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    Gender:

    una urgente riflessione

    Jean Laffitte – Segretario del P.C.F.

    Sentiamo tutti il bisogno di  proporre un aggiornamento su argomenti – come quello del Gender - che alcuni decenni fa non  rivestivano l’importanza che hanno oggi. Lo scopo è di aiutare l’uomo  e la donna contemporanei a comprendersi, certi come siamo che viviamo un  tempo di smarrimento e incertezza antropologiche: l’uomo non sa più dire  chi è, non riesce più a mettersi a fuoco ragionevolmente e con lucidità. E  questo vuoto, questa mancanza di lucida comprensione intacca anche un  elemento che, si direbbe, non dovrebbe creare troppa confusione: l’identità  sessuale. Ho avuto, negli ultimi anni, l'occasione di sottolineare alcuni aspetti  antropologici impliciti all'ideologia del genere. Devo dirvi oggi che  l'evoluzione, negli ultimi anni, è stata molto più grave e rapida di quanto  avessimo pensato. Mi riferisco alla generalizzazione, in vari paesi, delle  unioni tra persone dello stesso sesso, unioni che vengono comunque, spesso,  chiamati matrimoni. Nel corso di questi ultimi anni, ho avuto l'opportunità di  visitare diversi paesi che si sono confrontati con l'ideologia del genere.

    Ha scritto David Brooks, in un editoriale del New York Times nel 2012,  che la nostra società è quella in cui “le persone … cercano sempre di mantenere  aperte tutte le opzioni possibili” tanto da poter definire i nostri “gli anni del  possibile”. Søren Kierkegaard scriveva, già nel 1849: “Ora, se la possibilità va  tant’oltre da rovesciare la necessità, l’io fugge via da se stesso nelle possibilità, senza  avere più nulla di necessario a cui poter ritornare: questa è la disperazione della  possibilità. Quest’io diventa una possibilità astratta, si dimena nella possibilità fino alla stanchezza, ma non si muove dal posto e non arriva in alcun posto … alla fine è  come se tutto fosse possibile, ma è proprio questo il momento in cui l’abisso ha  ingoiato l’io” (La malattia mortale). Dire “tutto è possibile” indebolisce,  non rafforza, non aiuta la crescita di un’identità. La fragilità e l’insicurezza  dell’uomo moderno sono a dimostrarlo.

    Oggi troviamo una totale separazione tra concezioni tradizionali e  religiose del matrimonio e la cosiddetta "nuova famiglia", dato dalla cultura  postmoderna. Tradizionalmente non vi era alcuna differenza nel modo di  intendere il concetto di matrimonio delle autorità civili e delle famiglie  religiose . Fino a 30 o 40 anni fa , quando un uomo e una donna si recavano  dal sindaco per sposarsi civilmente, venivano invitati a fare le stesse  promesse che una coppia cristiana fa in un matrimonio cristiano.

    Promettevano reciprocamente fedeltà e dimostravano apertura ad accogliere  gli eventuali frutti del loro amore. Naturalmente il matrimonio era inteso  soprattutto come unione tra un uomo e una donna . L'unica differenza era  l'educazione cristiana che una coppia cristiana si impegnava a proporre ai  figli. Si noti che la Chiesa non ha mai cambiato i propri contenuti, a questo  riguardo. Ha sempre riconosciuto il fatto che la famiglia si fonda su un  impegno contrattuale tra un uomo e una donna chiamato matrimonio,  un'istituzione in sintonia con la natura dell'uomo: un istituto che le  legislazione in molti paesi hanno generalmente accettato come valido fino a  pochi decenni fa. Al contrario, in molti paesi oggi il matrimonio non significa  più una unione tra un uomo e una donna , ma "tra le persone". Come è  accaduto tale cambiamento? Negare l'esistenza di due modi dell’ essere  umano, cioè la differenza sessuale maschile e femminile si riduce a una  questione di scelta e di cultura. Ma dove porta questo cambiamento di  prospettiva? Davanti alle nuove sfide che la cultura contemporanea pone alla società,  occorre fermarsi a riflettere per  unire competenze scientifiche, valutazioni e prospettive diverse ma unificate  da uno sforzo comune: lo scopo che ci proponiamo è infatti quello di  identificare un nucleo profondo ed essenziale che costituisca la base comune  di verità sull’essere umano su cui far convergere – possibilmente - il consenso  del maggior numero di persone possibile, provenienti da culture, fedi e  scuole di pensiero pur differenti. Crediamo con fermezza che la verità  naturale e rivelata sull’uomo, che la Chiesa conserva e trasmette da millenni,  costituisca un patrimonio valido per l’umanità spaesata del nostro tempo.

    Abbiamo bisogno di parlare, forse, una lingua nuova per ribadire verità  antiche. Abbiamo bisogno di mostrare come le più recenti conquiste delle  scienze umane, dalla filosofia alla genetica, dalla medicina alla biologia alla  psicologia, convergano tutte nel sostenere e rafforzare il nucleo fondamentale  della rivelazione cristiana sull’essere umano. Gli uomini e le donne del nostro  tempo non sono certo d’accordo su tutto, per quel che riguarda i temi  fondamentali dell’essere e del vivere. Ma almeno si potrà accordarci su  qualcosa, almeno identificare un nucleo irrinunciabile e vincolante.

    San Giovanni XXIII amava ripetere che era fondamentale, nell’incontro con  l’altro, cercare “ciò che unisce più che ciò che ci divide” (Pacem in terris, 1963).

    San Giovanni Paolo II afferma che la realizzazione umana non è  raggiunta in solitudine, ma quando l’uomo è in comunione. L'uomo diventa  veramente l'immagine di Dio quando si verifica una vera comunione con  l'altro. Quando la Chiesa parla del matrimonio e della famiglia, lo fa secondo  la logica della natura, che è accessibile alla ragione umana. In effetti, l’essere  umano, creato maschio e femmina, è chiamato, da quando esiste, alla  comunione tra persone. Scriveva il Card. Joseph Ratzinger, futuro Benedetto XVI, nel 2004, nella “Lettera ai Vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della  donna nella Chiesa e nel mondo”: Dinanzi a queste correnti di pensiero, la  Chiesa, illuminata dalla fede in Gesù Cristo, parla invece di collaborazione attiva,  proprio nel riconoscimento della stessa differenza, tra uomo e donna… L'eguale  dignità delle persone si realizza come complementarità fisica, psicologica ed  ontologica, dando luogo ad un'armonica «unidualità» relazionale, che solo il peccato  e le «strutture di peccato» iscritte nella cultura hanno reso potenzialmente  conflittuale. L'antropologia biblica suggerisce di affrontare con un approccio  relazionale, non concorrenziale né di rivalsa, quei problemi che a livello pubblico o  privato coinvolgono la differenza di sesso.

    Questo approccio relazionale, non concorrenziale né di rivalsa, è  esattamente quello che ci guida, nella certezza che il cammino comune, con i passi che ne  potranno seguire, contribuirà ad illuminare ancor più l’appello e l’invito che  la Bibbia fa ad ogni uomo e ogni donna: “Non è bene che l’uomo sia solo, gli  voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gn. 2,18).

    Concludo con una ultima considerazione, di carattere storico e  antropologico. Nel suo bel libro Il gesto di Ettore, Luigi Zoja afferma con  decisione che diventare padre è forse stata, nella storia dell’umanità, la prima  scelta culturale. Una scelta cioè che si innesta sul dato naturale della  genitorialità maschile e che, milioni di anni fa, trasforma il genitore maschio  da semplice riproduttore di prole a padre capace di cure parentali. Per il  maschio del genere umano – afferma Zoja – diventare padre è stata una  conquista culturale, avvenuta in epoca arcaica e che in ogni stagione è  chiamato in qualche modo a ribadire. La donna non ne ha avuto bisogno.

    Essere donna ed essere madre – curare la prole - hanno sempre coinciso, fin dagli inizi. Il cristianesimo, con il suo messaggio che esalta la maternità e la  paternità – la doppia cura parentale - di una coppia di sposi fedeli e saldi  nell’amore tra loro, non crea né inventa una teoria ma solo suggella e  riconosce ciò che la natura, anche dal punto di vista dell’evoluzione umana,  ha con fatica e pazienza elaborato e portato a compimento. Se siamo d’accodo  con Zoja, se la paternità vera è conquista, è sviluppo, è cultura, siamo certi  che la nostra civiltà desideri veramente fare un passo indietro? Chiamare un  uomo genitore 1 e una donna genitore 2 o negare l’enorme ricchezza del  dualismo paternità/maternità sembrerebbe così un regresso, un’involuzione,  un arretramento al pre-umano, al pre-culturale: saremmo dunque ben lontani  dall’idea di uno sviluppo, di un passo avanti della modernità. Essere  moderni, evoluti, ci dice la storia, significa differenziarsi, specializzarsi  nell’assecondare modi e forme diverse di vivere e interpretare la cura  parentale. Questo lo dice la storia del mondo, la storia dell’umanità.

    Desiderare un papà e una mamma coincide con un bisogno innato di ogni  piccolo: solo col tempo abbiamo imparato – come umanità - a rispondere a  tale desiderio sempre meglio, regalando ai nostri bambini una cura parentale  che ha il proprio culmine nella ricchezza della diversità.

    Con la chiarezza e la schiettezza con cui abbiamo imparato a  conoscerlo, Papa Francesco si è così espresso, tempo fa, sul nostro tema:  «Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una  mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione  affettiva. Continuando a maturare in relazione alla mascolinità e alla femminilità di  un padre e di una madre». (Discorso all’Ufficio Internazionale Cattolico  dell’Infanzia, 11 Aprile 2014).

    Saluto introduttivo al simposio " Il gender nel dibattito internazionale contemporaneo"

    10 Giugno 2014


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