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    il potenziale religioso

    dei fanciulli

    Maria Luisa Mazzarello


    Perché crescano in sapienza e in grazia

    Sono 2000 anni che la chiesa risponde all'invito di Gesù.: «predicate il Vangelo» a tutti e sempre (cf. Mc 16,15). Si configurano così i tratti di una pedagogia della fede in cui, come rileva il Direttorio generale per la catechesi, «si coniugano strettamente l'apertura universalistica della catechesi e la sua esemplare incarnazione nel mondo dei destinatari» (n.164).
    Tra i destinatari concentriamo la nostra attenzione sui bambini e sui ragazzi tra i 6 e gli 11/12 anni. Si tratta del tempo della faciullezza, un'età della vita che si pone tra l'infanzia e la crisi puberale [1]. Un tempo, questo, che nella comunità ecclesiale è riconosciuto come l'età della catechesi di iniziazione cristiana. Nel processo del divenire cristiani i fanciulli, con le caratteristiche irripetibili della loro età, offrono agli educatori un terreno da far fruttificare perché il seme della Parola di Dio granisca, fin da questa età della vita, in una fede matura.
    La maturità della fede nella comunità ecclesiale è possibile anche per questi piccoli sebbene il loro comportamento religioso si esprima in modo diverso da quello degli adulti. Il particolare modo con cui essi rispondono agli appelli dello Spirito consente, infatti, di definirne la religiosità nella linea dell'identificazione e dell'appartenenza affettiva. Un modo d'essere religioso, quello dei bambini e dei ragazzi, che risponde alle caratteristiche psichico-fisiche e spirituali proprie dell'età. Di queste occorre tener conto perché il messaggio evangelico venga davvero accolto come la buona novella della salvezza nella vita di ogni giorno. È questa la via per favorire, proprio nel più profondo della personalità in crescita, l'apertura radicale all'integrazione tra fede e vita (cf. RdC nn. 52-53); più concretamente, perché la fede battesimale – dono di Dio – si sviluppi all'interno dei dinamismi della crescita come vuole l'atto creatore e redentore di Dio.
    Quanto detto sottintende un chiaro rapporto natura-grazia che giustifica la svolta antropologica della catechesi accolta dal magistero del dopo concilio Vaticano II [2]. Essa impegna catecheti e catechisti a porre attenzione, nella riflessione e nella prassi, al soggetto concreto, avvertendo circa la delicatezza che occorre avere nel mediare, attraverso il messaggio cristiano, una giusta idea di Dio ai soggetti più giovani delle nostre comunità cristiane.
    Si tratta ora di esplicitare quanto sopra affermato a riguardo di un annuncio cristiano rispettoso sia delle possibilità e dei bisogni inerenti alla crescita umana sia delle esigenze trascendenti della Parola di Dio.

    Quale apertura religiosa del fanciullo?

    Quest'ultimo decennio ha registrato non poche ricerche psicopedagogiche e di psicologia religiosa che si sono interessate alla potenzialità religiosa di cui bambini e ragazzi sono portatori. Si tratta di studi e ricerche che, seppur condotti con metodologie diverse, hanno evidenziato come lo sviluppo religioso di questi soggetti abbia bisogno di un adeguato contesto non solo ecclesiale, ma anche sociale, inteso quest'ultimo come concreto ambiente di vita e di esperienze quotidiane [3]. Tutto ciò interpella gli educatori a porre attenzione al modo con cui bambini e ragazzi recepiscono i contenuti del messaggio cristiano e come siano in grado di confrontarli con quei contenuti che vengono loro offerti dall'odierno contesto socio-culturale ed ecclesiale. I punti che seguono sono un'offerta di indicazioni su cui riflettere per mettere a fuoco punti nodali in vista di un'adeguata educazione alla fede in una età della vita tanto delicata quanto promettente.

    Bambini e ragazzi si interrogano su Dio

    Dio nella sua realtà di mistero non è estraneo all'universo dei fanciulli. È proprio tra i 6 e gli 11/12 anni, infatti, che si registra lo sviluppo del senso religioso e un vivo interesse per la conoscenza del trascendente, per la conoscenza cioè di quel Dio di cui i ragazzi hanno sentito parlare nell'infanzia e a riguardo del quale, oggi, in modo vivace pongono le loro personali domande: chi è? dov'è? cosa fa? [4]
    I risultati delle ricerche a cui si è fatto accenno hanno appurato che a questa età la conoscenza del trascendente avviene non tanto e non solo per via intellettiva, quanto piuttosto per via affettiva. E ciò corrisponde alla situazione psicologica di questi soggetti il cui apprendimento passa soprattutto attraverso l'esperire.
    Ma come esperire il trascendente? Attraverso la via analogica, come dimostrano le ricerche, ossia attraverso l'analogo che sono gli adulti significativi, quali i genitori e gli educatori.
    Già il Deconchy aveva rilevato che i ragazzi (8-12 anni) hanno un'idea di Dio per attribuzioni, ossia costruiscono l'idea di Dio a partire da attributi che riferiscono a Dio, e questi li mutuano da esperienze relazionali fatte con persone significative [5]. In tal modo essi sanno di Dio per via affettiva molto di più che per via intellettiva.

    Una vera religiosità con particolari caratteristiche

    Nel processo di educazione alla fede bisogna fare i conti con i caratteri che presenta la religiosità dei bambini e dei ragazzi. In loro la disponibilità religiosa passa attraverso le «rappresentazioni» mentali caratterizzate dal tipo di sviluppo intellettuale legato alla materialità (Piaget). Anche se il fanciullo tra i sei e i dieci anni si apre a orizzonti nuovi, egli ragiona sul concreto e risente delle esperienze soggettive nonché degli effetti della relazione con gli altri. Tener conto delle rappresentazioni mentali di Dio significa porre attenzione alla comunicazione religiosa. Occorre che questa si avvalga del linguaggio concreto perché non permangano e tanto meno non si accentuino forme errate di religiosità che oscurerebbero la vera immagine del Dio di Gesù Cristo. A questo punto basti solo ricordare alcune tra le rappresentazioni che un fanciullo si fa di Dio e che configurano la sua religione come:
    - antropomorfica: il fanciullo giunge a farsi un'immagine di Dio secondo i tratti umani e concepisce il suo agire secondo la modalità delle attività umane (Vergote, Aletti). In questi termini, la rappresentazione del Dio personale si rapporta in un certo senso all'autorità e al prestigio degli adulti; ossia, il bambino immagina Dio secondo un modello umano strutturato sulla base dell'esperienza dei rapporti interpersonali vissuti e che vive. La catechesi deve far uso di un linguaggio semplice ed essenziale per evitare che il bambino traduca in termini di realismo quello che nella religione (ad esempio in molte pagine della Bibbia) ha valore simbolico o al contrario riporti nel terreno dell'immaginario e del mitico quello che si presenta con tratti storici (ad esempio di miracoli di Gesù);
    - artificialista: Dio, soprattutto nei primi anni della fanciullezza, è inteso come l'artefice materiale di tutte le cose. Si giunge a comprendere la trascendenza dell'atto creatore solo verso i 9-10 anni (Deconchy, Aletti). Nell'atto della catechesi, dunque, occorre evitare sia un insegnamento astratto, sia un insegnamento tendente alla cosificazione che accentuerebbe la tendenza antropomorfica e magico-artificialista. Occorre invece favorire un concetto dinamico di creazione dove ciascuno è chiamato da Dio a collaborare all'opera della creazione. Al riguardo così si esprime il Catechismo per l'iniziazione cristiana dei fanciulli Io sono con voi: «Noi tutti abitiamo il mondo e possiamo farlo più bello per tutti, come vuole Dio nostro Padre»;
    - animistica: il ragazzo ritiene che una certa giustizia immanente alle cose punisca o premi i suoi comportamenti. Anche in questo caso è forte l'incidenza proiettiva del rapporto genitori-figli sul rapporto ragazzi-trascendente (Godin, Vianello, Aletti). Solo quando verso la fine della fanciullezza il ragazzo supererà l'egocentrismo, egli arriverà pure a superare l'immagine di un Dio che opera artificialmente nel mondo e sarà così in grado di comprendere l'azione provvidente di Dio nella storia del mondo e di ogni persona. Aumenta quindi il senso del rispetto religioso per Dio, il sentimento della trascendenza, l'idea del sacro: il Dio della Bibbia è amabile e benevolo, ma anche l'onnipotente che si fa temere;
    - magica: i ragazzi hanno la convinzione che compiendo certi «riti» e dicendo certe parole Dio è obbligato a esaudirli mettendo la sua potenza a servizio della creatura debole e bisognosa (Piaget, Godin). La mentalità magica ha una notevole incidenza sulla vita sacramentale. L'inclinazione al magico induce i ragazzi di circa 8 anni a ricercare il progresso spirituale con mezzi materiali (oggetti, riti, comportamenti, ecc.). Questa tendenza può pregiudicare in particolare la comprensione del sacramento dell'Eucarisita e della Penitenza. Solo mediante la chiarificazione del linguaggio simbolico, il superamento dell'egocentrismo e l'affermarsi di una concezione più spirituale di Dio, il divino emergerà come una realtà trascendente, ma anche immanente. Verso gli 11-12 anni nell'annuncio di fede Dio è percepito come persona con cui si possono avere rapporti di dialogo, di ascolto, di impegno quale risposta alle sue domande di «collaborazione».

    Dalla prima socializzazione alla vita nella comunità ecclesiale

    Gli studi di catechetica, accogliendo gli apporti delle ricerche psico-pedagogiche, pongono in evidenza lo stretto rapporto che esiste tra la «realtà» dei ragazzi, il loro modo di conoscere Dio e l'aiuto educativo di cui hanno bisogno. Precisamente, se il modo d'essere religioso di questi soggetti è in dipendenza del loro modo di esperire la realtà, nonché della loro capacità relazionale come alterità, ne deriva che l'acquisizione di un vero atteggiamento religioso – apertura al Dio trascendente – richiede interventi educativi mirati, oltre che un annuncio evangelicamente appropriato, perché essi giungano a conoscere Dio nella forma sempre più rispettosa dell'alterità divina. Così, se i contenuti religiosi vengono mediati con il linguaggio esperienziale della vita interpretata alla luce della Bibbia (in particolare dei Vangeli), anche i bambini di 6-8 anni sono capaci di parole e immagini dalle chiare prospettive teologiche, spesso con un linguaggio e una forma freschi e imprevedibili. Essi, infatti, possiedono uno stile e una grazia del tutto particolari.
    Il fatto dunque che l'espressività religiosa dei fanciulli presenti caratteri diversi da quelli dell adulto, non vuol dire che la loro sia una religione «inferiore», ma che piuttosto essa ha una sua peculiarità che permette di caratterizzarla nella linea dell'appartenenza affettiva. Pertanto, valorizzando l'apertura sociale del fanciullo l'educazione alla fede potrà favorire l'iniziazione al senso di appartenenza alla comunità ecclesiale. Al riguardo il Direttorio generale della catechesi opportunamente relaziona il «tempo della prima socializzazione [...], alla prima formazione organica della fede del fanciullo e alla sua introduzione nella vita della chiesa» (n. 178).

    Tra sviluppo umano ed educazione alla fede c'è una vera correlazione

    Tenendo presenti le caratteristiche dello sviluppo e l'influsso che queste hanno sull'idea di Dio e sul senso di appartenenza ecclesiale è possibile individuare la peculiarità degli obiettivi dell'educazione alla fede in vista di formare il fanciullo cristiano. Per il loro modo d'essere e per dono di Dio, bambini e ragazzi, sono capaci di giungere ad alcuni essenziali comportamenti. Li indichiamo di seguito.

    Conoscono il messaggio che rende felici

    Al ritmo della propria crescita, bambini e ragazzi sono via via capaci di conoscere, anche solo in modo globale, i nuclei essenziali del messaggio cristiano. Essi sono in grado di sapere che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo; di percepire il significato della nascita di Gesù secondo i Vangeli e nella storia della salvezza; di comprendere che la vita terrena di Gesù e l'annuncio del suo Vangelo rivelano il volto di Dio Creatore e Padre; di sapere che la Pasqua di Gesù è il centro della fede cristiana e che la comunità dei credenti in Gesù risorto è inviata nel mondo a diffondere il messaggio di speranza per tutti gli uomini.
    Questa prima sintesi essenziale del messaggio cristiano è possibile che venga acquisita perché l'età tra i 7/12 anni si caratterizza per l'emergere dell'«attività razionale». Ora il ragazzo acquista consapevolezza di saper pensare anche se il suo pensiero è caratterizzato dalla logica concreta (Piaget), ossia egli impara per via induttiva: dall'esperienza alla conoscenza, all'azione.
    La ricerca scientifica, come pure l'esperienza, hanno documentato come le immagini utilizzate da Gesù nelle parabole evangeliche permettono al fanciullo di scoprire il Dio personale della Bibbia meglio delle definizioni teologiche proposte dai catechismi in uso prima del Vaticano II. Infatti, nel suo modo di apprendere, egli è incapace di avvalersi di proposizioni unicamente verbali astratte, però è in grado di entrare nella dinamica del racconto e di qui orientarsi verso il mondo esterno e di aprirsi a nuovi interessi grazie anche all'acquisizione dei concetti di tempo e di spazio. Concetti che gli rendono possibile una prima comprensione della stessa storia della salvezza narrata in modo lineare ed essenziale.
    Entrare nella Bibbia, testo fondante della fede cristiana, vuol dire entrare in un mondo di comunicazioni. Comunicare è comprendere l'universo di Dio e degli altri, contemporaneamente simile e diverso dal nostro universo. Il bambino – lo abbiamo visto – per la sua struttura mentale fa fatica ad uscire da sé, eppure desidera comunicare e questo lo porta a scoprire, a conoscere, a uscire da sé. La conoscenza, infatti, è una relazione fra F oggetto conosciuto e il soggetto che lo conosce. E il soggetto può conoscere solo un oggetto adatto alle sue capacità. Anche in questo senso si comprende come i bambini e i ragazzi abbiano bisogno della mediazione degli adulti.
    Perché essi possano maturare comportamenti connessi alla conoscenza del messaggio cristiano e quindi entrare nel mistero, è necessario che tutta l'educazione sostenga il loro cammino di fede. Conoscenza, comportamento etico, sviluppo affettivo richiedono infatti di essere integrati perché il conoscere la fede sia accolto in modo positivo. Al contrario si faranno strada atteggiamenti fideistici: rifugiarsi nel sacro per sfuggire alle difficoltà della vita; e materialistici: associare esperienze negative – rapporti in famiglia, a scuola, nel gruppo –alle realtà salvifiche con il conseguente rifiuto di credere nella paternità di Dio e nella chiesa comunità di fratelli.
    È dunque evidente che nell'incipiente strutturazione della personalità religiosa l'educazione religiosa dovrà mirare a raggiungere contemporaneamente obiettivi di contenuto e obiettivi di atteggiamento. La maturazione emotiva, infatti, sostiene l'acquisizione dei contenuti del messaggio cristiano e allo stesso tempo sostiene gli atteggiamenti che si vogliono formare. Non va comunque sottaciuto che le conoscenze acquisite nel tempo dell'iniziazione cristiana diventeranno per i ragazzi più trasparenti dopo la recezione dei sacramenti della Confermazione e dell'Eucaristia. E questo per il dono di grazia che rende possibile la penetrazione del mistero, la capacità cioè di gustare quanto è buono il Signore (cf. Sal 34,9).

    Crescono nella consapevolezza di essere «figli» del Padre

    Il ragazzo, crescendo, ricerca la propria identità. Questo impegno delicato per la strutturazione della giovane personalità richiede la maturazione di un giusto concetto di sé.
    Il bisogno di essere se stessi, di acquisire una propria identità personale è sostenuto – come si è già accennato – dal processo di identificazione con adulti significativi. Un tale processo assume la valenza di transfert istituzionale e costituisce l'humus su cui innestare il dono della dignità filiale. Precisamente, l'esperienza di essere figli/figlie, fratelli/sorelle all'interno della propria famiglia (o in alternativa nei gruppi, a scuola), aiuta gradualmente a comprendere il significato vocazionale della chiamata battesimale: essere in Gesù «figli» di Dio e «fratelli» nella comunità ecclesiale.
    Da questa presa di coscienza, illuminata e approfondita dalla catechesi, deriva una graduale maturazione degli atteggiamenti di fiducia e di sicurezza che interagiscono positivamente nella crescita cristiana permettendo di vivere le esperienze di vita in modo filiale come si rileva dai comportamenti propri dell'età e che l'educazione religiosa è chiamata ad arricchire. Ne risulta che gli obiettivi che la catechesi è chiamata a raggiungere per maturare atteggiamenti filiali sono i seguenti: la consapevolezza di essere amati da Dio Padre; l'abilitarsi a pregare il Padre con Gesù, nello Spirito, con la comunità ecclesiale; l'attenzione a leggere negli avvenimenti della vita quotidiana i segni della presenza di Dio; la disposizione a comportarsi come Gesù in conformità al volere del Padre; la sicurezza di essere sempre accolti dal Padre quando pentiti si chiede perdono.
    Il «Catechismo per l'iniziazione cristiana» – Io sono con voi (6-8 anni); Venite con me (9-10 anni); Sarete miei testimoni (11-12 anni) – costitusce un sicuro punto di riferimento per una evangelizzazione e una catechesi che, avvalendosi del processo di identificazione, mette in rapporto il fanciullo con i personaggi della Bibbia.
    È chiaro che in un tale processo la componente affettiva si intreccia saldamente con la componente cognitiva. L'una influenza l'altra ed entrambe caratterizzano lo stile e il ritmo di apprendimento del fanciullo.

    Vivono la loro appartenenza alla Chiesa

    Il desiderio di «provarsi» e di «affermarsi» si traducono in esperienze che, illuminate dalla Parola di Dio annunciata nella catechesi, celebrata nella liturgia, vissuta nei primi impegni concreti di servizio, aprono i ragazzi a una graduale e sempre più profonda percezione della propria appartenenza al gruppo e dal gruppo alla comunità ecclesiale.
    E questo proprio perché i ragazzi vanno via via imparando ad autocoinvolgersi in concreti progetti operativi al di là dei loro interessi immediati. In questo senso diventano capaci di estendere il loro senso di appartenenza oltre l'ambito della famiglia e di stabilire un contatto più significativo (allargato) con gli adulti educatori e un rapporto più intenso con i propri coetanei nei gruppi di appartenenza.
    Per i motivi psicologici indicati si comprende come il gruppo di iniziazione cristiana costituisca il «luogo» privilegiato per fare l'esperienza di sentirsi membri della comunità ecclesiale, per accogliere e vivere la Parola di Dio, per celebrare la salvezza annunciata. E tutto questo con l'originalità propria della realtà di ogni gruppo all'interno del quale la metodologia della traditio e della redditio (consegna e professione della fede) permette di raggiungere ciascuno.
    Gli obiettivi da raggiungere in vista di maturare l'appartenenza ecclesiale saranno i seguenti: collaborare per la realizzazione del proprio gruppo di appartenenza; vivere all'interno del gruppo il proprio battesimo come sequela Christi; animare con il proprio gruppo la celebrazione eucaristica domenicale; rispondere alla chiamata di essere testimoni di Gesù nel proprio gruppo.
    Il Catechismo per l'iniziazione cristiana vuole attivare una catechesi che assicuri il raggiungimento degli obiettivi indicati. Infatti il senso dell'appartenenza alla Chiesa famiglia di Dio, popolo di Dio (le categorie più accessibili ai fanciulli) costituisce la meta che percorre i tre volumi per l'età che ci riguarda: nella famiglia di Dio che ascolta la Parola, celebra e vive la carità, il bambino scopre la presenza di Gesù (6-8 anni); il ragazzo-discepolo di Gesù segue il Maestro nella e con la comunità ecclesiale (9-10 anni); nella Chiesa che è nel mondo il ragazzo assume le proprie responsabilità vivendo gli impegni che si va assumendo via via che si prepara al sacramento della Confermazione (10-12 anni).

    Scoprono i propri doni e li mettono a servizio degli altri

    È stato documentato che lo sviluppo bio-psico-sociale matura nel fanciullo gradualmente la capacità di relazione sociale e cosmica che si concretizza in una disponibilità di impegno e di creatività quale risposta al bisogno di valorizzazione dell'io. E questo è possibile in rapporto ad una valutazione positiva di sé maturata alla luce del giudizio che adulti e coetanei esprimono nei confronti dei fanciulli. Un tale giudizio, particolarmente a quest'età, ha un'incidenza decisiva sul modo di percepirsi e di comportarsi e contribuisce a far prendere o meno degli impegni.
    La presa di coscienza del proprio valore è alla base di un adeguato atteggiamento religioso. Così, è indispensable che i ragazzi acquisiscano la consapevolezza, attraverso l'accettazione degli altri, che la loro vita è importante davanti a Dio. Essi, pertanto, dovranno essere aiutati a scoprire i propri talenti come potenzialità da sviluppare e da esercitare nell'impegno di convivenza. Ossia, accanto alla scoperta dell'universo personale, il ragazzo comincia ora a valorizzare le realtà terrestri assumendo, insieme agli amici, il proprio ruolo nel rendere più bello l'ambiente in cui vive.
    Tutto questo appella l'evangelizzazione e la catechesi per contribuire a far maturare nei ragazzi alcuni importanti atteggiamenti, quali: il rispetto di sé e degli altri; la disponibilità a mettere i propri doni a servizio degli altri; l'apertura a scoprire i doni di Dio come potenzialità da sviluppare e da esercitare per un'ordinata convivenza che sempre caratterizza il cammino verso il divenire cristiani nella società attuale pluralistica ed esigente.
    La dimensione antropologica del Catechismo per l'iniziazione cristiana offre spunti per una vera promozione umana: apre al ragazzo orizzonti per lui finora inediti e lo inserisce quale collaboratore nel piano creatore e redentore di Dio. Così vivere la vita in pienezza nella realizzazione di sé e nel servizio agli altri è dare gloria al Dio della vita.

    Vivono da figli di Dio seguendo Gesù

    Lo stile di un ragazzo che cresce e ama la vita, che s'impegna nel gruppo e scopre con i compagni i valori del Vangelo ha sempre bisogno del confronto con gli educatori per riconoscere, nel concreto del proprio agire, il comportamento proprio di un figlio di Dio. E questo perché in loro vada gradualmente strutturandosi una vita onesta e produttiva secondo il comandamento dell'amore.
    Nel processo di assimilazione dei valori rimane di estrema importanza che i genitori, con la loro condotta, costituiscano il paradigma per eccellenza del retto agire morale in quanto essi, con la loro vita e in forza della valenza fortemente affettiva dei rapporti familiari, incidono fortemente sull'orientamento di vita dei ragazzi. Ma quando, come spesso accade, i genitori non sono testimoni coerenti deivalori evangelici e fonte affettiva primaria, occorrerà che la comunità cristiana supplisca.
    Nel processo educativo richiesto dal cammino di iniziazione cristiana occorrerà, tra l'altro, avere presente che i ragazzi si trovano spesso a dover conciliare situazioni le più disparate, talvolta anche contraddittorie e ambivalenti: oltre alle problematiche familiari, il più delle volte anche il vuoto educativo della scuola; l'influsso dei media sul modo di pensare e sul comportamento; gli stimoli del gruppo amicale che si contrappongono a quelli del gruppo parrocchiale di iniziazione cristiana.
    L'attenzione al ragazzo-in-situazione dovrà orientare a dosare gli obiettivi che l'educazione alla fede è chiamata a raggiungere: il ragazzo riconosce nei personaggi biblici, in particolare in Gesù e nei cristiani impegnati i modelli di condotta morale; si abilita ad analizzare le proprie azioni e a valutarle in rapporto alla parola e alla vita di Gesù. In questo modo egli fa apprendistato della sequela Christi.

    A modo di conclusione

    Da quanto detto si comprende la pregnanza delle parole con cui il Direttorio generale per la catechesi esprime la sua attenzione a questa età della vita. Si dice che il «processo catechistico sarà eminentemente educativo, attento a sviluppare quelle risorse umane che fanno da substrato antropologico alla vita di fede» (n. 178). E indica tali risorse con questi atteggiamenti: «il senso della fiducia, della gratuità, del dono di sé, dell'invocazione, della lieta partecipazione» (1. cit.).
    L'autorevole invito del magistero incoraggia a interventi educativi sempre più coordinati tra famiglia, comunità ecclesiale, scuola, gruppi associativi. È evidente il salto di qualità richiesto: l'educazione alla fede dei fanciulli va pensata e realizzata nel quadro di una educazione integrale e con l'apporto specifico di ogni ambiente educativo.
    Un rilancio della catechesi a questa età provoca in varie direzioni: il coinvolgimento degli adulti educatori, in particolare dei genitori, nel renderli collaboratori dell'educazione religiosa dei figli mediante la catechesi familiare; la testimonianza credibile delle comunità cristiane; il superamento di una trasmissione quantitativa dei contenuti della fede, sempre riduzionista, a favore della qualità della proposta cristiana che richiede essenzializzazione dei contenuti con l'impegno di calarli nella vita; la messa in atto di uno stile narrativo che, mentre è concreto, è massimamente coinvolgente la vita dei ragazzi e degli stessi educatori.

     

    Sommario
    I bambini e i ragazzi tra i sei e i dodici anni possono giungere a una vera maturità di fede anche se il loro modo d'essere religiosi si caratterizza con tratti diversi da quelli dell'adulto. Il particolare modo con cui essi rispondono agli appelli dello Spirito consente, infatti, di definire la loro religiosità nella linea dell'identificazione e dell'appartenenza affettiva. Educare i fanciulli alla vita di fede richiede attenzione allo sviluppo umano che l'educazione deve poter assicurare. Esiste di fatto una reale correlazione tra la crescita e lo sviluppo di atteggiamenti di fede. Precisamente, esiste corrispondenza tra il graduale sviluppo dell'attività razionale e il raggiungimento di una prima essenziale conoscenza del messaggio cristiano; tra la ricerca della propria identità personale e la scoperta della propria realtà di figli di Dio; tra la capacità di autocoinvolgersi nel proprio gruppo e l'inizia-none alla vita della comunità ecclesiale; tra la presa di coscienza del proprio valore e la capacità di mettere i propri doni a servizio degli altri; tra l'assimilazione dei valori e il viverli nel concreto del quotidiano. Tuttavia, non bisogna mai dimenticare che un tale impegno richiede veri educatori capaci di collaborare con Dio allo sviluppo del dono di grazia che ogni ragazzo porta con sé.

    NOTA BIBLIOGRAFICA
    Indichiamo alcuni studi utili per l'approfondimento: S. ANGORI (a cura di), La religione nella scuola materna ed elementare. Problemi educativi e didattici, La Scuola, Brescia 1997; C. BISSOLI (a cura di), «Dire Dio» oggi nella scuola elementare, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1995; S. CAVALLETTI, Il potenziale religioso tra i 6 e i 12 anni. Descrizione di una esperienza, Città Nuova, Roma 1996; R. GIOBERTI-M.L. MAZZARELLO, «Il bambino di fronte alla Bibbia», in AA. VV., Quale Bibbia e come nell'insegnamento della religione nella scuola elementare, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1992, pp. 29-51; S. GIUSTI, Una pastorale per l'iniziazione cristiana dei ragazzi dai 6- ai 14 anni, Paoline, Roma 1997; M.L. MAZZARELLO, Catechesi dei fanciulli: prospettive educative, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1986; M.F. TRICARICO, «Mondo dei bambini e influsso dei media nell'educazione religiosa. Implicanze cognitive, formative, didattiche», in C. BISSOLI (a cura), Religione e comunicazione. Aspetti significativi di contenuto e metodo nell'insegnamento della religione cattolica nella scuola elementare, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1997, pp. 39-68.
    Tra i testi più operativi ricordiamo: J. JONCHERAY- S. LALANNE- R. MARLE (a cura), Tabor. L'enciclopedia dei catechisti, Paoline, Milano 1995.

    NOTE

    1 Il termine fanciullo, anche se rientra nel sistema della lingua contemporanea, non viene considerato parola corrente. Tuttavia abbiamo optato per questo termine senza escluderne altri. Questo perché l'età tra i 6-11/12 anni, presenta al suo interno, uno sviluppo psicologico che nel giro di pochi anni segna forti cambi a livello cognitivo e affettivo. Nell'uso corrente infatti il termine è sostituito con quello di bambino (per i 6-9 anni circa) e di ragazzo (dai 9 anni in poi), e ciò si giustifica in rapporto alle abitudini comunicative. In queste pagine si useranno indistintamente i tre termini.
    2 Numerosi sono i pronunciamenti del magistero catechistico in questi ultimi decenni. Qui si fa riferimento solo ad alcuni documenti di valore universale: PAOLO VI, Esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» (1975); GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica «Catechesi tradendae» (1979); CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio generale per la catechesi (1971 e 1997).
    3 Le ricerche possono essere raggruppate secondo tre categorie: sviluppo cognitivo e immagine di Dio (Vianello et alii 1976 e 1991); istruzione religiosa e immagine di Dio (Dumoulin e Jaspard 1973, Melchiorre 1973); influsso dei genitori e immagini di Dio (Vianello et alii 1976, Coster 1981, Ronco, Fizzotti et alii 1993).
    4 Cf D. HELLER, Il Dio dei bambini. Indagine scientifica sull'idea di Dio in bambini di diverse religioni, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1991. A. PEZZOLI (a cura), Caro Dio ti scrivo... Lettere di ragazzi italiani, Rizzoli, Milano 1992.
    5 Cf J.-P. DECONCHY, Strutture génétique de l'idée de Dieu, Lumen Vitae, Bruxelles 1967, pp. 103-139.

    (Da: Credere oggi 109, 1(1999), pp. 85-96)


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