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    Educare la coscienza

    Giovanni Bachelet


    Quando in famiglia parlavamo di libertà e di coscienza noi figli eravamo adolescenti e tendevamo a privilegiare la coscienza individuale rispetto alle norme obbiettive. Mio padre in questi casi aggiungeva sommessamente l'aggettivo "retta". La retta coscienza. E spiegava: la coscienza dell'uomo, per essere un valido criterio di bene, ha bisogno della luce di Dio. Senza questa luce anche la coscienza può gradatamente appannarsi.
    Contrariamente alla prima apparenza questo piccolo aggettivo, sul quale capita ogni tanto di tornare a riflettere, non implica che i cristiani siano più bravi degli altri: gli unici a conoscere (e poter quindi seguire) la via che porta al vero bene. Lo Spirito di Dio è infatti come il vento e soffia dove vuole. Nella coscienza Dio parla a tutti. E Dio permette che il Diavolo possa imbrogliare la coscienza di credenti e non credenti. Gesù ce l'ha spiegato benissimo con la parabola del Buon Samaritano. La Chiesa ha confermato con parole chiare lo stesso punto nel Concilio Vaticano II: "Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli che in quella sociale" (Gaudium et Spes, 16). Anche l'esperienza di ciascuno propone da un lato incontri con uomini giusti privi del dono della fede, e dall'altro qualche inquietante interrogativo riguardo a sé stessi e riguardo ad altri fratelli nella fede: è la coscienza che a volte si smarrisce (non saper più cosa sia il vero bene) oppure la volontà ad essere insufficiente (sapere qual è il vero bene ma non riuscire a farlo)? Sono domande delicate e spesso destinate a restare senza risposta. Non è ammesso accostarsi senza rispetto al "sacrario della coscienza, in cui l'uomo ascolta la voce di Dio" (GS 16). Gli educatori devono sempre ricordarlo.
    E tuttavia Gesù stesso, mentre moriva, ha detto al Padre: Perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Nella tenerezza del suo perdono senza confini ci ha fra l'altro insegnato ad ammettere che dal sonno della coscienza possano derivare i crimini più orribili. La drammatica storia di questo secolo che volge al termine lo dimostra. E quello stesso paragrafo della Gaudium et Spes lo spiega bene: "succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca per l'abitudine al peccato". Dunque la coscienza si può mantenere retta, in un continuo cammino autoeducativo, oppure può cadere in un lungo sonno, come effetto dei tanti fattori diseducativi che provengono dall'esterno e dall'interno. Anche questa è una riflessione di estrema importanza per gli educatori. Senza la quale, di fronte alla propria coscienza come a quella delle persone loro affidate, rischiano di adottare la strategia di Ponzio Pilato: fermarsi alla domanda "che cos'è la verità?", lavandosi poi le mani di fronte al male.
    Nel libro "Uscita di Sicurezza" Ignazio Silone narra che un suo amico, ateo, materialista, del tutto ignaro del Vangelo, gli confida, a tarda età, di aver scoperto che tutto il segreto di una vita sociale giusta, felice e ordinata, si poteva compendiare in questa massima: Fai agli altri quello che tu vorresti fosse fatto a te. E Silone, oltre a sorridere per l'ingenuità della riscoperta di una verità che risaliva almeno a duemila anni prima, e a sorprendersi positivamente per l'approdo cui può giungere una retta coscienza anche senza un incontro diretto con Cristo, rifletteva: che peccato, però, scoprire questa verità quando i capelli sono ormai bianchi e le migliori energie della vita sono state già spese. Non c'entra l'integralismo e anzi è per realismo ed umiltà che dobbiamo riconoscere con gratitudine, ma anche con timore e tremore, che a noi, cui Dio ha destinato il privilegio di incontrare fin da ragazzi il suo figlio Gesù nella Chiesa, è stata rivelata con particolare chiarezza la via, la verità, la vita. Questo ci rende maggiormente responsabili verso noi stessi e verso gli altri nel vivere e tramandare il segreto della nostra felicità; e, conoscendo la nostra debolezza, implica anzitutto una familiarità col Signore, coi fratelli e coi nostri pastori (nella preghiera quotidiana, nella dimestichezza con la parola di Dio, nei sacramenti della riconciliazione e dell'eucaristia, nell'ascolto del magistero) capace di controbilanciare le quotidiane opacità che offuscano nella nostra vita la luce del Cristo risorto. La stessa conoscenza astratta del vero bene, se è priva della fiducia nell'aiuto e nell'illimitata potenza e pazienza di Dio verso la nostra vita, può scoraggiarci, di fronte alla distanza che spesso separa la nostra vita dal vangelo; e viceversa, senza una continua tensione dell'intelligenza e del cuore verso la verità, anche la coscienza del bene e del male si può offuscare: e in ottima fede si possono fare enormi danni a se stessi e agli altri.
    Un punto importante che ci riguarda come educatori è la consapevolezza della necessità di un riferimento obbiettivo, che trascenda l'esperienza del singolo e la sua problematica psicologica e affettiva, nella ricerca (e nella progressiva conquista: un sentiero che gira su se stesso non porta mai verso l'alto) di un criterio di moralità stabile e certo nelle nostre azioni. E' certo possibile cogliere gran parte di questa necessità anche senza rifarsi esplicitamente al messaggio cristiano. In questo senso il superamento della dimensione puramente individuale emerge naturalmente come risultato della vita associata, dall'ovvia constatazione della necessità di una "legge" in qualunque comunità di persone. Ma appunto l'esperienza di qualsiasi comunità, dalla scala familiare fino a quella internazionale, mostra che, perfino quando sia evidente a molti la regola per vivere bene insieme, non è per niente facile attenervisi. Senza un po' di sale, senza un po' di lievito capace di trasformare una massa collosa in un fragrante panino, senza uno slancio che il buon senso, da solo, riesce raramente a produrre e soprattutto a mantenere stabilmente in vita, ogni comunità è esposta a diversi rischi: quello di reggersi solo su un forte quanto vuoto senso di appartenenza che delega al capo o alla comunità il compito di decidere quel che è buono; quello di disgregarsi e frammentarsi in unità sempre più piccole e sempre meno comunicanti fra loro; quello di "rendere più facile la regola" nell'illusione che tutti vi si attengano più facilmente. La mia impressione è che tanto nel microcosmo delle nostre comunità educative, quanto nel macrocosmo della società (giovanile e non), tutti i rischi - la tentazione dell'autoritarismo, la tendenza alla disgregazione, lo scivolamento verso una morale individuale e di gruppo sempre meno esigente - siano particolarmente forti e a volte mescolati fra loro in questo nostro tempo, questa fine secolo tanto ricca di novità importanti quanto bisognosa di uomini nuovi, liberi e forti. Di cristiani adulti, anche, capaci di portare il sale e il lievito del Vangelo.
    Aiutare le coscienze a formarsi per affrontare con gioia e capacità costruttiva le sfide di un mondo che cambia richiede negli educatori consapevolezza, maturità, equilibrio. Non è facile delineare a tavolino, in termini uguali per tutti, il sentiero giusto, il confine fra l'educatore opprimente che si sostituisce alla coscienza dell'educato impedendogli di diventare adulto, e l'educatore lassista, che rifiutandosi di metterlo di fronte alle proprie responsabilità lo culla in un'eterna e improduttiva adolescenza. E' certo però che se (per incompetenza, pigrizia o mancanza di chiarezza in noi stessi) noi manchiamo di contribuire alla formazione di adulti, cioè di coscienze morali pensose e attente ma ben salde e capaci di scelte felici e costruttive (una famiglia, un servizio pastorale, un lavoro generoso e competente, un impegno politico) noi bruciamo in un sol colpo chances di felicità personale e risorse essenziali al nostro mondo che cambia. Un mondo che, proprio perché si trova a una svolta, ripropone in modo pressante - in politica, in economia, in biologia - la questione etica come questione centrale.
    Le stesse scelte di metodo, importanti e a noi cosí care, non possono mai essere disgiunte dalle reali domande del nostro tempo e dalle stelle che guidano il nostro cammino. Non scegliamo l'autoeducazione perché è un metodo in sé bello - lo è anche, sicuramente, ma anche lo Yoga ha il suo fascino: la scegliamo perché ci sembra il metodo più efficace per crescere liberi, forti e buoni, ed essere utili a noi stessi e agli altri, al nostro tempo. A me sembra che non si possa parlare di autoeducazione se non si sanno cogliere i segni e le sfide del proprio tempo, se non si sa scoprire che dalla vita di coppia al ruolo della politica, dal significato del lavoro alla difesa della vita, dal problema della droga a quello della corruzione e della criminalità, tutte le tumultuose evoluzioni positive e negative del nostro tempo sono correlate ad un'imponente, e non certo compiuta, trasformazione del sistema di valori su cui si è a lungo retta la convivenza umana nella parte di mondo in cui viviamo, dalla vita familiare a quella delle comunità nazionali. Né si può parlare di autoeducazione se non ci si rende conto che, per vivere felicemente il proprio tempo contribuendo a determinare la direzione di questa trasformazione, occorre più che mai educarsi a discernere in sé stessi e nelle sfide del futuro il bene dal male, e ad operare coerentemente per il bene. Non c'é nessun bisogno, infatti, di una comunità educativa per imparare a subire tristemente e passivamente il proprio tempo (di volta in volta conformandosi al mondo e digerendo in modo acritico tutte le opinioni, tutte scelte e tutti i comportamenti; o isolandosene protestando; o rimpiangendo bei tempi andati che non ci sono mai stati; o più semplicemente attendendo in un luogo accogliente che passi la tempesta).
    Aiutare, dunque, a discernere, a progettare, a restare fedeli a un progetto di bene. Sono molti i contributi che come educatori possiamo dare. Possiamo proporre concretamente riflessioni sulla grandezza e sulla delicatezza della sessualità, sull'importanza della parità dei sessi, del lavoro e dell'amore, dei figli. E discernere ogni nuovo consumismo impostoci dall'esterno che poi ci farà vivere infelici e sfascerà la nostra futura famiglia. Possiamo dire che c'è differenza ad amare la natura in nome dell'uomo e di un domani più umano per tutti, ed essere invece rapiti dalla follia degli animalisti, per i quali una gallina in buona salute vale più di un bambino malato. Possiamo attirare l'attenzione sul fatto che le parole "a fin di bene" racchiudono una delle insidie più pericolose, e che invece esistono solo il bene e il male, la lealtà e la slealtà; che "a fin di bene" si muovono spesso uomini e gruppi che presto diventano cinici e disonesti nella politica e nel lavoro. Possiamo cercare di capire senza superficialità le potenzialità e le sfide di una società multietnica, il senso della parola "solidarietà", la conciliabilità dell'amore per la pace con la difesa di popoli innocenti aggrediti con le armi. Quando i media parlano con tanto altruismo di metter fine alle sofferenze degli incurabili, possiamo riflettere sulle recenti parole di un medico dei malati terminali, che testimoniava tristemente come di eutanasia gli avessero parlato, fino a quel momento, solo i parenti dei malati, e mai i malati stessi. E quando leggiamo della piccola bambina colpita da un proiettile al braccio mentre era ancora nel grembo della mamma, durante la rivolta di Los Angeles, possiamo parlare del razzismo in USA, ma anche del fatto che oggi in molti paesi è legale "sparare" ai bambini nel grembo della loro mamma e non farli mai nascere.
    L'elenco è lungo e si può immaginare di aggiungere molti altri spunti di riflessione altrettanto e forse più importanti. In ogni caso, per essere in grado di proporre queste e simili riflessioni, occorre essere informati, attenti lettori del mondo e capaci di suggerire letture e approfondimenti puntuali. Un servizio importante di cui sono grato ad alcuni miei educatori cristiani, scout e non, è stato, all'interno di gruppi vivaci e non certo solo libreschi, quello di costringermi a leggere documenti della Chiesa, libri di politica, giornali; a preparare incontri e veglie su temi cruciali del mio tempo, e perciò a rifletterci io stesso. Spesso penso a quegli anni, poi agli anni in cui sono stato capo, ed ora al mio lavoro educativo di papà; cerco il segreto dei miei educatori più significativi per ispirare il mio presente e il mio futuro, quando i figli saranno più grandi. E dietro alla sensibilità e alla preparazione culturale, alla capacità di leggere il proprio tempo, trovo in ciascuno di loro anzitutto la forza di un'ispirazione, la trasparenza di una vita orientata ad un fine e ad un ideale. Trovo una distinzione chiarissima fra le infinite cose opinabili e le poche che contano davvero, e sulle quali, ad essere faciloni e condiscendenti, si fa un torto agli altri e a se stessi e si tradisce la propria vocazione. Trovo la forza tranquilla e convincente di una coscienza illuminata dalla fede.

    (Scout, rivista dell'AGESCI, maggio 1992)

     


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