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    Roberto Giannatelli

    (NPG 1973-05-02)


    Sulle pagine della rivista, di tanto in tanto, compaiono articoli che fanno il punto su un determinato progetto pastorale.
    Hanno lo scopo di indicare un termine di confronto preciso e articolato su cui misurare la propria azione pastorale. Sottolineano soprattutto l'aspetto e le problematiche globali, di «mentalità», tesi come sono più alla sintesi che all'analisi approfondita.
    È una scelta per un servizio qualificato.
    Chi si trova nella mischia del quotidiano, ha il pericolo incombente di lasciarsi travolgere dalla frammentarietà: la sua sensibilità e la risonanza provocata dall'aver indovinato la lunghezza d'onda giusta, lentamente sfuocano la piattaforma di lavoro per mettere l'accento sul particolare a scapito dell'insieme.
    La specializzazione, anche nella scelta di un punto di perno della propria azione pastorale, è un gran bene. Ma non può essere vissuta contro la completezza.
    Fare pastorale significa entrare in dialogo con tutto l'uomo, afferrarlo nella sua totalità: «principio fondamentale è l'unità interiore della persona» (RdC 159). Il rischio delle lacune pedagogiche dovrebbe tener all'erta. Perché questa lunga premessa, scontata per molti lettori e forse complicata e incomprensibile per altri?
    L'articolo che presentiamo segna un punto fermo nella metodologia dell'educazione cristiana dei preadolescenti: questo è il... pretenzioso obiettivo redazionale.
    L'autore indica le opzioni privilegiate - non come «vie a scelta», ma come insieme organico - attraverso cui camminare per fare una pastorale della preadolescenza «fedele a Dio e fedele al ragazzo di oggi».
    Ogni tema meriterebbe una lunga trattazione per diventare concreto fino agli ultimi risvolti: qualcosa e già stato scritto sulla rivista, altri interventi sono in cantiere.
    Resta comunque il pregio della sintesi. L'articolo più essere letto tutto d'un fiato, ma va soprattutto utilizzato come pietra di paragone di ogni programmazione pastorale. Smarrire per strada qualche opzione... potrebbe comportare la perdita di un dialogo costruttivo.
    Lungo il corso dell'articolo, l'autore motiva le sue scelte anche se, necessariamente, a volo d'uccello.
    Può rimanere il dubbio. Perché queste opzioni e non altre?
    È la sensibilità attuale della chiesa italiana che invita a questa scelta preferenziale, per i preadolescenti d'oggi.
    La riflessione su queste piste, la sperimentazione e lo sforzo di traduzione al concreto delle istanze metodologiche potranno diventare un'ottima propedeutica alla promulgazione ufficiale del «catechismo per i preadolescenti» che la comunità ecclesiale italiana attende con interesse, sulla linea del RdC.


    Il problema sarà affrontato da due angolazioni precise:
    * la prima considera nel preadolescente (= PA) lo sviluppo dell'uomo e del cristiano, e non solo l'insegnamento religioso (= IR): perciò si parla di «educazione cristiana»;
    * la seconda manifesta il proposito di chiarire una strategia di azione pastorale, quanto meno nel momento delle indicazioni di mete e direttrici di marcia.
    Diciamo innanzitutto educazione cristiana. Abbiamo perciò davanti un ragazzo che cresce, un «uomo in costruzione», che elabora un progetto e che è in tensione verso il suo conseguimento. La meta è appunto la maturità umana e cristiana che il soggetto dovrà conseguire per sentirsi ed essere un uomo «riuscito».
    In questa prospettiva, consideriamo la catechesi non estranea al processo educativo di maturazione. La catechesi (da parte dell'educatore) e l'approfondimento della fede (da parte del ragazzo), rappresentano anzi il nucleo centrale e propulsore di tutto questo sviluppo: il sistema delle idee, delle convinzioni, dei valori danno una direzione allo sviluppo del credente. C'è maturità umana e cristiana, quando idee, valori, atteggiamenti, comportamenti, formano un tutto coerente e integrato, costituiscono una situazione vitale acquisita stabilmente, nella quale l'uomo ritrova se stesso, realizza il suo «io ideale», il suo «progetto di vita» e, in definitiva, la sua riuscita e la sua felicità (cf G. Groppo, Educazione cristiana e catechesi, L.D.C., Torino-Leumann 1972).
    Le opzioni fondamentali si riferiranno a una strategia educativa e pastorale. Sono «direttrici di marcia», «piste» da percorrere nella speranza di poter conseguire un risultato soddisfacente. Sono «scelte» perché non completamente deducibili da assiomi indiscutibili, ma piuttosto intuizioni da verificare costantemente sul campo. Si fondano su un'analisi della situazione e hanno presente un quadro teologico e pastorale più vasto. In concreto, le opzioni pastorali che proponiamo, si collocano nel quadro del rinnovamento della catechesi voluto dal Documento di base per il nuovo catechismo italiano (Il rinnovamento della catechesi, EPI, Roma 1970 = RdC).
    Dobbiamo allora tener presenti le prospettive di rinnovamento catechistico che ci sono indicate dalla C.E.I. in questo documento veramente storico per la pastorale in Italia, e che possiamo così puntualizzare:
    * responsabilità di tutta la Chiesa di fronte all'annuncio della Parola di Dio (v. cap. I, II, X): ogni battezzato è oggetto e soggetto di catechesi;
    * estensione delle mete della catechesi, oltre la conoscenza del mistero cristiano: iniziazione alla Chiesa e integrazione tra fede e vita (soprattutto il cap. III);
    * necessità di un fiducioso, pieno e graduale annuncio del messaggio cristiano ad ogni età (cap. IV, VI);
    * adattamento all'età, alla capacità, alle situazioni concrete di vita, al livello di fede e di maturità cristiana, all'impegno temporale, alla problematica dei fedeli, tenendo conto dei dati delle scienze psico-sociologiche (cap. VII, IX) (Cf U. Gianetto, Obiettivi e scelte per una catechesi «incarnata», in «Via, verità e vita», 1972, n. 37).
    Va ancora detto che oltre ad avere presente il RdC, noi ci metteremo nella prospettiva dell'«Ipotesi di catechesi per i preadolescenti» (U.C.N., Roma 1972, pro manoscritto).

    OPZIONE «SCOPERTA»

    Il preadolescente in esplorazione

    La preadolescenza è una tipica età di passaggio. Lo notiamo chiaramente nella scuola media: vediamo il ragazzo e la ragazza entrare ancora bambini, e li congediamo ormai adolescenti con atteggiamenti e problemi propri di questa età.
    Il preadolescente che lascia il mondo dell'infanzia è in atteggiamento di «scoperta», di «esplorazione» in un mondo nuovo che si apre davanti a lui, e che gli si presenta pieno di fascino e di avventura.

    Dinamismi interni ed esperienze nuove spingono il PA «alla scoperta»:
    * lo sviluppo dell'intelligenza e l'allargamento degli interessi
    * la «desatellizzazione» dalla famiglia e la ricerca di nuovi compagni e di nuove esperienze
    * l'entrata in una scuola nuova con lo studio di nuove discipline che costituiscono per lui una «finestra aperta sul mondo»
    * i mezzi della comunicazione sociale, un'autentica «scuola parallela» ricca di informazioni, di immagini, di suggestioni.

    Le direzioni della scoperta

    Come si caratterizza questa scoperta del mondo da parte del PA?
    * La scoperta riguarda innanzitutto l'ampiezza del panorama. Questa è l'età in cui il ragazzo allarga le sue informazioni, quelle scientifiche, storiche, sportive, ecc. Anche la catechesi dovrà provvedere ad ampliare le conoscenze religiose ricevute nella fanciullezza.
    * Ma la scoperta del PA va anche in profondità, penetrando il senso delle cose. Soprattutto nella seconda parte della preadolescenza (13-14 anni), il ragazzo si dimostra sensibile al problema dei «significati» delle esperienze vissute: significato dell'amicizia, della sua presenza in famiglia e nella scuola, del mondo e del suo divenire. La catechesi stessa dovrà apparire non tanto «annuncio» estraneo alla vita, ma «chiarimento» dell'esistenza alla luce della parola di Dio.
    * Nel suo itinerario di scoperta, il PA non rifiuta la guida dell'adulto, se questo gli appare competente e soprattutto comprensivo e amico. Il PA non ha interessi molto vasti e profondi: ha dunque bisogno di qualcuno che lo guidi ad allargarli ed approfondirli. Soprattutto si sente insicuro di fronte a un mondo così nuovo e imprevedibile. Compito della catechesi sarà appunto quello di partire dalle «scoperte» dal PA, per allargare poi le sue esperienze (sotto la guida del catechista) e giungere all'accoglimento della parola di Dio che le illumina.

    Due esempi di catechesi

    L'opzione «scoperta» è presente nei catechismi recenti: ad esempio, nel catechismo francese del 1969 e nel documento italiano per il nuovo catechismo dei preadolescenti.
    * Il catechismo francese (cf «Catéchèse», ott. 1970, n. 41) propone un tipo di catechesi che segue l'itinerario che abbiamo descritto:
    - la tua esperienza
    - allargamento della esperienza
    - la parola di Dio che chiarisce la nostra esperienza.
    * Il progetto per il catechismo italiano per i PA, si articola in tre grandi «scoperte» progressive che il ragazzo fa insieme con il suo educatore:
    - scoperta di un mondo nuovo che cresce accanto a sé; scoperta di un gruppo religioso presente nel mondo; scoperta dell'uomo nuovo, Gesù Cristo
    - scoperta del mistero della propria crescita e delle sue leggi di sviluppo
    - scoperta del proprio impegno per la costruzione del mondo nuovo.

    OPZIONE «INDUTTIVITÀ»

    I processi induttivi dell'apprendimento nel PA

    La riforma della scuola media, del 1962-63, ha messo alla base della nuova metodologia il principio induttivo.
    «Lo studio delle singole discipline richiederà la più vasta adozione possibile di processi induttivi, che muovano dalla esperienza vissuta dagli alunni, dal loro mondo morale e affettivo, dall'osservazione dei fatti e d i fenomeni per passare progressivamente a sempre più organiche e consapevoli sistemazioni delle cognizioni acquisite» (Premessa ai programmi).
    Non è difficile individuare i dinamismi sui quali si fonda questa opzione metodologica.
    * Nella preadolescenza si attua il passaggio dalla logica concreta a quella formale (J. Piaget), dalla prevalenza del livello percettivo e sensibile alla prevalenza di quello concettuale-astratto della conoscenza. La logica del fanciullo si esercita su realtà che possono essere manipolate e non si distacca da esse. I fanciulli sono incapaci di ragionare su semplici proposizioni verbali: la loro logica rimane legata ai dati della percezione. I ragazzi della scuola media incominciano ad entrare nello stadio della logica formale, ad acquistare cioè la capacità del ragionamento ipotetico-deduttivo, che si esercita su dei semplici assunti senza relazione necessaria con la realtà o le credenze proprie, ma fidando sulla necessità del ragionamento stesso.
    I preadolescenti stanno acquistando progressivamente una logica formale, ma hanno ancora bisogno di una buona base di concretezza nell'insegnamento.
    * Il preadolescente sente un vivo bisogno di fare nuove esperienze. Lo dimostra col suo desiderio di uscire dall'ambito troppo ristretto della famiglia, di unirsi ai compagni (della banda o del gruppo) che gli consentono di esplorare un mondo nuovo e di affrontare l'inedito e l'avventuroso. «Fare esperienza» prima di passare al momento della riflessione, è una legge importante dell'apprendimento nella scuola media ed anche nella catechesi.

    Quale induttività

    Il principio dell'induttività è entrato da tempo nella catechesi. Lo ritroviamo affermato nei documenti ufficiali come sono il Direttorio catechistico generale (1971) e il Documento di base per il nuovo catechismo italiano (1970).
    «Il metodo induttivo offre grandi vantaggi. Consiste nella presentazione, nella considerazione e nell'esame di fatti (avvenimenti biblici, atti liturgici, eventi della vita della Chiesa e della vita quotidiana) allo scopo di discernere il significato che essi possono avere nel mistero cristiano. Questo metodo è conforme all'economia della rivelazione; corrisponde inoltre a una delle più profonde istanze dello spirito umano, che è quella di pervenire alla conoscenza delle cose intelligibili attraverso le cose visibili; ed è conforme altresì alle caratteristiche della conoscenza di fede, che è conoscenza attraverso i segni» (Direttorio catechistico generale, n. 72).
    «Il modo di procedere della persona è graduale e fondamentalmente induttivo. Ciascuno tende a muoversi dall'esperienza di ieri, verso l'esperienza di oggi e quella di domani.
    Il catechista ne tiene conto. Per quanto è possibile, non parte mai senza sapere se il valore da cui muove appartiene o meno all'esperienza dei fedeli, per non far mancare il fondamento al suo discorso educativo. Inoltre, quando passa dal concreto all'astratto, dal particolare all'universale, da ciò che è semplice a ciò che è più complesso, egli si preoccupa di verificare sempre se la sistemazione che si va componendo è adatta e sufficiente per i fedeli, se viene assimilata con maturità, se lascia trasparire, sempre più chiaramente, la realtà viva del mistero cristiano» (Il rinnovamento della catechesi, n. 173).
    «Per evitare il disagio di sistemazioni impersonali e lontane dalla vita di fede, grande risalto occorre dare alla pedagogia dei segni, la quale trova la sua ultima ragione nella natura stessa del mistero rivelato...
    Come evita di presentare i segni senza riferimento al mistero, così evita di parlare del mistero senza il ricorso ai segni, in modo che l'incontro dei fedeli non sia con il Dio dei filosofi, ma con il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, con il Dio di Gesù Cristo e della sua Chiesa» (Il rinnovamento della catechesi, n. 175).
    L'esigenza di un metodo induttivo è stata alla base del dibattito che ha caratterizzato l'affermarsi del «metodo di Monaco» nelle catechesi e l'introduzione della teoria dei «gradi formali» nella lezione di catechismo.
    Alla fine del secolo scorso e all'inizio del nostro i catechisti di Monaco si sono interrogati sul fallimento di tanta catechesi che veniva impartita nella scuola durante l'età dell'obbligo. Dove andava ritrovata la causa di quella situazione fallimentare? I catechisti del tempo l'hanno identificata in un metodo radicalmente sbagliato. Il metodo di insegnamento religioso allora in vigore era infatti essenzialmente: 
    - deduttivo (dalle formule alle «applicazioni» pratiche)
    - astratto (imperniato sulle definizioni dottrinali e non sulle situazioni vitali)
    - espositivo (dove il catechista si presentava come attore quasi unico, lasciando ai ragazzi il ruolo di ascoltatori prevalentemente passivi).
    Il nuovo metodo, il «metodo di Monaco», si proponeva di percorrere una via sostanzialmente diversa: dal concreto dei fatti e delle esperienze, alla concettualizzazione delle formule e delle dottrine. D'altronde il «nuovo» principio didattico obbediva a un antico assioma della scolastica: «Cognitio incipit a sensibus».
    Il principio induttivo trovava una pratica attuazione nei «gradi formali» della lezione: esposizione-spiegazione-applicazione, ispirati alle teorie didattiche di Herbart-Ziller.
    Un punto di partenza concreto per sviluppare la catechesi poteva essere costituito indubbiamente dai «fatti» della storia della salvezza. Così si spiega il felice connubio tra il metodo induttivo e il movimento kerigmatico che ha trovato la sua realizzazione più riuscita nel catechismo tedesco del 1955.
    Sembrò allora che fosse stata raggiunta una meta quasi definitiva nella formulazione del metodo catechistico. Ma gli anni del post-concilio e soprattutto la situazione di un mondo sempre più secolarizzato e pluralistico rimisero tutto in discussione. Quale catechesi è veramente induttiva per i ragazzi (e per l'uomo d'oggi) ? Che cos'è in definitiva «concreto» per loro? È sufficiente parlare di Abramo o dei profeti o di qualsiasi altro avvenimento della storia della salvezza, per ritenere di aver raggiunto la loro esperienza e il loro interesse? In altre parole: l'induzione che «parte dalla Bibbia» è l'unica possibile? o non se ne deve riconoscere un'altra che «parte dalla vita»?
    Le cosiddette «catechesi antropologiche» hanno indubbiamente posto l'accento su questo secondo tipo di induzione che si rivela particolarmente efficace dopo i 12 anni. La realtà dell'uomo è punto di partenza privilegiato e contenuto principale della catechesi; è - per usare una espressione di W. Langer - «il principio didattico» della nuova catechesi.

    Qualche esemplificazione

    I nuovi catechismi si muovono ormai tutti in questa direzione. Abbiamo già ricordato lo schema del catechismo francese del 1969 per le classi di 6me e 5me (la e 2a media): la tua esperienza - allargamento dell'esperienza - la parola di Dio che illumina l'esperienza.
    Anche il nostro catechismo dell'Isolotto (l'unico catechismo italiano tradotto in lingua tedesca!) seguiva questa impostazione nei suoi tre momenti: dalla vita - al Vangelo - alla vita.
    Il catechismo tedesco del 1969 per la scuola media, che sostituisce quello famosissimo del 1955, abbandona clamorosamente il Metodo di Monaco (che meglio si adatta a una induzione che «parte dalla Bibbia») per seguire un procedimento nettamente antropologico ed esperienziale:
    * in un primo momento gli allievi si occupano delle domande e delle ricerche svariate degli uomini;
    * poi danno il loro parere;
    * quindi si fanno conoscere le grandi risposte date ai problemi dell'uomo da altre confessioni religiose, da altre filosofie e visioni del mondo.
    Questa messa a confronto, che include anche la risposta cristiana, richiede uno spazio di tempo abbastanza prolungato perché la fede venga radicata nelle esperienze reali della vita. All'interno di questo dialogo sugli uomini e sul mondo, sul senso dell'esistenza e della vita, anche il cristianesimo assume tutto il suo significato.
    «E a questo punto dell'insegnamento che si colloca l'annuncio della fede della Chiesa presente, e in cui il catechismo può avere la sua funzione specifica: quella di presentare la coscienza attuale della Chiesa in un modo adatto (per scelta di argomenti e linguaggio ai particolari destinatari» (U. Gianetto, Il «nuovo» catechismo tedesco, in «Orientamenti pedagogici», 1970, p. 360).
    Il progetto per il nuovo catechismo italiano per i preadolescenti, nella sua impostazione metodologica, privilegia indubbiamente questa «induzione che parte dalla vita»:
    «... la catechesi dei preadolescenti si configurerà metodologicamente come una scoperta attiva mirante alla comprensione dei fatti, delle persone, di se stessi e delle proprie responsabilità. scoperta che non si farà solamente in classe o seguendo un libro, ma seguendo delle "piste" che, per avere un riscontro concreto, esigono un coinvolgimento del ragazzo in tutta una gamma di - attività ecclesiali, in famiglia, nel gruppo, in parrocchia e nella scuola (doc. cit., p. 49).
    Questo tentativo di definire il metodo della catechesi dei PA descrive in fondo un itinerario centrale che si potrà in seguito specificare in svariate «piste» di ricerca: quella storica, ecclesiale, dottrinale, delle realtà attuali. Ma la «scoperta attiva» della realtà cristiana seguirà in ogni caso un iter fondamentale:
    * si parte dal concreto, dai fatti ben spiegati, analizzati, documentati;
    * si giunge alle persone che sono protagoniste di questi avvenimenti e alle relazioni interpersonali che comporta l'entrare consapevolmente in questa «storia di salvezza»;
    * infine si formulano le idee e il linguaggio che diventano «voce», fatto di coscienza e di comunicazione della realtà accettata nella fede.
    A questo livello si pone l'esigenza di una sintesi, di una prima sistemazione organica delle informazioni e delle esperienze della fede, dell'invenzione quasi di un «simbolo» per il PA d'oggi. Ma quale?

    OPZIONE «ATTIVISMO E CREATIVITÀ»

    La pedagogia attiva

    L'ingresso dei metodi attivi nella scuola e nell'educazione dei ragazzi, rappresenta un dato irreversibile della pedagogia moderna. Le affermazioni e gli «slogans» dei sostenitori della scuola attiva sono ormai acquisiti pacificamente dagli educatori, specialmente dai più attenti e impegnati.
    «Il fanciullo non possiede veramente che ciò che ha assimilato attraverso un lavoro personale di digestione», (A. Ferriere).
    «Il fanciullo deve restare il principale agente della sua formazione», (Planchard). «Imparare facendo» (J. Dewy).
    Anche nel mondo della catechesi, i metodi attivi si sono presto affermati. La discussione che si è sviluppata nei paesi di lingua tedesca, ha avuto uno sbocco positivo nel Congresso di Vienna del 1928. Nel 1934 Marie Fargues pubblica in Francia il suo studio: «Les méthodes actives dans l'enseignement religieux». In Italia si è fatto promotore della pedagogia religiosa attiva, il gruppo del Paedagogicum (fondato nel 1932 presso l'Università Cattolica del S. Cuore) con Casotti, Nosengo, Riva. (Sono qui da ricordare le opere di G. Nosengo: Il lavoro a squadre, IPL, Milano 1939; L'attivismo nell'insegnamento religioso, IPL, Milano 1940; Formazione cristocentrica, A.V.E., Roma 1942).
    Ma non possiamo affermare che la pedagogia attiva abbia caratterizzato la catechesi italiana degli ultimi trent'anni. Fatte alcune lodevoli eccezioni (ci riferiamo ad autori come Nosengo e Riva, ai catechismi dell'A.C. e ad alcune recenti realizzazioni), il nostro IR è rimasto fondamentalmente espositivo, «cattedratico», autoritario.

    L'attivismo con i preadolescenti

    L'attivismo, accanto all'induzione, rimane uno dei cardini della didattica e pedagogia religiosa con i PA. Il PA «scopre facendo»: la sua scoperta della realtà cristiana si porta su fatti ed esperienze concrete (opzione «scoperta» e «induzione») di cui si appropria non tanto ascoltando o assistendo passivamente, ma esercitando un'attività su di esse (opzione «attivismo»). Solo attraverso un contatto attivo con l'esperienza cristiana, si può sperare che essa divenga un possesso personale per il PA.
    La «scoperta attiva della realtà cristiana» non si riduce evidentemente all'apprendimento di un testo di religione, né si può limitare al lavoro che si fa in classe durante l'ora di religione. L'attivismo richiede prestazioni diverse (ricerche, celebrazioni, fotomontaggio, ecc.) e coinvolge gli ambienti di vita del PA: dalla scuola, alla famiglia, alla comunità e al gruppo.
    Il «fare» del PA è ancora un fare guidato, che ha bisogno di essere stimolato dalla guida e dall'inventiva del catechista. È anche un «fare» partecipato che reclama di essere integrato nelle iniziative e nelle esperienze dei giovani e degli adulti.
    Nella catechesi si possono distinguere:
    * attività di preparazione perché «ogni lezione rappresenti una risposta» (Claparede) ai veri problemi dei ragazzi: questionari, inchieste, ricerca di documentazione, ecc., possono servire a questo scopo;
    * attività di assimilazione ed espressione: schede di lavoro, celebrazioni catechistiche, drammatizzazione, canto, tavole rotonde, ecc.;
    * attività di verifica: prove oggettive, questionari, saggi, interviste, dibattiti, ecc.

    Creatività

    Una pedagogia attiva lascia spazio alla creatività del ragazzo.
    «Vi è stato un tempo in cui lo sforzo catechistico poteva realizzarsi con una pedagogia dell'assimilazione, ma oggi sembra impossibile che la nostra azione possa realizzarsi senza una pedagogia della creatività.
    Si tratta di dare ai cristiani (fanciulli, adolescenti o adulti) la possibilità di trovare la maniera con cui la loro vita cristiana, la testimonianza della loro fede e la loro parola possano dare senso a una situazione umana e per mezzo di questa ivi far nascere la Chiesa».
    L'affermazione che può sembrare coraggiosa, o perfino ardita, è inclusa negli orientamenti conclusivi del recente Congresso catechistico internazionale promosso dalla S. Congregazione del Clero in occasione della pubblicazione del Direttorio catechistico generale (Atti, p. 503; cf anche DCG, n. 75). Va presa con serietà e impegno, traendone le conclusioni sul piano delle convinzioni e della operatività.
    * Sul piano delle convinzioni occorre riconoscere che il PA ha un suo posto e un suo statuto nella comunità cristiana, che è «soggetto e operatore di pastorale nella Chiesa» (Ipotesi per il nuovo catechismo nazionale dei PA, p. 28).
    * Sul piano operativo si tratta di inventare una metodologia che permetta di «passare dalla pedagogia dell'assimilazione alla pedagogia della creatività», rendendo il gruppo partecipe della formulazione della propria fede e non solo consumatore di un sapere adulto. Compito dell'educatore non è la semplice trasmissione di una dottrina già tutta confezionata, ma piuttosto quello di destare e guidare la creatività del gruppo.
    Esprimiamo con qualche «slogans» il cambiamento di rotta che postula una pedagogia della creatività con i PA:
    * non programmi già tutti prestabiliti, ma discussione in gruppo del programma di lavoro;
    * non testo di religione confezionato in antecedenza, ma ricerca in comune con l'aiuto di documenti e schede di lavoro;
    * non lezioni «chiuse» secondo un procedimento rigido, ma ricerca «aperta» su temi particolari;
    * non monologo del catechista, ma guida all'espressione dei ragazzi che leggono e interpretano i documenti;
    * non classe anonima, ma gruppo e comunità.
    Creatività, non significa certo improvvisazione e idealismo. Occorre essere concreti e anche un poco sistematici, ma lasciando spazio all'immaginazione che è a fondamento di ogni progresso e creatività e della nostra stessa speranza.

    OPZIONE «PEDAGOGIA DEI MODELLI VIVENTI»

    L'«io ideale» e i suoi modelli

    Durante la preadolescenza, il ragazzo oltre ad assimilare nuove conoscenze, incomincia a interiorizzare un sistema di valori e schemi di comportamento, che si concretano e prendono forma in un «io ideale». Nasce così e si delinea progressivamente il progetto di vita che prenderà una configurazione più definitiva negli anni dell'adolescenza e della giovinezza.
    L'io ideale del preadolescente tende a identificarsi con il modello presentato da persone concrete, da «eroi» che lo attraggono e lo entusiasmano. Questo dinamismo psicologico si fonda su due bisogni propri del PA:
    * il bisogno di concretezza, per cui valori e atteggiamenti vengono assimilati non deduttivamente per via di ragionamento da un sistema di convinzioni e principi, ma induttivamente quasi per osmosi con il gruppo primario (famiglia e gruppo dei coetanei) e con persone che sono per lui significative;
    * il bisogno di sicurezza: mentre l'intelligenza e l'immaginazione fanno intravedere al PA un ideale di vita, l'inesperienza, la fase di desatellizzazione dalla famiglia che attraversa, la libertà non ancora affermata, gli fanno sentire tutto il rischio e l'insicurezza della sua realizzazione. Il PA ha bisogno di vedere il suo ideale già compiuto in una persona determinata.
    Dobbiamo ora precisare chi sono gli eroi del preadolescente: sono le persone portatrici di ideali, di messaggi in cui si incarna tanta parte delle speranze, delle attese, delle tensioni del nostro tempo, ma sono anche le persone che gli vivono accanto nell'umile quotidiano e presentano un modello interessante, simpatico, concreto di come vivere il «mestiere d'uomo».
    Ci riferiamo al sondaggio sull'«io ideale» realizzato con 32.000 adolescenti d'Europa da G. Lutte (Adolescenti d'Europa, SEI, Torino 1969). Secondo questa ricerca la categoria dell'ideale vicino (incarnato in persone che il soggetto ha immediatamente presenti, che appartengono alla sua sfera diretta di conoscenza e di esperienza: i genitori, familiari, insegnanti, adulti simpatici, compagni) è quella che raggiunge le percentuali più alte di preferenza (44,6%) rispetto alle categorie dell'ideale lontano (santi 5% eroi, divi, eroi dei fumetti...: 27,7%) e dell'ideale personalizzato (inventato, costruito su misura dal soggetto: 24,5%). Nella categoria «ideale vicino» gli adulti simpatici e i compagni sono in netta superiorità rispetto ai familiari, ai genitori, agli insegnanti:
    compagni: 18,6%
    adulti simpatici: 9,9%
    genitori : 5,6%
    familiari: 5,7%
    insegnanti: 4,8%
    Questa scelta dell'ideale vicino (riconosciuto soprattutto nei compagni e negli adulti simpatici) ci riconferma in ciò che abbiamo espresso a proposito del pensiero logico-concreto nel preadolescente. Si potrebbe intravedere anche una democratizzazione della figura dell'eroe per i ragazzi d'oggi, quasi una sua demitizzazione. Essi sembrano più attratti dall'uomo del quotidiano che non dai «grandi aristocratici».

    Per una «pedagogia dei modelli viventi»

    La proposta che noi facciamo non è nuova per la catechesi dei PA. Risale a una decina di anni fa un libro di Jh. Bournique tradotto anche in italiano (La pedagogia dell'eroe, L.D.C., 1965) che ha avuto un certo successo. Tale proposta la ritroviamo nell'ipotesi di catechismo nazionale per i preadolescenti (cf le pp. 54-56 che qui riassumiamo) che offre anche precise indicazioni metodologiche:
    * In primo luogo il catechista deve essere attento agli eroi del suo tempo: deve saperli individuare e presentare. Si pensi, ad es., alla forza di testimonianza che è presente in uomini come P. Kolbe, l'abbé Pierre, Martin Luther King, don Milani... I ragazzi d'oggi badano meno ai santi di un tempo, e si dimostrano molto più attratti dalle testimonianze dei nostri contemporanei.
    * Occorre poi saper presentare l'«eroe». Ad esempio: avere una chiara idea dell'elemento che costituisce l'unità spirituale di colui che si presenta; rendere evidenti l'azione di Dio e, insieme, la libera decisione dell'uomo; fare in modo che si mantenga il contatto fra l'«eroe» e gli uditori, che devono riconoscersi in lui e con lui simpatizzare. Per il resto, si evocherà concretamente il personaggio, in tutte le sue coordinate di tempo e di luogo; lo si farà pensare e agire; lo si renderà vivo attraverso dettagli concreti, che lo presentino in un insieme suggestivo e suadente.
    Mass media e audiovisivi sono un supporto efficacissimo alla presentazione degli «eroi» cristiani.
    * L'«eroe» più efficace è quasi sempre quello che il PA incontra nella comunità cristiana: genitori, educatori, giovani che costituiscono un modello di identificazione a portata di mano.
    A questo livello, «pedagogia dei modelli viventi» significa presenza di modelli validi di vita umana e cristiana nel gruppo dei ragazzi: ACR, oratorio, classe, ecc. Ma non è forse una crisi della Chiesa d'oggi la carenza di modelli significativi per l'uomo del nostro tempo?
    * La catechesi deve infine proporsi di presentare la persona di Gesù Cristo, come modello ed eroe. Non è un dato da presupporre. E piuttosto un traguardo da raggiungere, facendo leva sulla presentazione di Cristo nel Vangelo e soprattutto sulla «rilettura» della sua testimonianza mediata dalla fede dell'educatore e della comunità cristiana. Il PA scopre Cristo non sulle pagine scritte, ma nella vita di coloro che ripongono la loro speranza nella sua persona.
    C'è ancora da notare, per concludere questo paragrafo, che nell'accettazione di un modello valido di vita cristiana, trovano soluzione tanti conflitti e contraddizioni che si presentano al PA: appartenenza al mondo o alla Chiesa, accettazione della scienza o della fede, conformarsi a una morale «laica» o al Vangelo di Gesù Cristo.

    OPZIONE «PEDAGOGIA DI GRUPPO E DELLA COMUNITÀ»

    Un conflitto di appartenenza

    Durante la preadolescenza può prendere consistenza nel ragazzo un conflitto di appartenenza. Gli psicologi parlano di «desatellizzazione» come fenomeno tipico e centrale di questa età: emancipazione dai genitori, inserimento nel gruppo di coetanei, coscienza sempre più chiara di appartenenza ad un mondo più vasto.
    L'appartenenza del fanciullo si identifica con le appartenenze della famiglia: accetta i suoi ideali, i suoi gruppi di riferimento, la sua religione e chiesa. Durante la preadolescenza, l'appartenenza viene assunta in proprio: il mio gruppo di compagni, il mio gruppo di riferimento, la mia comunità. In una società pluralistica come la nostra, non è raro il caso che la duplice appartenenza alla Chiesa e al mondo, venga colta come realtà conflittuale. Stando alle statistiche, sembra che sia la Chiesa ad avere generalmente la peggio: è durante questa età che prende consistenza l'allontanamento dalla pratica religiosa e dalla comunità (almeno da quella parrocchiale).

    Per una pedagogia di gruppo

    Il gruppo può giocare un grande ruolo nella soluzione di questo conflitto. Il preadolescente ha infatti bisogno del gruppo. Desatellizzandosi dalla famiglia e rifiutando uno «status derivato» (una stima e un valore che gli viene conferito gratuitamente dai genitori), è alla ricerca di uno «status indipendente», di una affermazione di sé e di un valore basato sulle prestazioni personali.
    Questo status indipendente, il PA lo ritrova generalmente nel gruppo di coetanei, attorno al quale si «satellizza». Egli chiede al gruppo uno spazio di vita e di libertà, ed è disposto ad accettare (quasi come contropartita) i valori e i modelli di comportamento che gli altri propongono. Di questo fatto occorre tener conto nella pastorale catechistica dei preadolescenti, e puntare molto sul gruppo sia nella scuola sia nella comunità ecclesiale. L'appartenenza alla Chiesa viene infatti mediata, più che dall'appartenenza alla famiglia (che tuttavia a questa età conserva un certo influsso sul ragazzo), dall'appartenenza al gruppo. Se il gruppo sarà di chiara ispirazione cristiana e possibilmente animato da giovani testimoni della fede, allora costituirà la scuola più efficace di iniziazione alla vita ecclesiale. Qui il ragazzo imparerà a scoprire le sue doti e la sua vocazione, e a svolgere un ruolo. Nel gruppo farà concretamente un'esperienza di Chiesa (si dice: «fare gruppo è fare chiesa»).
    In una comunità «aperta» di preadolescenti cristiani, si imparerà praticarnente a conciliare l'appartenenza alla Chiesa e al mondo, a sentire Dio «di casa» nella Chiesa e nel mondo. In una Chiesa, s'intende, presente al mondo e a servizio del mondo.
    Il conferimento del sacramento della Cresima nella preadolescenza, va ripensato in questa prospettiva.

    OPZIONE «PASTORALE DEI RAGAZZI»

    Una «pastorale d'insieme»

    Fin dagli anni del dopoguerra si è incominciato a parlare di «pastorale d'insieme». È perfino un'espressione andata in disuso, senza che si sia riusciti a realizzarla pienamente.
    L'opzione «pastorale dei ragazzi» riprende quell'intuizione: non si dà efficacia nella catechesi, senza la corresponsabilizzazione di tutti gli operatori di pastorale, senza l'intervento efficiente e coordinato della famiglia, della scuola, della parrocchia, delle associazioni.
    È possibile che nell'attesa dei nuovi catechismi si faccia avanti una mentalità quasi magica nei loro confronti. Si attende forse troppo. La soluzione dei problemi non sta tanto nei testi rinnovati: va riposta meglio nelle persone e nelle comunità.
    L'esperienza catechistica moderna conferma ancora una volta che prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali. Infatti come non è concepibile una comunità cristiana senza una buona catechesi, così non è pensabile una buona catechesi senza la partecipazione dell'intera comunità» (RdC, n. 200).
    Ma è pronta la comunità ecclesiale italiana (in tutte le sue componenti: parrocchia, famiglia, associazioni...) a promuovere una rinnovata pastorale catechistica dei preadolescenti?

    Famiglia, scuola, comunità cristiana

    Il cap. 8° del RdC indica chiaramente quali debbono essere gli operatori responsabili della pastorale dei ragazzi: famiglia, scuola, comunità (cioè: parrocchia, associazioni, gruppi ecclesiali).
    Non possiamo sviluppare ora la problematica inerente a questi ambienti di vita, ma possiamo almeno puntualizzare qualche problema e dare qualche indicazione pastorale.
    * Famiglia. Siamo consapevoli che è in radicale trasformazione: famiglia nucleare, secolare, in concorrenza con altre agenzie di socializzazione come sono la scuola e i mass media. Tuttavia la famiglia conserva un notevole influsso sul PA: nella scelta dei compagni, nelle letture, soprattutto nella trasmissione di valori e atteggiamenti. Senza la testimonianza della famiglia, la nostra catechesi rischia di perdere molto del suo «realismo» («sarà vero, ma... la vita è un'altra cosa!»).
    * Scuola. Abbiamo presenti le carenze della scuola italiana. Ma abbiamo anche davanti il progetto di scuola nuova: a servizio della maturazione della personalità; luogo privilegiato di riflessione, di stimolo, di presa di coscienza dei problemi; scuola orientativa, aperta a tutti i valori; scuola della piena educazione e del tempo pieno; scuola nuova nelle finalità, nei contenuti, nei programmi, nella gestione. Ora, in questo tipo di scuola l'lR ha pieno diritto di cittadinanza perché è problema umano, perché è problema culturale in Italia, perché è problema di dialogo, di possibilità e capacità sincera di conoscenza e stima reciproche (cf l'intervento di P. Braido, in: Dibattito sull'insegnamento della religione, PAS-Verlag, Zurich 1972).
    * Comunità cristiana. È una costatazione comune quella che registra l'esodo dei PA dalla parrocchia. Perché se ne vanno? (semmai fossero stati inseriti precedentemente). Ma la domanda che mette a fuoco meglio il problema è un'altra: quale tipo di comunità vi trovano? quale immagine di chiesa siamo capaci di offrire loro? quali sacerdoti, quali laici, quale modello di rapporto e di collaborazione tra gerarchia e laicato? quale spazio viene riservato ai ragazzi?
    Forse la soluzione sta nel riprendere tutto daccapo. Nel ricostruire i piccoli gruppi, le comunità che si riuniscono nell'ascolto della parola e nella volontà di condividere l'amore e il servizio ai fratelli.
    Qui si misura la riuscita del catechista: nella sua capacità di suscitare e animare comunità di preadolescenti (cf DCG, n. 35) che si mettono sotto il segno del Vangelo e della chiamata di Cristo. Qui ritrova il suo spazio e la sua vocazione nella comunità ecclesiale l'A.C.R.

    L'A.C.R. per una pastorale dei preadolescenti

    L'A.C.R. si qualifica come «un movimento il quale, oltre che ad una formazione umana-cristiana, mira, in modo particolare, ad un'esperienza apostolica dove i ragazzi stessi sono gli attori, i costruttori della chiesa nel mondo dei ragazzi, tra i loro coetanei» (Il nuovo impegno. Speciale: metodologia A.C.R., 1971, n. 16, p. 9).
    Mi sembra che stia qui l'apporto originale e proprio dell'A.C.R. nel rinnovamento della catechesi in Italia: porsi al servizio della costruzione delle comunità dei ragazzi che sono l'ambiente favorevole, l'alveo naturale nel quale può giungere ad efficacia una catechesi dei PA.
    Non ci addentriamo ora nella metodologia catechetica proposta dall'A.C.R. (cf Il movimento aspiranti nella pastorale dei ragazzi, GIAC, Roma 1969; 1/Appunti. Linee fondamentali dell'A.C.R., Roma 1970; 2/Appunti. Metodologia dell'A.C.R., Roma 1972).
    Rileviamo solamente che l'«Ipotesi di catechesi per i preadolescenti» è debitrice all'A.C.R. di un discorso che il movimento ha portato avanti da tempo: il ragazzo ha un suo statuto nella chiesa e un suo ruolo nella azione pastorale.
    La catechesi è precisamente un momento privilegiato in cui si opera questa «liberazione» dallo stato di «minorità» del fanciullo per la progressiva conquista della libertà e responsabilità proprie dell'adulto nella chiesa e nel mondo.
    Perciò l'«Ipotesi» del catechismo nazionale riconosce ai PA:
    * la possibilità di discussione delle scelte pastorali, specie quelle operate nella Chiesa locale e particolare;
    * la progressiva possibilità di operare scelte morali non condizionate alle scelte dei genitori;
    * la progressiva possibilità di partecipare a iniziative ecclesiali che, pur non essendo del tutto autonome per la incompleta maturità dei soggetti, li coinvolgono però già a livello di inventività e di vera responsabilità; e ciò come positiva sperimentazione del dono derivante dal sigillo dello Spirito Santo;
    * la necessità (non solo la opportunità) di sperimentare in gruppi di coetanei i valori della vita ecclesiale;
    * il diritto naturale, cui dall'altra parte corrisponde un naturale dovere, che i genitori e gli adulti cristiani non demandino ad altri un impegno di convivenza familiare coi ragazzi (il parroco che demanda al vice-parroco, il vice-parroco che demanda al giovane delegato, i genitori che demandano a chiunque pur di liberarsi dal doversi mettere in discussione coi figli), che sia segno della comunione a cui la catechesi vuol condurre, come suo proprio compito.
    Su queste linee è da costruire nei prossimi anni una rinnovata pastorale catechistica dei preadolescenti.


    T e r z a
    p a g i n A


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