Tre tipi di cristiani
Michele Illiceto
A ben guardare, fondamentalmente ci sono tre tipi di cristiani.
I primi sono quelli che possiamo definire del monte “Tabor” e fanno riferimento al famoso brano riportato dai vangeli dove si racconta la Trasfigurazione di Gesù davanti ai suoi tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Questo tipo di credenti sono quelli che sono stati folgorati dalla fede, e amano la luce, le vesti bianche, la voce possente di un Dio rassicurante e protettivo. Amano la gloria facile, vogliono la resurrezione senza passare però dell’esperienza della croce, vogliono la meta senza vivere la fatica del cammino. Vogliono anticipare il futuro senza affrontare le sfide del presente.
Pensano a fare tre tende per trattenere il messia tutto per se medesimi e per preservarlo da eventuali colpi di testa, dagli eccessi di un amore che lo porterebbe ad andare a Gerusalemme per farsi uccidere dai capi religiosi, fino a sfidare lo stesso potere di Roma. Sono i cristiani che usano la fede per salvare solo la propria anima, per coltivarsi il proprio orticello spirituale per farsi belli davanti a Dio e agli uomini. O che si servono di Gesù per entrare nei primi posti della graduatoria del paradiso. E che, per fare ciò, son disposti a lasciare tutti gli altri giù a valle, dove la vita si fa dura perché spesso laggiù la luce non arriva e forse mai arriverà.
Sono i cristiani che separano la liturgia dalla vita, che amano pregare stando ritti nelle piazze, ai quali piace più una chiesa che si comporta come una “dogana” piuttosto che una chiesa che sa essere “locanda”. Amano più i riti e le regole piuttosto che le persone che vi devono accedere con tutte le loro fragilità e le loro cadute. Sono quelli che amano un Gesù ovattato nei paramenti sacri ci chi sono piene le chiese vuote mentre disdegnano il Gesù che si nasconde nei panni sporchi di chi non lo ha mai incontrato.
Poi ci sono quelli del “Gòlgota”, i cristiani della sconfitta e dello sconforto, delusi perchè il Nazareno non è sceso dalla croce, o perché chiede a loro stessi di salirvi sopra, una volta che hanno deciso di seguirlo. Sono quelli che il dolore lo guardano da lontano. E se soffrono lo fanno per essere riconosciuti e legittimati, per autocompiacersi e autocelebrarsi come i martiri del momento. Non concepiscono che un Dio possa soffrire e farsi carne dolorante per amore di un’umanità senza più speranza. Sono i cristiani risentiti perchè gli altri sono più forti e che perciò non accettano che il Vangelo è per chi sa perdere. Sono i credenti dell'ora nona senza più speranza perchè credono che dal dolore non si possa uscire se non chiudendo la partita della vita molto prima del tempo dovuto. Sono quelli che si sentono in diritto di giudicare gli altri perché hanno seguito il Messia fino in fondo, pensando che l’ultima tappa sia un sacrificio fine a se stesso.
Essi sono come i discepoli di Emmaus che tornano a casa con il volto triste perché nel cuore si portano la profonda delusione per uno che credevano fosse lui il Messia tanto atteso, e invece da tre giorni di lui non si hanno più notizie.
Questi cristiani sono quelli che affrontano la croce sicuri solo della propria fede. Troppo vicini al Messia per reggere l’urto della lontananza di un Dio che si perde nel buio di un amore che sa pagare il prezzo dell’incomprensione.
Infine, ci sono i cristiani che, dopo il Gòlgota, sono andati al sepolcro vuoto. Hanno saputo aspettare pazienti e speranzosi il tremendo giorno del sabato santo, attraversando il tunnel dell'assenza, sostando sulla soglia di quel tempo in cui Dio ha fatto silenzio, quasi fosse sprofondato nell'abisso del nulla. Hanno affrontato il deserto dove nessuna voce ha spiegato cosa stesse accadendo. Sono rimasti per un attimo orfani. Hanno visto un Dio abbandonato. Un Dio senza più Dio. Un Figlio senza un Padre, che a quel Padre si è consegnato per amore di fratelli che figli più non erano. Questi credenti si sono persi nel buio delle evidenze nascoste, hanno saputo reggere l’ora dello scandalo. Sono inciampati nel Dio del perdono che è più grande del Dio del giudizio. Hanno creduto quando tutti sono fuggiti. Sono rimasti nell’ora del dolore, trapassando con lo sguardo del cuore la fitta coltre delle tenebre che nell’ora nona hanno oscurato ogni tipo di ragione.
Si sono solo fidati e affidati, resistendo alla tentazione di smettere di credere. Hanno creduto nella forza della debolezza e nella fecondità della sconfitta. Hanno saputo sposare la logica del chicco di grano che caduto in terra doveva marcire per portare il frutto della vera liberazione senza più i ricatti messi in atto dalla morte. Per questo sono andati al sepolcro e lo hanno trovato vuoto. Ed erano donne.
Un cristianesimo al femminile che aiuta a capire quanto una croce senza resurrezione sia solo sterile masochismo, mentre una resurrezione senza croce è solo ingenua ideologia che enfatizza una religione che, se così fosse, sarebbe semplice sovrastruttura che propone una salvezza soltanto evasiva e compensativa e non quale essa invece è: una salvezza trasfigurativa.