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    Spiritualità e infanzia:

    l’esperienza

    del Consolatore

    Giovanni Catti


    Parliamo dell'infanzia, e quindi parliamo di chi non può parlare. Questo significato è all'origine della parola infanzia, ed è in parte anche la sua vicenda. Chi è in questa età della vita non è fecondo, non è famoso. Però incomincia a lanciare qualche segnale, qualche suono dalle labbra come b, b. È accaduto che si sia data una interpretazione peggiorativa di tali segnali, e babbeo e bambo siano diventate parole utili per dire "sciocco". Sebambo è "sciocco", bambino non sarà "sciocchino"?
    "Scendeva dalla soglia di uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa... Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta...". Manzoni ne I promessi sposi (c. XXXIV) accoglie nella lingua italiana la parola "bambina". Questa bambina non dice parola, essendo morta, e non perché sciocchina. Però "tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo" è "come se fosse stata viva", con una sua eloquenza.
    Quindi parliamo dell'infanzia, ma più ancora di bambine e di bambini. Usiamo parole solitamente non usate come termini specifici dell'età evolutiva e delle sue scienze, per indicare genericamente un'età fra i primi palpiti nel grembo materno e i "nov'anni" del Manzoni.
    Parliamo di spiritualità, e quindi del fatto di essere spirituale e dell'atto di riconoscere l'essere spirituale. Ne parliamo con il rispetto dovuto alle parole desinenti in ità: da "divinità" a "umanità", a "materialità".

    Riconoscere l'essere spirituale

    Più che definire la spiritualità, desideriamo descriverla. Ci rivolgiamo alla Grecia antica. "...Ma che questa sia la sorte delle nostre anime, questa la loro dimora o presso a poco, dal momento che si è indiscutibilmente dimostrato la loro immortalità, mi sembra proprio che valga il rischio di crederlo" (Fedone, c. LXIII). Il filosofo prova simpatia per questa sapienza, dell'anima in contemplazione delle essenze invisibili agli occhi dell'anima immortale.
    Ci rivolgiamo alla Bibbia. "In principio Iddio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta, e le tenebre ricoprivano l'abisso; e lo Spirito d'Iddio aleggiava sulle acque" (Gen 1,1-2). "Allora il Signore Iddio plasmò Adam con polvere del suolo, e soffiò nelle sue narici un alito di vita; e Adam diventò un essere vivente"(Gen 2,7).
    Risaliamo da Socrate ad Adam, comprendiamo l'esperienza dello spirare del vento e dello spirare dell'essere vivente. Vasto è il campo della spiritualità e dello spirito, dello spirito con la iniziale minuscola e dello Spirito con la iniziale maiuscola.
    Ma è urgente che congiungiamo Spirito, spirito, spiritualità con infanzia, bambine e bambini in questo tema, in questo problema della spiritualità dell'infanzia.
    Altri sono come infanti appena nati, altri incominciano a crescere in Cristo, alcuni veramente sono di una età in qualche modo consolidata. È necessario considerare diligentemente a quali di loro occorra il latte, e a quali un cibo più solido, e offrire ai singoli gli alimenti di dottrina, che arricchiscano lo spirito. Nel trasmettere i misteri della fede e i precetti di vita conviene che ci si adatti alla capacità di sentire e d'intendere degli ascoltatori. Mentre gli animi di quanti abbiano esercitate queste capacità sono stati ricolmati di cibo spirituale, i piccoli non siano rassegnati a perire di fame.
    Con tali parole il Catechismo per i parroci (Roma 1566) nella sua prefazione si rivolge ai pastori di anime. Nel medesimo tempo attrae la nostra attenzione su un certo modo di concepire la crescita, l'età, tenendo come referente lo spirito, il suo arricchimento, il suo nutrimento. Lo spirituale ci sembra qui specificato nel quadro della vita razionale, superiore a quella sensitiva e a quella vegetativa, come si sarebbe detto in quel tempo.
    Soggetti portatori di deficit mentale, soggetti svantaggiati sul piano intellettivo e volitivo, non dimostrano a volte di gustare alimenti per la loro vita spirituale?
    Nella rivelazione cristiana lo Spirito santo è titolare di una somma virtù dell'Altissimo. È l'annuncio a Maria: "Lo Spirito santo verrà sopra te e la virtù dell'Altissimo ti adombrerà; e perciò il Bambino santo sarà chiamato Figlio d'Iddio" (Lc 1,35).
    È l'annuncio a Nicodemo: "Nessuno, se non nasce per acqua e Spirito, può entrare nel regno d'Iddio. Ciò che è nato dalla carne è carne, e ciò che è nato dallo Spirito è spirito. Non ti meravigliare, se io ti ho detto: "Vi occorre nascere dall'Alto. Il vento soffia ove vuole, e tu senti la sua voce ma non sai donde venga né dove vada. Così avviene di chiunque è nato dallo Spirito" (Gv 3, 5-8).

    L'infanzia assunta dal verbo

    Lo spirituale si può ritrovare nell'essere umano. Lo Spirito irrompe in questo essere umano.
    "Ne abbiamo a lungo parlato, abbiamo sentito il bambino piangere nella stalla, lo abbiamo adorato: adoriamolo tutti, oggi. Solleviamolo nelle nostre braccia, adoriamo il Figlio di Dio. Un Dio potente, che per lungo tempo tuonò nel cielo, e non salvò: egli pianse e salvò".
    "Perché vi ho detto tutto questo? Perché l'esaltazione non salva: ma l'umiltà salva. Il Figlio di Dio era nel cielo, e non era adorato: discende sulla terra, ed è adorato. Teneva sotto la sua potestà il sole, la luna, gli angeli, e non era adorato: nasce sulla terra, uomo, uomo fino in fondo, integralmente uomo, per guarire la terra intera. Tutto ciò che di umano lui non ha assunto, non lo ha salvato".
    Nella linea della divina irruzione, Gerolamo commenta il racconto del Natale in Betlemme, in questo Sermone pubblicato da dom Morin e da lui restituito a san Gerolamo (PL, suppl. II, 189-193). L'infanzia umana è stata assunta dal Verbo, quindi è stata salvata, è stata elevata all'eminente dignità dei figli d'Iddio. Poi il Maestro buono parlerà delle bambine e dei bambini, parlerà con loro: intanto il fatto è in sé perfettamente eloquente.
    Qui trova il suo buon fondamento la dottrina della "infanzia spirituale", scevra da un recedere nell'infanzia, un regredire deteriore chiamato "infantilismo". È la dottrina della spiritualità dei figli d'Iddio in quanto figli d'Iddio: del dono, della grazia dei giusti, dei santi, degli amici d'Iddio, dei fratelli di Gesù Cristo e degli eredi del Paradiso. [1]
    Il rapporto di Gesù con le bambine e i bambini integra gli insegnamenti con il fatto iniziale commentato da Gerolamo. Per studiare questo rapporto occorre notare che a volte negli scritti del nuovo Testamento si parla di bambine e di bambini propriamente detti; altre volte invece di "piccoli credenti", nel senso di adulti in atto di diventare figli d'Iddio alla sequela di Gesù. [2]
    "Poi, preso un bambino, lo mise in mezzo a loro e prendendolo fra le braccia disse a loro: "chiunque riceve uno di questi piccoli in nome mio, riceve me; e chi riceve me, non riceve me, ma chi mi ha mandato" (Mc 9,36.37).
    "Gli conducevano i bambini perché li toccasse. Ma i discepoli sgridavano coloro che glieli presentavano. Ma Gesù, vedendo ciò, si sdegnò e disse: "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, poiché il regno d'Iddio è di quanti assomigliano a loro. Amen vi dico: chi non riceverà il regno d'Iddio come un bambino, non vi entrerà". E li abbracciò, e li benedisse, imponendo su loro le mani" (Mc 10,13-16).
    "Io rendo lode a te, o Padre Signore del cielo e della terra, per avere nascoste queste cose ai savi e agli intelligenti, e per averle rivelate ai bambini. Sì, o Padre: tale è stato il tuo beneplacito" (Lc 10,21=Mt 11,25-27).
    Ci sembra che in questi tre casi si possa tradurre l'originale con "bambino", "bambini". Fluisce una dottrina capace di capovolgere il senso bambine e bambini sono inclusi nelle assemblee, mentre prima ne erano emarginati ed esclusi dagli adulti. Il Maestro buono li abbraccia teneramente, impone su loro le mani e li consacra al Padre solennemente: sono soggetti e non oggetti utili per una didattica. Occorre diventare come loro, non reputati savi, non reputati intelligenti, e questo è divino beneplacito, divino decreto, non è una figura retorica, non è soltanto un'esortazione.
    Questo beneplacito, questo decreto appare fondato prima di tutto sull'evento del Verbo fatto carne. Siamo chiamati a essere poveri poiché lui si è fatto povero, siamo chiamati a essere bambini poiché lui si è fatto bambino.

    Israele = bambino

    Per interpretare la Bibbia conviene porre l'idea del povero accanto all'idea del bambino, conviene porre l'idea d'Israele nel deserto accanto all'idea del bambino. Israele=bambino nel suo pianto sembra dire: io ho poco, io ho niente; io sono poco, io sono niente. Iddio è, lui sarà, e fa essere la bambina e il bambino, li chiama ognuno per nome.
    Sembra utile insistere nell'idea della semplicità e dell'innocenza dell'infanzia. Sembra più utile seguire la via indicata dai poveri e da Israele nel deserto. Ma che cosa dire del rapporto delle bambine e dei bambini con Gesù? Occorrono, per usare parole di Bernardino da Siena, esempi grossi e palpabili.
    Maria Fargues ne I metodi attivi nell'insegnamento della religione (tr. it., Milano 1942) offriva un repertorio di esperienze come la seguente. Una bambina disegna accanto a un'altra bimba, conversano su che cosa, su chi disegnare: è possibile disegnare Gesù fattosi uomo perché noi lo potessimo disegnare.
    Sembra di riudire la voce di Giovanni di Damasco, amico delle icone; specialmente si ode qui il desiderio di comprendere qualcuno, di nome Gesù. Questo desiderio è probabilmente educato da una catechesi coerente con il criterio di riconosce che Gesù è al centro della catechesi: Gesù vivo, risorto.
    Silvio Riva lascia in Ragazzi che meditano e soprattutto in L'amico Gesù [3] documenti di un'esperienza fondata sulla dottrina della spiritualità dei Figli d'Iddio, fraterni amici di Gesù e tanto estesa da dar luogo fino a oggi a venti edizioni con traduzioni in varie lingue, del piccolo libro ultimamente citato.
    Significativa e importante rimane anche, a proposito del rapporto con Gesù spiritualmente inteso, l'esperienza di Mario Lodi: "Quando insegnavo in una scuola di campagna. Avevo letto ai bambini il Vangelo di Luca e, immaginando che cosa sarebbe successo se Gesù fosse nato nel loro paese, riscrissero il Vangelo". [4]
    Nell'orazione e nella narrazione bambine e bambini si dimostrano partecipi della signoria sul tempo, oltre che sullo spazio. La Domenica delle Palme, opportunamente chiamati e preparati, partecipano all'assemblea acclamando:"Osanna".
    Sono mèmori dell'"Osanna" dei fanciulli nel Tempio di Gerusalemme (Mt 21,15), e vi si associano. La loro anàmnesi è più che un ricordo dal tempo presente al tempo passato. Acclamano in un medesimo tempo con i coetanei di due millenni or sono. Si direbbero più provveduti degli adulti per una partecipazione consapevole e attiva alla liturgia.
    De Missis cum pueris, ossia delle messe con soggetti nell'età della puerizia, tratta il direttorio Pueros baptizatos della Congregazione per il culto divino, il 1 novembre 1973 (AAS 66(1974), 30-46). È un atto della sede apostolica, ad altissimo livello di autorevolezza.

    La partecipazione liturgica

    Il concilio Vaticano II anche a loro favore disse: "I riti splendano per nobile semplicità" (Sacrosanctum concilium), ma "nonostante l'introduzione nella messa della lingua materna, le parole e i segni non sono stati sufficientemente adattati alla capacità comprensiva dei fanciulli".
    "Rimane il pericolo di un danno spirituale se nei loro rapporti con la chiesa i fanciulli sono costretti a fare per anni ripetute e identiche esperienze di cose che ben difficilmente riescono a comprendere; studi psicologici recenti dimostrarono quale profonda influenza formativa eserciti sui fanciulli, in forza di una singolare capacità religiosa, di cui godono, l'esperienza religiosa dell'infanzia e della prima puerizia".
    Il documento citato si fa propositivo. Se i fanciulli hanno già un senso d'Iddio e del divino, facciano anche l'esperienza dell'azione comunitaria, del saluto, della capacità di ascoltare, del chiedere e dell'accordare il perdono, del ringraziamento, del compiere azione simboliche, del clima di un banchetto amicale, della celebrazione festiva.
    Su tale sfondo si rende possibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica, nelle forme incipienti della liturgia del gesto e del silenzio all'ombra della Parola. Ricordiamo Hèlene Lubienska de Lenval e le sue suggestioni su La liturgie du geste e Le silence a l'ombre de la Parole (tr. it., Paoline, Catania 1958). Incarichi e servizi, luoghi e tempi, preparazione delle celebrazioni si connettono con i canti e le musiche, i gesti, gli elementi visivi, i momenti di silenzio si compongono in un'unica prospettiva, culminante nelle varie parti della messa. Vi si riconosce la qualità di una partecipazione attiva, consapevole: di una spiritualità liturgica adatta all'infanzia.
    Comprenderanno? La domanda suggerita dal buon senso, dal senso comune, si ritrova in un termine usato da filosofi e da giuristi: discrezione, da "discernere", "distinguere". La questione dell'età della discrezione fu affrontata nel decreto Quam singulari della Congregazione dei sacramenti sulla età richiesta per essere ammessi alla prima comunione (AAS 2(1910), 577-583).
    L'inizio del documento ne dice l'argomento e lo spirito: il singolare amore del Signore per i fanciulli. L'argomentazione è stringente. Se vi è capacità di distinguere il bene morale dal male morale, a maggiore ragione vi è capacità di distinguere il pane e la mensa dell'eucaristia dal pane e dalla mensa di ogni giorno. La persona battezzata, appena raggiunta la soglia di tale discrezione tra pane e pane, tra mensa e mensa, è da ammettere alla comunione.
    La questione torna a essere affrontata nella Dichiarazione sul sacramento della penitenza da premettere alla prima comunione dei fanciulli della Congregazione per la disciplina dei sacramenti (AAS 65(1973), 410) e nella lettera della Congregazione dei sacramenti su Confessione e prima comunione dei fanciulli (AAS 69(1977), 132-139).

    La coscienza di sé

    Su L'età della discrezione fra disciplina ecclesiastica e psicologia dello sviluppo, una tesi di laurea in psicologia pedagogica è stata discussa lodevolmente da Monica Giorgi nella facoltà di magistero dell'Università di Bologna, l'anno accademico 1985-86. Da questo e da altri studi sembra venire conferma di una duplice scoperta. Ogni essere umano è propriamente una persona e nella persona troviamo intelligenza e libertà di volere: specialmente troviamo la capacità di rendere testimonianza a se medesimi, chiamata già dai greci antichi "coscienza". "Per ogni mortale la coscienza è un dio", scriveva Menandro (Frammento 654, Didot, 103).Con una gradualità propria di ogni essere umano la coscienza presente si manifesta, sicché prudenza vuole che la si consideri con riverenza in qualsiasi aspetto e in qualsiasi momento della vita della persona. Le prove di valutazione, già ardue e impervie di fronte all'intelligenza e alla libertà di volere, sostano di fronte all'enigma della coscienza, dei suoi albori, della sua aurora.
    Dibs è un nome inventato da Virginia M. Axeline (nota nel mondo della psicologia per i suoi contributi agli studi e alla pratica della ludoterapia sui bambini, a incominciare dalla sua "opera prima": Ludoterapia: i disordini interiori dell'infanzia) per dar conto di una ludoterapia da lei realizzata con un bambino di circa otto anni. [5] Nell'ultima seduta Dibs chiede e ottiene una procedura insolita: uscire dalla sede della ludoterapia per entrare nella chiesa vicina. Per la prima volta nella sua vita Dibs entra in una chiesa, e alcune sue frasi diventano considerevoli a proposito della divina signoria sui nostri atti religiosi e sulla nostra vita spirituale. "Ora entriamo. Andiamo a vedere dentro. Mi sento tanto piccino. Mi pare di essere come rattrappito. La nonna dice che la chiesa è ma casa di Dio. Ora, io Dio non l'ho mai visto, ma dev'essere spaventosamente grande per aver bisogno di una casa come questa. E Jake (il giardiniere, ndr) diceva che le chiese sono luoghi sacri. Andiamo via. Andiamo via. Ho paura. Aspetta. Ascolta. Non andiamo via ancora. Questa grandiosità e questo rumore mi fanno paura. Ma è così bello che mi sento riempire di luce e di bellezza. Che cos'è questo strano rumore? Non avevo mai sentito una musica simile in tutta la mia vita. Mi fa sentir freddo. Mi fa venire i brividi. Non avevo mai visto niente di più bello. Andiamo via di qui. Aspetta un minuto. Ciao, Dio, Ciao".
    "È stato veramente molto bello. Oggi sono stato nella casa di Dio. Per la prima e ultima volta nella vita, sono stato nella casa di Dio. Dimmi. Perché c'è chi crede in Dio e altri no? Ma è vero che c'è gente che ci crede e altri no? La nonna ci crede. Ma papà e mamma non sono credenti. Jake ci credeva. Me l'ha detto lui. Come sarà Dio? Una volta la nonna mi disse che Dio è il nostro padre, lassù in Paradiso. Dire padre è un altro modo di dire papa".
    "E io non vorrei che Dio somigliasse a papà. Perché certe volte non credo che papà mi voglia bene. E se io credessi in Dio come ci crede la nonna, vorrei che mi volesse bene. La nonna dice che papà mi vuol bene. Ma se è vero perché io non lo sento? La nonna me ne vuole e io gliene voglio e lo so perché lo sento fin nel profondo del mio intimo. È difficile raccapezzarsi in queste cose. Quella è la casa di Dio. La nonna dice che Dio è amore. E Jake diceva di credere in Dio. Io non ho mai pregato. Ma mi piacerebbe parlare con Dio. Mi piacerebbe sentire che cosa ha da dirmi. C'è un ragazzo nella mia classe che crede in Dio. È cattolico e crede in Dio. Ce n'è un altro che è ebreo e va in una sinagoga che gli ebrei hanno costruito per il loro Dio. Ma papà e mamma non sono credenti, perciò non lo sono nemmeno io. Mi fa sentire molto solo il fatto di non conoscere Dio. La nonna è una donna buona. Va in chiesa e canta inni al Signore. Lei crede. Dimmi, perché c'è chi crede in Dio e altri no?" (o.c., 234-237).
    L'autorevolezza dell'autrice ci persuade dell'autenticità delle parole di Dibs. Ma dato e non concesso che si trattasse di una finzione, le medesime parole ci offrono a ogni modo un repertorio non confuso di questioni inerenti alla spiritualità di bambine e bambini.

    L'annuncio autorevole e gioioso

    "In hac velut ecclesia domestica parentes verbo et exemplo sint pro filiis suis primi fidei praecones", si legge nella costituzione Lumen gentium (n. 11).
    Si parla di praecones, e la mente va al preconio pasquale, alla lode del cero, al formulario solenne e bello, cantato per la benedizione di questo cero, figura di Cristo risorto. Tale figura di Cristo risorto viene a dire come i genitori siano chiamati a essere autorevoli e gioiosi annunciatori della fede alle figlie e ai figli.
    La chiesa è nella casa, è "domestica", dal momento che la madre e il padre con la parola e con l'esempio sono insieme segno della divina misericordia e della divina fedeltà.
    La solennità del preconio fa pensare alla loro autorevolezza, la bellezza del preconio fa pensare alla gioia del loro annuncio. Se il loro annuncio è il primo, vuol dire che tutto l'annuncio è sotto il segno della gioia.
    Il caso di Dibs mette alla prova questo disegno. Ci sembra però d'intravvedere accanto a lui una figura materna, quella della nonna, e una figura paterna, quella di Jake, il giardiniere. È arduo e impervio, almeno qualche volta rivolgersi all'Altissimo con la parola "padre", anzi "babbo", se si tien conto dell'umana esperienza. Ma chi insegna a dire "Padre" insegna anche a sradicare ogni ansia.
    "Io spero che nell'immediato futuro vengano fatti a questo proposito progressi sostanziali. Allora il presente libro sarà considerato come un testo appartenente alle prime fasi dello studio della religiosità infantile e avrà esaurito il suo compito: offrire una prima base alle persone interessate per approfondire la propria conoscenza della religiosità infantile, e per superare i troppi concetti stereotipati su cui è fondata, purtroppo, la maggioranza dei testi dedicati a questo argomento". Con questa speranza Renzo Vianello concludeva il suo libro La religiosità infantile [6] e inaugurava una serie di pubblicazioni dando conto delle sue ricerche continuate fino a oggi, ben fondate su colloqui di tipo clinico a integrazione di dati ricavati con l'osservazione diretta e i questionari.
    Le ricerche sulla religiosità infantile ci sembrano progredite anche in Italia, rispetto al tempo della famosa affermazione: "Non si può negare, inoltre, che vi è qualche cosa d'istintivo in questo bisogno di dipendenza che caratterizza il sentimento religioso... La facilità con cui il bambino, ancora prima dei quattro anni, si mette in atteggiamento di preghiera, non è solo dovuto all'apprendimento e all'imitazione, ma è indice di questa tendenza". [7]
    Quest'ultimo autore citato afferma anche che "la religione ci si presenta innanzitutto come riconoscimento intellettuale dell'esistenza di un Essere creatore... Non si dà in ogni caso vita religiosa senza attività intellettuale e volitiva".
    Ci sembra che tale sentenza sia riferibile a una religiosità assai distante dalla spiritualità da noi indicata. Bambine e bambini ci lanciano segnali di tale spiritualità, anche se questa rimane in certo modo e in certa misura nell'enigma e nel mistero.
    Robert Coles (medico e psicoanalista, psichiatra infantile con i bambini a New Orleans nel 1960, nel quadro dell'assistenza psicologica e sociale contro il segregazionismo, docente di psichiatria alla Harvard University) nel suo libro La vita spirituale dei bambini. Il senso religioso nell'esperienza infantile [8] racconta: "In occasione della mia terza visita ad Anna Freud, avevo discusso della questione religiosa da un punto di vista sia generale sia personale. Lei, naturalmente, aveva ascoltato con attenzione. E, alla fine, aveva avanzato un suggerimento: "Lascia che siano i bambini ad aiutarti con le loro idee sull'argomento"" (o.c., 12.13).
    Accogliamo il suggerimento di mantenere uniti i nostri due obiettivi, di considerare sincronicamente le due questioni: che cosa sentiamo e concepiamo noi della spiritualità delle bambine e dei bambini, che cosa sentono e concepiscono le bambine e i bambini della loro spiritualità.
    Continua il racconto di Coles: "Per anni, quando i nostri figli erano tra i sei e i dieci anni, mia moglie li ha condotti ogni settimana alla scuola domenicale episcopaliana, anche se mi stancavo, e a volte addirittura mi irritavo, per le immaginette che portavano a casa, per quella totale immersione negli aspetti esteriori della vita religiosa. Ma un nostro figlio, il pomeriggio di una Domenica delle Palme, mi rese per sempre uno strenuo sostenitore di tale esperienza educativa, perché da essa, con splendida ironia, scaturì questa ponderata affermazione: "C'è la religione e c'è lo spirito'"Da dove arrivava questa idea? Nostro figlio, dieci anni, ci rispose: "San Paolo ha parlato della forma e della sostanza, e della differenza fra le due cose, e l'insegnante ci ha detto che puoi anche andare sempre in chiesa e obbedire a tutte le leggi della chiesa, eppure non essere completamente dalla parte del giusto, perché non sei veramente spirituale". Gli abbiamo chiesto come sapere se si era spirituali e non semplicemente religiosi, e lui, con prontezza: "È Dio a stabilirlo, non noi""(o.c., 14.15).
    L'altissimo, onnipotente e buon Signore è al centro della spiritualità della bambine e dei bambini, e del nostro riguardare questa spiritualità. Si tratta di un atteggiamento teocentrico e non antropocentrico, per usare le parole di Henri Bremond (sacerdote, critico letterario e storico, 1865-1933; autore della Storia letteraria del sentimento religioso in Francia).
    Coles junior è convinto che sia lui a discernere il religioso dallo spirituale. Dibs è persuaso che lui serbi qualche cosa da dire a Dibs.
    La ragione più profonda della consuetudine di battezzare gli infanti risiede nell'amore preveniente d'Iddio: questo amore proviene da lui e nel medesimo tempo previene la creatura. Per questo la consuetudine dal tempo apostolico è continuata, poiché si riconosce nel battesimo degli infanti un segno dell'amore preveniente d'Iddio. È il caso di parlare dello Spirito, di scrivere la parola con la iniziale maiuscola: il vento, il fuoco e l'acqua sono suoi simboli, e lui è indicato da Gesù come il Paràclito, ossia il consolatore, il confortatore, il difensore.
    Nella prospettiva dello Spirito Santo, l'aspetto religioso dell'educazione consiste nella ricognizione di quanto il Paraclito stia operando nell'intimo di bambine e bambini.
    Tale convinzione libera genitori, educatrici, educatori, dalla paura ansiosa di fronte al grave compito dell'aspetto religioso della educazione, e nel medesimo tempo chiama genitori, educatrici, educatori a una consolante e confortatrice collaborazione.

    NOTE

    1 Cf. Gianni Gennari, Teresa di Lisieux. La verità è più bella, Ancora, Milano 1974, dove si segnala la parola enfant negli scritti autentici di Teresa, da tradurre "figlio", meglio che "infante".
    2 Cf. S. Légasse, Jèsus et l'enfant. Enfants, petits et simples dans la tradition, synoptique, Gabalda, Paris 1969).
    3 Rispettivamente: IPL, Milano 1939 e AVE, Roma 1939.
    4 Prefazione a Borgofavola. Parole di Giovanni Catti. Disegni di Francesco Guerrini, EDB, Bologna 1994.
    5 Storia di Dibs, Mondadori, Milano 1964.
    6 Giunti Barbèra, Firenze 1976.
    7 Agostino Gemelli, La psicologia dell'età evolutiva, Giuffrè, Milano 1955, 340.
    8 Rizzoli, Milano 1992.

    (Regno-att. n.6, 1995, p.148ss)


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