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    I ragazzi soldato


     

    Juan E. Vecchi

    (NPG 2001-04-05)


    Trecentomila adolescenti, maschi e femmine, sono nei fronti di combattimento, arruolati da governi o reclutati da gruppi vari, senza scrupoli. Così l’hanno stimato sei agenzie umanitarie internazionali.

    L’età del reclutamento supera generalmente i quindici anni; ma cresce il numero di soldati/bambino che hanno solo dieci anni o anche meno. Il coordinatore della coalizione di associazioni che si batte su questo fronte ha dichiarato: «L’utilizzo dei bambini come soldati non è tollerabile in una società civile, occorre porvi fine. Perciò la coalizione rivolge un appello alla comunità internazionale perché garantisca ai giovani con meno di 18 anni una rigorosa protezione legale contro il loro impiego nei conflitti armati». Rigorosa si dice, cioè con monitoraggio e corrispondenti richiami o sanzioni, secondo nuovi rapporti di collaborazione tra i vari paesi interessati al triste fenomeno.
    * La mia memoria è piena dei racconti sui ragazzi-soldato della Sierra Leone, ai quali vengono fornite armi da guerra con licenza di ammazzare, e capita con terribile frequenza che essi vengano orrendamente mutilati dai loro avversari, perché non possano continuare a combattere. I miei occhi hanno ancora impressa una scena nell’Angola. Eravamo all’aeroporto. Scorgemmo un gruppo di persone, poco più che ragazzi, che veniva spinto verso aerei militari da trasporto. Erano il frutto di una rusga. La rusga è un’operazione improvvisa di reclutamento: si setaccia senza preavviso un quartiere, un paese, una piccola città e si portano via i giovani che si giudicano adatti a entrare a far parte dell’esercito o di un gruppo combattente. Si operano rusghe nelle scuole, nei cinema, per le strade, nelle famiglie...
    Il New York Times del 11/9/2000 riporta il racconto di Ranuka, reclutata a tredici anni dal fronte etnico Tamil, e di Malar Arumugam, orfana, assoldata quando aveva otto anni appena. Il giornale riporta anche la descrizione impressionante di un reclutamento da parte dello stesso gruppo fatto in una scuola, radunando in un’aula gli alunni e intruppandoli senza pietà. Negli ultimi anni si sono contati fino a sessanta paesi che hanno utilizzato ragazzi in eserciti regolari, e/o in gruppi ribelli. In alcuni casi il numero delle ragazze superava quello dei ragazzi. Si sente parlare di ragazzi/soldato in riferimento al Sudan, all’Uganda, alla Liberia.
    * Ma se è vero che l’Africa detiene il primato, il fenomeno tuttavia esiste anche in Asia. Per esempio in Birmania dove la dittatura militare ha deciso di aumentare l’esercito per combattere le tendenze separatiste, arruolando ragazzini. Né si salva l’America che conosce in Colombia i ragazzi/sicario o in Perù i ragazzi/soldato reclutati da Sendero Luminoso. Non è difficile immaginare in che modo istruttori e comandanti preparino questi minori alla lotta: sottomissione anche attraverso forme di tortura, eccitamento irreale, droga. Gli addestramenti portano il segno della durezza e della crudeltà, perché tali saranno le caratteristiche delle loro missioni.
    Le storie individuali sono molte e quanto mai illuminanti. Naftal del Mozambico oggi ha diciassette anni. È stato preso quando ne aveva undici, mentre era in famiglia. Per due anni sparò con il suo AK47. «Se non l’avessi fatto, loro avrebbero sparato a me», disse in una testimonianza raccolta dell’Unicef. Per questo negli ultimi dieci anni sono stati uccisi oltre due milioni di ragazzi al di sotto dei 18 anni, secondo i dati dell’ONU.
    * Non mancano reazioni. Una coalizione di istituzioni umanitarie vuole ottenere un «protocollo sui bambini soldato» nell’ambito della convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. E c’è da ringraziare il Signore che queste forze si muovano. Ma rimane l’interrogativo su chi farà osservare questi protocolli, se le potenze determinanti pensano che niente debba compromettere i loro interessi economici.
    Tutti devono prendere coscienza del fenomeno. E cercare con ogni mezzo di influire anche presso i propri governi e rappresentanti internazionali, saper presentare la questione e chiedere di verificare le situazioni denunciate.


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