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    Il rituale

    delle fasi di passaggio

    nella vita: sì o no?

    David N. Power



    Quando parlano delle fasi di transizione nella vita, i cattolici tendono ancora a pensare a dei sacramenti specifici. Nel fascicolo 2/1979 di Concilium questo nesso fu oggetto di alcune riflessioni e ne venne notata l'inadeguatezza nel mondo contemporaneo. Ancora nel 1988, un autore poteva scrivere, in riferimento alla sociologia della religione di Thomas Luckmann: «Specialmente durante le transizioni della vita, è necessario mettere in evidenza l'"unità". È quello che fanno alcuni "riti di passaggio'» [1]. L'Autore suppone che tutti i partecipanti accettino il potere e il significato di questi riti. Nel 2007 la situazione rilevata nel 1979 si è aggravata, e si potrebbe dire che tali osservazioni non valgano più per molte parti del mondo. Mentre una volta si dava per scontato che tali riti funzionassero, oggi siamo forse soliti dire che essi non funzionano: non hanno una collocazione sicura nel mondo simbolico e religioso di quello che un tempo era il "popolino" cattolico.

    È sullo sgretolamento degli universi di significato simbolico, sia religiosi che secolari, che attirava l'attenzione il citato fascicolo della nostra rivista sulla Crisi delle strutture di iniziazione. Il tipo di scelta di vita necessario oggi nei momenti di transizione difficilmente può essere compiuto sulla base dell'assunzione di un mondo di significati simbolici chiaro e condiviso. La riflessione sui trent'anni trascorsi mostra un'ulteriore diminuzione nella partecipazione ai sacramenti. Se questa situazione deve essere affrontata in modo da far luce sul passaggio attraverso le età e i momenti critici della vita, è necessario valutare alcune cose. Ci si domanda perché molte persone, nelle transizioni importanti, trovino inutili i rituali tradizionali con i loro presupposti intrinseci. Data la complessità morale della vita contemporanea, è necessario esaminare che cosa sia coinvolto nei processi di transizione della vita, non in astratto ma nel mondo contemporaneo. Se i rituali consueti sono nell'insieme incapaci di dare un aiuto alle persone, ci si può domandare se vi siano delle intuizioni che possano consentire di ricuperare in qualche misura il ruolo del rituale religioso nell'attuazione delle transizioni di vita in un mondo di significati infranti e di tradizioni che scompaiono.

    Perché i rituali hanno perso il loro fascino

    Fu con l'avvento della cristianità medievale che i sacramenti vennero associati alle fasi di passaggio della vita, nel modo oggi dato per scontato dalle generazioni più anziane. Siccome era possibile presupporre il loro potere e il mondo di credenze da essi rappresentato, era consueto e possibile osservare questi riti senza indagare troppo approfonditamente sul contenuto o la profondità della fede dei praticanti. Sfortunatamente, al tempo delle missioni, quando il vangelo fu portato in varie parti del globo, questa pratica fu trasportata in altri continenti, dove fu addirittura proibito alle popolazioni di seguire i propri costumi culturali, sulla base del fatto che questi erano considerati idolatrici e superstiziosi.
    Come è stato rilevato in Concilium 2/1979, i sacramenti hanno effettivamente a che fare con un passaggio, ma si tratta del passaggio costituito dalla conversione a un nuovo modo di vita attraverso un approfondimento della fede. Per sua natura intrinseca, dunque, nessun sacramento appartiene a qualche particolare stadio dell'esistenza umana. In un mondo in cui i significati comuni si sono infranti, è difficile presumere un'adesione di fede e una conversione oppure un dato sistema di credenze nella pratica dei "sacramenti delle quattro stagioni" della vita. Esiste dunque un modo alternativo per dare luce e conforto alle transizioni di vita senza negare il potere del rituale?
    Perché mai le cose vadano in un certo modo non è sempre facile da decifrare. È uso comune deprecare il fatto che persone battezzate convivano prima del matrimonio o senza mai addivenire a una celebrazione formale di qualche tipo, che i genitori rimandino il momento del battesimo dei propri figli o addirittura trascurino di farlo, che gli adolescenti o i giovani non trovino una bussola morale nella preparazione alla confermazione, che i funerali siano spesso contrassegnati da rituali diversi da quelli approvati nei libri liturgici. Tutto ciò è visto spesso come una secolarizzazione implicante la perdita della fede, oppure come il risultato di approcci individualistici alla vita e al sacro. Ciò che viene deprecato può tuttavia essere un segno del fatto che le persone sono in cerca di un percorso significativo per realizzare le transizioni di vita, laddove non ne trovano alcuno che paia essere offerto loro dalla chiesa o dalla società. Sia l'una che l'altra sono prive di una comunione che sia fonte di coesione e vincolo sociale, e dunque di un mondo di significato e comunione coerente entro cui invitare le persone.
    Da parte delle autorità ecclesiali, prescrizioni canoniche e liturgiche mettono in dubbio se sia davvero il caso di celebrare questi riti quando coloro che li richiedono non condividono ciò che ci si attende da loro in materia di fede e di morale. Le autorità più alte reagiscono alla situazione in maniera più formale e sono più pronte a parlare di negazione dei sacramenti o della sepoltura cristiana. Anche a prescindere da questi gesti plateali, che tendono a camuffare le autentiche questioni etiche in gioco, i pastori si domandano costantemente se battezzare o meno un bambino o se ratificare o meno un matrimonio con una funzione ecclesiastica. Da parte dei potenziali destinatari, la questione può essere tuttavia quella di scegliere se questi riti abbiano o meno qualcosa a che fare con le loro vite e col modo in cui desiderano viverle. Essi scoprono che ha poco senso rivolgersi a questi riti quando si ritrovano lontani dal loro presunto mondo di significato.
    Il presente fascicolo di Concilium illustra concretamente le difficoltà che le persone sperimentano oggi nel negoziare le transizioni proprie di ogni vita, a causa dell'assenza di una coesione sociale, culturale e religiosa nei luoghi in cui risiedono e a causa dei nuovi interrogativi sulle condotte che è corretto tenere e con cui devono confrontarsi. È in questo contesto che va considerata la questione della pratica liturgica. Si pensa talvolta che la situazione sia particolarmente grave in Europa e in Nord America, dove si dice che la verità secolare abbia sostituito quella religiosa, ma il problema esiste anche in altri continenti. Vi è dappertutto un flusso di vita e un amalgama di decisioni da prendere per cui i rituali e la loro preparazione sembrano fornire poche indicazioni. La sapienza cristiana e lo scambio simbolico che parlano a questi passaggi sembrano carenti. Non che le autorità ecclesiali non tentino di insegnare ciò che credono corretto o moralmente buono; ma le loro parole risultano poco convincenti.
    Qualunque sia la situazione, rimane la responsabilità della comunità ecclesiale di guidare i fedeli verso questi momenti, responsabilità che ha sostituito in effetti, nell'opinione della gente, la responsabilità rituale che è loro propria. Anche se i rituali della chiesa oggi non funzionano, bisogna domandarsi perché le cose stiano in questo modo e come sia possibile indirizzare una parola di salvezza a coloro che si trovano di fronte a questioni e problemi nuovi, per i quali non esistono risposte nette o rituali palesemente appropriati. Esortare le persone a tornare ai sacramenti o realizzare programmi che istillino i "valori cristiani" è, nel migliore dei casi, una risposta incompleta.
    Allo stato attuale delle cose le tensioni relative alla pratica liturgica o rituale forniscono una specie di strumento diagnostico delle questioni più profonde che affliggono le società e le culture. Gli studi sul tema [2] ci dicono che un buon rituale sociale —quello che fornisce la base di un senso di appartenenza comune — rimane abbastanza indeterminato nel suo contenuto di credenze, al punto da consentire la presenza di persone aventi punti di vista differenti, e tuttavia dev'essere abbastanza persuasivo da esigere la partecipazione di tutti. Indipendentemente dalle differenze di opinione dei partecipanti su molte questioni, sono esistite e continuano a esistere - ci dicono tali studi - comunità il cui rituale pubblico fornisce riferimenti comunitari e sociali condivisi e crea un mondo di appartenenza dotato di autorità. I problemi sorgono quando coloro che sono responsabili dell'esecuzione del rituale perdono credibilità e autorità. Si hanno indizi di questo fatto nei rituali della società civile, per esempio quando il giuramento di un presidente o di un governo provoca indifferenza oppure ostilità. La protesta diventa una sorta di contro-rituale. La diagnosi vale anche per le azioni rituali delle chiese cristiane, quando l'autorità comincia a declinare.
    Nei paesi della parte settentrionale dell'emisfero, più tradizionalmente cristiani o addirittura cattolici, le autorità della chiesa hanno perso gran parte della loro credibilità. In una certa misura ciò è dovuto all'insuccesso delle chiese nell'affrontare determinate sfide morali. Ma è anche dovuto al fatto che esse non sono state capaci di pensare fino in fondo alla luce della fede le questioni contemporanee assieme a tutti i membri della chiesa, e le hanno affrontate invece mediante il ricorso alla mera autorità magisteriale. Ciò significa che, nel modo in cui viene insegnato, il messaggio cristiano risuona di note poco convincenti. Tutto questo interferisce col mondo simbolico espresso nei riti di cui queste autorità sono responsabili.
    Queste ragioni possono valere anche per il Sud del mondo nella misura in cui, con la nascita della democrazia e di un'economia globale, vi vengono scoperti i valori secolari e sociali. Più profondamente, però, è la crescente consapevolezza culturale della propria eredità a rendere sensibili i popoli al disprezzo dimostrato verso la loro cultura e i loro costumi, nel passato processo di evangelizzazione, da parte di molte realtà cristiane. A questo può aggiungersi la riluttanza attuale ad affrontare seriamente la questione. Quando le chiese hanno poco da offrire, non meraviglia che queste persone ricorrano ai loro costumi o che si assista alla crescita delle cosiddette chiese indipendenti o indigene. Sotto molti aspetti, tuttavia, il ricorso a ciò che è culturalmente tradizionale giunge troppo tardi, poiché la vita, la società e la collocazione sociale sono mutati così profondamente che i presupposti di appartenenza dei vecchi riti hanno perso valore.
    Oltre che dalla perdita di autorità, l'esortazione a partecipare al rituale è resa estremamente problematica dal fatto che le chiese, e quella cattolica in particolare, hanno sempre richiesto credenze abbastanza precise a coloro che domandano i riti e i sacramenti. Questa richiesta è ancora più forte quando sono messe in atto le norme relative alla promozione di una partecipazione piena, consapevole e attiva. Può accadere che la gente si senta lontana da ciò che viene proposto come credenza o sana dottrina, poiché esso appartiene a un mondo che passa e offre poche prospettive a ciò che deve essere negoziato oggi nel compimento delle transizioni. L'accompagnamento dei passaggi di vita deve permettere alle persone di far fronte alle scelte, alle decisioni e alle dislocazioni sociali che sono rese necessarie nel mondo in cui ora vivono. I punti essenziali del credo, che viene loro richiesto di accettare dai rituali della chiesa, o si sono disintegrati o hanno poco a che fare con la vita vissuta. In breve, spesso le persone si sentono allontanate dai riti di passaggio a causa di una mancata identificazione con ciò che essi significano. Convocando il concilio Vaticano II, papa Giovanni XXIII volle una riunione sinodale che aiutasse a trovare dei modi di esprimere la fede e di affrontare le questioni contemporanee che fossero conformi alle nuove esperienze. Non è possibile battere in ritirata e tornare a modi di insegnare e comandare che rifuggono da una ricerca autentica. Se si adotterà questa politica, ne risentirà certamente l'atteggiamento della gente nei confronti dell'appartenenza ecclesiale.
    È sufficiente pensare a ciò che devono affrontare oggi le persone quando nascono dei figli nella società odierna, quando gli adolescenti o i giovani vogliono trovare un mondo di significato in cui dimorare, quando si formano le coppie, quando i malati si trovano davanti alla morte o le famiglie patiscono un lutto. Se il rinvio del battesimo non sembra più costituire una minaccia per la vita eterna e il simbolismo della purificazione dalla macchia del peccato esercita scarso potere, viene per esempio da domandarsi se ci sia qualche altra questione affrontata dal sacramento. È possibile fare qualche esempio della confusione attuale. I catechismi possono certo offrire delle buone ragioni connesse all'essere resi figli di Dio, all'essere introdotti nella comunità della chiesa, al ricevere la speranza e la certezza della vita nello Spirito. Di per sé, tuttavia, questo non affronta la paura di introdurre una nuova vita in un mondo violento o di allevare dei figli in una società priva di timone. Nel nome di Cristo, che cosa viene offerto dalla fede nel vangelo che possa trasformare la vita del bambino all'interno della famiglia e della società, specialmente quando non si dà alcuna risposta alle molte domande che oggi vengono poste ai genitori al momento di introdurre una nuova vita nel mondo? Che cosa viene detto dall'insegnamento cristiano a persone cui, dopo gli esami prenatali, viene pronosticata la nascita di un figlio disabile? Perché dovrebbe essere proibito abortire quando una madre single sa quale vita sfortunata attenda i neonati che dal suo grembo passeranno nel travagliato mondo in cui lei vive? Quanto parlano gli uomini di chiesa di ingegneria genetica e delle possibilità mediche di predeterminare il corredo genetico dei figli? Esporre la legge non è affatto sufficiente: le persone vedono queste cose come scelte reali offerte loro dalla società e devono rifletterci a fondo prima di trovare l'appartenenza attraverso un rituale. Non basta sentirsi dire che cosa è giusto e che cosa sbagliato: si devono soppesare tutti i problemi e i valori coinvolti. E vero che molte comunità offrono ampi programmi di preparazione battesimale per genitori e padrini, ma non è chiaro con quale frequenza esse guidino le decisioni ammettendo delle ambiguità e uno spazio per la scelta personale, preferendo forse di imporre l'assenso.
    Le disposizioni in materia matrimoniale tanto della legge civile quanto di quella ecclesiastica non si sono ancora sviluppate in modi che corrispondano ai tipi di unione presi in considerazione o formati dalle persone. Per quanto riguarda l'unione di coppia, gli interessati si confrontano con le ambiguità della percezione sociale ed ecclesiale delle relazioni. Vi sono molte cose che esse possono negoziare attraverso la decisione personale al momento di trovare un posto nelle società contemporanee e di trovare un'etica, un potere decisionale, per formare un'unione adatta alle loro prospettive di vita. Questo è vero sia per il Nord che per il Sud del mondo, anche se per ragioni differenti.
    L'insuccesso dell'insegnamento etico cattolico in materia di matrimonio è un fattore rilevante, ma non è il solo. I problemi sociali connessi col matrimonio sono spesso piuttosto gravosi. Come può, per esempio, una coppia vivere una vita matrimoniale in cui vi sia spazio per allevare dei figli quando entrambi i partner fanno parte della forza-lavoro della società? Soprattutto nell'esistenza dei più poveri, dato che le coppie devono separarsi per ragioni di lavoro, gli interessati non sanno come far fronte alle esigenze del matrimonio e come condurre una vita di coppia all'interno della società. In molti paesi africani il marito oppure la moglie si recano in città mentre il partner rimane al villaggio. Nelle Filippine un membro della coppia parte per gli Stati Uniti o per qualche paese mediorientale al fine di guadagnare il pane per la famiglia, mentre l'altro resta a casa, magari con i figli. Il caso degli abitanti dell'America latina che, come unico modo per provvedere al loro sposo e ai loro figli, hanno quello di emigrare e di andare a lavorare nell'America settentrionale è fin troppo noto. Come è possibile, in simili condizioni, condurre una vita di coppia, e quale morale o etica sociale parla alla situazione di queste persone? Non è semplicemente una questione di fedeltà sponsale, ma, più seriamente, dei modi in cui una simile coppia possa trovare posto in quanto tale nella società e nella comunità. Di conseguenza non sono pochi quelli che preferiscono unirsi al di fuori dei confini dello stato e della chiesa, in modi che meglio corrispondono alla loro situazione, data la fragilità e la vulnerabilità di un'unione vissuta in tali circostanze.
    Quanto alla malattia e alla morte, le persone si trovano a trascorrere gli ultimi giorni di vita all'interno di nuove situazioni, non a casa loro ma in un ospedale, in un ospizio o in una casa di riposo. In tale frangente devono essere prese decisioni precedentemente impensate in tema di salute, sopravvivenza e supporto medico. E difficile cercare guida e conforto negli approcci etici, pastorali e liturgici della chiesa, quando l'autorità ecclesiale è eccessivamente incline a presentare "risposte" che seguono gli schemi tradizionali, anziché aiutare a confrontarsi con dilemmi che sono nuovi e riconosciuti come tali.
    Nelle cerimonie funebri, nel Nord del pianeta la tendenza è oggi quella di improvvisare rituali che esprimano i sentimenti delle persone nei confronti della morte e della sopravvivenza, o che corrispondano al tipo di vita condotto dal defunto, rifuggendo l'assunto che questi (o questa) abbia aderito a una chiesa. Nel Sud la questione è spesso come inserire la visione cristiana all'interno di approcci festosi fatti di rituale, canto e declamazione, che contraddistinguono la vita sociale in genere. Non è irrilevante, in questo, il ruolo delle chiese indipendenti, poiché esse paiono avere integrato meglio delle altre i costumi e le credenze tradizionali sui vivi e sui morti, nonché sulle molte forze vitali, buone e cattive, che sono presenti nel mondo e che forse continuano a "infastidire" i defunti.

    Rispondere a una crisi spirituale sociale

    Tutte le questioni citate rinviano a una crisi spirituale presente nella società e fra i suoi membri, una crisi a cui non dà risposta la richiesta di attenersi agli schemi rituali cristiani tradizionali. La crisi non è dovuta semplicemente al fatto che le persone disertano lo spirituale e il trascendente, ma sta nel fatto che in tempi travagliati e mutevoli l'accesso allo "spirito" è difficile da negoziare. Le persone percepiscono spesso di essere prive di guida, e ciò può produrre, in effetti, la tentazione di ricorrere a comportamenti più individualistici e chiusi spiritualmente. Invece di rimproverarle, può darsi che si debba ammettere che in realtà esse sono state abbandonate prima che abbandonassero a loro volta le vie degli antichi. La fede significa fiducia, ma deve fare appello alla speranza, alle possibilità di crescere e di essere. Deve proiettare una visione alla quale sia possibile accedere, un ambiente spirituale che permetta alle persone di affrontare seriamente le pene e i problemi che devono fronteggiare. In una situazione simile, una docilità remissiva e passiva è l'ultima delle virtù.
    Anche nelle circostanze descritte, sono pochi quelli che tentano di compiere i propri passaggi nella vita senza ricorrere a qualche tipo di rituale, per quanto improvvisato, che funga da banco di prova e da certificazione delle energie disponibili. La prima cosa di cui ci si deve rendere conto è che il passaggio non si compie in un particolare istante rituale: esso ha luogo durante un periodo di tempo che differisce da individuo a individuo. La sfida che si pone alle realtà cristiane sembra essere quella di riscoprire, all'interno dei contesti attuali, la forza dei riti di iniziazione che accompagnano il passaggio durante un certo periodo di tempo. Nel riflettere sulla questione, bisognerà dire qualcosa sulla parola di accompagnamento e qualcosa sul rituale in quanto tale, anche se, naturalmente, l'una e l'altro convergono all'interno di un unico processo.

    La forza della Parola

    Prestare attenzione alla Parola non vuol dire decifrare un testo e un significato o trattenere qualche contenuto. La parola orale e quella scritta si rivolgono entrambe agli uditori /lettori invitandoli a dimorare nel linguaggio, ad aprire il loro cuore a ciò che viene comunicato, vedendolo come un dono. Rispondere alla parola, e in particolare a quella che è chiamata Parola di Dio, vuol dire cogliere la sfida rivolta a se stessi e muoversi col dinamismo della narrazione, della sentenza profetica o dei detti sapienziali. Muoversi con la forza della Parola è una possibilità che si apre laddove si siano riscoperte nella verità le Scritture come qualcosa di vivo, e le guide spirituali devono essere capaci di aiutare la gente a leggere e a rispondere. Ciò è favorito da un rituale capace di produrre un più profondo coinvolgimento personale, ma che oggi va spesso improvvisato, in qualche modo, strada facendo.
    Una dose di improvvisazione rituale ha dei precedenti, in effetti, nella storia del catecumenato, che ha chiaramente a che fare con la fede e con la conversione al momento di prendere una decisione importante sulla vita e le sue prospettive. Assieme ai candidati, i ministri celebravano azioni come l'imposizione delle mani in un'invocazione dello Spirito, oltre ad adoperare esorcismi per affrontare il male che ostacolava i candidati al battesimo nel loro percorso personale. Ciò accompagnava l'ascolto della Parola e l'apprendimento del modo in cui pregare. Tali riti non avevano una collocazione prestabilita all'interno del calendario, ma i buoni padrini sapevano quando farvi ricorso e come formularli. Oggi si tratta di sapere quali tipi di riti possano accompagnare la parola nelle diverse culture, accrescendone la forza nella vita di ciascuno. Ma non si può fare nulla se non si è consapevoli dei dilemmi sociali, spirituali e morali cui le persone si trovano oggi di fronte nei momenti di transizione della vita. Questa sorta di improvvisazione liturgica prestabilita, pensata per adattarsi a bisogni e situazioni multiformi, può essere trasferita ad altri periodi di transizione, in cui le persone sono in cerca di una guida e in cui la forza di una parola di vita può estrinsecarsi mediante un'appropriata azione rituale.
    Naturalmente gli itinerari personali e la ricerca dell'improvvisazione hanno la tendenza a privatizzarsi o a divenire troppo individualizzati. Il sentiero percorso può essere aperto a una visione comunitaria e cosmica e a un nuovo senso del divino dalla Parola e dal giusto tipo di azione rituale. L'obiettivo è un incontro con la sapienza tramandata, con l'invito alla vita che passa per l'incontro con una visione più grande e con il proprio sé più intimo — un incontro catartico che fa rinascere a un più totale essere-come-persona, "in e con", anziché in un isolamento imposto o deliberato. Per aiutare le persone a riscoprirsi confrontate e consolate dalla Parola di Dio c'è bisogno di qualcosa di più di una semplice catechesi biblica. È necessario quello che si potrebbe chiamare un "rimuginare" le Scritture, un cercare in esse una cruciale promessa di vita e una sapienza che guida (ma non detta) le scelte che la vita contemporanea impone alle persone allorché esse trovano posto nella società cercando un mondo in cui dimorare, nelle transizioni di vita.

    La forza del rituale comunitario

    Il valore intrinseco di una buona messa in atto del rituale non è soltanto che questo ha luogo in un universo simbolico condiviso, ma anche che porta a espressione forze vitali di vario tipo. Quando i riti condivisi e comuni perdono il loro potere, le forze della vita che essi avevano la funzione di esprimere continuano a esercitare un'influenza di cui si deve tener conto, senza dare l'impressione di ricorrere a un'imposizione autoritaria o a una liquidazione delle domande personali.
    Alcuni autori africani parlano di portare al mondo, in una sorta di incontro culturale rovesciato, il volto e le forze vitali dei popoli dell'Africa. Comunque si giudichi questo progetto, quello dell'Africa è un esempio che serve per dire come dei riti di passaggio prolungati nel tempo possano impregnare la vita di rinnovato vigore. Si tratta di una sfida che tutti farebbero bene a prendere in considerazione [3].
    L'autore citato, Engelbert Mveng, attira l'attenzione sulla vitalità della liturgia africana che, quando è fedele alle proprie origini e alle proprie fonti, abbraccia molte forme artistiche mentre inserisce in un mondo riconfigurato. Innanzitutto essa lascia spazio al potere catartico della storia, a un rituale di mascheramento che spalanca verità e lotte interiori, diversamente dal mascheramento del carnevale, che nasconde il volto reale. C'è posto per la musica e per pensare mediante il movimento corporeo, e c'è il rimbombare di un suono che sospinge le persone nell'itinerario della vita e le connette con la totalità del creato. Una simile celebrazione permette tempi più dilatati, nella consapevolezza innata che le transizioni importanti sono un processo che non si può abbreviare.
    Nei riti che comprendono tutti questi elementi, Mveng rinviene tre dimensioni degne di considerazione: quella antropologica, quella cosmologica e quella liturgica. La dimensione antropologica ha a che fare col modo in cui l'individuo diventa persona, ossia viene iniziato a un essere-persona più pieno in stadi differenti della vita, stando con altri, unendosi ad altri nella comunione. Nei processi di pensiero africani questo ha a che fare col divenire la diade della realtà maschile-femminile e la triade dell'essere con l'altro in quanto coppia in una vita sociale responsabile. Altre società dovranno pensare tutto ciò nel modo loro appropriato, ma la possibilità di imparare dall'incontro fra le culture costituisce oggi una nuova forza vitale.
    La dimensione cosmologica del processo rituale insegna come considerare i legami dell'umano con la natura e col cosmo. Tale essere-in ed essere-per è parte integrante del vero essere-persona. Le civiltà europee e le loro eredi hanno oggi sicuramente molto da imparare dal sentirsi una cosa sola col creato nella sua totalità, un sentimento questo che non significa semplicemente rispettare l'integrità della creazione, ma avere la percezione di condividere un fato comune.
    Quella che Mveng chiama la dimensione liturgica del passaggio riguarda il combattimento, che avviene in ogni stadio dell'esistenza, fra la vita e la morte in lotta l'una contro l'altra e l'apertura alle forze benefiche della sorgente della vita, comunque la si chiami. L'obiettivo più intimo di tutti i riti di iniziazione, a qualunque periodo della vita essi appartengano, è quello di porsi di fronte al conflitto fra la vita e la morte, di apprendere a seguire per dono benefico la via della vita anziché quella della morte, ma avendo guardato in faccia quest'ultima in tutte le forme che assume nel mezzo delle preoccupazioni terrene. La conoscenza non è affare esclusivo dell'intelletto: essa nasce dal midollo osseo. Ciò comporta un elemento di azione creativa nel processo di iniziazione, un elemento che, espresso in molteplici forme artistiche, permette l'improvvisazione all'interno di ciò che è tradizionale.
    Non è possibile assumere che i riti tradizionali, in Africa o altrove, possano oggi essere celebrati dando per scontato l'universo integratore in cui trovavano originariamente il loro posto. Ma gli incontri con l'altro, col cosmico, con la vita e la morte, devono accadere ed essere favoriti. Essi non hanno lo stesso aspetto in tutti i passaggi di vita, ma appartengono in qualche modo a ciascuno di essi. Esserne consapevoli aiuta le comunità a cogliere tutte le implicazioni dell'ingresso in un nuovo processo di vita. Mette in grado persone differenti di comprendere che le loro decisioni su se stesse sono in realtà decisioni su quel che sta succedendo attorno a loro, sulle vite di quelle persone e cose con cui sono in comunione e sul posto dell'umanità nell'universo.

    Conclusione

    Il dilemma della partecipazione al rituale nei momenti di transizione della vita è stato collocato nel contesto dell'esistenza contemporanea, con le nuove tipologie di decisione che le persone devono oggi assumere quando sono coinvolte in queste transizioni, o perché sono esse stesse a compierle o perché sono in relazione con coloro che le compiono. Si è fatto appello alle potenzialità insite nel portare la Parola alla vita come una parola che accompagna. Attingendo al sentimento africano di ciò che viene incontro alla gente tramite il rituale, si è fatto appello anche alla forza catartica e creativa dei riti iniziatici, in cui trovano posto tanto un'eredità comune quanto la responsabilità della persona. Nell'uno e nell'altro caso non è chiaro che cosa ciò significhi in un universo di significati infranti, ma almeno possiamo avere il senso di una qualche direzione quando ci adoperiamo ad aiutare le persone a compiere questi passaggi. Tanto la diagnosi quanto il senso di un processo resi possibili dalla considerazione di parola e rituale possono contribuire, si spera, alla riflessione sulle questioni trattate in questo numero di Concilium. Essi possono aiutare i lettori a collocare all'interno di un universo più ampio i problemi e i difficili interrogativi della scelta, senza mitigare in alcun modo la sofferenza e la sfida (che è però al tempo stesso sorgente di forza, di energia) delle decisioni che le persone devono prendere.

    NOTE

    1 K. DOBBELAERE, Secularization, Pillarization, Religious Involvement, and Religious Change in the Low Countries, in TH.M. GANNON (ed.), World Catholicism in Transition, Macmillan, New York - London 1988, 102, a proposito di TH. LUCKMANN, Invisible Religion. The Problem of Religion in Modern Societies, Macmillan, New York 1967 [trad. it., La religione invisibile, il Mulino, Bologna 1976].
    2 Un utile compendio delle teorie del rituale è J. KREINATH - J. SNOEK - M. STAUSBERG (edd.), Theorizing Rituals. Issues, Topics, Approaches, Concepts, Brill, Leiden - Boston 2006.
    3 E. MVENG, L'art d'Afrique noire. Liturgie cosmique et langage religieux, Editions Clé, Yaoundé 1974; ID., L'art et l'artisanat Afrícain, Editions Clé, Yaoundé 1980. Fra i lavori di Mveng si trovano altri studi importanti sull'espressione estetica africana.

    (da Concilium 5/2007, pp. 19-32)

     


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