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    Il Presbitero

    e l’educazione

    Mariano Crociata


    Premessa: i presbiteri destinatari particolari del documento dei Vescovi

    Mi sono proposto di rileggere, e quindi presentarvi, gli Orientamenti dei Vescovi nell’ottica del servizio pastorale dei presbiteri. Non è stato solo l’incontro con voi a suggerirmelo; sono convinto che i presbiteri siano destinatari privilegiati del documento.
    «Invitiamo specialmente i presbiteri – scrivono i Vescovi – e quanti condividono con loro il servizio e la responsabilità educativa ad accogliere con cuore aperto questi orientamenti: essi non intendono aggiungere cosa a cosa, ma stimolano a esplicitare le potenzialità educative già presenti, aprendosi con coraggio alla fantasia dello Spirito e al soffio della missione» [1].
    L’invito dei Vescovi ribadisce una dimensione che sta nella costituzione stessa della Chiesa. In essa i presbiteri hanno una responsabilità che non viene solo da un mandato giuridico, semmai ricevono anche un tale mandato in forza di una chiamata dall’alto e del sacramento che li conforma a Cristo pastore. Il ministero pastorale abbraccia il compito educativo come sua dimensione costitutiva. Questo giustifica e, anzi, richiede una riflessione specifica rivolta a voi. Tanto più che gli Orientamenti pastorali sono finalizzati alla progettazione delle comunità locali e di tutti i suoi responsabili, a cui nessuno può sostituirsi nel compito di discernere, scegliere, condividere.
    Vorrei sviluppare la mia conversazione incrociando la lettura trasversale del documento e dell’esercizio ordinario del ministero pastorale, dopo avere svolto una schematica presentazione del testo.

    Il documento e il tema

    Che cosa c’è nel documento

    Il documento comprende, dopo l’introduzione, quattro capitoli di carattere contenutistico e un quinto di tipo metodologico (Indicazioni per la progettazione pastorale) [2]. L’articolazione dei quattro capitoli è abbastanza prevedibile. Il primo (Educare in un mondo che cambia) [3] descrive la situazione dell’azione educativa oggi, fornendo un esempio concreto di esercizio del discernimento. Esso non si limita a evidenziare problemi, e cioè le difficoltà che la formazione della identità personale sperimenta, la rottura del rapporto tra le generazioni, la separazione tra le dimensioni costitutive della persona, ma segnala anche positivamente il valore promettente della libertà e del suo rinnovato apprezzamento, come pure l’attesa che essa postula proprio nei confronti della proposta cristiana, la quale possiede un’intima rispondenza all’esigenza di pienezza umana.
    Il secondo capitolo (Gesù, il Maestro) [4] presenta il fondamento e il modello dell’educazione a partire dalla figura di Gesù Maestro come emerge dai Vangeli, ma poi anche collocandola nella storia della salvezza quale opera unitaria di Dio che educa il suo popolo. La Chiesa, a sua volta discepola e poi anche maestra e madre, è lo spazio in cui si compie l’azione educativa decisiva dello Spirito, che dà forma ai figli di Dio e plasma le dimensioni fondamentali della loro identità.
    Il terzo capitolo (Educare, cammino di relazione e di fiducia) [5 sviluppa la visione cristiana dell’educazione innanzitutto presentando un esemplare percorso educativo evangelico guidato da Gesù, mostrando che nella educazione è decisiva la relazione con un educatore che sia innanzitutto testimone autorevole e affidabile. Egli si dedica con passione ad una vera opera di generazione di una nuova persona. La crescita di una persona è un cammino di vita che conosce profonde trasformazioni nel corso del tempo (dal bambino, al ragazzo, all’adolescente, al giovane) ed esperienze diverse e decisive secondo le situazioni e gli ambiti esistenziali.
    Il quarto capitolo (La Chiesa, comunità educante) [6] ha un intendimento pastorale e insiste significativamente sulla proposta di una alleanza educativa come condizione non solo funzionale ma sostanziale per il rilancio della missione educativa; una missione che è opera unitaria nel suo svolgimento e soprattutto nel suo risultato teso alla formazione di una coerente e solida identità personale. Sottolinea, perciò, il ruolo della famiglia, insieme a quello della comunità ecclesiale, prima fra tutte la parrocchia, e poi a quello della scuola. Si sofferma, in particolare, sulle articolazioni della vita pastorale della comunità parrocchiale, definita «crocevia delle istanze educative» [7], senza trascurare l’incidenza della società nel suo insieme e, in particolare, della «comunicazione nella cultura digitale» [8].
    Ben oltre la struttura, è importante ritenere che il documento non è una gabbia, ma appunto un orientamento, una spinta a riflettere, pensare, progettare, intraprendere, una pista, da cui certo non evadere, ma da seguire per procedere oltre. In questo senso, un documento aperto.

    L’educazione cristiana proposta umanamente significativa

    Vorrei a questo punto richiamare la natura e i destinatari del documento. «Ci rivolgiamo innanzitutto alle nostre comunità» scrivono i Vescovi; e continuano: «Confidiamo in tal modo di offrire una proposta significativa per ogni persona a cui sta a cuore il futuro dell’umanità e delle nuove generazioni» [9]. Attraverso l’impegno rinnovato delle comunità ecclesiali è possibile raggiungere tutte le persone aperte ad accogliere la proposta cristiana di educazione. Questo perché la Chiesa è consapevole di possedere la visione e gli strumenti non solo per una educazione cristiana dei credenti, ma anche e innanzitutto per la maturazione della persona umana come tale, nella sua integrità e pienezza [10]. Educare alla fede non è un compito selettivo e riduttivo, o parziale, relegato ad una competenza settoriale e separata rispetto all’interezza dell’umano, è invece la proposta e l’offerta di una umanità riuscita, già realizzata e resa possibile a tutti da Gesù Cristo. L’oggetto formale del documento è dunque l’educazione cristiana, ma esso abbraccia in maniera sostanziale, come suo contenuto imprescindibile, alla luce della fede cristiana, una visione e un modello di personalità umana compiuta e di percorso educativo per realizzarlo.
    È importante che risvegliamo la nostra consapevolezza su questo punto e sulle relative implicazioni. Ci accorgiamo infatti che la nostra opera educativa risulta irrilevante, anche in ordine alla sua qualità cristiana, se non tocca questioni per l’identità della persona decisive sempre ma particolarmente incisivi nel nostro tempo. Ne richiamo tre.
    Il documento fa ripetuto riferimento all’ambito dell’affettività [11]. Ebbene oggi non può essere perseguita una educazione cristiana che non abbia una visione, una parola, un modello da indicare circa il rapporto uomo-donna e tutto ciò che esso significa. Proprio l’evoluzione intervenuta nella mentalità e nella prassi di tante persone esige una posizione chiara e coerente sul piano antropologico ed etico, e quindi anche culturale e spirituale, oltre che su quello teologico. Se manchiamo di una tale posizione, il rischio è semplicemente di risultare insignificanti e, soprattutto, di far apparire insignificante la stessa proposta cristiana.
    Un altro aspetto su cui verificare la qualità inseparabilmente umana e cristiana della nostra proposta educativa è l’attenzione a quelle che, con un titolo di Romano Guardini, chiamiamo le età della vita [12]. Ci è chiesta la capacità di riconoscere le peculiarità proprie delle differenti fasi della crescita, dall’infanzia alla fanciullezza, all’adolescenza, alla giovinezza e oltre [13], al fine di accompagnare le persone che ci sono affidate, per la formazione di personalità nelle quali la fede non si appiccica come una vernice superficiale, ma vi si amalgama fino a costituirne l’anima interiore che le plasma e le unifica, esaltando insieme l’autenticità della fede e la riuscita piena dell’umanità come tale.
    Un terzo aspetto, in cui risulta sfidata l’esigenza di conseguire una sintesi compiuta di maturità umana e cristiana anche attraverso la nostra opera educativa, è rappresentato dall’insieme dei rapporti e delle responsabilità sociali, e quindi dalla capacità di servire il bene comune come espressione di maturo senso civico e di coerente testimonianza cristiana [14]. Qui in particolare deve essere stigmatizzata, ma anche affrontata e risolta secondo un adeguato progetto educativo, la dissociazione tra fede e vita, tra culto e occupazioni profane, tra servizio ecclesiale e responsabilità pubbliche, insomma tra credente e cittadino [15]. In tutte e tre queste dimensioni (rapporto uomo-donna, età della vita, responsabilità sociale) ad essere in gioco non è soltanto l’utilità e l’efficacia del nostro impegno pastorale ed educativo, ma anche la verità e l’autenticità della proposta cristiana, che ci è stata affidata con il compito di viverla e presentarla come via di vita e di salvezza per la persona umana nella sua interezza.

    Il perché di una scelta

    Per capire il senso del documento bisogna poi rispondere alla domanda sul perché i Vescovi abbiamo adottato l’educazione come tema degli orientamenti pastorali del decennio. Non era una scelta obbligata, anche se se ne parla da tempo. Né si tratta di una scelta casuale, compiuta tra altre indifferentemente disponibili. Non è nemmeno un tema imposto da esigenze di carattere sociale e pedagogico, poiché l’iniziativa pastorale viene certo intrapresa alla luce della situazione concreta del tempo, ma non si limita a registrare i vari problemi che via via si presentano e per giunta dai più diversi punti di vista e nei campi più disparati, per cercare di risolverli; la missione della Chiesa non consiste nel risolvere i problemi sociali, culturali, e nemmeno etici che la società presenta. Non c’è dubbio che siamo di fronte ad una emergenza educativa [16]; nondimeno, a ben guardare, di emergenze e di urgenze ce ne sono altre e tante, e talora anche non meno drammatiche, ma non per questo sono state adottate come termini prioritari e tanto meno esclusivi di riferimento per l’azione pastorale della Chiesa. Tutto quanto definisce il contesto sociale, culturale e religioso concorre – e in maniera rilevante! – al discernimento pastorale, ma il criterio di quest’ultimo ha altri ben più importanti riferimenti, a cominciare dalla missione evangelizzatrice della Chiesa, che raccoglie e condensa un po’ tutti gli aspetti della identità ecclesiale.
    E infatti l’adozione dell’educazione come oggetto di un impegno decennale risponde a una vocazione pastorale che la Chiesa in Italia cerca di assecondare fin dall’immediato dopo-Concilio e che ha nella evangelizzazione la cifra adeguatamente identificativa e riassuntiva. L’educazione rappresenta, nel sentire pastorale dei Vescovi, la frontiera oggi ultimamente necessaria, il luogo proprio per svolgere la missione evangelizzatrice in modo rispondente ai bisogni e alle attese del popolo cristiano in questo tempo. La missione cristiana ha bisogno di toccare il livello del contatto e dell’incontro personale, di curare l’evoluzione e la maturazione personale del credente, perché l’accoglienza e la penetrazione del Vangelo raggiungano la loro adeguata efficacia e la comunità ecclesiale cresca di autentica vita di fede [17]. Siamo chiamati ad accorgerci dell’altro.
    In questo senso è vero che la Chiesa ha sempre educato, ma è vero anche che oggi è richiesto un nuovo inizio in questo compito, una sorta di risveglio. E la richiesta sale dalla storia e dalla vita delle persone di questo tempo, e come tale ci è come rivolta da Dio stesso. Qui sta il nocciolo del discernimento dei Vescovi.

    Per una rilettura del ministero pastorale

    In continuità con quest’ultimo punto vorrei svolgere la seconda parte della mia riflessione.

    La centralità della persona come prospettiva

    Sarebbe errato un approccio che consideri quello sull’educazione un impegno aggiuntivo, rispetto a quanto abbiamo fatto in passato e a tutto ciò che dobbiamo già ordinariamente compiere. Non si tratta di una cosa in più da fare.
    Abbiamo bisogno di uscire dal circolo vizioso delle molte, troppe cose da fare, dalla logica della pastorale come moltiplicazione delle iniziative, per entrare nella prospettiva della progettualità attorno ad una meta unificante. L’educazione vuole essere una tale prospettiva unificante di tutta l’azione pastorale, da costruire secondo una dinamica differenziata.
    Il criterio unificante coerente con tale meta è la riscoperta centralità della persona.
    Si tratta di una centralità che appartiene alla persona di per sé e che oggi presenta una debolezza e una opportunità nuove. La debolezza è dovuta all’isolamento a cui conduce quel falso concetto di autonomia di cui parla il Santo Padre Benedetto XVI. «Siamo così condotti alle radici dell’“emergenza educativa”, il cui punto cruciale sta nel superamento di quella falsa idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come un “io” completo in se stesso, laddove, invece, egli diventa “io” nella relazione con il “tu” e con il “noi”» [18].
    Questo punto di debolezza suggerisce un’attenzione accresciuta alla singola persona per recuperarla a una relazione educativa, alla quale essa non è più spontaneamente predisposta né indirizzata dal contesto sociale e culturale.
    D’altra parte la stessa singola persona può cogliere una opportunità nuova rispetto al passato, poiché l’accresciuto senso della propria libertà le permette di pervenire effettivamente ad un percorso e a un risultato educativo più adeguato. Chi ha abbracciato, non per convenzione e inerzia ambientale ma di propria libera scelta, la fede e con essa una forma definita di maturità umana, porta con sé la forza delle convinzioni e delle decisioni che ha assunto, e non la pigra reiterazione delle abitudini. E chi ha compiuto una scelta con convinzione e decisione, ha una reale capacità di coerenza, di iniziativa e di contrasto in tutte le situazioni che si possono presentare: è una persona matura, un adulto, un vero credente. Non è questa la meta a cui siamo chiamati a tendere? Come dice il Papa, «a differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale» [19]. Per giungere a ciò c’è bisogno spesso, previamente, di un incontro e di una riscoperta di se stessi per intraprendere un cammino di educazione. «Un’autentica educazione deve essere in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone» [20].
    Qui troviamo la motivazione di fondo di una impostazione differenziata della nostra azione pastorale, che non vuol dire dispersiva o frammentata, ma unitaria per la meta a cui tende nella varietà di approcci e di attenzioni intesa a permettere a ciascuno di procedere effettivamente verso la maturità umana e credente. Non dobbiamo peraltro dimenticare che non va cancellata la differenza tra attività pastorale in generale e educazione in senso specifico, pur essendo vero che ogni attività pastorale ha una dimensione educativa e che l’azione educativa è una componente costitutiva della pastorale.

    Verifica come rivisitazione e rilancio

    C’è bisogno, allora, di rivisitare la nostra attività pastorale per ottenerne un rilancio in prospettiva educativa. È ciò che chiedono i Vescovi quando nel documento parlano di verifica: «Queste ragioni ci inducono a impegnarci nel decennio pastorale 2010-2020 in un’approfondita verifica dell’azione educativa della Chiesa in Italia, così da promuovere con rinnovato slancio questo servizio al bene della società» [21]. Senza entrare nel merito di ciò che propriamente compete ad ogni Chiesa particolare, che in questo come in tutto agisce in comunione e opera sotto la guida del proprio Vescovo, proviamo a dare uno sguardo ad alcuni aspetti dell’azione pastorale di una comunità.
    Non senza aver prima sottolineato, però, che noi abbiamo già in mano tutto ciò che è necessario per un rilancio. Pur in mezzo alle non poche difficoltà e agli ostacoli che ci vengono dai tanti aspetti critici che affliggono la condizione delle famiglie, dei ragazzi e dei giovani di oggi, dai condizionamenti dei mezzi di comunicazione e dalla nuova cultura digitale, come pure da larga parte della mentalità corrente, nondimeno dobbiamo riconoscere che non è tutto negativo attorno a noi, proprio nelle stesse famiglie, nelle nuove generazioni, nel mondo della comunicazione e nella vita sociale; bisogna, piuttosto, guardarsi da uno sguardo pessimistico, che sfocia in uno spirito rinunciatario e disfattista. E dobbiamo anche riconoscere che le nostre potenzialità sono ancora enormi.
    Basti pensare a quanta gente si rivolge a noi, anche solo occasionalmente; a quante persone sono disposte ad ascoltare le nostre omelie; al peso che, nell’insieme, la parola e l’immagine della Chiesa continua ad avere nella società e nell’opinione pubblica.
    Soprattutto dobbiamo chiederci se siamo davvero convinti della forza intrinseca, perché divina, di ciò che è messo nelle nostre mani: la Parola di Dio, la grazia trasmessa dai sacramenti, la tradizione di una vita ecclesiale che ancora incide nella mentalità e nello stile di vita di tante persone e, indirettamente, dell’intera società, infine il credito di fiducia che, nonostante tutto, ancora conserviamo e che possiamo recuperare rispetto ad una caduta che la fase critica di quest’ultimo anno, o poco più, ci ha potuto far subire.
    Sono convinto che il pericolo maggiore di questo momento è la scarsa fiducia che noi uomini di Chiesa abbiamo in noi stessi, la paura e lo scoraggiamento che rischia di prendere il sopravvento e, cosa ancora più grave, di renderci diffidenti gli uni verso gli altri e dividerci perfino tra di noi. Il fattore più pericoloso di questa emergenza educativa è la perdita della speranza da parte degli educatori, e quindi anche di noi. Non temo di dire che qui si prova la nostra fede; perché è questione di fede raccogliere o lasciar cadere la chiamata che questo tempo ci fa giungere da Dio [22].
    Abbiamo tra le mani un tesoro prezioso che ha bisogno di essere custodito, curato, coltivato: la certezza che Dio è amico dell’uomo. Da esso sgorga un atteggiamento positivo, che allarga il cuore e ci fa amare questo nostro mondo, il nostro tempo, la nostra gente, per diffondere speranza e voglia di fraternità e di futuro. Dobbiamo mostrare interesse per le persone, per la loro vita, per i loro problemi e le loro speranze. Dobbiamo aver cura delle persone e delle loro relazioni [23], far crescere le persone nella capacità di relazione; e, prima ancora, aiutarle a capire se stesse, ad ascoltare se stesse.

    Dalla liturgia alla pastorale differenziata

    Con atteggiamento di fiducia e di speranza [24] dobbiamo guardare a ciò che è già oggetto dei nostri pensieri, preoccupazioni e occupazioni. Senza dubbio a volte si tratterà di fare delle scelte e di privilegiare una cosa rispetto a un’altra, ma sono convinto che il più dipende da una mentalità e da un approccio differenti.
    Per esempio la liturgia presenta una caratteristica che la contraddistingue, dal punto di vista pastorale, rispetto ad ogni altra attività. In essa il soggetto non solo sostanzialmente, ma anche formalmente operante, è il Cristo Risorto che, nella potenza dello Spirito Santo, incorpora in sé la Chiesa intera, offre al Padre il culto gradito conseguendo la trasformazione e la santificazione dei credenti. Partecipare con fede alla liturgia ha una efficacia formativa, e diciamo pure educativa, che non ha paragone con nessun’altra azione ecclesiale [25]. La liturgia può essere considerata il quadro unificante di tutta l’azione pastorale, in cui tutti indistintamente si ritrovano e a partire dalla quale prendono avvio tutte le iniziative dirette a persone o a gruppi. L’assemblea liturgica esprime ed esalta la dimensione comunitaria e cattolica o popolare della Chiesa. Da essa nessun fedele deve essere escluso. Ma, soprattutto, in essa ogni fedele deve poter trovare il nutrimento essenziale e la possibilità di una partecipazione fruttuosa. La cura della liturgia diventa allora un compito di prima grandezza, di fronte al quale ogni altra cosa deve essere subordinata e posposta. La celebrazione liturgica, in modo particolare dell’Eucaristia, non può essere considerata una tra le tante cose che si fanno in una parrocchia; la qualità della preparazione e lo stile della celebrazione devono poter dire eloquentemente che essa è davvero l’evento più importante in assoluto, di fronte al quale ogni attività cede il posto e l’attenzione. Una scelta del genere diventa automaticamente l’atto educativo più significativo della vita di una intera comunità, perché dice la sua fede nel primato di Dio e l’abbandono fiducioso a lui.
    Attorno alla celebrazione si dispongono ordinatamente le molteplici attività proprie di una comunità ecclesiale, ma secondo quella organizzazione differenziata che la riscoperta centralità della persona richiede. Tra tutte le attività, un posto ampiamente riconosciuto occupano ormai l’ascolto della Parola di Dio attraverso la meditazione della Scrittura, l’esperienza della preghiera personale, la dedicazione alla cura dei malati e degli indigenti, l’applicazione alla formazione sistematica.
    Decisiva mi appare, accanto a una necessaria razionalizzazione delle attività, la scelta di recuperare ampiamente, se non di privilegiare risolutamente, l’accompagnamento spirituale delle persone [26]. Accanto a proposte formative per gruppi e fasce di età, anch’esse attente al grado di maturazione raggiunto e alle possibilità di crescita segnalate, l’attenzione alle singole persone (dagli adolescenti ai giovani, ai genitori, alle persone consacrate, a chi porta una qualsiasi responsabilità nella vita sociale, agli anziani e ai malati), in una relazione educativa che conferisce forza decisiva alla maturazione personale, deve trovare spazio adeguato. Questa rimane la forma privilegiata per aiutare a scoprire la vita come vocazione, a trovare la propria strada, a entrare nel cammino della santità [27].
    Proprio l’assunzione del compito educativo suggerisce di preparare e far crescere nuove figure di educatori, accanto a quelle che già conosciamo [28]. Sta qui l’unico modo di rispondere alla richiesta che si leva dalla scelta educativa per il prossimo decennio. Il prete è l’educatore per eccellenza che ha, insieme al compito educativo diretto nei confronti delle persone che gli si affidano, la responsabilità di far crescere altri educatori. Torna opportuno il richiamo dei Vescovi alla formazione alta, resa possibile in ultimo anche dalle istituzioni accademiche. «Si potrà così contare su educatori e operatori pastorali qualificati per un’educazione attenta alle persone, rispondente alle domande poste alla fede dalla cultura e in grado di rendere ragione della speranza in Cristo nei diversi ambienti di vita» [29]. A questo proposito non è fuori luogo un richiamo alla nostra stessa formazione permanente. Accanto alla qualità spirituale, l’efficacia della nostra aziona pastorale esige come condizione imprescindibile la capacità di stare sul terreno del confronto culturale, in una società sempre più esigente per quanto a volte si presenti con il volto della banalizzazione e dell’involgarimento.
    D’altra parte, si tratta di rompere l’incantesimo che impedisce di muoversi, e cioè l’idea che tutte le strade sono precluse, perché ragazzi e giovani non sono più quelli di un tempo e non ne vogliono sentire, e poi non ci sono più educatori, gli adulti spesso sono immaturi e non più capaci di educare. Bisogna cominciare mettendosi in gioco tutti, insieme. In particolare, prendersi la responsabilità di educatori diventa l’atto autoformativo decisivo. Educare e lasciarsi educare, dagli altri e dalla vita, umilmente, stanno insieme. Bisogna interpellare e invitare tutti a lasciarsi coinvolgere, ciascuno dal proprio posto e secondo le proprie possibilità. Vale anche per noi preti. Si comincia da noi, che abbiamo tutte le condizioni necessarie in mano, oltre le apparenze di disinteresse, di allontanamento, di scoraggiamento che possiamo riscontrare attorno a noi. In una società in cui spesso gli adulti hanno paura di crescere e di riconoscersi adulti, all’inseguimento di una indefinita adolescenza, più ancora di una illusoria perenne giovinezza, a noi preti è chiesto un di più: diventare modelli di una maturità e di una capacità di farsi carico degli altri che trascini giovani e adulti.
    Siamo educatori attraverso tutto ciò che facciamo come pastori; l’esemplarità e la dedizione appassionata e disinteressata al ministero ha il potere di attrarre e suscitare imitazione. Ma attenzione a non porre noi stessi al centro. Dal modo come celebriamo fino al modo come amministriamo i beni e l’organizzazione delle nostre comunità, nostro compito è indirizzare, in tutto ciò che facciamo, al Signore e alla chiamata della vita, condurre all’incontro con Gesù. Questo significa avere autorevolezza ed esercitare autorità: mostrare che non apparteniamo a noi stessi, ma alla realtà della vita, del bene, della Chiesa, del Signore. Non ci può essere educazione senza autorità, ma dobbiamo fare bene attenzione alla differenza tra autorità e autoritarismo: autoritarismo è volere imporre se stessi, autorità è lasciare che attraverso di sé (e quindi la propria fedeltà e la propria dedizione) sia la realtà stessa a imporsi, la realtà della vita, del bene, del Signore.
    Lasciamoci interpellare dall’opportunità che si sta offrendo a noi e apriamoci alle nuove possibilità che si prospettano. Sono sicuro che questo diventerà non un peso, ma una ulteriore sorgente di gioia.

    NOTE

    1 Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali 2010-­‐2020, 4 ottobre 2010, n. 6.
    2 Cf. ib., nn. 52-­‐55.
    3 Cf. ib., nn. 7-­‐15.
    4 Cf. ib., nn. 16-­‐24.
    5 Cf. ib., nn. 25-­‐34.
    6 Cf. ib., nn. 35-­‐51.
    7 Ib., n. 41.
    8 Ib., n. 51.
    9 Ib., n. 6 10 Il documento parla di «prospettiva di un umanesimo integrale e trascendente» (Ib., n. 5).
    11 Cf. ib., nn. 9. 13. 27. 31-­‐33. 35. 37. 54.
    12 Cf. R. Guardini, Le età della vitaLoro significato educativo e morale [19574], Vita e Pensiero, Milano 1986. Cf. anche G. Angelini, Educare si deve ma si può?, Vita e Pensiero, Milano 2002.
    13 Cf. Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, nn. 31-­‐32.
    14 Cf. ib., nn. 33. 46. 54; anche 3. 14. 43.
    15 «Troppe volte ancora la nostra pastorale è affetta da una schizofrenia che da un lato neutralizza la valenza laica dei fedeli quando si trovano all’interno del tempio e assegna loro esclusivamente un ruolo di vice-­‐preti (accoliti, lettori,ministri straordinari della comunione, catechisti), ignorando la loro dimensione professionale, familiare, politica; dall’altro, proprio per questo, li abbandona, fuori delle mura del tempio, a una logica puramente secolaristica, per cui essi alimentano la loro cultura non attingendo al vangelo e alla Dottrina sociale della Chiesa, ma ai grandi quotidiani laicisti e alla televisione, comportandosi nella vita privata e pubblica di conseguenza» (G. Savagnone, Per un Paese solidale. Chiesa Italiana e MezzogiornoUn documento per il bene comune del Paese. Intervento alla 46ma Settimana sociale dei Cattolici italiani [Reggio Calabria, 14-­‐17 ottobre 2010], in https://www.settimanesociali.it/siti/allegati/2207/Savagnone%20-­‐ %20Per%20un%20Paese%20solidale.pdf).
    16 Benedetto XVI ha parlato dell’educazione come «compito urgente» nella sua Lettera alla Diocesi e alla Città di Roma del 21 gennaio 2008 e di «emergenza educativa» nel medesimo testo, riprendendo poi lo stesso concetto nel discorso al Convegno della Diocesi di Roma il 9 giugno 2008 e in successive occasioni, fra cui i discorsi ai Vescovi italiani riuniti in Assemblea Generale il 28 maggio 2009 e il 27 maggio 2010.
    17 «Chi educa è sollecito verso una persona concreta, se ne fa carico con amore e premura costante, perché sboccino, nella libertà, tutte le sue potenzialità» (Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 5).
    18 Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 9, dove segue nel testo la citazione del discorso del Papa.
    19 Benedetto XVI, Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, in ib., n. 30. Il documento dei Vescovi presenta vari richiami alla centralità della libertà nello svolgimento del compito educativo; cf. Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, nn. 4. 5. 8. 10. 15. 19. 26. 28-­‐30.
    20 Ib., n. 8.
    21 Ib., n. 4. Anche ib., n. 6: «Fin da ora chiediamo alle comunità cristiane di procedere alla verifica degli itinerari formativi esistenti e al consolidamento delle buone pratiche educative in atto». Cf. anche ib., 53.
    22 «È il Signore che, domandandoci di valutare il tempo, ci chiede di interpretare ciò che avviene in profondità nel mondo d’oggi, di cogliere le domande e i desideri dell’uomo» (Ib., n. 7).
    23 Cf. ib., n. 53.
    24 Scrivono i Vescovi, citando il papa, «Cogliamo in tutta la loro gravità le parole del Papa, quando avverte che “oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini ‘senza speranza e senza Dio in questo mondo’, come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita”» (Ib., n. 5). E ancora: «Per tali ragioni la Chiesa non smette di credere nella persona umana: “il primo contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare. Essa non è frutto di un ingenuo ottimismo, ma ci proviene da quella ‘speranza affidabile’ (Spe salvi, 1) che ci è donata mediante la fede nella redenzione operata da Gesù Cristo”» (Ib., n. 15).
    25 Cf., in particolare, ib., n. 39.
    26 Cf. ib., n. 34.
    27 Cf. ib., n. 23.
    28 «Occorre, però, ravvivare il coraggio, anzi la passione per l’educare. È necessario formare gli educatori, motivandoli a livello personale e sociale, e riscoprire il significato e le condizioni dell’impegno educativo» (Ib., n. 30). Cf. anche ib., nn. 41.
    54.
    29 Ib., n. 54.

    Firenze, 11 gennaio 2011


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