Le età della vita
Introduzione al Quaderno di Servitium
Armido Rizzi
Insegnaci a contare i nostri giorni
e giungeremo alla sapienza del cuore
(Sal 90,12)
La sapienza cui il salmista aspira è quella che scaturisce dal senso della brevità della vita, che frena l'eccesso dei desideri e li riconduce alla loro misura di verità umana. Ma la meditazione sulla vita dell'uomo è ricca anche di altri insegnamenti, che compongono una più ampia sapienza, di cui il senso della caducità è soltanto una componente. A questa meditazione è dedicato il nostro quaderno; e particolarmente a quella gamma di tonalità di senso che deriva dalla differenza secondo le età.
1. C'è, è vero, un valore assoluto della vita, che non conosce età: quello che esprimiamo comunemente con il termine di "persona". Il bambino e il vecchio non sono meno persona - e quindi meno degni di rispetto - di quanto lo siano l'uomo e la donna nel pieno delle forze: comunque venga elaborata concettualmente, questa convinzione è la base stessa della fondamentale sapienza etica.
Indipendente dalle età è pure la dimensione di responsabilità che qualifica il soggetto umano di fronte a Dio e alla sua parola. Certo, il giudizio sui valori e sulle situazioni è suscettibile di maturazione; ma la statura che esso raggiunge non è proporzionale al numero degli anni; proprio il libro della Sapienza scrive, a proposito del giusto, parole che sospendono ogni possibile equivalenza tra età e maturità:
La canizie degli uomini sta nella sapienza
e un'età matura è una vita senza macchia.
Giunto in breve alla perfezione
ha compiuto una lunga carriera.
La sua anima fu gradita a Dio;
perciò egli lo tolse in fretta
da un ambiente malvagio (Sal 4,8ss.).
Tutto questo va tenuto presente, per non dimenticare che la signoria di Dio sul tempo si manifesta sia nel disporne l'ordine che nel sovvertirlo.
2. Ma la nostra obbedienza al Dio che sovverte non deve cancellare od offuscare la nostra attenzione al Dio che ordina, e che ogni cosa dispone "secondo numero, peso e misura" (c'è ancora, e non a caso, la Sapienza che parla).
La vita si distende secondo le età perché è tesa tra nascita e morte. Questo significa essere secondo la modalità del divenire: essere sottoposto alla legge della pazienza, della gestazione dotata di tempi suoi che mettono in scacco la frenesia dell'accelerazione progettuale e competitiva, sia essa tecnocratica o politica. Lo ricorda con proprietà e pathos V. Havel, ex presidente della Cecoslovacchia, in un discorso pubblico:
«Pensavo che il tempo fosse mio. Ero caduto in un grave errore: il tempo, la storia, l'essere sono regolati da tempi propri, sui quali possiamo intervenire creativamente, ma che nessuno può mai dominare. Il mondo e l'essere non obbediscono ciecamente alle ingiunzioni di qualche tecnocrate o politico; rifiutano di aderire ai loro tempi, rifiutano le loro spiegazioni distruttive; così come il mondo, la storia, l'essere hanno i loro segreti che colgono alla sprovvista la ragione moderna fondamentalmente razionalista, e hanno anche percorsi propri e sotterranei. Voler sopprimere questa impenetrabile tortuosità con infernali dighe comporta molti rischi. Io ho constatato con orrore che la mia impazienza di vedere ristabilita la democrazia aveva qualcosa di comunista ed anche, in senso più generale, qualcosa di razionalista. Volevo far progredire la storia un po' come un bambino si mette a tirare una pianta per farla crescere più in fretta. Credo che bisogna imparare ad aspettare, così come si impara a creare: seminare pazientemente il grano, annaffiare assiduamente la terra che lo ricopre e concedere alle piante i loro tempi. Non si può ingannare una pianta come non si può ingannare la storia; ma si può innaffiarla pazientemente tutti i giorni, con comprensione, con umiltà e anche con amore».
Se agli occhi di Dio «mille anni sono come il giorno di ieri che è passato» (Sal 90,4), è dono e compito della creatura contarli ad uno ad uno. D'altronde, quello stesso Dio che "conta i capelli del nostro capo" non può non contare anche i giorni del nostro vivere.
3. Troppo lunghi, questi giorni, così da chiedere pazienza e attesa; troppo brevi, così da sfuggire di mano quando vorremmo trattenerli. Per il nostro desiderio il tempo è insieme lento e veloce, pigro e fuggevole. Tempo dispettoso, o desiderio capriccioso?
Il pensiero moderno ci ha abituati a considerare il divenire sinonimo di progresso: un progresso indefinito, mai compiuto e sempre avanzante, oppure un tendere verso un'irreversibile mèta di compimento e di pienezza. Singolare vicenda! Quel pensiero aveva promesso di liberare l'uomo dai "miti" per affidarne la realizzazione alla trasparenza della ragione. Ma quale ragione ha mai conosciuto un divenire indefinito, una crescita umana senza declino? La ragione empirica conosce un essere senza divenire: la fissità delle stelle e l'immobilità delle rocce, l'una e l'altra aldilà del ciclo della vita; e conosce il divenire del vivente, che è nascita-crescita-maturità-declino-morte. Il mito ha letto da sempre, dentro questa parabola, una ricchezza di senso, una legge dove l'apparente vittoria della morte è la sua sconfitta perché è al servizio della vita che si rinnova, della fiaccola della vita che passa di mano in mano, di generazione in generazione, senza spegnersi mai.
Il mito è dunque un'ermeneutica dell'esperienza reale: è lo svelamento del significato che il divenire come parabola contiene. Viceversa, il divenire come progresso senza fine non appartiene all'esperienza ma all'affabulazione, all'utopismo; e la ragione che l'ha partorito è il vero e proprio "mito" nell'accezione deteriore di funzione di irrealtà, di costruzione ideologica.
Con la "caduta dei miti" ci troviamo di fronte al bivio: o la rassegnazione a un mondo insensato e desolato, dove la morte è segno dell'insignificanza e della vanità del tutto, oppure la riscoperta di quella sapienza che il "mito vero" custodiva, ed è leggere la brevità come preziosità, come invito all'intensificazione del sentimento di vivere. Lo "spazio di un mattino" non cancella ma rafforza l'incanto della rosa.
L'incanto dell'inizio:
Sei tu che hai creato le mie viscere
mi hai tessuto nel ventre di mia madre.
Ti lodo perché mi haí fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere (Sal 139,13s.).
Ma anche la grazia del finire: se è vero che
come l'erba sono i giorni dell'uomo,
come il giorno del campo, così egli fiorisce (Sal 103,15),
essi sono però avvolti nell'amore di Dio, il quale
sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere
perché
la grazia del Signore è da sempre,
dura in eterno per quanti lo temono (vv. 14,17).
Finita è, dunque, la vita dell'uomo in quanto breve; ma anche, secondo un'ambivalenza che mi affascina, finita in quanto compiuta, come un brano musicale.
4. E come in un brano musicale, lo svolgimento della finitezza avviene attraverso "tempi" differenziati: le età della vita. L'analogia non va forzata: nella composizione musicale, artificio umano, le parti possono essere ben scandite, la discontinuità voluta e intenzionalmente accentuata. La vita è invece un continuum dove le differenze vengono rilevate soltanto da fuori: dal fuori dello sguardo altrui, o da quello dello sguardo proprio ma in retrospettiva. Qui l'analogia calzante sarebbe la gamma dei colori, dove il trapasso da un capo all'altro avviene per gradazioni impercettibili, senza soluzione di continuità; eppure non è soltanto convenzionale - anche se culturalmente mediato - parlare del rosso e del verde, dell'azzurro e dell'arancione. Così, non possiamo indicare con rigore dove termini la giovinezza e inizi l'età adulta; ma di un quindicenne non diremmo mai che è un adulto né di un cinquantenne che è un giovane. E questo, malgrado gli slittamenti cui le età della vita vengono sottoposti dalle età del genere umano, cioè dai cambiamenti epocali.
C'è dunque un senso immanente alle tappe dell'esistere umano; c'è un logos inscritto nel bios e tenuto ad assecondarne le movenze, le mutazioni, le inflessioni. Riconoscere questo logos naturale è importante per lo sguardo contemplativo, che vi ammira insieme la versatilità della Sapienza creatrice e la sua fedeltà; e poi, per le possibilità di relazione (amicale, pedagogica, terapeutica, pastorale...) che devono tener conto dell'una e dell'altra di queste modalità. Senza dimenticare la relazione con se stessi: anch'essa chiamata a una saggia politica di interpretazione contemplativa e attiva, di azione di grazie e di autoformazione.
5. Della finitezza fa parte anche la modalità dell'esistere sessuato: non siamo esseri umani tout-court ma uomini e donne, così che l'umano è modulato secondo questa cadenza originaria e storicamente non trascendíbile.
Bisognerà trovare l'equilibrio tra due intemperanze. L'una è l'omologazione dei sessi nell'uguaglianza politica dei cittadini: un primo femminismo aveva puntato tutto sull'uguaglianza, spingendola aldilà della richiesta di pari opportunità, verso un'omogeneità antropologica che riconosceva essenziale all'umano la progettualità pura, e accidentale ogni differenza. Il secondo femminismo, sottolineando la differenza come originaria, giunge a volte a considerarla anche escatologica, cioè a negare che il soggetto umano in quanto ricreato "in Cristo" sia aldilà del maschio e della femmina (Gal 3,28), dotato di una dignità e di una responsabilità che hanno come unica misura la libertà della vocazione divina (cfr. n. 1). L'essere uomini e donne appartiene al "penultimo", a quella verità breve e itinerante in cui matura la verità definitiva, e che non va perciò né idolatrata né dissipata.
Il sommario
A. Rizzi, Le età della vita. Introduzione al quaderno
G. Angelini, Il figlio. Censure della cultura moderna e compiti della predicazione cristiana
M. Delpiano, Il giovane: crisi e iniziazione
G. Piana, L'adulto: l'integrazione del tempo reale
A. Levi, La sobria ebrezza dell'età ultima
G. Gasparini, La costruzione sociale dell'età: i vincoli e i valori in gioco
C. Sala, Età della vita, età della storia: l'illusione moderna della maggiore età
C. De Piaz, L'arte dell'invecchiare
I. Ceresa, Invecchiare. Frammenti per una lettura al femminile
B. Rinaldi, L'età nel catechismo dei giovani "Io ho scelto voi"
«Servitium» 94/1994, p. 6.