Segnalazione e recensione
pp. 352 - € 25,00
Il libro
Ripensare in modo radicale la pastorale giovanile, perché parta da un reale ascolto dei giovani e dei loro vissuti: questa l'esigenza alla base delle riflessioni del presente volume, che vede nella pratica di vita comune temporanea una proposta educativa capace di rispondere ai bisogni e alla crescita nella fede durante la giovinezza. Scopo del testo è fornire quell'impalcatura teorica interdisciplinare di riferimento che rifletta su implicazioni, dinamiche e obiettivi educativi in gioco, e senza la quale qualsiasi sforzo, per quanto appassionato, risulterebbe poco efficace.
I tre ampi capitoli (Confini: giovani, fede e sfide emergenti; Orizzonti: criteri interpretativi; Prospettive: rilettura e possibilità di rilancio) e il congedo (L’incredibile fascino di un’eloquenza discreta) sono “inquadrati” in una cornice significativa, la Prefazione del vescovo di Milano Mario Delpini e la Postfazione di Rossano Sala: “Profezia di comunità. Appunti sulla riforma familiare della Chiesa”. Dunque un impegno concreto di Chiesa, e una nuova riflessione teologico-pastorale che innerva la PG.
L'Autore
Samuele Marelli, nato nel 1976 e presbitero della diocesi di Milano dal 2002, è licenziato in Teologia Pastorale all'Università Pontificia Salesiana. Oltre ad aver svolto la sua attività pastorale in alcune parrocchie e oratori e aver insegnato alle scuole superiori, è stato direttore e presidente della Fondazione Oratori Milanesi, responsabile di Oratori Diocesi Lombarde e consulente ecclesiastico del comitato di Milano del Centro Sportivo Italiano. Con Centro Ambrosiano ha pubblicato Istantanee dall'oratorio (2017).
I contenuti
PREFAZIONE
Mons. Mario Delpini
Arcivescovo di Milano
L'educazione è figlia della gioia.
I programmi sono frutto di una ragione che calcola necessità, risorse, metodi: sono molto utili i programmi, ma temo che non bastino per educare,
Le regole sono frutto di esperienza, talora di ansia "per quello che potrebbe succedere", preoccupazione per il bene di ciascuno e il bene della comunità. Sono molto utili le regole, ma non credo che bastino per educare.
La frustrazione, il disagio, il senso di colpa, generano inquietudine e l'inquietudine suggerisce tentativi, consultazione di esperti, analisi di cause e talora ricerca di colpevoli. Non sono rari questi sentimenti e questi effetti, ma ho l'impressione che siano piuttosto un impedimento che un aiuto per l'educazione.
L'educazione, se dobbiamo chiamarla così, è figlia della gioia. Per conto mio preferisco parlare di proposta vocazionale piuttosto che di educazione, formazione, accompagnamento e altre parole simili che rientrano nell'area semantica della pastorale giovanile.
In ogni caso, insisto nel dire che la proposta vocazionale viene dalla gioia.
La pastorale giovanile mi sembra talora segnata dalla tristezza: la sproporzione tra le risorse investite e i risultati raccolti, l'impressione di risposte stentate a proposte che sembrano allettanti, la constatazione di alcuni tratti desolanti che sembrano caratterizzare un certo grigiore che inquina l'attuale generazione giovanile, inducono educatori, formatori, responsabili a una sorta di rassegnata tristezza. A me non sembra che dalla tristezza possa nascere una proposta pastorale, una proposta vocazionale.
Le "proposte nuove" per una pastorale giovanile adeguata a questi giovani e a questi momenti sono - a mio parere - destinate al fallimento se nascono da un volontarismo che vuole liberarsi dalla rassegnata tristezza e praticare invece una tristezza aggressiva, propositiva, creativa. Non basta la volontà di rimediare ai fallimenti delle proposte finora elaborate per individuare vie più promettenti. Ci vorrebbe un po' di gioia.
Per questo esprimo il mio apprezzamento per il testo di don Samuele Marelli. Mi sembra che Fare casa, la ricerca e la proposta interpretativa di esperienze di vita comune, nasca infatti dalla gioia che anima don Samuele e lo ha convinto a portare a buon fine questo studio.
La proposta di esperienze di vita comune come forme promettenti di pastorale giovanile non è solo un tentativo di rimedio alla dispersione e solitudine dei giovani, che pure sperimentano quell'imbarazzo di essere senza radici e senza casa, e del resto sono insofferenti di una casa che sia il nido della loro infanzia.
La proposta di esperienze di vita comune non è solo una alternativa a percorsi e ambienti che risultano abitati da pochi giovani, forse più malati della sindrome dei sopravvissuti che da una lieta determinazione alla fraternità e al servizio.
La proposta di esperienze di vita comune si rivela promettente se è proposta vocazionale. C'è infatti una promessa iscritta nella giovinezza e solo la voce di chi chiama può svegliare la promessa che si è assopita e forse confusa in uno smarrimento inquieto. Quando la voce persuasiva del Maestro e di chi se ne fa messaggero sveglia la promessa, allora può succedere che una giovane libertà si metta in cammino, si disponga ad attraversare anche deserti e tempeste. La persuasione che motiva il cammino non può essere la fuga da una condizione infelice, ma l'attrattiva di una terra desiderabile.
In questo cammino sarà una grazia per un giovane e per una giovane trovare casa o, forse meglio, "fare casa". C'è, infatti, bisogno di una comunità, di una vita comune. Non solo di incontri, di esperienze condivise, di convocazioni per la preghiera, di iniziative di carità. C'è bisogno di una casa, non solo di una tenda da campeggio dove si vive l'eccitazione di una parentesi rispetto alla vita ordinaria. La casa è un tempo di convivenza ordinaria che consente di conoscersi e conoscere nel ritmo quotidiano, nella festa e nella noia, nella preghiera e nel servizio.
Per i giovani che sono in cammino per diventare preti da secoli si è proposto il seminario come contesto per il discernimento e la formazione. Per i giovani che sono in cammino per diventare adulti sono stati proposti diversi percorsi formativi. Fare casa è la proposta che viene presentata e studiata da don Samuele. I frutti sono il segreto di Dio, ma il servizio che la comunità fa sarà promettente se viene dalla fiducia e dalla gioia.
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni si è riscontrato un diffuso e profondo bisogno di rinnovamento delle prassi di pastorale giovanile; tale esigenza rappresenta ormai un'urgenza non più procrastinabile che si traduce in un'inquietudine nel cercare qualcosa di nuovo, non di rado improvvisando iniziative piuttosto estemporanee e prive di solidità teorica. La prassi e le strutture che la tradizione pastorale ci consegna, appaiono ormai afone e incapaci di rispondere ai bisogni dei giovani di oggi e sembrano non riuscire a interpretare le loro attese. Il repentino mutamento del contesto culturale obbliga a esplorare con coraggio strade nuove e a ricercare prospettive inedite nell'annuncio del Vangelo ai giovani. In un momento di profonda e repentina transizione, risuona forte l'eco delle parole di papa Francesco:
Si può dire che oggi non viviamo un'epoca di cambiamento quanto un cambiamento d'epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli.[1]
In vista di un'assimilazione consapevole dell'Esortazione apostolica Evangelii Gaudium e delle più recenti indicazioni della XV Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi dal titolo "I giovani: la fede e il discernimento vocazionale", la pastorale giovanile si vede costretta a un ripensamento radicale e complessivo, che parta dal reale ascolto dei giovani all'interno dei loro contesti di vita.
Nell'ampio e profondo alveo del fiume di questo rinnovamento, si colloca una prassi che si è introdotta in modo significativo solo da un paio di decenni nella pastorale giovanile, nonostante affondi le sue radici nell'antichità e abbia attraversato tutte le epoche della storia. Si tratta della pratica di periodi di vita comune, intesa quale esperienza pedagogica originale e sintetica di educazione ed evangelizzazione. Per "vita comune" si intende non una qualsiasi aggregazione giovanile che preveda forme di convivenza, ma più in specifico una proposta educativa articolata e precisa capace di dare forma a un modo di vivere il quotidiano (non dunque altri periodi particolari) che possa costituire, almeno parzialmente, un paradigma per la vita intera.
La proposta di vita comunitaria sembra in grado più di altre di rispondere prima di tutto al desiderio di socialità che nell'età giovanile assume connotazioni particolarmente significative, a partire dall'esperienza del progressivo superamento del vincolo parentale. Inoltre, il carattere eminentemente pratico e quotidiano della proposta la rende desiderabile e sperimentabile. Del resto
un lavoro promettente con i giovani dovrebbe partire dal mondo che essi vivono e non dal mondo verso il quale si vorrebbe condurli. Se si volesse davvero avviare un lavoro serio coi giovani bisognerebbe ripartire dalla vita comune. Dal semplice far casa con loro.
Stiamo rispolverando un'idea semplice e banale: se si vuole avviare un serio lavoro di pastorale giovanile occorre prevedere il tempo. Tanto tempo. I giovani chiedono tempo. La maggior parte dei nostri sforzi pastorali sono rivolti ad altro. I giovani il (tuo) tempo lo esigono e lo risucchiano. Per meno di un abbondante investimento temporale non si può proprio pretendere nulla. [2]
Negli ultimi anni si è assistito a un proliferare ancor più forte di esperienze di vita comunitaria, purtroppo quasi inversamente proporzionale alla riflessione fondativa sui criteri, sulle implicazioni, sulle dinamiche in gioco e sugli obiettivi educativi; così si sono attivate esperienze e identificate strutture con sforzi generosi e appassionati, non sempre supportati da un'adeguata impalcatura teorica interdisciplinare di riferimento.
Il presente lavoro vorrebbe dare un piccolo contributo in questa direzione, a partire da una ricostruzione storica dei passaggi più significativi dello sviluppo dell'esperienza giovanile nella diocesi di Milano e da una presentazione sintetica dei tratti comuni delle esperienze, attraverso l'elaborazione di una riflessione in grado di giustificare la pertinenza della proposta e sostenerne il continuo aggiornamento. Nel territorio ambrosiano, il forte investimento di persone e strutture dedicate alla pastorale giovanile, accanto alla lunga tradizione degli oratori, ha reso possibile lo sviluppo di una prassi piuttosto diffusa e consolidata. A testimonianza di ciò sta il fatto
che circa un terzo degli oratori italiani si trovano sul territorio lombardo. La configurazione sociale, che vede più dei tre quarti della popolazione della diocesi di Milano risiedere in zone urbane o comunque in comuni piuttosto grossi e facilmente collegati, insieme a una forte presenza di giovani sul territorio soprattutto dovuta all'abbondante offerta lavorativa e universitaria, hanno contribuito non poco al radicarsi di diverse forme di vita comune.
L'analisi e la ricerca si concentreranno sullo sviluppo della prassi pastorale negli ultimi due decenni (2000-2020), ovvero a partire dalle prime esperienze significative fino all'ampia e variegata proposta attualmente in atto. L'indagine sulle cosiddette "comunità temporanee" sarà focalizzata su quelle esperienze, decisamente maggioritarie, che si riferiscono a giovani dai 18 ai 25 anni e che hanno una durata variabile dal minimo di una settimana a un massimo di alcuni mesi.
L'obiettivo di tale ricerca vorrebbe essere quello di indagare una prassi in ampia e progressiva diffusione e offrire la possibilità di un ripensamento delle varie esperienze a partire da una presentazione analitica delle diverse modalità di attuazione concreta ma soprattutto dall'individuazione di criteri di valutazione, ripensamento e rilancio.
La ricerca prevede una prima parte kairologica, di contestualizzazione progressiva della questione mediante un'analisi fenomenologica. L'obiettivo è quello di tracciare, in qualche modo, i confini dell'indagine a partire dallo sfondo generale attraverso una breve riflessione sulla condizione giovanile contemporanea, per poi passare a una più mirata analisi del contesto nel rapporto tra i giovani e la fede. Successivamente, dopo una presentazione complessiva della cornice, ovvero della proposta di pastorale giovanile diocesana, ci si focalizzerà sulla descrizione del quadro proprio delle esperienze di vita comune, ripercorrendone la storia e l'evoluzione ma anche descrivendo i tratti generali e le diverse declinazioni. Infine, si proporrà un primo tentativo di sguardo sintetico, raccogliendo alcune sfide emergenti.
La seconda parte, di natura criteriologica, si propone di esplorare orizzonti più ampi nel tentativo di individuare e sviluppare criteri capaci di costituire una significativa infrastruttura teorica volta ad approfondire le dinamiche in gioco, a partire dalle quali rileggere e valutare le prassi in atto. Tali criteri saranno attinti da approcci diversi e complementari, che andranno successivamente composti e sintetizzati. Dopo un primo momento dedicato alla ripresa di alcuni snodi biblici, si sonderà il terreno della tradizione ecclesiale e spirituale attraverso l'approfondimento di alcune esperienze particolarmente evocative, per poi offrire dei contributi di carattere più prettamente antropologico e teologico. A questo punto si passeranno in rassegna le principali dimensioni pedagogiche e le più significative dinamiche spirituali.
La terza parte avrà, invece, un carattere progettuale; muoverà a partire da una ripresa critica della prima e della seconda parte cercando una sintesi in grado elaborare orientamenti e offrire criteri per promuovere un rinnovamento della proposta che altrimenti rischierebbe di implodere per estenuazione se non venisse continuamente rimotivata e aggiornata. Tale contributo prospettico vorrebbe tentare una rilettura complessiva e insieme fornire qualche elemento utile per un rilancio dell'esperienza. In vista di tale approdo, si procederà da una ripresa sinfonica dei tratti più originali e maggiormente qualificanti delle comunità temporanee, identificando poi alcuni elementi che ne attestano la convenienza e l'opportunità pastorale. Si tenterà poi di proporre un rilancio attraverso la presentazione di alcune condizioni concrete, per giungere così a una rinnovata progettualità.
Il congedo sarà affidato all'esplicitazione di tre prospettive di senso che rendono ancora una volta ragione, non solo della bontà della proposta esaminata per chi la sperimenta in prima persona, ma anche e soprattutto per documentare il bisogno che l'esperienza sia custodita affinché possa essere un segno eloquente anche per altri.
NOTE
1 FRANCESCO, Discorso ai rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, 10 novembre 2015, in AAS 107 (2015).
2 M. MAFFIOLETFI, L'umanesimo evangelico e la pastorale giovanile, in (Dossier) «Note di pastorale giovanile» 3 (2016), 32-33.
Congedo
L'INCREDIBILE FASCINO DI UN'ELOQUENZA DISCRETA
Al termine del percorso, indichiamo tre aspetti sintetici che, tra gli altri, rendono ragione della convenienza complessiva dell'esperienza in esame, non solo per chi vi partecipa ma più complessivamente e ad ampio raggio anche per la vita della Chiesa.
1. Epifania
La vita comune rappresenta, anzitutto, un'esperienza potentemente eloquente e intensamente epifanica, poiché capace di correlare la manifestazione dell'umano con la rivelazione del divino; affinché tale esperienza possa portare frutto, va intrapresa con una disposizione umile, docile e coraggiosa all'accoglienza di ciò che lo Spirito vorrà manifestare e rivelare.
L'opera di svelamento riguarda, anzitutto, la conoscenza di sé; ciascuno, mediante il riflesso degli altri, impara a conoscersi per quello che realmente è, si rivela a se stesso. Questa dimensione epifanica personale è la prima da considerare, poiché talvolta non viene messa neppure in conto o più spesso, viene quantomeno sottovalutata in tutta la potenza della sua portata. In seconda battuta, l'esperienza di vita comune costituisce l'epifania di sé presso l'altro e dell'altro presso sé.
La vita comune diviene allora luogo privilegiato di manifestazione della qualità della vita cristiana che si conduce. La vita comune richiede autenticità, ma al tempo stesso svela, manifesta la vera natura di coloro che l'abbracciano in risposta dello Spirito. [1]
Ciò si realizza nella duplice forma della condivisione del peccato e della grazia del fratello; la vita comunitaria diviene luogo epifanico per eccellenza, nel quale mostrare la propria verità, le proprie fragilità come le proprie virtù, realizzandosi così come spazio nel quale si è completamente aperti all'altro, pienamente disponibili ad amare e a lasciarsi amare.
È la vita comune che fa apparire i limiti e le debolezze di ciascuno, che fa venire alla luce i lati tenebrosi dell'esistenza. Solo vivendo con gli altri è possibile che emergano questi aspetti: chi vive riparato, chi si isola, chi cerca di nascondersi per paura di essere visto nella sua debolezza, nasconde inevitabilmente anche i propri doni, la grazia all'opera in lui e, cosa ancora più tragica, la nasconde anche ai propri occhi. Si tratta invece di discernere la propria verità e di non sottrarla al vaglio della vita comune, ma di fare in modo che gli altri la leggano e la interpretino alla luce delle relazioni fraterne. [2]
Il luogo del disvelamento delle debolezze, si manifesta tuttavia anche come occasione per la rivelazione della forza di Dio, proprio a partire dal fatto che i peccati e le fragilità vengono conosciuti, condivisi e perdonati: «Se è vero che Dio solo rimette i peccati, è altrettanto vero che il suo perdono si manifesta a noi solo attraverso i fratelli». [3] Infatti, è proprio
grazie al perdono chiesto, ottenuto e accordato che la vita di una comunità diventa giorno dopo giorno sempre più conforme all'evento di salvezza narrato dall'evangelo. O la vita comune diventa il luogo della "sovrabbondanza della grazia" perché si è rivelata luogo dell'abbondanza del peccato, oppure smarrisce per strada la sua qualità evangelica e diviene una normale convivenza in cui si cerca di raggiungere insieme un determinato scopo senza ostacolarsi troppo gli uni gli altri. [4]
La dinamica epifanica inscritta nella vita comunitaria travalica i confini angusti della fraternità concretamente sperimentata, giungendo, pur senza proclami e pubblicità, ma solo mediante la discreta visibilità che la caratterizza, a interpellare altri fratelli circa la possibilità di vivere altrimenti; si manifesta, così, la naturale predisposizione dell'esperienza di essere un richiamo persuasivo e una provocazione convincente sulla convenienza di uno stile di vita alternativo. Ciò sarà possibile soltanto «se nella Chiesa rimarrà assolutamente centrale la docile accoglienza dello Spirito, da cui deriva la forza capace di plasmare i cuori e di far sì che le comunità divengano segni eloquenti a motivo della loro vita "diversa"». [5] L'epifania della vita comune, in tal modo, raggiunge orizzonti più vasti impensate fecondità.
Andando ancora oltre e decisamente più in profondità, si arriva a riconoscere una dimensione epifanica esponenzialmente eccedente nei confronti dell'esperienza stessa, poiché profondamente inscritta nel senso complessivo della vita. La vita comune si realizza compiutamente solo all'interno d quest'ultima dimensione che si può definire come "epifania teleologica" in quanto riferita al destino finale dell'uomo e al significato ultimo della sua esistenza. Avviene così che
la vita comune ci svela anche a chi apparteniamo in profondità e dove stiamo andando. [...] Allora conosceremo in verità verso cosa tendiamo, vedremo chiaramente il télos, il fine verso cui è orientata la nostra vita. Gli altri, i fratelli, le sorelle diventano così l'epifania, la manifestazione del nostro cuore: in loro e grazie a loro sapremo rileggere tutta la nostra vita in Dio, con Dio e per Dio. [6]
La faticosa e consolante esperienza di fraternità sperimentata nel vivere insieme si rivela così come caparra, anticipazione imperfetta e rimando a una più intensa e definitiva appartenenza di tutti gli uomini in Cristo, riflesso dell'originaria comunione trinitaria.
2. Benedizione
Il secondo aspetto, in ordine all'eloquenza evangelica della proposta di vita comune, risiede nel suo dispiegarsi nell'esistenza dei giovani quale esperienza di benedizione potente, come già richiamato nel sondaggio scritturistico: «Ecco, com'è bello e com'è dolce che i fratelli vivano insieme! [...] perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre» (Sal 133).
La benedizione sperimentata durante la vita comunitaria si rivela nella dinamica sintetica della bellezza, intesa non semplicemente nel senso più ristretto e materiale di fruizione estetica effimera o perlomeno temporanea, ma come cifra sintetica per esprimere l'affascinante pienezza di una vita vera e buona. In questa logica, le comunità a tempo incarnano e custodiscono la forma sacramentale della fraternità cristiana; infatti
qui veramente bisogna trattarsi da fratelli. La fraternità cristiana è sacramento del Signore che incontra, sostiene, compatisce, incoraggia, accompagna, converte, guarisce, fa festa, si rallegra, ma anche piange, si indigna, combatte, qualche volta corregge. Perché senza la vita reale delle persone il Vangelo non prende proprio forma. [7]
La benedizione è invocata dalla «passione di una comunità che tocca con la forza del vangelo la carne vivente di uomini e donne alle prese con la vita». [8] Ciò avviene in ragione del fatto che
la comunità è un luogo, forse l'unico, dove si può sperimentare insieme la morte e la resurrezione, la fatica della croce ma anche la gioia, la luminosità, la freschezza, il profumo della rinascita, di una vita nuova. Una comunità vera è una ricchezza anche per le altre persone, per chi è esterno alla comunità; è una fonte capace di dissetare anche altri che ad essa si avvicinano, assetati e incuriositi; l'amore e la luce che nascono da una comunità scaldano ed illuminano il freddo di molte tenebre. Tutti possiamo essere costruttori di comunità: sarebbe la più grande opera che possiamo fare. [9]
L'esperienza comunitaria si dimostra, così, capace di propiziare la benedizione di Dio che si manifesta sempre nella logica tipicamente cristiana di una vita che ha attraversato la morte, di una gioia che ha conosciuto il dolore e di una consolazione che ha sostenuto la fatica. Proprio perché profondamente vera, la bellezza nella quale si dispiega la benedizione è sempre una bellezza esigente, in quanto «la vita cristiana è bella, attraente e raggiante solo se è vissuta secondo lo spirito delle beatitudini. Solo così essa può essere beata, cioè benedetta, felice e feconda perché caratterizzata dalla prospettiva del dono di sé». [10] La misura delle esperienze proposte deve essere alta ed esigente,
nell'ottica delle beatitudini, dove appunto abbiamo a che fare con il volto positivo e irradiante della vita cristiana, perché la vita cristiana è bella, attraente e raggiante solo se è vissuta secondo lo spirito delle beatitudini. Solo così essa può essere beata, cioè benedetta, felice e feconda. [11]
La benedizione della vita comune si comunica attraverso la «proposta di un'esistenza felice». [12]
Più in particolare, la vita comune permette ai giovani di sperimentare nella carne e nel sangue come il cristianesimo possa «risultare una buona notizia, concreta, sperimentabile»;" questa scoperta, per molti inattesa e improvvisa, di una nuova e promettente possibilità è un invito a prendere sul serio la propria vita a partire dall'adesione convinta la Vangelo.
3. Profezia
L'ultima ragione di peculiare eloquenza di quest'esperienza così promettente risiede nel suo carattere intrinsecamente profetico; infatti, «chi vive l'esperienza della comunità a tempo si ritrova nella stessa dinamica tra accettazione piena di un mondo e di un modo di vivere e impegnato a dire qualcosa di nuovo, di eccedente, di provocatorio». [14]
La vita comune, nella sua semplicità e piccolezza, si presta più di altro a essere riconosciuta come profezia dell'umano della Chiesa nel mondo, a partire dalla possibilità di una nuova qualità delle relazioni.
L'autentica eloquenza profetica resiste, tuttavia, alle insidie della tentazione di un radicalismo intransigente esibito nella dinamica del distacco e nello stile della contesa, per sostanziarsi nella proposta di un'umanità nuova prima ancora che di una società alternativa.
Non è questione di strumenti nuovi da sovrapporre a quelli che già abbiamo (ne abbiamo a sufficienza, forse ne abbiamo fin troppi). Non un'altra serie di cose da fare, ma una qualità diversa nel fare cose che già facciamo. In questo sta la profezia! La profezia delle relazioni buone entro cui viviamo: affetti e legami che attingono alla qualità dell'Evangelo. [15]
Del resto, si deve riconoscere come l'attitudine di ogni vera profezia
non è divinizzazione del futuro, ma cura della giustizia presente, come caparra del suo compimento definitivo. E sarebbe il vero compito della Chiesa, dell'insieme di quei discepoli che Gesù chiama attorno a sé perché a quella prospettiva di un «Regno», incarnata nella sua specifica esistenza, in cui ogni giustizia viene compiuta, essi possano dare la credibilità di una reale anticipazione storica e terrena, destinata a tenere acceso il desiderio e l'aspettativa di chiunque. Dovresti guardare la Chiesa e sentire che esiste davvero un «mondo come si deve», che vale la pena di essere perseguito qui e desiderato fino alla fine. [16]
La prima comunità cristiana era semplicemente, ma non banalmente, simpatica. [...] Ma ciò che colpisce è che questo stile di vita genera simpatia: lo stile complessivo di questa comunità genera letizia e in un certo senso gelosia da parte del popolo. Il cristianesimo deve essersi diffuso così, nella forma e con la forza di una qualità di vita che genera simpatia e gelosia, e che diviene poi interesse, imitazione e richiesta di appartenenza. Il nostro modo di vivere e lavorare insieme deve suscitare simpatia e soprattutto gelosia. Parlo di una santa gelosia, che ci mette sulla giusta strada e ci permette di imitare chi vive secondo il Signore. [17]
Questa simpatia, capace di suscitare una "santa gelosia", trova la sua sorgente in una duplice fedeltà all'umano; da un lato, si radica nella fedeltà alla pienezza dell'umano rivelata da Dio in Gesù, dall'altra di riferisce all'umano comune storicamente situato e culturalmente connotato. Proprio per questo,
la profezia cristiana consiste nel compito di mostrare in forma vivente che queste due umanità non sono reciprocamente aliene, ma chiamate a guardarsi continuamente, una come verità dell'altra. Nel cristianesimo la verità di Dio si vede in un uomo e la verità di un uomo è la verità dell'uomo. [18]
La proposta di vita comune vorrebbe collocarsi nello spazio di questo intreccio, mettendosi a servizio dell'umano offrendone un'interpretazione evangelica convincente.
"Interpretare" significa nello stesso tempo "assumere" e "declinare". Anche "criticare", naturalmente. Ma non liquidare. Né rimuovere. Tantomeno ignorare. La profezia prova sempre a mostrare la qualità più alta che in una data situazione l'umanità può assumere per essere realmente tale. [19]
La forza propulsiva della persuasione profetica delle comunità a tempo sembra avere le carte in regola per proporsi ai giovani come meritevole di attenzione e affidabile, nel suo appassionato tentativo di
restituire al cattolicesimo, alla sua vita quotidiana, ai suoi atteggiamenti reali, allo stile delle sue comunità, un'audacia e un'apertura in cui gli esseri umani di questo tempo possano realmente sentirsi ospitati, venire come attratti da uno spazio vitale in cui un'antica cultura, invece che ripetere risentita le sue vecchie formule, apre gli occhi su nuove visioni, di alto mantenimento spirituale, ma senza defilarsi dal cammino degli uomini del nostro tempo? [20]
La carica profetica della vita comune chiede spazio nella pastorale e insieme vorrebbe essere accolta e ascoltata nella Chiesa; soprattutto, domanda di essere ancora ripensata e ampiamente praticata. Tutto questo, evitando la presunzione propria di chi assolutizza una forma pastorale a discapito delle altre, ma con la speranza sensata e appassionata propria di chi intravede una via che merita di essere percorsa ancora più a lungo.
La via che noi andiamo illustrando non è né la via unica, sia detto ben chiaro, né forse la via ottima, ma crediamo che sia una via buona, e questo ci basta perché ci venga il desiderio dl farne il tentativo. Uno che prende il cammino dopo il primo passo non ha che da lasciarsi condurre. [...] Questo è, mi pare, particolarmente vero per questa ipotetica forma di vita buona che andiamo lumeggiando. [...] Non mi direte che questo non sia bello, che questo non sia fecondo e moderno, che questo non possa dischiudere alla vita cristiana una fioritura nuova e forse impensata di perfezione e di santità. E se le circostanze storiche e pratiche ci hanno condotto a questo, mi sembra quasi seducente che si faccia da qualcuno l'esperienza. Proviamo. [21]
NOTE
1 E. BIANCHI, Non siamo migliori, Qiqajon, Magnano 2002, 229.
2 Ivi, 230.
3. Ivi, 231.
4 Ibidem.
5 ARCIDIOCESI DI MILANO, Giovani e comunità. Nuove forme di vita comune, Centro Ambrosiano, Milano 2004, 57.
6 Ivi, 233.
7 G. ZANCHI, Costruire la comunità per rendere visibile il Vangelo. Il compito pastorale dopo la fine della cristianità, in «La Rivista del clero italiano» 7-8 (2016), 505.
8 Ibidem.
9 N. ANSELMI, La ricchezza di "essere comunità", in «L'abbraccio» 5 (2018).
10 R. SALA, La proposta di un'esistenza felice. Per una buona pastorale giovanile, in «La Rivista del clero italiano» 9 (2015), 647.
11 R. SALA (con A. BOZZOLO — R. CARELLI - P. ZINI), Evangelizzazione ed educazione dei giovani. Un percorso teorico-pratico (Nuova biblioteca di scienze religiose 53), Libreria Ateneo Salesiano, Roma 2017, 227.
12 Ibidem.
13 R. TONELLI, Ripensando quarant'anni di servizio alla Pastorale giovanile, in «Note di pastorale giovanile» 5 (2009), 49.
14 ORATORI DIOCESI LOMBARDE, Vita comune. Una ricerca per la pastorale sulle comunità a tempo dei giovani (Gli sguardi di ODL 1), Pro Manuscripto, Milano 2007, 48.
15 R. SALA, Evangelizzazione ed educazione dei giovani. Un percorso teorico-pratico, 230.
16 G. ZANCHI, Rimessi in viaggio. Immagini di una Chiesa che verrà (Sestante 39), Vita e Pensiero, Milano 2018, 153-154.
17 R. SALA, Evangelizzazione ed educazione dei giovani. Un percorso teorico-pratico, 232-233.
18 G. ZANCHI, Rimessi in viaggio. Immagini di una Chiesa che verrà, 157-158.
19 Ivi, 158.
20 Ivi, 204.
21 G.B. MONTINI, Meditazioni, EDB, Roma 1994, 53.
Indice
Prefazione (Mario Delpini)
Introduzione
Capitolo primo
CONFINI: GIOVANI, FEDE E SFIDE EMERGENTI
1. Lo sfondo: la condizione giovanile
1.1 Il desiderio di libertà
1.2 La tentazione dell’individualismo
1.3 La molteplicità delle appartenenze
1.4 La rivoluzione del virtuale
1.5 Il faticoso approdo all’età adulta
1.6 La sfida dell’unicità
2. Il contesto: la difficile fede dei giovani
2.1 Cristianesimo decaffeinato: interiorità senza dogma
2.2 Cristianesimo invisibile: spiritualità senza appartenenza
2.3 Cristianesimo sterile: religione senza vita
2.4 Cristianesimo afono: fede senza testimonianza
2.5 Cristianesimo contemporaneo: e disponibilità al Vangelo
2.5.1 Cogliere una nuova domanda di senso
2.5.2 Incrociare un’inedita esperienza spirituale
2.5.3 Rispondere a un rinnovato desiderio di comunità
3. La cornice: la pastorale giovanile nella diocesi di Milano
3.1 Nel solco di una lunga e ricca tradizione
3.2 L’oratorio e la nuova proposta del Centro giovanile
4. Il quadro: le esperienze di vita comune
4.1 Precisazione terminologica e delimitazione del tema
4.2 Passaggi storici significativi
4.2.1 Il Sinodo diocesano dei giovani
4.2.2 Il convegno diocesano “Voglia di comunità”
4.2.3 La ricerca regionale
4.2.4 Il progetto diocesano “Camminava con loro”
4.2.5 Il percorso sinodale
4.2.6 L’Esortazione apostolica post sinodale Christus Vivit .
4.2.7 La nuova ricerca ODL
4.3 Descrizione dell’esperienza
4.3.1 Tratti generali
4.3.2 Diverse declinazioni
5. Sguardo sintetico: sfide emergenti
5.1 Essere capaci di accoglienza amorevole
5.2 Esercitare un umile ascolto
5.3 Assicurare una presenza attenta
5.4 Offrire una testimonianza autorevole
5.5 Proporre esperienze provocanti
Capitolo secondo
ORIZZONTI: CRITERI INTERPRETATIVI
1. Snodi biblici
1.1 Il Primo testamento: dal fratricidio all’accoglienza della differenza
1.1.1 Caino e Abele: la fraternità negata
1.1.2 Giuseppe e i suoi fratelli: la fraternità riconciliata
1.1.3 Il Salmo 132 (133): l’incanto della fraternità
1.2 Il Nuovo Testamento: fratelli perché figli nel Figlio
1.2.1 La fraternità di Gesù
1.2.2 Lo sviluppo nel Nuovo Testamento
1.2.3 La koinonia nella comunità apostolica
2. In dialogo con la tradizione
2.1 San Benedetto da Norcia: il nuovo modello monastico
2.1.1 L’intuizione cenobitica
2.1.2 L’obbedienza alla Regola come strumento di comunione
2.1.3 La paterna autorità dell’abate a servizio del discernimento
2.1.4 Il capitolo come esercizio concreto di fraternità
2.1.5 La cura dell’ospitalità
2.2 Dietrich Bonhoeffer: la fraternità come compito assegnato alla Chiesa
2.2.1 L’esperienza di Finkenwalde
2.2.2 Gesù Cristo origine, possibilità e compimento della fraternità
2.2.3 Comunità in ascolto della Parola
2.2.4 Comunione e solitudine
2.3 Jean Vanier: la comunità luogo del perdono e della festa
2.3.1 L’avventura dell’Arca
2.3.2 Il bisogno dell’appartenenza
2.3.3 La necessità della guarigione
2.3.4 L’esigenza del perdono
3. Antropologia dei legami
3.1 L’originario e insopprimibile bisogno dell’altro
3.2 Apologia della differenza
3.3 Debito reciproco e responsabilità
4. Teologia della fraternità
4.1 Il solido fondamento: la fede
4.2 Il cuore pulsante: il dono dell’agàpe
4.3 L’ineludibile esito: l’universalità della salvezza
5. Dimensioni pedagogiche
5.1 Ritrovare il tempo: il rispetto del ritmo
5.1.1 La logica della temporalità
5.1.2 Il tempo malato
5.1.3 Per un’ecologia del tempo
5.2 Ridefinire gli spazi: la densità del luogo
5.2.1 La provocazione dei “nonluoghi”
5.2.2 Oltre la deterritorializzazione: voglia di luogo
5.2.3 Dare senso ai luoghi
5.3 Riscoprire i volti: la tessitura dei legami
5.3.1 Il protagonismo giovanile
5.3.2 Le figure educative
5.3.3 La pratica dell’ospitalità
6. Dinamiche spirituali
6.1 L’identità in divenire
6.1.1 La conoscenza di sé
6.1.2 L’ordine della vita
6.1.3 La ricerca vocazionale
6.2 La relazione con il fratello
6.2.1 Il compito della fraternità
6.2.2 Il dono di ciascuno
6.2.3 Il servizio
6.2.4 La correzione fraterna
6.3 La ricerca di Dio e l’appropriazione personale della fede
6.3.1 L’ascolto condiviso della Parola
6.3.2 I segni sacramentali
6.3.3 La liturgia delle ore
6.3.4 La Confessio culpae
6.3.5 L’intelligenza della realtà e della fede
6.3.6 La comunicazione della fede
Capitolo terzo
PROSPETTIVE: RILETTURA E OPPORTUNITÀ DI RILANCIO
1. Ripresa sinfonica: polarità da custodire
1.1 La verità della persona all’interno del legame comunitario
1.2 Lo straordinario nel quotidiano
1.3 Identità per la diaspora
1.4 Tra amicizia e fraternità
1.5 Intesa psichica e relazioni spirituali
1.6 Dall’estetica all’etica
2. Tratti qualificanti: originalità dell’esperienza
2.1 Il desiderato protagonismo: un appassionato anelito di vita
2.2 L’accompagnamento educativo: un’imprevedibile risorsa
2.3 Il ritrovato senso ecclesiale: una piacevole sorpresa
2.4 Il necessario ordine della vita: una nuova armonia
2.5 La sobria condivisione: l’altro nome della povertà
2.6 Il dono della consolazione: un’esperienza sorgiva
3. Opportunità: fecondità e convenienza di una proposta
3.1 Uscire di casa: il graduale abbandono del contesto familiare
3.2 Cercare casa: il discernimento vocazionale
3.3 Sentirsi a casa: il bisogno di appartenenze significative
3.4 Diventare casa: essere per qualcuno
4. Rilanci: condizioni concrete per una rinnovata progettualità
4.1 Abitare in profondità: l’audace inculturazione del Vangelo
4.2 Declinare pazientemente: l’assunzione intelligente del paradigma
4.3 Ripensare in grande: la sfida decisiva della progettualità
Congedo
L’INCREDIBILE FASCINO DI UN’ELOQUENZA DISCRETA
1. Epifania
2. Benedizione
3. Profezia
Postfazione (Rossano Sala)
PROFEZIA DI COMUNITÀ: APPUNTI SULLA RIFORMA FAMILIARE DELLA CHIESA
BIBLIOGRAFIA