Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email


     

    Educare

    con gli animali

    Verso un’educazione antispecista 

    Raffaele Mantegazza


    Quando il Dio ebraico-cristiano creò il mondo, impastò Adam (nome derivato dalla parola Adamah, che è la terra) e Hawwah (che è Eva) soltanto al penultimo giorno; prima aveva già creato le piante, i pianeti, la luce e gli altri animali. Quindi Adamo ed Eva, Adam e Hawwah, vengono alla luce in un mondo già popolato dagli animali. Gli animali li hanno preceduti e nel paradiso terrestre Adamo ed Eva hanno due interessanti funzioni nei confronti degli animali. Gli animali, che sono tutti vegetariani (ovviamente anche Adamo ed Eva in quanto non esistono animali carnivori nel paradiso), imparano, nel giro di poco tempo, prima del peccato originale, a mangiare dalle mani di Eva ed Eva diventa bravissima a selezionare le foglie, le bacche, i vegetali, che vanno bene per ognuno di loro. Eva prende una determinata foglia, un determinato stelo d’erba e il coniglio, la tigre, la pantera, l’elefante vanno a prendere il cibo direttamente dalle sue mani. Questo è il ruolo della donna, della prima donna, cioè della progenitrice. Non per caso, Hawwah significa "generatrice di popoli", la madre di noi tutti. Adam ha un ruolo diverso. Adam, ad un certo punto, viene chiamato da Dio e Dio chiede ad Adam di dirgli i nomi degli animali, perché li ha sì creati, ma non ha ancora dato loro un nome. Dio convoca la giraffa e chiede ad Adam come potrebbe chiamarsi. Adam ci pensa e in ebraico risponde: «Giraffa». E Dio dice : «Sì, mi sembra buono». E così si procede per tutti gli altri animali, l’elefante, l’ippopotamo fino a Behemot, Leviatan e Ziz, che sono i tre mostri biblici. Gli animali non vengono nominati da Dio, ma da Adamo, dal primo uomo. I rabbini si sono chiesti, commentando questa antichissima leggenda ebraica, che non ritroviamo nella Bibbia, come mai Dio, che è onnisciente, debba chiedere all’uomo il nome degli animali. Non sapeva Dio che la giraffa si chiama giraffa? Aveva proprio bisogno di chiedere ad Adamo? La risposta che a queste domande danno i mistici del ‘200 suona più o meno così: «Dio ha voluto regalare per un momento ad Adamo un po’ della sua onnipotenza». Adamo, e quindi tutti noi, siamo stati onnipotenti soltanto quando abbiamo avuto il dono da Dio di dare un nome agli animali. Questo è il ruolo del primo uomo maschio comparso nella mitologia e nella religione, in ciò che accomuna le tre religioni monoteiste. Il suo ruolo è quello di rimettere al mondo l’animale dandogli un nome. In fin dei conti è quello che facciamo anche noi, in piccolo, quando prendiamo un cane, un gatto e gli diamo un nome. Noi scegliamo un nome, un nome di affezione, un nome particolare e aiutiamo questo animale a tornare al mondo, è quello che facciamo anche con i figli. Anche ai figli mettiamo un nome e anche i figli una volta che ricevono un nome entrano di diritto nel mondo umano. Sono voluto partire da questa antichissima narrazione perché mi sembra molto importante ricordare che per gli ebrei e quindi per il popolo che ha raccontato le storie che sono alla radice delle nostre tradizioni, o almeno delle tre grandi religioni monoteiste, il rapporto uomo-animale e quello donna-animale sono così stretti da essere quasi la cosa che conta di più nel paradiso terrestre. L’elemento della cura e l’elemento della nominazione, del dare un nome, fanno quindi entrare l’animale in una dimensione culturale; da qui, la possibilità di "educare con gli animali". Educare un giovane, un bambino, un ragazzo, persino un adulto è un’azione squisitamente umana, molto importante e molto delicata. A che cosa dovremmo educare i nostri ragazzi oggi in questa nostra società? Prima di tutto dovremmo educare i ragazzi e le ragazze a quello che chiamo "pensiero della fine"; dovremmo cioè educarli al fatto che tutti dobbiamo morire. La nostra creaturalità è legata al fatto che siamo fragili, che siamo deboli, che un giorno scompariremo, ce ne andremo tutti, noi, gli animali, le piante, anche le pietre moriranno, anche i pianeti, il sistema solare e persino l’universo. Quindi dovremmo educare i ragazzi a comprendere come la vita abbia senso soltanto a partire dal pensiero della sua conclusione, dal pensiero della morte, dal pensiero del limite. Dobbiamo poi educare i ragazzi alla specificità dell’epoca nella quale viviamo: l’epoca di Auschwitz e di Hiroshima. Molti pensano che, in fin dei conti, i massacri ci sono sempre stati che la gente si è sempre ammazzata, quindi si chiedono in che cosa consista la particolarità della situazione odierna. Ieri si ammazzavano con le lance, oggi si ammazzano con le bombe. Ma cosa c’è di specifico nell’epoca nella quale viviamo? La specificità dell’epoca attuale risiede nel fatto che, per la prima volta nella storia di questo pianeta, esiste una specie animale con la possibilità di distruggere tutto. Gli uomini non erano mai arrivati, prima del 45, a produrre armi in grado non solo di distruggere un gruppo umano, una nazione, un continente, ma capaci di far saltar per aria l’intero pianeta. Addirittura alcuni pensano che gli armamenti atomici attualmente esistenti siano sufficienti a far saltare per aria la Terra 15.000 volte. Per questo motivo, oggi, il nostro discorso animalista, come quello ecologista, deve colorarsi anche di questa tinta più politica, cioè una tinta che ci faccia capire che è in gioco non soltanto il futuro della specie umana, ma quello di tutto il pianeta. Allora la scelta per un’educazione antispecista, non è soltanto una scelta intellettuale, in quanto ne va di mezzo il mondo intero. Ed è la prima volta che questa frase, purtroppo, non è uno slogan, ma una realtà. Dovremmo imparare ad educare i nostri ragazzi anche a questo e alla resistenza nei confronti di questa possibilità di distruzione totale. Infine, dovremmo educare i nostri ragazzi al concetto di "democrazia cosmica", concetto diffuso da Pedro Trigo (incidentalmente ‘trigo' in spagnolo significa ‘grano'), uno dei vescovi latino-americani che hanno fondato la teologia della liberazione. Trigo afferma che la democrazia non è democrazia se vale soltanto per gli uomini. Abbiamo sempre definito la democrazia escludendo qualcuno; prima valeva soltanto per i bianchi, poi per i bianchi e per qualche minoranza purché ricca; poi abbiamo inclusi i neri, ma escluso i pellerossa, ecc. Se non includiamo nel concetto di democrazia anche gli animali e le piante, se non costruiamo una democrazia che comprenda anche gli animali e le piante, i sistemi, i pianeti e le comete, questa non è una vera democrazia. Credo che gli animali ci possano aiutare in questa nostra opera educativa. Gli animali possono venirci in aiuto per favorire questa educazione cosmica, questa educazione planetaria e globale. Ho chiesto pertanto aiuto a qualche animale e sei animali mi hanno risposto in questo tentativo di dire come è possibile educare i ragazzi, i bambini, ma soprattutto noi stessi adulti a tutto ciò.

    Primo animale

    «Così essi tali parole fra loro dicevano:/ e un cane, sdraiato là, rizzò muso e orecchie,/ Argo, il cane del costante Odisseo, che un giorno/ lo nutrì di sua mano (ma non doveva goderne), prima che per Ilio sacra/ partisse; e in passato lo conducevano i giovani/ a caccia di capre selvatiche, di cervi, di lepri;/ ma ora giaceva là, trascurato, partito il padrone,/ sul molto letame di muli e di buoi, che davanti alle porte/ ammucchiavano, perché poi lo portassero/ i servi a concimare il grande terreno d’Odisseo;/ là giaceva il cane Argo, pieno di zecche./ E allora, come sentì vicino Odisseo,/ mosse la coda, abbassò le due orecchie,/ ma non potè correre incontro al padrone./ E il padrone, voltandosi, si terse una lagrima,/ facilmente sfuggendo a Eumeo [.]/. Così detto, entrò nella comoda casa,/ diritto andò per la sala fra i nobili pretendenti./ E Argo la Moira di nera morte afferrò/ appena rivisto Odisseo, dopo vent’anni». Questa è la storia del cane di Ulisse. Questa è una tra le pagine più belle e più tristi dell’intera Odissea. Pensate ad Ulisse. Ulisse è l’eroe per antonomasia, addirittura l’eroe eponimo, perché dà il nome al poema. Ulisse è l’eroe guerriero, l’eroe borghese, il guerriero forte e astuto, l’eroe che vince con la forza dei muscoli, ma anche con la forza dell’intelligenza. Ulisse è uno stratega, che gioca brutti scherzi a tutti da Polifemo a Circe. E come tutti gli eroi guerrieri e scaltri, non ha certo il vent’anni! Adesso è lì tutto coperto di zecche, perché gli altri a corte non se ne prendono cura. A me ha sempre colpito, fin da ragazzo, questo personaggio così grande, così forte, così bravo, così astuto, che però non è capace di salutare il suo cane; mi ha sempre colpito la debolezza di questo Ulisse. Ulisse in fondo è un pover’uomo, nonostante sia un guerriero forte, un guerriero che sa sempre come vincere i nemici, che sa sostenere la prova di forza con l’arco contro i Proci e che riesce a riconquistare la sua donna. Nonostante questo, però, Ulisse rimane un pover’uomo, perché è un uomo che non sa riconoscere il suo cane, non sa salutare il suo cane; perché è un uomo che quando gli viene da piangere si gira e cancella le sue lacrime. Questa storia del povero cane Argo ci insegna che bisogna finirla di essere forti, belli e virili, che bisogna finirla di andare a fare le guerre, di andare a conquistare il mondo, lasciando così tanta sofferenza e tanto abbandono nei nostri amici animali e in tutti gli altri deboli che ci circondano. In questo senso, è molto interessante notare il fatto che Ulisse è un maschio, un uomo. Forse noi uomini dobbiamo imparare che è sì importante quello che costruiamo, quello che produciamo, quello che realizziamo, ma che, tuttavia, c’è un gesto più intimo e più profondamente umano di questi, un gesto di vicinanza al più debole e all’ultimo. Allora per un bambino o per un adolescente maschio adottare un cane, un gatto o un coniglio, cioè il far entrare un animale nella sua vita, è certamente un gesto che lo rende più gentile. Con l’animale non puoi comportarti come fai con i tuoi amici quando giochi a pallone con violenza e con forza; hai bisogno di imparare dei gesti più rallentati, hai bisogno di imparare una gestualità più contenuta. E cosa impara il ragazzino con il cane? Impara che è il proprio cane a conoscerlo realmente. Sembra che Hegel sostenesse che «nessun uomo è un grande uomo per il suo cameriere». Questo perché il cameriere ti vede in mutande, il cameriere ti vede quando esci dalla doccia, alle sei del mattino. Un uomo è un grande uomo per il suo cane, una donna è una grande donna per il suo gatto perché questi animali ci vedono veramente nella nostra nudità, non tanto fisica ma in quella della nostra anima, qualora siamo capaci di un gesto, che ci avvicina a loro e che ci fa perdonare vent’anni di assenza. Così noi impariamo dall’animale l’unicità del rapporto. Noi siamo il suo ‘padrone’, lui o lei è il mio cane, il mio gatto. La parola "padrone" perde quel brutto senso un po’ repressivo e un po’ fascista forse soltanto quando usata nei confronti degli animali. Il "padrone", in questo caso, non è quello che ha la fabbrica; il "padrone" dell’animale è un’altra cosa. Il "padrone" dell’animale è quello che se ne prende cura. Essere "padrone" di un animale vuol dire assumersi delle responsabilità. Questo è importante anche per i ragazzi; essere padrone di tanti giochi vuol dire averne tanti, sempre di più, ma il mio cane, quel cane lì, è diverso da tutti gli altri, anche se ha le zecche o le pulci, è il mio e io me ne prendo cura. E tanto più sono il suo "padrone" quanto più so prendermene cura e assumerne la responsabilità. Incidentalmente, si noti che la famosa citazione dall’Antico Testamento secondo cui Dio ha dato all’uomo il dominio sugli animali è in realtà derivata da un errore di traduzione. La parola ebraica originale non ha solo il significato di "dominio", ma anche quello di "responsabilità". Non è vero che Dio ha detto: «Avete il dominio sugli animali, fatene quello che volete, cioè pellicce o borsette». Dio non ha mai detto queste cose; Dio in realtà parlava di "responsabilità". Argo ci insegna anche questo.

    Secondo animale

    C’è ancora un altro cane, un cane di un racconto di Dino Buzzati. Buzzati ha sempre avuto un grande amore per i cani e i suoi racconti sui cani sono tra i più belli e, alcuni, anche tra i più tristi. Il racconto di cui parliamo ora si intitola Il tiranno malato e narra la storia di Tronk, un mastino tremendo, il tiranno del quartiere. Un mastino il cui padrone è un professore, un professore stupido, perché lo ha addestrato ad essere violento, ad aggredire gli altri cani. In questo racconto, si narra anche di quando Tronk aggredisce un volpino e lo uccide. Il professore lo richiama, però in fondo è contento di lui, perché il suo cane è forte e in grado di uccidere. Ecco il finale del racconto: «Un cuccioletto era [Tronk], quattro anni fa soltanto, che si guardava gentilmente intorno, tutto doveva cominciare, certo avrebbe conquistato il mondo. L’ha conquistato. Guardatelo ora, grande e grosso, il cagnazzo, petto da toro, bocca da barbaro dio azteco, guardatelo l’ispettore generale, il colonnello dei corazzieri, sua maestà! Ha freddo e trema. ‘Tronk, Tronk’ lo chiama il professore. Per la prima volta il cane non risponde. Nei sussulti del cuore che rimbomba, pallido del terribile pallore che prende i cani i quali erroneamente si pensa che pallidi non possano diventare mai, egli guarda laggiù, in direzione della foresta vergine, donde avanzano contro di lui, funerei, i rinoceronti della notte». È un finale tremendo: anche Tronk muore. Il tiranno, il cane che terrorizzava tutti i cagnolini del quartiere, anche lui muore. Anche Tronk sente arrivare la morte. Cosa ci insegna questo cane? Ci insegna innanzitutto che la cattiveria degli animali, la crudeltà dell’animale è un’invenzione umana. Questo non vuol dire che non sia vero che il gatto prima di uccidere il topolino lo tortura. Questo, tuttavia, è un comportamento che è al di qua del bene e del male. La tigre quando uccide la gazzella non è cattiva. Le categorie etiche sono umane, le abbiamo create noi, come il cane addestrato ad uccidere, il cane addestrato al combattimento; anche tutto questo è un’invenzione umana. Solo noi siamo così stupidi da prendere una caratteristica naturale, l’aggressività, che l’animale in natura usa per difendersi, per conquistarsi il cibo, e farla diventare qualcosa di bello. Tronk allora ci insegna che è importante non proiettare troppo le categorie etiche sugli animali, non fare violenza culturale all’animale. Se la cultura è cosa umana, esattamente come cantare è un comportamento dell’usignolo, perché dovremmo trasformare l’aggressività del cane in un valore? I nazisti sono stati molto bravi nel fare questo, anche se, a volte, si dice stupidamente che i nazisti amavano gli animali mentre mandavano gli ebrei al massacro. C’è un bellissimo libro intitolato Gli animali e il Terzo Reich, che dimostra che i nazisti non amavano gli animali, ma piuttosto l’aggressività del cane lupo e questo non perché amassero il cane lupo, ma perché piaceva loro vedere il cane lupo sbranare i deportati, proiettando così su questi animali la loro aggressività. Il cane per loro era uno strumento, esattamente come lo era la frusta. Non c’è mai stato amore per gli animali nella barbarie nazista; c’è stato amore per la violenza umana, che trasforma l’animale in strumento. Questa è la prima lezione che possiamo imparare da Tronk. Il povero Tronk, da cucciolo, era un cane come gli altri, gli piaceva giocare con la palla, gli piaceva rincorrere le farfalle. Questo stupido professore (un pover’uomo anche lui, ancora peggio di Ulisse) lo ha fatto diventare l’emblema del terrore. Ma l’altra lezione che ci viene da Tronk è quella che ha a che fare con la morte. Anche Tronk muore. La fine giunge per tutti. Anche questo è una cosa che ci insegnano gli animali. Mediamente i nostri animali domestici, purtroppo, vivono meno di noi. Allora pensate all’importanza che può assumere per un bambino o per una bambina la perdita del proprio gatto o del proprio cane. Il bambino si confronta così con l’idea della morte. Moltissime persone hanno incontrato la morte per la prima volta da bambini, quando è morto il loro cane o il loro gatto, il loro coniglio o il loro pesce rosso. Sono proprio gli animali che ci insegnano la grande dignità del morire. L’animale muore con grande dignità e ci mostra che le cose finiscono, che tutto finisce e che, di fronte alla fine, possiamo avere una confidenza con la morte. Quando le persone fanno il funerale al loro cane, al loro gatto o tengono nel portafogli la sua fotografia non compiono un gesto stupido, ma piuttosto ritualizzano la morte. In questo modo, i ragazzi imparano che possiamo far diventare la morte memoria, possiamo farla diventare cultura. Sono tante le persone che quando muore il loro cane o il loro gatto prendono un altro cane o un altro gatto e gli danno il nome di quello che è morto. Queste cose ci fanno capire che possiamo mantenere la memoria di ciò che scompare.

    Terzo animale

    Ora basta con i cani e passiamo ai pesci. Questi pesci ci parlano da un brano tratto da Le mille e una notte, dove si narra di un pescatore che incontra un demone. Questo demone lo porta davanti a uno stagno e gli ordina di gettarvi la rete e di pescare. Il pescatore, dopo aver guardato nello stagno e avervi scorto pesci bianchi, rossi, azzurri e gialli, prova meraviglia e si chiede come mai i pesci siano così variopinti. Scopre così che il demone aveva stregato la città con tutto quello che c’era nei mercati e nei giardini. Nella città gli abitanti erano di quattro categorie: musulmani, cristiani, ebrei e magi. Il demone li aveva trasformati in pesci: bianchi i musulmani, rossi i magi, azzurri i cristiani e gialli gli ebrei. Questo brano ci insegna che la diversità è l’anima della vita. Nello stagno ci sono pesci di diversi colori, perché le religioni sono diverse. Le mille e una notte, testo multiautoriale dell’area persiana, ci dice che non devono esistere soltanto musulmani, o soltanto ebrei, o soltanto cristiani. Deve esserci spazio per tutti; i pesci devono essere di tanti colori. Gli animali attraverso la loro diversità e le loro differenze ci mostrano l’importanza di un pensiero interculturale. Ci dimostrano l’importanza ed il valore proprio delle diversità. Sappiamo benissimo che il nostro cane non è uguale a nessun altro cane. Sappiamo benissimo che il nostro gatto lo riconosceremmo in mezzo a mille altri. Ma sappiamo anche che è bello incontrare altri cani, grossi o piccoli che siano. La diversità è una grande ricchezza, con cui la natura ci stupisce. Chiunque abbia fatto un viaggio in luoghi dove la natura è ancora rigogliosa, rimane stupito dalla biodiversità. E ogni qualvolta muore una specie, muore un mondo, muore un pezzo di mondo, è una ricchezza infinita che se ne va. Purtroppo, le specie muoiono ogni giorno, muoiono continuamente. E lo stesso vale per le lingue; pare che ogni giorno ne muoiano 50, linguaggi e dialetti minori che nessuno parla più. Cinquanta ogni giorno! È una cifra impressionante, considerando che ogni lingua è un modo di dire il mondo. Allora, noi che stiamo abituandoci a parlare sempre tutti l’inglese o, meglio, quello pseudo-inglese da internet, che è tanto diffuso, stiamo abituandoci un po’ tutti a pensare alla stessa maniera, stiamo abituandoci a pensare che il mondo sarà sempre più simile. Questa è una cosa che dovrebbe terrorizzare perché il simile, l’uguale, è il preludio alla morte, è il preludio alla fine. Solo nella differenza c’è la vita, solo nella diversità c’è la vita. Quando ci si chiede perché salvare una specie animale, perché intestardirsi a salvare le tartarughe delle Galapagos, in realtà si professa un pensiero che non vede le differenze. Un pensiero che uniforma tutto. Al contrario, ogni specie è testimone della sopravvivenza di un modo diverso di vedere il mondo, è testimone della sopravvivenza di un sguardo nuovo sul mondo. Torniamo allora all’Antico Testamento. A un certo punto gli uomini costruiscono la famosa torre di Babele, che poi Dio distrugge perché vuole punirli. Poi, come capita spesso, il Dio dell’Antico Testamento pensa di aver esagerato e così regala loro le lingue. Babele è un regalo di Dio. Le 70 lingue di Babele (e per i popoli antichi 70 significa "infinito") sono in effetti un dono di Dio agli uomini, un dono atto a sviluppare le diversità, perché altrimenti, come sostiene un rabbino del quattordicesimo secolo, Dio si sarebbe annoiato. È bello che si parli, è bello che siamo diversi ed è bello che gli animali ci insegnino, come nella favola de Le mille e una notte, il valore della biodiversità.

    Quarto animale

    Incontriamo ora alcuni elefanti in una poesia breve (intitolata appunto Gli elefanti) di Eugenio Montale, grandissimo poeta e premio Nobel per la letteratura. «I due elefanti hanno seppellito con cura/ il loro elefantino./ Hanno coperto di foglie la sua tomba e poi/ si sono allontanati tristemente./ Vicino a me qualcuno si asciugò un ciglio./ Era davvero una furtiva lacrima/ quale la pietà chiede quando è inerme:/in proporzione inversa alla massiccia/imponenza del caso. Gli altri ridevano/ perché qualche buffone era già apparso/ sullo schermo». Questa è una delle più belle poesie di Montale, è folgorante. Amo particolarmente questa poesia per una serie di motivi che cercherò ora di illustrare. Innanzitutto, è interessante questa lacrima furtiva che è la stessa lacrima di Ulisse, la lacrima della pietà. Poi, c’è la ritualità della morte, l’attenzione per la morte, l’importanza del pensiero della morte. È vero, come dicono alcuni, che soltanto l’uomo si prende cura dei cadaveri. Tuttavia è anche vero che questa immagine, questa suggestione della capacità dell’animale di dire che è finita e di accudire chi se ne è andato è altrettanto potente. Pensate ai cani che rimangono per giorni a fianco del corpo del padrone morto, che si rifiutano di mangiare, che vanno sulla tomba a piangere. Questi animali ci insegnano che non è vero che l’animale non possiede l’idea della morte; l’animale ha certamente l’idea della morte dell’altro, come ci viene detto in un’altra poesia, che parla di un gatto a cui è morto il padrone. In questa poesia, il gatto ignaro pensa più o meno così: «Questo non torna più, ma se ne accorgerà, quando tornerà, non gli farò più le feste, perché non si può lasciare un gatto da solo». Una poesia straziante. Anche qui impariamo dall’animale l’importanza della morte, noi che la morte non abbiamo il coraggio di guardarla in faccia perché, giustamente, ci fa paura. Infine, è importante quanto ci insegna il finale della poesia di Montale. Uno piange perché vede gli elefanti che seppelliscono l’elefantino e gli altri ridono perché qualche buffone è comparso sullo schermo. Nonostante sia stata scritta più di un quarto di secolo fa, questa poesia è straordinariamente attuale, non tanto per i buffoni, che oggi proliferano, ma per questa idea degli schermi. Quando qualche genitore mi chiede: «Secondo te, perché devo regalare a mio figlio un cane o un gatto?», gli rispondo semplicemente: «Perché così spegne il computer, il game-boy, la play-station o il tamagoci». Hanno inventato persino il tamagoci, che muore se non lo accudisci. A me viene voglia di comprarlo e di farlo morire apposta, perché è soltanto un circuito elettronico. Ho letto articoli di colleghi pedagogisti che sostengono che con questo gioco il bambino impara a prendersi cura. Ma di cosa si prende cura? Di una marmitta per auto? Il bambino può prendersi cura di un animale, non del tamagoci. La civiltà degli schermi è una civiltà che non ci permette l’esperienza diretta, l’esperienza forte, l’esperienza non mediata. Una ricerca fatta da alcune maestre di scuole milanesi ha dimostrato che il 97% dei ragazzini di quinta elementare non ha mai visto una mucca dal vivo. Una mucca, non un ornitorinco! È proprio triste che un bambino non veda un animale che è così potentemente vicino a noi. I Pink Floyd, in uno dei loro album più belli, hanno messo una mucca in copertina, perché la mucca è la madre, la grande madre; perché nel disco parlano della terra; perché parlano di una metafora che un bambino di oggi rischia di non capire. Stare vicino all’elefante che seppellisce il suo cucciolo vuol dire allora allontanarsi dallo schermo, usare lo schermo per quel che serve e poi spegnerlo per accendere l’esperienza. Anche in questo ci aiuta l’animale. È triste che il bambino preferisca all’unicità dell’esperienza degli eventi infinitamente ripetibili. Allora, ancora una volta, perché prenderci cura di un animale? Perché domani potrebbe non esserci più. Ma, in fin dei conti, perché amiamo la nostra donna o il nostro uomo? Perché c’è la morte. L’amiamo intensamente perché inconsciamente sappiamo che un giorno lui o lei, anzi sicuramente entrambi, non ci saranno più. Quando Cristopher Lambert nel film Highlander si innamora sceglie di diventare mortale, perché solo la morte ci consente di amare.

    Quinto animale

    Nella Germania nazista, c’è stato un pastore protestante, Dietrich Bonhoeffer, che si è opposto fermamente al regime e che è morto nel campo di sterminio di Flossenburg nel ‘45. Nel ‘43, in una delle sue lettere, tutte molto intense, indirizzata ai suoi genitori, scrive: «Un po’ di tempo fa nel cortile, sotto una tettoia aveva fatto il nido una cincia; aveva dieci piccoli ed era una cosa che mi dava piacere, ogni giorno; ad un certo punto un tipaccio ha distrutto tutto e le cince giacevano morte a terra: incomprensibile». Incomprensibile, perché Bonhoeffer vive nell’epoca dello sterminio di sei milioni di ebrei e dice che è incomprensibile che abbiano ammazzato delle cinciallegre. Curiosamente, Gramsci in una lettera alla figlia racconta una storia identica circa un pettirosso. Anche a questo pettirosso distruggono il nido e, anche se riesce comunque a salvarsi, Gramsci non lo vede più, non può più dargli da mangiare ed è così molto triste. Perché la violenza sull’animale diventa emblematica di tutte le altre violenze? Perché la violenza sull’animale è la violenza di una specie su di un’altra ed è pertanto l’archetipo, la radice di tutte le violenze. L’uomo che fa violenza ad un animale è in realtà una specie che fa violenza a un’altra specie, è la violenza del forte sul debole. Forse non è un fatto molto noto, ma i nazisti in una delle loro primissime leggi che hanno dato inizio alla Shoà, hanno decretato la cosiddetta Pet-shoà, cioè hanno reso possibile l’uccisione di tutti gli animali domestici degli ebrei. Anche questo sembra incomprensibile. Anche ammesso che tu sia così pazzo e delirante da pensare che gli ebrei facciano parte di una razza inferiore, cosa c’entrano i loro cani? E i loro gatti? La spiegazione risiede nel fatto che i nazisti, che se ne intendevano di disumanità, hanno colpito da subito il più debole. Hanno subito proclamato a chiare lettere la violenza del forte sul debole. Le violenze sugli animali, per esempio quelle connesse alla vivisezione, descritte in un libro che bisogna assolutamente leggere, Imperatrice nuda di Hans Ruesch, sono gravi perché nascondono un’idea di scienza costruita sullo sterminio del debole. In un passaggio straordinario, il filosofo ebreo-tedesco-comunista, Theodor W. Adorno, dice qualcosa di stupendo, quando afferma: «Auschwitz inizia ogni volta che qualcuno guarda a un mattatoio e pensa: sono solo animali». Tutto questo ci dice che se qualcosa ha bisogno di far soffrire una cavia, un coniglio, un ratto, un cane o un gatto, questo qualcosa è una scelta basata sulla violenza del più forte sul più debole. È l’idea che siccome sono più forte faccio di te quello che voglio, ti uso e ti uso anche per qualcosa che in fin dei conti potrebbe anche essere inutile e trascurabile. Ecco allora l’importanza di educare i ragazzi a questi temi. Se andate in un centro commerciale ci sono infiniti tipi di dentifrici diversi. Ma il dentifricio è semplicemente un sapone per i denti, che può lasciare un buon sapore; è un bene utile, ma non indispensabile. Come sceglierne uno? I ragazzi come scelgono il loro dentifricio? Perché ha un buon sapore di fluoro o perché porta sulla confezione l’immagine del giocatore di calcio preferito. Insegniamo allora ai ragazzi a scegliere il dentifricio di quelle case produttrici che non sperimentano sugli animali. È stato pubblicato un libro stupendo che si intitola Guida ai prodotti non testati su animali, che invito tutti a comprare. Lo stesso discorso vale anche per la piaga dell’abbandono degli animali, l’abbandono estivo. L’abbandono è, ancora una volta, il risultato dell’idea che ti uso soltanto finché mi fa comodo. Ma vi fidereste di una persona che usa un cane solo fin quando è cucciolo e fa divertire il bambino e poi lo abbandona in un autogrill? Di fronte ad una persona del genere, nessuno mi toglie dalla testa l’idea che come ha fatto con il cane così farebbe anche con me. Con il cane è stato facile, perché il cane non può difendersi. Con me non ti comporti così forse solo perché hai paura di una mia reazione, ma prima o poi, se sei abituato ad abusare del più debole, prima o poi quello che fai a lui sarai disposto a farlo anche ad un uomo. La cinciallegra di Bonhoeffer ci insegna questo.

    Sesto animale

    Vorrei concludere con un brevissimo racconto di Franz Kafka, un racconto folgorante, tipico di questo autore boemo, intitolato Un incrocio. «Possiedo uno strano animale, metà gattino, metà agnello. L’ho ereditato da mio padre, ma si è sviluppato soltanto ai miei giorni, prima era più agnello che gattino. Adesso invece ha, direi, tanto dell’uno quanto dell’altro: del gatto ha la testa e gli artigli, dell’agnello la grossezza e la forma, di entrambi ha gli occhi selvaggi e fiammeggianti, il pelo morbido e aderente, i movimenti ora saltellanti ora striscianti. Sul davanzale al sole si acciambella e fa le fusa, sul prato corre all’impazzata ed è quasi impossibile rincorrerlo. Quando incontra un gatto fugge, mentre invece aggredisce gli agnelli. Nelle notti di luna la grondaia è la sua passeggiata preferita. Non sa miagolare e ha ripugnanza dei topi. Se ne sta per ore in agguato presso il pollaio, ma non ha mai approfittato d’una occasione di uccidere. Lo nutro di latte dolce che è quello che gli fa più bene. Lo succhia a lunghe sorsate, facendolo passare tra i denti da animale feroce. Naturalmente è un grande divertimento dei bambini. La domenica mattina ricevo le visite: tengo la bestiola in grembo e i bambini di tutto il vicinato mi stanno intorno». Il racconto procede per un paio di pagine descrivendo questo stranissimo incrocio. Di che bestia si tratta? È una bestia strana, è un meticcio, e i meticci ci fanno paura. Probabilmente, invece, il nostro futuro è proprio nel meticciato. Il nostro futuro è nell’imbastardimento, il nostro futuro sta nel capire che gli animali ci insegnano, esattamente come il libro di un antropologo americano intitolato proprio così, che "i frutti puri impazziscono". Cosa vuol dire che i frutti puri impazziscono? Vuol dire che più un frutto è puro, meno ha avuto incroci, meno la sua pianta ha avuto innesti, più questo frutto è debole e più rischia di morire, di marcire, di impazzire appunto. I frutti che esistono sono quelli che hanno saputo meticciarsi e incrociarsi, come il nostro animale metà agnello e metà gatto. L’animale ci insegna allora l’elogio del misto, ci insegna come la purezza sia un’invenzione. Nessuno è puramente qualcosa, nessuno è solo maschio, nessuno è solo femmina, nessuno è solo italiano, nessuno è solo svizzero, nessuno è solo bianco o solo nero. Noi siamo, come diceva Camus, un impasto di angeli e di demoni. L’animale bello è quello che mette insieme un cocktail di tante caratteristiche. L’ultima cosa che ci insegna l’incrocio di Kafka è che l’animale, alla fine, rimane per noi un grande mistero, rimane qualcosa da incontrare sapendo che, forse, non lo capiremo mai fino in fondo. Ma anche gli altri esseri umani sono così, sono un mistero. La bellezza del mondo risiede probabilmente nel fatto che rimane sempre qualcosa dell’altro che non si riesce a capire. Allora amare un animale vuol dire non umanizzarlo troppo, lasciarlo nella sua animalità, capire che non comprenderemo mai fino in fondo tutti i suoi comportamenti e che lui o lei non capirà mai fino in fondo i nostri. Dobbiamo prendercene cura, dobbiamo farlo entrare nel nostro mondo culturale, ma dobbiamo anche sapere che qualcosa di lui o di lei resterà fuori per sempre. Due anni e mezzo fa al canile di Monza c’erano due bellissimi cani, Milù e Nerina. Anzi non erano ancora Milù e Nerina, erano Zampetta e Alissia. Zampetta, attualmente Milù, è un cane che è stato torturato da un essere dall’apparenza umana o da più esseri dall’apparenza umana che lo hanno abbandonato senza una zampetta. Poi è stata curata dagli eccezionali ragazzi volontari del canile di Monza e io e mia moglie Gabriella l’abbiamo adottata insieme alla sua amica, perché nel canile, per fortuna, si era fatta un’amica, che è Nerina. Le abbiamo portate a casa nostra, abbiamo dato loro un nome e abbiamo insegnato loro che si potevano fidare ancora degli esseri umani; che questi strani esemplari un po’ goffi che camminano dritti sulle zampe posteriori erano capaci non solo di fare del male e di torturare, che le nostre mani non sono soltanto mani che picchiano, mani che torturano, ma sono mani che accarezzano, che danno i croccantini, che puliscono dove si è sporcato e che mettono il tappeto morbido, quando il pavimento è troppo freddo. Vivere con un animale è una reciproca intesa, non un possesso. Abbiamo aperto con Dio e finiamo ancora con lui. Cosa fa Dio tutto il giorno? I rabbini ebraici ritengono che la giornata di Dio duri 24 ore esattamente come la nostra e che Dio divida la giornata in quattro quarti. Nelle prime sei ore Dio prega, prega se stesso. Nella seconda parte della giornata, studia la Torà, l’Antico Testamento, i testi sacri. Nella terza parte, giudica i buoni e i cattivi e, nella quarta parte, gioca con il leviatano. Il leviatano è l’animale più terribile, il più potente tra tutti gli animali. Il leviatano è quell’animale la cui carne verrà divorata senza che lui muoia, verrà mangiata dai giusti il giorno della fine del mondo e della redenzione. I giusti mangeranno la carne del leviatano, ma il leviatano non morirà e non soffrirà, perché Dio sa fare anche questo. Dio gioca con il Leviatano e un rabbino polacco-boemo, compaesano di Kafka, nell’Ottocento affermava che Dio vorrebbe tanto che queste sei ore di gioco con il leviatano durassero più di tutte le altre. Pensate a questa immagine, all’immagine del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, Dio dei cristiani, dei musulmani e degli ebrei che fa tante cose importanti, prega, studia la torà, amministra la giustizia, ma è contento solo quando gioca con un animale, quando accoglie un animale nel suo regno e quando ci restituisce e restituisce a se stesso la gioia di educare e di educarsi con gli animali.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu