporale pontificio, una specie di appannaggio territoriale del vescovo di Roma. A questo punto, la storia della città si intreccia con quella dell'Impero franco-carolingio. Effetto di questo intreccio è che la città papale sembra ritornare città capitale d'impero, con il conferimento della corona imperiale a Carlo Magno, l'anno 800, da parte del pontefice e del popolo romano, e le susseguenti incoronazioni degli imperatori in Roma.
    Fu una apparenza piuttosto che una realtà, poiché nel gioco delle forze politiche il popolo e la città di Roma contarono ben poco per le sorti del «Sacro Romano Impero». Tuttavia, la nobiltà romano-laziale dapprima, poi, in gara con essa, il Comune di Roma, ebbero una certa parte nel conferimento della corona imperiale -di cui il Comune tentò anzi, vanamente, di attribuirsi il titolo giuridico eminente - e nelle relazioni fra Chiesa e Impero. Tutto ciò valse a ridare alla città un carattere universale, non soltanto passivo ma anche attivo, sia pure in assai limitata misura. Questo nuovo aspetto della vita romana si nota particolarmente bene al tempo della lotta per le investiture. Durante questa, Roma è disputata fra il papa e l'antipapa imperiale.
    La storia di Roma nell'età comunale italiana - il Comune romano ha inizio nell'anno 1144 - ci mostra appunto l'incrocio nella città di tre protagonisti: Papato, Municipio romano e nobiltà feudale, a cui si aggiunge, per quanto a intervalli, l'Impero. I pontefici furono in urto frequente con il Comune romano e abbandonarono spesso, per amore o per forza, Roma. Il Comune ebbe vita travagliatissima, e non raggiunse mai la forza e l'opulenza dei grandi Comuni italiani. Il periodo del papato avignonese (1305-77), con l'assenza permanente dei pontefici, mentre portò la vita cittadina a uno stato di squallore permise al governo popolare una maggiore organicità e continuità. Dopo il ritorno dei pontefici, invece, l'autorità di questi si affermò ben presto assai più gagliardamente di prima, riducendo nei primi decenni del sec. XV il potere comunale nei ristretti confini di Municipio e non più di Stato. È questo il periodo in cui il potere temporale prende forma e consistenza di principato, analogo agli altri italiani, e Roma diviene capitale dello Stato pontificio, oltreché della Cattolicità, e per opera del papato ritorna ad essere un centro culturale-artistico quale non era più stato dall'antichità.

    DAL SECOLO XVI AD OGGI

    Il sacco di Roma (1527) chiude questo periodo di vivo splendore, ma non modifica sostanzialmente la posizione della città, entro le cui mura il potere del pontefice-re non è più contrastato. L'importanza universale della città, in quanto sede del Pontificato, si accentua col rafforzamento di questo nell'epoca della Controriforma, e vi corrispondono i nuovi splendori della Roma barocca. Politicamente, la città è morta, grazie anche alla ormai sistematica neutralità pontificia, che nel Sei-Settecento tenne fuori il Papato da ogni contesa.
    La vita politica si ridesta per i contraccolpi della rivoluzione francesi. Gli anni 1798-99 vedono la prima eclissi del potere temporale e la prima proclamazione della repubblica in Roma, rievocante fittiziamente l'antica. Pio VI è deportato in Francia: è un brevissimo episodio, e già nel 1800 Pio VII si ristabilisce in Roma. Segue però a poca distanza, per opera di Napoleone, la seconda eclissi del potere temporale (1809): Roma questa volta non diviene repubblica, ma «seconda città dell'Impero»; e al figlio infante di Napoleone viene conferito il titolo di re di Roma.
    Nel 1814, ancora con Pio VII, avviene la seconda restaurazione. Segue un quindicennio di pace sonnolenta, in cui il regime paternalistico papale ristagna e si anemizza, nell'indifferenza della popolazione. Sotto le ceneri, covano i fermenti delle sette e delle passioni patriottiche, in Roma tuttavia molto più scarsi che nelle altre parti d'Italia. L'insurrezione dell'Italia Centrale nel 1831 a Roma non attecchisce.
    Invece, con l'inizio del pontificato di Pio IX (giugno 1846), Roma diviene uno dei centri del movimento nazionale. Il 1848 vede la proclamazione dello statuto e la riunione del parlamento; ma dopo alcuni mesi il contrasto fra il neutralismo del pontefice e il bellicismo dei patrioti, fra moderati e radicali, porta (novembre 1848) alla fuga di Pio IX da Roma, dopo l'assassinio di Pellegrino Rossi, e alla proclamazione della Repubblica Romana (9 febbraio 1849), per opera di un'Assemblea Costituente. Segue il governo di un triumvirato, di cui capo morale fu Giuseppe Mazzini. Le armi francesi abbattono, dopo una valorosa difesa, la Repubblica, e restaurano, per la terza volta in cinquant'anni, il potere temporale, ma in posizione ben più precaria di prima, perdurando il fermento patriottico e cospiratori. La formazione del regno d'Italia (1860-61) restringe al Lazio il potere temporale. Roma pontificia resiste ancora, grazie alla protezione delle armi francesi e nonostante la spedizione garibaldina del 1867, giunta quasi alle porte della città, dentro la quale fallisce il tentativo insurrezionale. Infine, il 20 settembre 1870, l'esercito italiano entra per la breccia di Porta Pia in Roma, che il plebiscito del 2 ottobre riunisce all'Italia. Con il 1° luglio 1871 essa diviene di fatto la capitale del Regno, secondo la proclamazione fatta già il 27 marzo 1861.
    Roma italiana, però, a differenza di quella rivoluzionaria e napoleonica, non scaccia la Roma papale, ma, grazie alla Legge delle Guarentigie (13 maggio 1871), crea di fatto una convivenza pacifica con essa, nonostante la mantenuta protesta papale. L'alta società romana si divide in «bianca» e «nera»; ma la divisione si attenua man mano, fin quasi a scomparire col nuovo secolo, mentre la protesta pontificia diviene formale. Accanto alla vita politico-parlamentare di Roma italiana, continua quella ecclesiastico-religiosa di Roma papale. La fine del dissidio italo-pontificio è suggellata dal Trattato del Laterano (Il febbraio 1929), la cosiddetta «Conciliazione».
    Mentre la prima guerra mondiale era rimasta lontana dalla capitale, la seconda la investe in pieno, prima con qualche bombardamento anglo-americano, che provoca notevoli distruzioni fra Porta Maggiore e il Campo Verano e la parziale rovina dell'insigne basilica di S. Lorenzo fuori le Mura (19 luglio 1943), e poi con la dura occupazione tedesca dopo 1'8 settembre 1943. Ma la città, liberata il 4 giugno 1944, esce dalla guerra sostanzialmente intatta, grazie anche all'opera del pontefice Pio XII. In seguito al referendum del 2 giugno 1946, ha luogo il passaggio dalla monarchia alla repubblica, e, dopo la formazione della Costituente, si insedia il primo parlamento della Repubblica italiana.

    SVILUPPO EDILIZIO E DEMOGRAFICO

    La Roma primitiva (Roma quadrata) si formò sull'altura del Palatino, estremamente modesta di forme e ristretta di estensione (ma al riparo dalle inondazioni, dalla malaria e dai colpi di mano), con la fusione - per quanto sembra - di tre villaggi: Germalus (verso il Campidoglio), Velia (verso il Colosseo) e Palatual (nel mezzo). Questi si sarebbero uniti, successivamente, con altre tre sull'Esquilino (Fagutal, Cispius, Oppius) e con uno nell'avvallamento intermedio (Querquetual), nella federazione del Septimontium, termine da non confondere con quello dei «sette colli», abbracciante tutta Roma (Palatino, Quirinale, Viminale, Esquilino, Celio, Aventino, Capitolino). Alla costituzione del Septimontium sarebbe seguita la fusione di questo con sabini sul Quirinale e sul Viminale, e il Campidoglio avrebbe allora costituito l'acropoli della federazione così ingrandita. Qualcuno però sostiene che il Septimontium non abbia potuto esistere senza comprendere il Campidoglio.

    ROMA ANTICA

    Comunque sia, certo è che la Roma primitiva (di cui tracce molteplici sono state ritrovate sul Palatino negli scavi più recenti) fu da principio una specie di rifugio o di fortezza sul Palatino isolato, in prossimità del Tevere, e di là si dilatò verso i più vicini colli a oriente, mentre si teneva lontana dalla relativamente ampia pianura nell'ansa del Tevere a nord-ovest del Campidoglio (Campo Marzio). I suoi cittadini invece frequentarono fin da principio la pianura più ristretta racchiusa fra i colli della federazione, cioè il Foro romano, facendone il centro degli affari civili, e l'altra fra Palatino e Tevere (Foro Boario e adiacenze), che servì ai mercati e alle comunicazioni commerciali, anche fluviali.
    Secondo la leggenda, Roma avrebbe raggiunto, già prima della fine dell'età regia, una notevole estensione, e Servio Tullio l'avrebbe cinta di mura. Ma le «mura serviane», di cui sono rimasti tratti cospicui, sono in realtà posteriori all'incendio gallico; esse attestano l'estensione che la città aveva raggiunto alla metà del IV sec. a.C. Rispetto alla posteriore cinta aureliana, quella delle mura cosiddette serviane (da chiamarsi più genericamente «repubblicane») lasciava fuori a Nord il Pincio e l'attuale quartiere Ludovisi, a Est i quartieri di Castro Pretorio, Tiburtino, Laterano, a Sud tutto il tratto da Porta Capena a Porta S. Sebastiano, a Ovest il Testaccio (tra l'Aventino e il Tevere) e il Campo Marzio (tra il Quirinale e il Tevere). Con l'incremento economico, politico e sociale del periodo tra le guerre puniche e quelle civili, le mura repubblicane furono largamente oltrepassate, specialmente nel Campo Marzio. Insieme con l'accresciuta estensione, la città cambiò profondamente fisionomia, vedendo sostituite alle modeste case familiari e ai semplici edifici pubblici, in legno, mattoni e tufo, le ricche dimore patrizie, i casamenti (insulae) di affitto a parecchi piani, i templi e le basiliche in travertino e in marmo. Anche le viuzze strette e tortuose furono in parte sostituite da strade ampie e diritte.
    Questa trasformazione ebbe un grande impulso da Augusto («ho trovato una Roma di mattoni e la lascio di marmo»), e continuò nei due primi secoli dell'Impero. Nel centro di Roma, tra Palatino e Quirinale, si iniziò, a cominciare da quello di Cesare, la serie dei Fori Imperiali, aumentandosi così grandemente lo spazio a disposizione dei cittadini e per le pubbliche riunioni. Ma anche negli altri quartieri si moltiplicarono templi, terme e giardini. La plebe, per contro, si agglomerò sempre più nelle insulae, che aumentarono il numero dei piani, raggiungendo notevole altezza. Dopo l'incendio neroniano del 64 e l'altro dell'80, la città fu ricostruita più moderna e più regolare. Il Palatino, con le grandi costruzioni di Domiziano, divenne quasi un unico enorme palazzo imperiale, accentuandosi così la fisionomia dinastica e cortigiana della città, che vide però contemporaneamente accrescersi le sue magnificenze e le sue comodità, con l'erezione di circhi, teatri e terme.
    Il II sec. segna il periodo del massimo splendore di Roma antica, che si ritiene contasse allora più di un milione di abitanti. Essa era divisa (per disposizione augustea) in quattordici regioni, cui succedettero i rioni medievali e moderni: Porta Capena, Caelimontium, Isis et Serapis (Oppio), Templum Pacis, Esquilliae, Alta Semita (dal Quirinale a Porta Pia), Via Lata (il Corso), Forum Romanum, Circus Flaminius, Palatium, Circus Maximus, Piscina publica (Terme di Caracalla), Aventinus, Trans Tiberim. Nel III secolo, dopo i Severi, l'incremento demografico e lo sviluppo edilizio subiscono una sosta. Prima della fine del secolo, la minaccia incipiente delle invasioni barbariche induce l'imperatore Aureliano (270-75) a costruire una nuova e più ampia cerchia di mura, quella che ancora oggi, dopo quasi diciassette secoli, si conserva in gran parte, includente una superficie quasi quattro volte maggiore, con un circuito di circa 18 km, e nella quale si aprivano 13 porte.
    Entro la cinta aureliana la Roma imperiale arrestò la sua espansione, e ben presto ebbero inizio la sua decadenza e lo spopolamento, questo dovuto a cause generali ben note, cui converrà aggiungere la malaria, che, infestando la Campagna, si spinse in certe zone fino alle porte della città. Perduto di fatto Roma il suo rango di capitale, con la lontananza dell'imperatore e della corte, circondata da una campagna a coltura estensiva, a pascolo, e scarsamente abitata, soggetta alle conseguenze della crisi economica generale, la popolazione diminuisce, l'attività edilizia si arresta del tutto, la manutenzione degli edifici pubblici e dei monumenti è trascurata, p anzi incomincia il loro progressivo sgretolamento, che si accelererà nel Medioevo e nel Rinascimento. La chiusura dei templi, dovuta alla proscrizione del paganesimo, contribuì alla loro rovina, senza che ci fosse opera premeditata da parte cristiana. Invece, le effimere, rapidissime occupazioni barbariche (Alarico, 410; Genserico, 455) pochi danni produssero alla Roma monumentale: è piuttosto la vita che si allontana da essa.

    ROMA MEDIOEVALE

    Mentre Roma andava così perdendo i suoi lineamenti di città imperiale, essa ne acquistava di nuovi e differenti, grazie al trionfo e al dominio della Chiesa cattolica. Roma cristiana utilizzò solo una piccola parte dei monumenti pagani, preferendo adattare piuttosto locali privati per gli usi del culto o costruirne di nuovi. Nel IV-V secolo sorgono numerose chiese, e il loro numero si accresce nei secoli seguenti. Le principali fra queste sono i tituli, o chiese parrocchiali; accanto ad esse hanno importanza anche le diaconie, tra cui si ripartisce l'azione amministrativa e assistenziale della Chiesa romana, divenuta l'istituto cittadino più importante. Non cambia, invece, la pianta di Roma, per quanto notevolmente diradata in talune zone. Si sposta altresì il centro della vita cittadina, che dai Fori e dal Palatino si rivolge verso il Laterano, sede del vescovo di Roma o - come si disse con termine divenuto presto esclusivo - del papa.
    Durante il primo periodo gotico, sotto Teodorico, si ha un qualche rifiorimento della città, anche edilizio; ma con la guerra gotica (535-53) Roma toccò forse il punto più basso nella sua storia millenaria. Assedi ed espugnazioni ripetute, con passaggi da un belligerante all'altro, la fame e la peste desolarono la città, tanto che la si dice rimasta per molti giorni quasi deserta. La popolazione stabile scese probabilmente al di sotto dei cinquantamila. Il Senato scompare, e ogni organizzazione civile vien meno, rimanendo solo quella ecclesiastica, che le subentra.
    Col ritorno della pace, le condizioni migliorano; ma l'invasione dei Longobardi, spintisi fino alle porte di Roma, tornò a peggiorare la situazione. Si accrebbe, anche per la malaria, lo spopolamento nelle campagne circostanti. Forse l'elemento più spiccato di vita nella Roma del VII sec. è costituito dagli stranieri pellegrinanti al sepolcro dell'apostolo Pietro.

    Il sec. VIII vede rialzarsi le condizioni di Roma, come in generale del resto d'Italia. La vita della città, anche civile, ha un risveglio, che peraltro interessa più che mai i quadri ecclesiastici, essendo ormai il pontefice il vero capo della città. Con l'inizio del periodo franco si ha anche una modesta ripresa di attività edilizia e artistica (fin verso la metà del IX sec.), mentre già dal tempo di papa Zaccaria (741-52) i pontefici fondano nella Campagna le «domus cultae», fattorie che concorsero a rianimare l'Agro; ma ben presto anche queste cedono alle avverse condizioni climatiche e sociali.
    La cosiddetta restaurazione dell'Impero d'Occidente, con l'apparato delle incoronazioni imperiali succedutesi in Roma dall'800 (Carlomagno) al 1452 (Federico III), e con la permanenza, generalmente brevissima, degli imperatori, apporta a Roma qualche bagliore e un ritorno di prestigio, senza tuttavia rialzarne le condizioni economiche e politiche. A metà del sec. IX sono i Saraceni che, dal Tirreno, vengono a portare nuovi motivi di insicurezza e rovine: nell'846 le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo sono saccheggiate. Il pericolo saraceno, però, dette occasione alla costruzione (848-52), per opera del pontefice Leone IV, delle «mura leonine», in difesa della zona vaticana e di S. Pietro, facenti capo a Castel S. Angelo e alla porta di S. Spirito. Le incursioni saracene tuttavia non cessarono; e più di esse resero precarie le condizioni della città i torbidi dell'ultimo periodo franco e del susseguente «Regno Italico». Il X secolo fu denominato «secolo di ferro», per l'asprezza delle contese; ma peraltro un periodo di ordine e di ripresa cittadina fu quello del principato di Alberico (936-52). Incertezza e disordini ripresero con le lotte tra i primi imperatori tedeschi e la nobiltà feudale della Campagna. Alla fine del secolo, la residenza di Ottone III, sull'Aventino, dette alla città un momento di effimero splendore.
    Le condizioni non cambiano nella prima metà del sec. XI, alla fine del quale la contesa per le investiture provoca nuove lotte e calamità guerresche. Nel 1084 l'espugnazione della città per opera dei Normanni (Roberto il Guiscardo) portò a saccheggi, incendi e distruzioni notevolissime, specialmente nella zona del Celio, con effetti duraturi di spopolamento e di abbandono.
    Col sec. XII si inizia un'attività restauratrice e innovatrice, che va dall'edilizia all'amministrazione civica e all'organizzazione politica. Molto si lavora per il restauro o la ricostruzione delle chiese, e queste opere sono contemporanee o di poco anteriori alla fondazione del Comune (1143-44). Il. Campidoglio, da lungo tempo abbandonato, ospita il Senato ricostituito, e torna ad essere il centro della vita cittadina, la quale riacquista una organizzazione propria, accanto alla Curia romana e ai poteri feudali.
    Tuttavia il Comune, pure spiegando una intensa attività politica, rimane sempre economicamente e socialmente debole, e, in particolare, le condizioni dell'Agro non migliorano. A questa debolezza corrisponde in Roma comunale la mancanza di una architettura civile: sono i palazzi-fortezze dei nobili, costruiti spesso incorporando antichi edifici (p. es. l'Arco di Tito e il Teatro di Marcello), quelli che prevalgono. Al di fuori di essi, il volto di Roma rimane essenzialmente ecclesiastico e papale, essendo la presenza o l'assenza della Corte romana l'elemento precipuo della vita economica e sociale. Nemmeno i nuovi ordini religiosi popolari (Francescani e Domenicani) riuscirono ad assumere in Roma una importanza analoga a quella raggiunta nel resto d'Italia.
    Si comprende così come anche durante il periodo avignonese (1305-77) si sia toccato uno dei punti più bassi riguardo le condizioni sociali, demografiche ed edilizie della città. È il periodo desolante in cui il Campidoglio diventa «Monte Caprino» e il Foro Romano «Campo Vaccino». A questo proposito si racconta che pecore e capre pascolassero anche in S. Pietro e in Laterano. La popolazione era scesa allora a poche decine di migliaia di abitanti.

    DAL RINASCIMENTO AD OGGI

    Il Rinascimento segna la rinascita definitiva di Roma. I pontefici, divenuti sovrani come gli altri principi d'Italia, e posti nella posizione consolidata e ampliata di governatori supremi nella Chiesa, fanno di Roma la capitale del mondo cattolico. La formazione del complesso dei palazzi del Vaticano, l'erezione della nuova basilica di S. Pietro, la trasformazione, l'ampliamento e la costruzione di chiese, di edifici conventuali e di palazzi, l'apertura di nuove e belle arterie stradali, cambiano radicalmente il volto di Roma. Nella creazione di nuovi valori edilizi e artistici vanno parzialmente travolti i valori precedenti, medioevali e paleocristiani, pur rimanendone abbastanza per contribuire alla varietà della fisionomia di Roma.
    Il sacco di Roma del 1527, se ebbe conseguenze immediate disastrose, anche sulla consistenza demografica della città (che sarebbe scesa da 90.000 a 30.000 abitanti), non produsse che un arresto temporaneo di tale trasfigurazione e incremento. Questo anzi proseguì con carattere di notevole organicità, specialmente in rapporto a sistemazioni urbanistiche e alla creazione di nuovi quartieri. Alla via Giulia, voluta da Giulio II, si aggiunsero altre nuove strade, fino a quella che prese il nome di Sistina, dal suo creatore, Sisto V, cui si devono anche gli «stradoni» che da S. Maria Maggiore conducono in rettifilo a S. Giovanni in Laterano e a S. Croce in Gerusalemme; furono aperte grandi piazze, che ebbero l'ornamento di obelischi e di fontane. Il Cinquecento è il secolo che vide l'erezione di S. Pietro e di sontuosi palazzi e la formazione di splendide ville; non meno grandiose furono le realizzazioni del Seicento, bastando ricordare la piazza S. Pietro e la piazza Navona, e così quelle del Settecento, con la scalea della Trinità dei Monti e la fontana di Trevi, tutti esempi di stupende ambientazioni urbanistiche.
    Si può dire che la fisionomia della città abbia acquistato alla fine del Settecento i suoi caratteri definitivi, che non furono alterati durante il periodo neoclassico, durante il quale si ebbero le sistemazioni di piazza del Popolo e del Pincio, mentre altre notevoli opere si innestarono nella compagine edilizia con oculato senso di misura. Dalla morte di Pio VII al 1870 scarsi furono i cambiamenti. Roma capitale, se nel campo dell'edilizia non dette sempre prodotti di esemplare monumentalità, pur rispettando le leggi di un generico decoro, iniziò invece uno sviluppo demografico senza precedenti dai tempi imperiali in poi: i duecentomila abitanti del 1870 erano già raddoppiati nel 1900. La compagine urbana ebbe quindi una rapida espansione con la creazione di nuovi quartieri, sicché la sua consistenza edilizia ne fu triplicata. Mentre la cinta aureliana era riuscita fino ad allora a contenere quasi dappertutto lo sviluppo edilizio, includendo anzi vasti spazi a ville, vigne e orti, ora tali spazi si infittiscono di costruzioni, e queste ne traboccano liberamente, intaccando l'aperta campagna. Già prima della fine dell'Ottocento erano state create entro la cerchia aureliana le vie Nazionale e Cavour e l'importante arteria del corso Vittorio Emanuele II; furono aperte le grandi piazze delle Terme (oggi della Repubblica) e Vittorio Emanuele II; sorsero i nuovi quartieri dell'Esquilino, del Celio, del Testaccio e dei Prati. Il corso del Tevere entro Roma fu regolato con i grandi muraglioni, ponendosi finalmente termine alla serie secolare di inondazioni, i cui alti livelli raggiunti sono tuttora segnati in vari punti della città. Nei primi quarant'anni del nostro secolo l'espansione fu assai maggiore che nei trenta precedenti: si formarono così i quartieri Flaminio, Salario, Nomentano, di Porta S. Giovanni e di Porta Maggiore, Ostiense, di Monteverde (Gianicolo), di Porta Cavalleggeri, della ex piazza d'anni (quartiere Mazzini), di Monte Mario e di Monte Sacro. Sono infine da ricordare le estese demolizioni e gli scavi archeologici compiuti nel centro e la loro sistemazione: i Fori imperiali, i Templi dell'area Argentina, l'isolamento del Colle Capitolino, l'area del Mausoleo di Augusto.

    La zona centrale di Roma si presenta oggi come un complesso organismo di strutture svariatissime, che si son venute sovrapponendo e accostando le une alle altre: le vestigia dei tempi più lontani, le rovine grandiose dell'età imperiale e gli austeri avanzi dell'Alto Medioevo si alternano e si fondono con le splendide opere del Rinascimento e dell'età barocca e con le costruzioni più moderne, mentre alcune zone alberate contribuiscono a dare un tono di serenità anche alle vestigia monumentali più severe.
    La popolazione della capitale, che sessant'anni or sono contava poco più di 900 mila abitanti, ha avuto nel secondo dopoguerra, per le massicce immigrazioni specie dal Sud, un incremento enorme fino a raggiungere oggi quasi i 3 milioni (2.874.038 al 30 novembre 2014). Il fatto ha causato, anche per la carenza di un rigoroso piano urbanistico, una incontrollata espansione urbana imposta dalla speculazione edilizia. Si sono infittiti i fabbricati nelle aree ancore libere dei moderni quartieri, anche con sacrificio di larghe zone di verde, e sono dilagati a macchia d'olio oltre la cintura ferroviaria, lungo le direttrici delle vie di comunicazione che si irradiano nella campagna, formando così popolarissime, disordinate e spesso addirittura squallide borgate, che si estendono per un raggio di 10 e più chilometri dal centro, fino a raggiungere in vari punti il grande anello di raccordo costruito a tale distanza come estrema circonvallazione e che serve anche da allacciamento delle varie autostrade che si dipartono dalla città. Tra questi nuovi quartieri periferici si distingue, sia per la sua faraonica fisionomia architettonica, improntata alla retorica monumentale dello stile fascista, sia per la funzione assunta, il quartiere dell'EUR. Iniziato nel 1938 quale sede della progettata Esposizione Universale, ripreso nel 1952 dopo l'interruzione dei lavori imposta dalla guerra, solo di recente si è andato completando e integrando nella vita cittadina, divenendone, più che un quartiere di abitazione, il quartiere direzionale e di rappresentanza. Al fatto di essere cresciuta in così breve tempo a grande e popolosa metropoli Roma deve, in più della caotica espansione, gli inconvenienti di un traffico intenso e tumultuoso, che il vecchio sistema viario male sopporta, soprattutto nei quartieri del centro storico (ove, tuttavia, di recente è stata creata una vasta zona pedonale), e che minaccia la godibilità e la stessa integrità del suo patrimonio monumentale.

    LINEAMENTI DI STORIA ARTISTICA

    La Roma del periodo regio e del primo periodo repubblicano subì prevalentemente l'influenza della cultura etrusca: questa, a sua volta, era compresa nell'ambito di espansione della cultura greca, soprattutto per quanto si riferisce all'arte. Attraverso l'Etruria, pertanto, anche Roma risentì fin dagli inizi l'influenza culturale e artistica greca; la subì poi direttamente, allorché entrò in relazione con l'Italia meridionale, e specialmente dopoché le città della Magna Grecia entrarono a far parte della cosiddetta confederazione romano-italica. Con le spedizioni e le conquiste in Grecia e in Oriente nel corso del II sec. a.C., l'ellenizzazione della cultura e della vita spirituale romana raggiunse il culmine. Gran quantità di opere d'arte greca, originali ma più spesso copie, affluirono in Roma, che divenne quasi un grande museo dell'arte greca, con predominio di quella ellenistica su quella del periodo classico. In Roma stessa operarono, alla fine della Repubblica e nei primi tempi dell'Impero, compagini di scultori ellenistici, che si dedicarono all'imitazione della scultura più antica; é ancora oggi i musei romani testimoniano di questo processo storico-artistico.

    ARTE ANTICA

    Si sviluppò tuttavia per tempo un'arte romana locale, con caratteri propri. Lo spirito romano trovò una sua espressione particolarmente efficace nell'arte del ritratto: busti in bronzo o in marmo di spiccata caratterizzazione (esemplare il cosiddetto Bruto Capitolino) si creavano già in Roma nel IV-III sec. a.C., sempre più moltiplicandosi fin verso la fine della Repubblica. In questo tempo fiorisce anche la pittura decorativa parietale, analoga per tecnica, stile e soggetti, a quella pompeiana.
    Dove però l'arte romana si afferma fin dagli inizi con grandiosità e originalità di forme, è nell'architettura, che si avvale da principio li esempi etruschi, soprattutto nell'impiego della volta, come nel Tullianum e nella Cloaca Massima, che risalgono al tempo che intercorre fra l'incendio gallico e l'ultimo secolo della Repubblica.
    Ma già in precedenza, all'inizio di questa, sarebbe stato inaugurato il Tempio Capitolino, costruito allora in tufo e in legno, e alla cui decorazione avrebbero concorso artisti etruschi di Veio. Col trionfo dell'ellenismo e con l'aumentata ricchezza, i templi si costruirono interamente in pietra e secondo modelli greci, tanto nella pianta quanto negli alzati, come quello cosiddetto della Fortuna Virile, risalente a circa il 100 a.C. La fine della Repubblica vede anche il primo teatro in pietra, quello di Pompeo. Elementi greci si riconoscono anche in un tipo architettonico che ebbe a Roma particolare sviluppo: la «basilica», luogo di ritrovo, di udienze giudiziarie e di adunanze. La grande Basilica Emilia, nel Foro, fu eretta nella prima metà del II sec. a.C.
    L'età più splendida dell'architettura romana ha inizio tuttavia con l'Impero. Con Giulio Cesare, cui si deve la Basilica Giulia, incomincia la serie dei Fori imperiali che, uno dopo l'altro, sorgono fino al tempo di Vespasiano. I Fori comprendevano grandi e svariati edifici: templi, basiliche, biblioteche, colonne onorarie, archi di trionfo, tutte opere di fastosa architettura, attuate con materiali di pregio e ricche assai spesso di finissime decorazioni e di sculture. Sono da ricordare in proposito, fra le opere giunte fino a noi, e oltre ai rilievi dell'Ara Pacis augustea, i rilievi che fasciano le colonne Traiana e di Marco Aurelio, e quelli dell'Arco di Tito, di Settimio Severo e di Costantino, senza contare quelli raccolti nei vari musei. Nuove e ardite forme costruttive, talora grandiose fino al colossale, si affermano col Pantheon, il Colosseo, la Domus Aurea di Nerone, le costruzioni di Domiziano sul Palatino, i Mercati Traianei, il Tempio adrianeo di Venere e Roma (e le costruzioni di Villa Adriana), le Terme di Caracalla, la «Domus Severiana», fino alle Terme di Diocleziano e alla Basilica di Massenzio o di Costantino.

    La scultura, oltreché nei rilievi celebrativi e nelle opere decorative, talvolta di raffinatissima esecuzione (non è da dimenticare la plastica degli stucchi), seguita ad affermarsi particolarmente nei rii tratti, anche a figura intera. Fra questi abbiamo mirabili esempi nell'Augusto di Prima Porta (musei Vaticani) e nell'Augusto Pontefice Massimo (Museo delle Terme), senza dire della statua equestre in bronzo di Marco Aurelio, in Campidoglio, il più alto esempio del genere e dal quale trassero ispirazione quasi tutti gli scultori che seguirono, fino ai tempi nostri. Della ritrattistica romana, nonostante le distruzioni, è pervenuto fino a noi un complesso iconografico di straordinaria ricchezza, conservato nei vari musei, che ci permette di conoscere la fisionomia di quasi tutti gli imperatori e dei membri delle loro famiglie. Numerose sono anche le statue della mitologia e le sculture di altri svariatissimi soggetti, mentre si fa sempre più abbondante la produzione dei sarcofaghi, con rilievi mitologici e simbolici.
    Quest'ultimo genere, particolarissimo della scultura romana, si prolunga negli ultimi secoli dell'Impero, quando già le arti danno segni di stanchezza, come nell'Arco di Costantino, del principio del IV secolo, in cui le parti migliori sono quelle prese a monumenti più antichi. La spogliazione degli antichi monumenti sta per divenire un sistema, che la Roma della decadenza imperiale tramanderà a quella medioevale, non meno che alla Roma del Rinascimento e barocca.

    ARTE MEDIOEVALE

    Nei rilievi dei sarcofaghi e nella decorazione pittorica parietale (compreso il mosaico) meglio si afferma la continuità tra l'arte classica e quella cristiana. Già nel II-III secolo e molto più nel Roma cristiana ci presenta, dentro e fuori delle catacombe, esemplari numerosi dell'una e dell'altra produzione. Con identità di tecnica e analogia di stile, il Cristianesimo esprime la sua vita spirituale nelle forme del tempo, introducendo in esse un nuovo contenuto. Il persistere della tradizione formale non si oppone tuttavia a un'evoluzione stilistica, che si va man mano attuando nel passaggio dall'antichità al Medioevo, per influenza soprattutto dell'Oriente. Si afferma così una tendenza verso l'astratto, per cui nei rilievi la scultura si appiattisce in linearità decorativo-simboliche, nelle quali le forme si schematizzano, mentre nell'affresco e nel mosaico trionfa la rigidità ieratica e aumenta l'intensità coloristica. In Roma si può notare il prevalere graduale della nuova corrente orientale-bizantina quando si passi dai mosaici di S. Pudenziana a quelli dei Ss. Cosma e Damiano, e da questi al mosaico di S. Agnese e alle pitture di S. Maria Antiqua.
    Assai più limitatamente si rispecchia in Roma l'influenza dell'Oriente nell'architettura paleocristiana, che si mantiene generalmente nell'ambito delle tradizioni locali. Di questa abbiamo splendidi esempi nelle primitive basiliche cristiane di S. Maria Maggiore, S. Sabina, S. Clemente (chiesa inferiore) e S. Agnese fuori le Mura (ma sono da ricordare le grandi basiliche di S. Pietro, S. Giovanni in Lacerano e S. Paolo fuori le Mura, poi ricostruite o alterate). In tutte è conservato lo schema della basilica romana, e cioè un ambiente a pianta rettangolare, suddiviso da file di colonne in tre o cinque navate, terminanti però generalmente in absidi semicircolari. Mentre diffusissimo è il tipo della chiesa basilicale (che si riconosce anche in minori costruzioni, spesso alterate da «restauri» condotti nei secoli successivi), meno frequente è quello a pianta circolare (S. Costanza, Battistero Lateranense, S. Stefano Rotondo), di origine pur sempre romana ma con qualche influsso orientalizzante.
    Questi aspetti dell'arte paleocristiana si mantengono a Roma durante l'Alto Medioevo, fino a tutto il periodo carolingio. Le basiliche di S. Marco, S. Prassede, S. Cecilia, S. Maria in Domnica, ecc., testimoniano coi loro mosaici una ripresa nella prima metà del IX secolo (particolarmente splendida per colorismo la cappella di S. Zenone in S. Prassede). Testimonianze di un'arte pittorica autoctona, cioè più indipendente da quella bizantina, si possono riscontrare nella chiesa inferiore di S. Clemente e nella chiesa suburbana di S. Urbano alla Caffarella (X-XI sec.).
    Anche nel periodo romanico, la tradizione dell'architettura basilicale persiste: abbiamo ancora le chiese divise in navate da file di colonne (alle quali si interpolano però anche pilastri), ma nella rifioritura culturale e costruttiva del secolo XII Roma presenta, più che nuove costruzioni, radicali ricostruzioni (S. Clemente, i Santi Quattro Coronati, S. Maria in Trastevere, S. Crisogono, S. Maria in Cosmedin). L'influenza del romanico lombardo si afferma in taluni particolari costruttivi e decorativi (abside dei Ss. Giovanni e Paolo), ma soprattutto nei tipici campanili, animati da vari piani di monofore e di polifore (S. Maria in Cosmedin, S. Maria Maggiore, S. Maria in Trastevere, S. Francesca Romana, Ss. Giovanni e Paolo, ecc.), in cui una nota vivace è portata dalla policromia di ciotole maiolicate o di dischi marmorei incastrati nella costruzione laterizia. Marmi, porfidi, serpentini, tratti da antichi elementi architettonici di spoglio, sono i materiali di cui si servono architetti e marmorari, genericamente detti Cosmati (da un capostipite, magister Cosma), i quali, valendosi largamente anche del mosaico, dotarono la città, nei secoli XII e XIII, di splendide opere: portali, pavimenti, amboni, cattedre, monumenti sepolcrali, e, veramente insigni, i chiostri di S. Giovanni in Laterano e di S. Paolo.

    Ancor meno profonda del romanico fu l'influenza del gotico in Roma, sia pure nelle forme attenuate proprie dell'Italia. Cospicuo esempio di costruzione gotica è la chiesa di S. Maria sopra Minerva, della fine del XIII sec., ma molto alterata da restauri, mentre particolari gotici (volte, portali e finestre) si incontrano in Aracoeli e in S. Maria Maggiore, così come in più modesti edifici si aprono graziose monofore e polifore trilobate (v. anche, già nel Quattrocento, le reminescenze gotiche nell'Ospedale di S. Spirito). Alla line del Duecento si elevano in S. Paolo e in S. Cecilia gli eleganti ed elaborati cibori gotici del toscano Arnolfo di Cambio, ornati di finissime sculture (di Arnolfo, in Campidoglio, è la statua di Carlo d'Angiò), e così di forme gotiche sono numerosi monumenti funebri decorati da mosaici, come nel monumento del card. d'Acquasparta in S. Maria d'Aracoeli, di Giovanni di Cosma (1302).
    In questo periodo il mosaico figurativo si libera dalle forme tradizionali bizantineggianti. Della metà del sec. XII è la calotta dell'abside di S. Maria in Trastevere; ma una splendida rifioritura di quest'arte si ha verso la fine del Duecento per opera di artisti romani: Jacopo Torriti (absidi di S. Maria Maggiore, 1295, e S. Giovanni in Laterano), Filippo Rusuti (facciata di S. Maria Maggiore) e Pietro Cavallini (abside di S. Maria in Trastevere). Quest'ultimo, di qualche anno più anziano di Giotto (che pure operò in Roma, in S. Pietro, senza però esercitarvi influenza duratura), è ;tutore degli affreschi in S. Cecilia, che segnano l'inizio di un'arte più viva e aderente alla realtà e il trapasso del Medioevo al Rinascimento.

    QUATTROCENTO E CINQUECENTO

    Il trasferimento del papato in Francia (1305), la fissazione della sua sede in Avignone (1309-77) e, dopo il ritorno in Roma di Gregorio XI, lo Scisma di Occidente (1378-1418), provocarono un quasi totale arresto delle attività artistiche (notevole solo la costruzione della scalinata di Aracoeli, al tempo del tribunato di Cola di Rienzo, alla metà del Trecento). Roma è in piena decadenza, e si deve al papa Eugenio IV, che durante il suo quasi decennale esilio a Firenze ne aveva potuto apprezzare la feconda vita artistica, se, tornato a Roma nel 1443, hanno inizio opere di rinascita. Da Eugenio IV il fiorentino Filarete ha l'incarico di eseguire la porta bronzea di S. Pietro, prima importante manifestazione dell'arte rinascimentale in Roma, mentre qualche anno prima Masolino da Panicale vi aveva portato, in S. Clemente, i riflessi della pittura del suo grande maestro, Masaccio. Artisti toscani sono chiamati, al tempo di Nicolò V (1447-55), ad operare in Roma (ma già vi erano stati Simone Ghini, il Ghiberti e Donatello), e questi sono: Leon Battista Alberti e il Rossellino, cui il papa prospetta la volontà di ricostruire la basilica vaticana (la ricostruzione fu iniziata nel 1452 dal Rossellino), il Beato Angelico, che decora la cappella papale in Vaticano, e Isaia da Pisa, cultore di numerose opere.
    Nella seconda metà del Quattrocento, uno scultore romano, Paolo Taccone da Sezze, si fa notare per solenni statue di impronta classicheggiante, ma la sua attività viene superata da quella del lombardo Andrea Bregno, il quale, valendosi anche di numerosi aiuti, riempie le chiese di monumenti funerari rinascimentali, di finissima esecuzione, mentre, in concorrenza, operano largamente Mino da Fiesole, l'omonimo Mino del Reame, Giovanni Dalmata e, alla fine del secolo, Luigi Capponi, d'origine milanese; ma su tutti dominò la fervida genialità di Antonio del Pollaiolo, autore dei magnifici sepolcri bronzei di Sisto IV e di Innocenzo VII, in Vaticano.

    Col veneziano Paolo II Barbo e, più ancora, col ligure Sisto IV Della Rovere, l'architettura, tanto civile quanto religiosa, si afferma in opere insigni. Nella seconda metà del secolo sorge il Palazzo Venezia, voluto dal Barbo, la prima e più solenne dimora ispirata ai nuovi spiriti della Rinascenza, e, poco dopo, ha inizio il Palazzo della Cancelleria, attribuito al Bregno, ma al quale non fu estraneo il Bramante, il grande urbinate che, proveniente da Milano, saprà infondere all'architettura della prima metà del Cinquecento un tono più romanamente classicheggiante (Tempietto di S. Pietro in Montorio e chiostro di S. Maria della Pace). Ma intanto si vedono sorgere in Roma anche le prime chiese di gusto rinascimentale (S. Maria del Popolo, S. Agostino, S. Pietro in Montorio), nonché eleganti portici, chiostri e cortili.
    A Sisto IV si deve l'erezione della cappella in Vaticano che da lui prende il nome, e l'inizio della sua decorazione pittorica, per la quale sono chiamati gli artisti allora più in voga: il Perugino, il Botticelli, il Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, Luca Signorelli e il Pinturicchio, quest'ultimo autore, circa un decennio dopo, della decorazione dell'appartamento di Alessandro VI Borgia, pure in Vaticano.
    Ma è dall'inizio del Cinquecento che le tre arti trionferanno in una superba espansione, per l'illuminato mecenatismo di un altro Della Rovere, Giulio II, e di un Medici, Leone X. Roma vede operare in Vaticano ancora il Bramante, il suo concittadino e suo protettó Raffaello Sanzio, e Michelangelo. Questa triade di eccelsi ingegni crea opere che stupiranno il mondo, fra le quali basterà ricordare i cortili bramanteschi, le Stanze e le Logge di Raffaello, la volta michelangiolesca della Sistina. I tre grandi si vedono impegnati anche nella ricostruzione di S. Pietro, che avrà da Michelangelo la sua definitiva impostazione e la trionfale conclusione con l'erezione dell'immensa cupola. È sotto Giulio II che Michelangelo affronta anche la sua più grandiosa opera di scultura: il mausoleo che il papa intendeva erigere per sé nel mezzo della crociera della basilica vaticana, ma che, per circostanze avverse, non poté essere compiuto secondo il primitivo progetto se non in parte (il Mosè, in S. Pietro in Vincoli, e i «Prigioni», dispersi tra Firenze e Parigi), avversità che costituirono per il grande artista la tragedia della sepoltura».
    Architettura, scultura e pittura sono spesso esercitate contemporaneamente da artisti poliedrici, sull'esempio di Michelangelo, e così vediamo Raffaello disegnare elegantissime architetture (S. Eligio degli Orefici), e altri, quali Giulio Romano (Pal. Maccarani) e Baldassarre Peruzzi (la Famesina), farsi architetti. Roma si arricchisce di splendidi palazzi per opera di Giuliano e Antonio da Sangallo il Giovane (di questo ultimo è il Palazzo Famese, la più solenne dimora principesca di ogni tempo, cui posero mano più tardi lo stesso Michelangelo e Giacomo Della Porta) e di Jacopo Sansovino (autore anche di belle sculture), mentre Sebastiano del Piombo verrà da Venezia a decorare una sala della Famesina.

    Una breve stasi delle attività artistiche è dovuta alle conseguenze del sacco di Roma del 1527, che indusse quasi tutti gli artisti ad abbandonare la città. Ma ben presto un forse ancora più intenso fervore di opere si manifesta in tutti i campi, contemporaneamente agli sviluppi della Controriforma, che porta alla restaurazione dell'autorità spirituale del papato. Nell'architettura continua a operare Michelangelo (piazza del Campidoglio e Porta Pia), cui si affiancano Jacopo Del Duca (anche nobile scultore), il già ricordato Giacomo Della Porta e Martino Longhi il Vecchio; quindi si fanno avanti il Vignola (chiesa del Gesù, tempietto di S. Andrea in Via Flaminia, Villa di Papa Giulio) e l'Ammannati, che opera egregiamente anche come scultore. Guglielmo Della Porta è forse lo scultore che in questo periodo eccelle fra gli altri (monumento di Paolo III in S. Pietro), affiancato da Baccio Bandinelli. Nel campo della pittura è ancora Michelangelo che domina col Giudizio Universale della Sistina, ed egli, con la sua formidabile influenza, orienta l'opera più tarda di Sebastiano del Piombo, di Jacopino del Conte, di Francesco Salviati e del Vasari, i tre ultimi rappresentanti del manierismo pittorico che dilagherà fin oltre il Cinquecento. Sono appunto le formule del manierismo che caratterizzano le arti dell'ultimo quarto del secolo, ma qualche nome emerge dal novero di quelli di una pleiade degli artisti. Fra gli architetti, Flaminio Ponzio, Pirro Ligorio e il Mascherino, e, su tutti emergenti, Domenico Fontana, il rialzatore degli obelischi, eccellente tecnico e severo artista, e Carlo Mademo, che con la facciata di S. Pietro e, ancor più, con quella di S. Susanna, darà nuovi impulsi all'architettura a cavallo dei sec. XVI e XVII; fra i pittori, Perin del Vaga, gli Zuccari, il Pomarancio, il Cavalier d'Arpino e, a un livello superiore e con gusto più personale, Federico Barocci; fra gli scultori, Flaminio Vacca, il Valsoldo e Stefano Mademo.
    Siamo alle soglie del Seicento, e già prima dell'inizio del secolo il lombardo Michelangelo da Caravaggio porta una ventata di rinnovamento nello stagnante ambiente pittorico romano; la sua opera (tele in S. Maria del Popolo e in S. Luigi dei Francesi), dapprima incompresa e avversata, sarà poi largamente seguita durante tutto il sec. xvii e oltre, anche al di là dei confini d'Italia.

    ARTE BAROCCA

    La pittura manieristica romana può dirsi debellata con l'arrivo, sullo scorcio del Cinquecento, dei Carracci, cui seguì quello di altri pittori dell'Accademia bolognese, il Domenichino, Guido Reni, il Guercino, ai quali si aggiunse il Lanfranco. L'opera maggiore di questo tempo è la decorazione della Galleria Famese, dovuta ai Carracci, col concorso del Domenichino (c. 1597-1604), che produrrà i suoi effetti per lungo tempo, anche nel campo della scultura, mentre Guido Reni darà ottima prova di affreschista in S. Gregorio, in S. Maria Maggiore e al Quirinale, oltre che nella celebre Aurora del Casino Rospigliosi, e il Guercino gareggerà con lui affrescando un'altra Aurora per i Ludovisi. Il Domenichino, a sua volta, si imporrà con gli affreschi della tribuna di S. Andrea della Valle (ove sono anche affreschi del calabrese Mattia Preti) e lascierà il suo capolavoro in quelli di Grottaferrata.
    Ma il Seicento è caratterizzato soprattutto dall'opera di Gian Lorenzo Bemini (1598-1680), scultore, architetto e pittore, alla cui prepotente personalità soggiaciono, durante il governo di ben 9 papi, da Paolo V ad Alessandro VIII, tutti, o quasi, gli artisti del secolo. Da lui, principalmente, e col concorso di una folla di suoi allievi o seguaci, Roma acquisterà quella fisionomia barocca che ancora oggi è predominante.
    Del Bernini basterà ricordare la creazione della piazza di S. Pietro, per dare la misura del suo genio, e le stupende sue opere di scultura (dai gruppi giovanili del Museo Borghese al Costantino imperatore in S. Pietro), nelle quali l'artista sviluppa una plastica di movimento e di conquista spaziale. Le sue grandi doti di maestro si riflettono nei suoi migliori allievi (ben rappresentativa è la parata dei dieci Angeli sul ponte di Castel S. Angelo), fra cui primeggia lo scultore Antonio Raggi; ma altri artisti ne subiscono l'influenza, come il Mochi, che peraltro conserva sempre una sua personalità, mentre Camillo Mariani ne resta esente del tutto. Contemporaneamente al Bernini opera un gruppo di scultori di formazione più indipendente, fra cui il bolognese Alessandro Algardi, meno esuberante e più pittorico (la pala marmorea dell'incontro di S. Leone Magno e Attila, in S. Pietro), e non inferiore al Bernini nei ritratti. Oscillanti fra il berninismo e l'algardismo operano il Ferrata e il Guidi, il Cafà e il Mazzuoli, cui si aggiungono alcuni stranieri, come il Duquesnoy, il Théodon, il Monnot e iI Le Gros.

    Fra gli architetti si impongono con propria personalità Pietro da Cortona (facciata di S. Maria della Pace) e Carlo Rainaldi (S. Maria in Campitelli), cui si può aggiungere Giov. Batt. Soria (S. Gregorio Magno); ma su tutti si distingue il lombardo Francesco Borromini, grande antagonista del Bernini e creatore di genialissime ed estrose architetture, del tutto avulse dalla tradizione classicistica (S. Ivo alla Sapienza, S. Andrea delle Fratte, S. Carlino alle 4 Fontane). Sbrigliata fantasia dimostra infine il pittore Antonio Gherardi, che si distingue per scenografiche architetture di cappelle. La pittura barocca è in linea con Pietro da Cortona, anche fantasioso ed esuberante affreschista (in Pal. Barberini), con Andrea Pozzo, maestro di spettacolari prospettive (volta di S. Ignazio), col Baciccia (nel Gesù e in Ss. Apostoli) e con i soci Coli e Gherardi (in Pal. Colonna); più pacato e tradizionalista è Carlo Maratta. Fra gli stranieri che operarono in Roma sono da ricordare, fra gli altri, Pietro Paolo Rubens (nella Chiesa Nuova, 1608), il Velázquez (Ritratto di Innocenzo X, 1650), Poussin, il Lorenese, e il Vouet.

    IL SETTECENTO, L'OTTOCENTO E L'ARTE MODERNA

    Il Barocco si scioglie nel Settecento in forme più spigliate, estrose e aggraziate, per quanto riguarda la pittura e la scultura. Nella in una si distinguono il veneto Francesco Trevisani, il francese Subleyras, il napoletano Conca, il romano Benefial e il lucchese Pompeo Batoni; nella seconda, il milanese Camillo Rusconi (stai«in S. Giovanni in Laterano) e il lombardo G.B. Maini, i romani ,urlo Monaldi e Pietro Bracci, quest'ultimo il più attivo, e il i centino Filippo Valle. L'architettura rivela in questo secolo due tendenze: una, di esteriorità baroccheggianti, vivace e capriccio, incute mossa, con Aless. Specchi, Franc. De Sanctis (autore della nata della Trinità dei Monti) e Fil. Raguzzini, oppure, ma più raramente, con interessanti accenni al Rococò (Gius. Valvassori, nel Pal. Doria Pamphilj, e Giuseppe Sardi, nella chiesa della Maddalena); l'altra, seguente tradizioni di monumentalità, con notevoli esempi nella facciata di S. Giovanni in Laterano (Alessandro Galilei), nella facciata di S. Maria Maggiore (Ferdinando Fuga), nella fontana di Trevi (Nicolò Salvi) e nella Villa Albani (Carlo Marchionni).
    Insensibilmente, quale reazione alle fantasie settecentesche e in pieno secolo, l'architettura tende anche a un ritorno verso equilibri classici (il Galilei, nella Cappella Corsini in S. Giovanni Laterano), ma è principalmente un fattore culturale che orienta le arti verso questo fine. Sono le continue scoperte di opere d'arte antica, le teorie erudite del Winckelmann (attivo a Roma dal 1755 al '76) e la costituzione di grandi collezioni di antichità che influiscono decisamente su tutte le arti. Roma diventa uno dei massimi centri del Neoclassicismo, e Antonio Canova (1757-1822) ne assume autorevolmente la guida nel campo della scultura (monumenti dei papi Clemente XIV in Ss. Apostoli, 1783-87, e Clemente XIII in S. Pietro, 1788-92), seguito da una nutrita schiera di imitatori, fra cui il danese Thorvaldsen, che continueranno, col Tenerani, fino a ben oltre la metà dell'Ottocento. Il Neoclassicismo trova nell'architettura il suo più degno rappresentante in Giuseppe Valadier, che lega il suo nome alla sistemazione di Piazza del Popolo. Nello stesso tempo, l'Asprucci (nella Villa e nel Casino Borghese), il Canina (propilei di Villa Borghese) e il Simonetti con Raffaele Stern (Musei Vaticani), compiono egregie opere, mentre il Poletti si assume, più tardi, la ricostruzione della basilica di S. Paolo. Non grandi nomi offre la pittura in questo periodo, rappresentata da Raffaele Mengs (il Parnaso nella Villa Albani), altro banditore del verbo neoclassico, e dal Camuccini.

    Verso la metà dell'Ottocento le arti scadono assumendo formule accademiche, che si trasformeranno in esercitazioni di eclettismo verso la fine. In Roma capitale, tra la fine del secolo e gli inizi di quello attuale, operano con notevole dignità Gaetano Koch (Banca d'Italia ed Esedra di Termini), Guglielmo Calderini (Palazzo di Giustizia) e Giuseppe Sacconi (Vittoriano); Mario Rutelli modella i gruppi della fontana dell'Esedra ed Emilio Gallori innalza il migliore fra i tanti monumenti celebrativi (mon. a Garibaldi sul Gianicolo, 1895). La pittura trova incremento, più che nella grande decorazione (fregio di Giulio Aristide Sartorio nella Camera dei Deputati), nelle esposizioni d'arte, che rispecchiano man mano tutte le tendenze e le scuole pittoriche italiane. Dopo la prima guerra mondiale si impone nelle arti figurative la corrente del cosiddetto «Novecento», mentre l'architettura è dominata da uno pseudo monumentalismo, facente capo a Marcello Piacentini, pur manifestandosi anche in non trascurabili esempi di arte «razionale». Nel secondo dopoguerra uno spirito nuovo si impone in ogni campo, dando l'avvio a realizzazioni architettoniche di moderna funzionalità, quali la Stazione Termini e i grandi impianti per manifestazioni sportive, costruiti in occasione dei Giochi Olimpici del 1960.

    (FONTE: Una vecchia edizione del Touring Club Italiano)


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