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     Adolescenza:

    alla ricerca di

    una fede personale

    La forma mutevole dell'adolescenza
    come sfida alle Chiese cristiane

    Friedrich Schweitzer



    Solo venti o trent'anni fa, sulla teologia pastorale e sulle chiese albeggiò la consapevolezza di un bisogno urgente di diventare molto più decisamente propositive riguardo alla possibile interconnessione tra il ciclo della vita umana da un lato e, dall'altro, l'istruzione, i programmi educativi e i riti che le chiese hanno da offrire. Da allora, gli specialisti di teologia pratica hanno evidenziato che le persone sia al di dentro che al di fuori della chiesa non sono più disposte ad accettare un'istituzione che non sia aperta ai ritmi e alle esigenze delle loro vite individuali. Di conseguenza, i modelli psicologici del ciclo della vita umana hanno ottenuto grande attenzione e influenza nel servizio pastorale. Psicoanalisti come Erik H. Erikson [1] o ricercatori come James W. Fowler [2] sono diventati dei classici non solamente nel campo della cura pastorale, ma anche in quello dell'educazione cristiana e in tutti i tipi di attività riguardanti la comunità ecclesiale. Le molteplici relazioni tra i vari aspetti della fede cristiana e le diverse età e le differenti fasi del ciclo della vita sono state studiate in molte opere di teologia pastorale. Modelli per accompagnare le situazioni di passaggio tra l'infanzia e l'adolescenza o tra l'adolescenza e l'età adulta preannunciano prospettive nuove per una attività pastorale costruttiva.

    Nel presente articolo non intendo contestare l'uso del ciclo della vita umana come sfondo per l'attività pastorale. Nel mio modo di vedere le cose non c'è alcuno spazio per un ritorno ai tempi in cui la vita individuale delle persone comuni non sembrava avere un ruolo molto importante per la concettualizzazione dell'attività delle chiese e per la teologia pastorale. Tuttavia, in anni recenti si è andato sempre più palesando il fatto ovvio che non possiamo considerare il ciclo della vita umana come una base stabile e costante su cui fondarci pèr elaborare le nostre strategie educative o pastorali. Il ciclo stesso della vita umana, al contrario, sembra essere in rapida trasformazione. Svolte decisive e passaggi che ci erano familiari stanno scomparendo mentre si stanno presentando nuove fasi o stadi di vita.
    Per riassumere in poche parole: proprio nel momento in cui la teologia pastorale era riuscita a comprendere molteplici riferimenti alle fasi della vita umana al fine di trovare un nuovo equilibrio e un nuovo punto di partenza per approcci efficaci nella teoria e nella prassi del servizio pastorale, questi stessi stadi si rivelano mutevoli e instabili come le dune di un deserto. Uno degli esempi più chiari è il volto mutevole dell'adolescenza contemporanea. Secondo la concezione che intendo sviluppare nel presente articolo, questa fase della vita è in ricostruzione al punto tale da aver perso la maggior parte delle sue caratteristiche che finora erano state date per scontate. Di conseguenza, qualsiasi tentativo teologico di lavorare con adolescenti dovrà essere ben consapevole di questi cambiamenti di vasta portata. Dovrà essere preparato a ridisegnare la propria struttura e i propri orientamenti onde affrontare l'adolescenza nelle sue forme attuali [3].
    Questo modo di considerare il servizio pastorale dovrebbe anche essere visto come una possibile - e, si auspica, utile - risposta alla frustrazione e alla delusione che molti operatori pastorali e molti educatori cristiani di varie parti del mondo possono sperimentare a contatto con gli adolescenti. È del tutto evidente che le chiese non vengono considerate dalla maggior parte degli adolescenti di oggi nel novero dei luoghi o delle istituzioni attraenti. A mio modo di vedere, tuttavia, questo non significa che gli adolescenti abbiano perduto ogni interesse per la religione o che essi non potranno mai trovare accesso alla tradizione cristiana. Ciò che noi dobbiamo affrontare nella teologia pastorale, tuttavia, è la grande sfida di ripensare e di riconcettualizzare i nostri approcci ai modi di operare con gli adolescenti.

    L'adolescenza sta davvero cambiando?

    Trenta o quarant'anni fa la maggior parte delle persone aveva la tendenza a considerare l'adolescenza semplicemente come un dato di fatto. In generale l'adolescenza rappresentava una fase naturale della vita inserita decisamente (anche se talvolta infelicemente) tra l'infanzia e l'età adulta. Gli storici hanno fatto rilevare tuttavia che, mentre i processi fisiologici della pubertà potrebbero essere un evento naturale, certamente non è un evento "naturale" l'adolescenza come processo psicologico e sociale, cioè come processo del riconoscimento e dell'accettazione dei mutamenti messi in moto dalla pubertà e insieme dalle aspettative della società. Una transizione prolungata fra l'infanzia e l'età adulta non faceva parte dell'esperienza della maggior parte delle persone prima del XX secolo. La stragrande maggioranza dei giovani non frequentava mai la scuola, ma entrava direttamente a far parte della forza lavoro, sia che questo avvenisse gradualmente in un contesto agricolo oppure con il primo impiego in una fabbrica che spesso aveva luogo molto precocemente. Persino il concetto stesso di adolescenza è un fenomeno tipicamente moderno. Il primo filosofo dell'educazione che descrisse l'adolescenza come il fulcro del ciclo della vita umana -come la "seconda nascita" nella vita di una persona - fu Jean-Jacques Rousseau nel suo Emile, pubblicato nel 1762.
    Una volta imposta l'istruzione obbligatoria ed essendo l'adolescenza diventata un'esperienza comune per tutti i giovani delle società occidentali, sia i sociologi che gli psicologi mostrarono la necessità di riconoscere l'esistenza di tale fase della vita [4]. Date le complessità della società moderna, un periodo di preparazione prima di entrare a far parte del mondo degli adulti sembrò essere una necessità inevitabile. Dal punto di vista sociologico, la domanda di elevazione del livello educativo e di standard di apprendimento più eminenti come requisito di accesso specialmente ai gradi più alti della forza lavoro non potevano venire soddisfatti senza dedicarvi un lasso di tempo ulteriore. I bisogni individuali o psicologici puntavano nella stessa direzione: i giovani avevano bisogno di una moratoria, come Erikson l'ha definita, per sviluppare una identità loro propria e per raggiungere l'indipendenza necessaria per agire da persone moderne dotate di responsabilità.
    Tali descrizioni generali non ressero a lungo la prova del tempo. A partire dagli anni Ottanta e Novanta e, ancor più, ai nostri giorni, gli analisti sociali hanno rilevato che la maggior parte delle nostre ipotesi sull'adolescenza non sono più fondate [5].
    Se vogliamo definire l'esperienza contemporanea come "postmoderna", l'identità postmoderna differisce dal suo precursore moderno del XX secolo in modi marcati - dal punto di vista temporale, sociale e personale [6]. L'adolescenza tende a cominciare sempre più precocemente, con un anticipo che coinvolge persino i processi fisiologici della pubertà. In misura crescente, ragazze e ragazzi di dieci anni si comportano in maniere che sembravano essere riservate a teenager molto più grandi: insistono sulle proprie decisioni, che si tratti dei "codici di abbigliamento" e delle attività oppure del modo in cui vogliono essere trattati dagli adulti. Nello stesso tempo, l'adolescenza tende a terminare sempre più tardi: studi recenti sui giovani pongono la durata dell'adolescenza almeno fino all'età di venticinque anni, e alcuni ricercatori hanno sostenuto che gli studi sui giovani dovrebbero estendere tale durata fino ai trent'anni. Il crescente prolungamento dell'adolescenza in quella che soleva essere considerata età adulta è chiaramente connesso con un processo che vede procrastinato l'ingresso in una solida posizione lavorativa. In Europa un neologismo coglie ed esprime questa transizione spesso difficile e prolungata: si parla di "generazione tirocinante" (internship generation) perché i giovani devono passare attraverso molti tirocinii prima di ottenere un'assunzione vera e propria. Ma che cosa significa un vero impiego oggi? In molti casi, l'idea tradizionale di restare nell'ambito di una medesima professione per tutta la vita certamente non vale più. Attribuire all'adolescenza lo status di un periodo di transizione nella vita non ha più senso. Specialmente in paesi o regioni con alti tassi di disoccupazione il significato dell'adolescenza non può consistere in qualche genere di preparazione, perché una preparazione esige un obiettivo per cui prepararsi. Non possiamo certo definire la disoccupazione un obiettivo.
    Strettamente connessi con i mutamenti temporali e sociali dell'adolescenza vi sono anche i mutamenti personali. L'idea che la funzione dell'adolescenza vada descritta come quella di formare un'identità solida che possa costituire un fondamento per l'autonomia personale che dura per tutta la vita è stata oggetto di critica. Gli psicologi hanno osservato che gli adolescenti - o gli adulti - hanno ben poche possibilità di acquisire mai una simile identità. La loro esperienza conosce identità plurali e sé plurali, in corrispondenza con un ambiente che sembra produrre sempre più pluralità e complessità.
    Crescere in queste condizioni certamente. non è facile. Gli adolescenti di oggi hanno bisogno di sostegno. Questa è la prima e più grande sfida per il servizio pastorale nel senso del servizio sociale. Nel presente contesto, tuttavia, desidero focalizzare l'attenzione su una domanda diversa: quali sono le ripercussioni a livello religioso dei mutamenti dell'adolescenza e in che modo riguardano il ministero pastorale?

    L'adolescenza postmoderna e la religione: sfide per l'attività pastorale

    Le analisi teologiche pastorali menzionate all'inizio hanno mostrato con chiarezza lo stretto rapporto che c'è tra i programmi educativi e i rituali delle chiese da un lato, e le fasi del ciclo della vita umana dall'altro. È facile vedere che i mutamenti all'interno del ciclo della vita, o i mutamenti del ciclo della vita stesso, avranno effetti di vasta portata sul lavoro pastorale. Anche se in modi diversi e con prassi diverse, la confermazione è stato il rituale cristiano preminente nell'età dell'adolescenza. In certi periodi della storia c'è stato uno stretto rapporto tra il momento della confermazione e l'ingresso nell'età adulta, specialmente nelle aree protestanti dell'Europa centrale e settentrionale. La confermazione contrassegnava il passaggio dall'infanzia all'età adulta attribuendovi un significato religioso e il sostegno alla persona singola in questo passaggio. Oggi non è più così. Nei paesi occidentali la maggior parte degli adolescenti continuano il percorso scolastico per parecchi anni dopo la confermazione. Il rituale non può essere più considerato un rito di passaggio, per lo meno non nello stesso senso di ieri. Di conseguenza, il lavoro pastorale ha bisogno di una reinterpretazione teologica. La celebrazione di un rituale nel corso dell'adolescenza ha una funzione diversa da quella di segnare la fine dell'infanzia o dell'adolescenza.
    Un altro esempio può essere l'emergere di nuovi stadi che non hanno fatto parte del ciclo tradizionale di vita o dei programmi pastorali destinati all'adolescenza. La cosiddetta post-adolescenza, intesa come il periodo di tempo che si è inserito tra l'adolescenza e l'età adulta nel terzo decennio di vita, venne per la prima volta trattata come una evoluzione problematica alla fine degli anni Sessanta [7]. Nel frattempo, questa evoluzione si è estesa a tal punto che oggi ha senso pensarla come una fase del ciclo di vita a sé stante. Per il servizio pastorale è di particolare importanza osservare che questo è il tempo della vita in cui il processo dell'allontanamento di una persona dalla chiesa o della completa rottura con essa raggiunge il suo apice in molti paesi del mondo [8]. Le cose non sono così chiare all'altro estremo, con l'inizio dell'adolescenza. Tuttavia, è pure evidente che i ragazzi dai dieci ai dodici anni d'età, che sono oggi considerati adolescenti, non hanno molto in comune con quelli che vanno dai sedici ai dociott'anni. Esistono programmi specifici che riguardano i loro bisogni? Questi giovani adolescenti non si sentiranno certo accolti in maniera adeguata quando vengono invitati come bambini, ma non si sentiranno a proprio agio neppure nel gruppo di quelli che sono più grandi di otto-dieci anni e che hanno esigenze e problemi diversi. Dal punto di vista delle esigenze e delle richieste religiose, si sa molto poco di questa fascia d'età, anche se studi sull'età evolutiva sostengono chiaramente l'ipotesi che la prima adolescenza è il tempo in cui la cosiddetta fede ingenua dell'infanzia viene sottoposta a una critica crescente.
    Riguardo alla religione nell'adolescenza in generale, vi sono sfide di vasta portata anche per l'attività pastorale. La tendenza più diffusa che si nota in molte parti del mondo occidentale è l'individualizzazione religiosa. Il concetto di individualizzazione non andrebbe confuso con il concetto di individuazione, proprio della psicologia, che si riferisce al diventare una persona indipendente ("individuata"). Anche l'individualizzazione mette in evidenza l'individuo, ma in un modo diverso. Secondo alcune teorie sociologiche per individualizzazione si intende che le biografie non sono più determinate dalla nascita e dall'origine, ma sono divenute un progetto individuale. Le tradizioni e i contesti ambientali hanno perduto la loro influenza e il loro potere determinante. All'individuo vengono lasciate sempre maggiori possibilità di scelte personali. Un esempio significativo è il modo di vestirsi nell'adolescenza. Trent'anni fa sia con gli insegnanti che con i genitori sorgevano molti conflitti sugli stili di abbigliamento appropriati (o piuttosto inappropriati). Oggi, a parte determinati gruppi etnici - per esempio i gruppi musulmani che impongono il velo alle ragazze e alle donne a partire dall'adolescenza -, tali conflitti sono divenuti rari. Analogamente, l'osservanza religiosa ha cessato di essere sottoposta al controllo sociale: non essere un membro attivo di una qualche confessione religiosa è diventato socialmente accettabile. L'autorità attribuita alle istituzioni religiose e ai capi religiosi è ridotta. La maggior parte dei giovani non considera le dottrine o gli insegnamenti ufficiali delle chiese come vincolanti per se stessi. La maggior parte degli adolescenti intervistati da noi in Germania [9] ha dato per scontato che ognuno ha il diritto di credere in qualunque cosa voglia. Secondo loro questa idea è così ovvia che non sentono neppure il bisogno di darne delle giustificazioni.
    La conseguenza della individualizzazione religiosa è una sorta di interesse e di orientamento religioso personale o individuale che è facile non considerare, specialmente fino a che ci limitiamo alle prospettive religiose e al linguaggio del cristianesimo tradizionale. Questo è il motivo per cui gli adolescenti così spesso appaiono disinteressati dal punto di vista religioso in molti sondaggi che utilizzano domande predeterminate. Al contrario, studi qualitativi, cioè aperti a quanto gli adolescenti hanno da dire loro stessi, spesso mostrano un quadro alquanto diverso. Il titolo del presente articolo in effetti è tratto da uno studio basato su interviste di questo genere. Indipendentemente l'uno dall'altro, molti adolescenti hanno parlato di una "fede loro propria" e della loro "ricerca" (ancora) aperta di questa fede personale. Hanno chiarito perfettamente che la loro fede è - e sarà - diversa dalla "fede della chiesa" e che in questo non vedono alcun problema.
    A volte gli adolescenti di oggi tendono a sostenere idee superficiali sulla chiesa e sulla religione. Tuttavia, secondo le nostre indagini, molti di loro si pongono anche domande serie: sul senso della vita, sulle prospettive della società occidentale e del mondo in generale, sulla giustizia e sulla salvaguardia della natura o del creato. In confronto ad altri periodi della storia, nella situazione contemporanea questo non è un momento opportuno per i giovani di agire sulla società e sulla cultura con atteggiamento apertamente critico. Molti di loro sono convinti che le istituzioni tradizionali non prestino loro neppure ascolto. Tuttavia, avremmo torto a credere che non valga la pena di prestare ascolto agli adolescenti di oggi. Per la maggior parte non sono attratti dai programmi ecclesiali tradizionali, ma hanno molte domande, molti interessi e bisogni di tipo religioso.

    Ripensare l'attività pastorale: raccogliere le sfide

    I cambiamenti del ciclo della vita umana in generale e quelli dell'adolescenza in particolare presentano molte sfide per il lavoro pastorale. Tuttavia l'adolescenza postmoderna non è semplicemente una realtà disperata per le chiese. Essa dovrebbe diventare un punto di partenza per ripensare e riconcettualizzare l'attività pastorale.
    Fare degli adolescenti stessi il nostro punto di partenza probabilmente è il passo determinante. Fino a che imperniamo le nostre riflessioni teologiche e i nostri concetti teologici sul servizio che offriamo, abbiamo buone probabilità di perdere gli adolescenti. Dobbiamo invece prepararci a guardare attraverso gli occhi degli adolescenti ciò che le chiese stanno offrendo e a valutarlo a partire dalle loro biografie, chiedendoci: di cosa hanno bisogno gli adolescenti oggi? Che cosa riterranno utile per orientare la propria vita? E così via.
    Nel porci queste domande dobbiamo elaborare un nuovo sistema di istruzione. La teologia ha dedicato enormi quantità di tempo e di energia alla decifrazione delle nostre fonti storiche – e dovrebbe proseguire, in vista di questo livello di "alfabetizzazione" o di questa ermeneutica, i suoi sforzi orientati alla tradizione. Tuttavia non è difficile rendersi conto che sforzi analoghi dovrebbero essere diretti al progetto di un'istruzione o un'ermeneutica nuove orientate alle esperienze contemporanee degli adolescenti. Gli interessi religiosi e le espressioni religiose di costoro non possono più essere identificati con i concetti tradizionali della teologia. Inoltre, gli adolescenti non riescono a vedere in che modo tali concetti si dovrebbero applicare alle loro esperienze e come potrebbero avere senso per loro. In molti casi il linguaggio della tradizione cristiana rimane loro estraneo: essi non si aspettano risposte dalle chiese perché non vedono che le chiese si stiano occupando delle domande che sono importanti per i giovani. Di conseguenza, c'è un bisogno nuovo di un lavoro di traduzione del linguaggio della tradizione cristiana nel linguaggio della postmodernità – o, più specificamente, nel linguaggio degli adolescenti postmoderni. Una tale traduzione può essere attuata solo attraverso un processo reciproco che si fondi su ciò che si potrebbe definire un'analisi interconnessa di tradizione e mondi della vita contemporanea. Lo scopo di questa analisi è identificare ex novo i possibili collegamenti tra gli adolescenti e la tradizione cristiana.
    Strategie aggiuntive non sono meno importanti, ma presuppongono questo compito fondamentale di traduzione. I collegamenti tradizionali tra le fasi del ciclo della vita e i programmi o i rituali delle chiese dovrebbero essere riconcettualizzati in linea con la situazione contemporanea. Un esempio importante riguarda le fasi emergenti del ciclo della vita umana: che cosa possiamo offrire ai giovani adolescenti che non vogliono più essere bambini ma che hanno poco in comune anche con gli adolescenti più grandi? In che modo i post-adolescenti, ovvero la fascia d'età che attualmente mostra così poco interesse per le chiese, possono rientrare nella riflessione e nelle proposte pastorali?
    Se è vero che sono emersi nuovi stadi all'interno del ciclo della vita, la teologia pastorale deve superare l'idea di adattare iprogrammi e i rituali esistenti a esperienze diverse. Invece, il compito deve essere elaborare programmi e rituali nuovi per stadi della vita che solo fino a pochi decenni fa non esistevano. Questo compito richiede coraggio, creatività e apertura rispetto alla situazione dei giovani che sta cambiando. I giovani non andrebbero considerati e valutati confrontandoli con quello che gli adulti ricordano del proprio periodo dell'adolescenza, o osservandoli attraverso le lenti di un qualsiasi ideale di chiesa e di società che essi stessi avevano venti, trenta o quarant'anni fa.
    La frustrazione e la delusione che tanti operatori pastorali ed educatori cristiani sperimentano non sono sempre dovute a ciò che gli adolescenti di oggi sono. In ogni caso, non dovremmo lasciarci intrappolare da aspettative basate su un ciclo della vita umana (compreso quello nostro personale) che non esiste più. Affrontare l'adolescenza postmoderna è un compito centrale per le chiese come pure per la teologia pastorale.

    NOTE

    1 Cf. E.H. ERIKSON, Identity and Crisis, Norton, New York 1968 [trad. it., Gioventù e crisi d'identità, Armando Editore, Roma 1974].
    2 Cf. J.W. FOWLER, Stages of Faith. The Psychology of Human Development and the Quest for Meaning, Harper & Row, San Francisco 1981.
    3 Le prospettive sviluppate nel presente articolo sono basate sulla mia opera precedente, specialmente sul ciclo della vita post-moderno (F. SCHWEITZER, The Postmodern Life Cycle. Challenges for Churches and Theology, Chalice, St. Louis/MI 2004) e sulla fede nell'adolescenza (E SCHWEITZER, Die Suche nach eigenem Glauben. Einführung in die Religionspädagogik des Jugendalters, Gütersloher Verlaghaus, Giitersloh 1996), ma anche sulla mia visione globale dell'educazione cristiana (E SCHWEITZER, Religionspädagogik, Gütersloher Verlaghaus, Gütersloh 2006; R.R. OSMER - F. SCHWEITZER, Religious Education between Modernization and Globalization. New Perspectives on the United States and Germany, W.B. Eerdmans, Grand Rapids/MI 2003). Questi libri contengono anche riferimenti ulteriori, che devo presupporre nel presente contesto.
    4 Per una panoramica, cf. SCHWEITZER, Die Suche nach eigenem Glauben, cit.
    5 Per riferimenti dettagliati, cf. ID., The Postmodern Life Cycle, cit., 40-63.
    6 H. KEUPP et all., Identitätskonstruktionen. Das Patchwork der Identitäten in der Spätmoderne, Rowohlt, Reinbek 1999.
    7 K. KENNISTON, Young Radicals. Notes on Committed Youth, Harcourt, Brace & World, New York 1968, 257-290.
    8 Cf., per es., W.C. ROOF – W. McKINNEY, American Mainline Religion. lts Changing Shape and Future, Rutgers University Press, New Brunswick 1987, 181;
    SCHWEIZERISCHES PASTORALSOZIOLOGISCHES INSTITUT (ed.), Jenseit der Kirchen – Analyse und Auseinandersetzung mit einem neuen Phiinomen in unserer Gesellschaft, NZN, Zurich 1998, 41.
    9 Cf. F. SCHWEITZER - A. BIESINGER - J. CONRAD - M. GRONOVER, Dialogischer Religionsunterricht. Analyse und Praxis konfessionell-kooperativen Religionsunterrichts im Jugendalter, Herder, Freiburg i.Br. 2006; E SCHWEITZER, Religious Individualization. New Challenges to Education for Tolerance, in British Journal of Religious Education 29 (2007) 89-100; F. SCHWEITZER - J. CONRAD, Globalisierung, Jugend und religiose Sozialisation, in Pastoraltheologie 91 (2002) 293-307.

    (da Concilium 5/2007, pp.103-113)


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