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    Diventare laici

    La questione della formazione

    Paola Bignardi

     


    Laici si nasce o si diventa? Basta una generica formazione a educare laici adulti e maturi?

    Si è cristiani non per naturale appartenenza ad una comunità: discepoli del Signore si diviene ogni giorno, attraverso percorsi formativi che nelle diverse stagioni della vita si adattano alle nuove esigenze e alle nuove domande dell'esistenza che muta.
    Si è laici non per circostanze casuali, ma perché si risponde ad una chiamata del Signore; dunque anche per vivere questa vocazione – come per tutte le altre forme vocazionali nella Chiesa –occorre un serio percorso formativo per prendere coscienza del dono ricevuto, per accoglierlo nella propria esistenza quotidiana, per trovare le forme concrete e personali per viverlo ogni giorno.
    La maturità dei laici dipende, dunque, dalla formazione che hanno ricevuto e in cui hanno scelto di coinvolgersi; è qui il segreto di una viva coscienza da discepoli, ma anche di quella maturità che sa mettere insieme la fede e la vita di ogni giorno, in una continuità profonda che coinvolge i significati, le scelte, il valore di ogni frammento di esistenza.
    Quella formativa costituisce una delle opportunità più importanti che una comunità può offrire ai suoi laici. Non si tratta di una novità: da sempre la formazione costituisce una delle attività più diffuse nelle parrocchie e nei diversi gruppi ecclesiali: ad esse vengono dedicate molte e qualificate energie.
    Tuttavia non sembra che i risultati siano proporzionati agli sforzi. Viene naturale domandarsi come mai ad un'attività quantitativamente così ampia corrispondano risultati così esigui.
    La crisi della formazione nella comunità cristiana non è segnalata solo dalla scarsità dei risultati, ma soprattutto dall'affanno degli educatori, dal senso di fatica che accompagna l'attività formativa, dal venir meno di vocazioni educative.
    Esiste una questione educativa nella comunità cristiana di oggi?
    Riesce oggi la comunità cristiana a restare all'altezza di quella tradizione educativa che ha reso questa istituzione tra i soggetti più vivaci e interessanti, non solo per l'educazione della fede, ma anche dell'umanità di ragazzi e giovani? Scuole di corresponsabilità educativa? Riescono ancora parrocchie, associazioni, oratori a esprimere figure educative dedite e appassionate, autorevoli per la loro autorità morale, per la loro coerenza tra la fede e la vita, per il loro spirito di servizio?
    È chiaro che anche nella comunità cristiana la crisi dell'educazione ha lasciato il suo segno, senza tuttavia aver spento la consapevolezza del valore della relazione educativa, della preziosità di questa esperienza, e della necessità che la comunità sappia rivolgersi ai più giovani con una proposta ricca di umanità e di tensione etica, oltre che di fede.
    Oggi sappiamo che spesso nelle comunità la proposta educativa è stata sostituita da varie e vivaci attività di animazione, che non hanno l'efficacia dell'educazione. Queste attività spesso sono affidate a ragazzi poco più avanti negli anni di coloro che essi animano. Certo, l'animazione è una componente necessaria e sarebbe difficile da realizzare da parte di adulti: la natura di essa, il dinamismo e la spontaneità che essa richiede sono molto più consone ai giovani che agli adulti. Ma i problemi cominciano quando gli animatori – spesso adolescenti o poco più – sono lasciati soli a gestire il rapporto con i più piccoli. L'inesperienza e l'immaturità della relazione spesso compromettono il raggiungimento di obiettivi di crescita attraverso il gioco e l'animazione. Le molteplici attività che nella comunità cristiana si propongono ai più giovani avrebbero bisogno anche di presenze adulte, che diano una connotazione educativa alle diverse proposte, sapendo riportarle alla persona e alla sua crescita, dando alle diverse attività la profondità dell'azione educativa, orientando le relazioni più complesse che possono manifestarsi, dal momento che le labilità e i disturbi di comportamento si manifestano anche in questi contesti.
    Le comunità cristiane sono diventate efficaci e qualificate nell'organizzare attività di gruppo e persino nel gestire assemblee di ragazzi e giovani, ma a prezzo dell'aver perso il senso e il valore della relazione personale, del colloquio diretto, dell'incontro viso a viso, in cui ci si guarda negli occhi e si comunica, si intuisce ciò che passa nel cuore, si accoglie, si trasmette ciò che è più vero.


    Gli adulti, paradigma della formazione dei laici

    La comunità cristiana dedica la maggior parte delle sue risorse educative ai piccoli, soprattutto al percorso di iniziazione cristiana. Si tratta di una scelta di cui si intuisce il significato: l'aprire il cuore di bambini e ragazzi alla bellezza del Vangelo e introdurli nella vita cristiana è il punto di partenza di qualsiasi ulteriore cammino. Ma i problemi nascono quando ci si ferma al punto di partenza, o si assume il modello formativo delle nuove generazioni come valido per tutti.
    Una comunità adulta ha bisogno di fare degli adulti il punto di riferimento paradigmatico della sua proposta formativa. Aveva già riconosciuto il valore di questa scelta il Documento-base per il rinnovamento della catechesi, dove affermava che «gli adulti sono in senso più pieno i destinatari del messaggio cristiano. [...]
    Nel mondo contemporaneo, pluralista e secolarizzato, la Chiesa può dare ragione della sua speranza, in proporzione alla maturità di fede degli adulti» (CEI, Documento-base per il rinnovamento della catechesi, 124). È vero che spesso le tappe della formazione cristiana dei piccoli diventano occasione per la ripresa o l'avvio di un dialogo con i genitori, ma in effetti pochi sono realmente coinvolti in modo personale in questi percorsi; per pochissimi questi rappresentano un'occasione importante per la loro vita di adulti; ancor meno continuano a mantenere il legame che hanno stabilito.
    La comunità cristiana, in genere, fatica a comunicare con gli adulti e non è preparata a condurre esperienze formative che li abbiano come interlocutori; ma proprio questo limite può sollecitare nuove sperimentazioni, in un'appassionante creatività.
    Formare laici adulti nella fede significa andare al di là della trasmissione di contenuti per mostrare il valore di una prospettiva che coinvolge la persona in maniera globale; dunque è comunicazione di un'esperienza di vita, elaborazione di essa, testimonianza, condivisione.
    La formazione di cristiani adulti è quella che sa coltivare persone con la spina dorsale dritta, capaci di stare in piedi da sole, senza puntelli; disposte alla solitudine; con il coraggio della libertà; responsabili di se stesse e delle proprie scelte; disponibili a far posto nella loro vita all'imprevedibile di Dio. Questo chiede una solidità umana e cristiana che non può venire dalle consuetudini, dal "si è sempre fatto così", ma da una vita vissuta come responsabilità personale e da un'esistenza cristiana assunta secondo la sua misura alta, che è quella della santità. È quello che Paolo chiama, nella Lettera ai Calati, «camminare nello Spirito».
    Si tratta di una formazione che sa orientare all'essenziale, che sa accompagnare le persone a capire la strada che conduce ad esso dentro la propria esistenza quotidiana; che allena a riconoscerlo e a distinguerlo dalle mille cose futili di cui l'esistenza tende a riempirsi; che insegna a capire come esso ha influito sulla propria esistenza, a leggere in quale modo nel tempo ha inciso sulla storia personale, e quanto la vita quotidiana l'ha approfondito e reso significante.
    I laici cristiani che sono diventati adulti nella fede e nell'esercizio della loro vocazione hanno avuto maestri significativi, che non necessariamente sono state persone importanti o particolarmente colte, ma persone vere, che hanno preso sul serio il Vangelo e si sono lasciate trasformare da esso. A questa scuola hanno imparato a stare in ascolto della voce interiore dello Spirito, che parla nell'intimità di se stessi, nel profondo della coscienza, definita dal Concilio come «il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità» (CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, 16).
    La capacità di fare riferimento alla propria coscienza nel pensare e nell'agire quotidiano è un tratto della vita adulta, formata alla forza delle proprie ragioni, alla libertà, al coraggio di rimanere coerenti e fedeli ai propri ideali e ai propri orientamenti. L'aspetto più impegnativo in cui si esprime la maturità di una personalità cristiana è la capacità di obbedire alla coscienza, anche quando questo implica il trovarsi immersi in situazioni di conflitto o di tensione nella relazione con le persone con cui si opera. E benché non siano così frequenti le situazioni in cui l'obbedire alla propria coscienza pone in una radicale solitudine rispetto al contesto, tuttavia può accadere: allora occorre la forza della fedeltà a se stessi. Talvolta accade che anche dentro la comunità cristiana sia necessario l'esercizio di questa fedeltà. Nel contesto ecclesiale è un'esperienza più difficile che altrove: sostenere un parere diverso da quello della maggioranza o da quello dell'autorità fa sentire a disagio, quasi che l'assumere delle posizioni personali fosse venir meno ai propri doveri di fedeli.
    Da adulti, ci si dedica alla propria formazione affinando la propria coscienza, attraverso l'attenzione costante e fedele alla Parola; attraverso la riflessione, la cultura, la conoscenza del magistero della Chiesa, il confronto con altri, l'esercizio del discernimento; coltivando la libertà, intesa anche come radicamento nelle proprie ragioni, fedeltà agli ideali, capacità di solitudine...
    La formazione passa per le situazioni e le esperienze più diverse, ciascuna delle quali può contenere suggestioni importanti per la crescita di ogni persona. Dove avviene allora la sintesi? Che cosa dà unità al percorso formativo? Qual è il filo rosso che lega in coerenza questa molteplicità di proposte e di esperienze? L'unità avviene proprio nella coscienza personale; dentro il dialogo che ciascuno conduce con se stesso; attorno a quel punto di gravitazione che è il sì libero della persona al Signore e al suo disegno.
    L'autoformazione è approdo dell'azione educativa e impegno che l'accompagna tutta. L'idea di formazione adeguata a far crescere cristiani adulti presuppone da parte di ciascuno la decisione ad assumersi in maniera esplicita il compito della cura di sé, in un cammino in cui si mette in gioco la propria libertà e si esprime il carattere originale di ogni percorso personale. La formazione fa intravedere prospettive, dà gli strumenti essenziali, il gusto di un percorso e lascia che ciascuno cammini a modo proprio.


    Attenzioni per la formazione della coscienza credente

    La formazione del laico cristiano deve avere attenzione particolare per la dimensione dell'umanità: dove si omette questo aspetto, si può rischiare una personalità cristiana fragile, senza armonia e senza solidità. Nella formazione umana, soprattutto per gli adulti, sono importanti tutti gli aspetti che riconducono all'interiorità e alla coscienza personale. Qualcuno potrebbe ritenere che questo dia luogo a forme di intimismo o di individualismo spirituale: questo accadrebbe se i contenuti della coscienza fossero solo individuali, senza attenzione alle dimensioni della responsabilità, della socialità, della solidarietà. Chi ha un'interiorità profonda non necessariamente è un intimista: piuttosto è una persona allenata a passare al giudizio della sua coscienza tutte le scelte, comprese quelle sociali e pubbliche. Se ci fosse una maggiore attenzione a questo vaglio interiore, forse ogni responsabilità pubblica avrebbe un rigore diverso da quello che spesso accade di registrare in ogni ambito della vita: politico, ecclesiale, lavorativo, relazionale, familiare.
    Dunque per una matura testimonianza dei laici cristiani nel mondo occorre l'impegno di una robusta formazione all'interiorità. Guardini nel suo saggio su La coscienza parla della necessità dell'esercizio del raccoglimento, come impegno ad abitare la «cella interiore» «nella quale posso ritirarmi [...] e dove sono, da solo a solo, con me stesso: là dove vengono prese le decisioni vitali, dove mi trovo con Dio, alla Sua presenza, sotto il Suo sguardo... questa cella esiste e può diventare più ampia, più profonda, più viva. Più tranquilla, più sicura» (R. GUARDINI, La coscienza, Morcelliana, Brescia 1977 (prima ed. 1993), p. 58).
    E denuncia anche la tendenza a vivere in superficie, senza centro, nell'esteriorità. Se questo valeva nel 1933, a maggior ragione vale oggi, per noi che sembriamo aver smarrito l'alfabeto dell'interiorità, inteso come capacità di riconoscere, di capire e di dare valore a ciò che accade "dentro"; come possibilità di sperimentare le dimensioni che stanno oltre la superficie, le parole vere, le esperienze che costruiscono l'esistenza: il silenzio, l'ascolto, la gratuità...
    La formazione richiede dunque quell'impegno ascetico che riporti la persona al centro di se stessa e che è fatto di ordine, di silenzio, di solitudine, di ascolto, di vigilanza su se stessi, di attenzione al proprio mondo interiore. «Raccoglimento – scrive Guardini – vuol dire richiamare noi stessi a noi stessi; le nostre forze dalla dispersione all'unità. Superare la confusione e ristabilire una tranquilla semplicità. Sgombrare il guazzabuglio, per attenerci a pochi, forti e buoni pensieri, semplificare i nostri desideri; imparare a riposare in noi stessi senza brame, a diventar tranquilli e sereni. Apprendere ad essere padroni di noi stessi» (R. GUARDINI, La coscienza, cit., p. 68).
    Questa padronanza di sé si alimenta di una libertà che inizia dal senso critico, cui oggi occorre educarci ed allenarci con decisione. Ragazzi e adulti rischiano di assorbire dal contesto stili di comportamento, atteggiamenti di fronte alla vita, modi di giudicare la realtà. Grande è la funzione della famiglia e della scuola.
    Ma la comunità cristiana, in cui si vive del senso della libertà evangelica che è inedita ed esigente come nessun'altra, dovrebbe essere la più straordinaria maestra, nel tener desta un'originale capacità di valutare le cose, a partire dai valori della persona e di una convivenza civile di alto profilo; e nel far intravedere così la forza della libertà, la suggestione di un'umanità impegnata, la bellezza di pensare la vita non come la pensano tutti, ma liberando desideri, sogni, utopie; assumendo fino in fondo, da credenti, il valore paradossale della croce. Essa contiene l'invito a rovesciare i criteri di giudizio correnti, spesso non disinteressati. Allora la formazione porta con sé la responsabilità di cambiare la società, di trasformarla a misura di un'umanità piena. Educazione, senso critico, responsabilità, impegno maturano insieme; e chiedono la disciplina del pensiero, la spinta alla curiosità, l'ordine del ragionamento, la pazienza del cercare, mettendo in conto che tutto questo è fatica, passaggio necessario per aprirsi ai grandi orizzonti che la formazione dovrebbe contribuire a far intravedere.
    Anche per le ragioni dette prima, oggi nella formazione degli adulti un'attenzione particolare va riservata per la ricerca della verità; lontana dall'essere un fatto intellettualistico riservato a pochi, è l'atteggiamento necessario ad ogni fedele perché la vita cristiana sia robusta e ricca di ragioni. A questo le comunità cristiane sono state richiamate anche dal documento che ha orientato il lavoro pastorale di questo decennio, che invocava una «una fede adulta, "pensata", capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo». «Solo così – continua il documento – i cristiani saranno capaci di vivere nel quotidiano, nel feriale – fatto di famiglia, lavoro, studio, tempo libero – la sequela del Signore, fino a rendere conto della speranza che li abita» (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 50).
    C'è un'oggettività della fede da recuperare, e al tempo stesso c'è la necessità che al sapere della fede ci si accosti senza rigidità. Ai cristiani cresciuti e vissuti in un contesto come quello italiano può capitare di conoscere i contenuti della fede cristiana, ma in un certo senso di possedere le risposte senza aver percorso le diverse tappe che portano la mente e il cuore ad essa: in un certo senso, di aver risposte a domande non formulate, non sofferte, non vissute personalmente. Per questo la formazione dei laici deve attraversare o riattraversare tutte le domande che caratterizzano, nella coscienza umana, il percorso verso Dio e verso una vita vissuta in lui.
    Un laico cristiano che ha percorso un buon cammino di formazione è una persona che non teme l'inquietudine del cuore. Nicodemo va dal Signore di notte: noi a volte pensiamo che la notte serva a coprire le paure di questo uomo del Sinedrio che teme di mostrare il suo interesse per Gesù e il fascino che Gesù esercita su di lui. In effetti la notte sta anche a significare la discrezione in cui si custodisce il dubbio, che è sospensione, che è idea che deve ancora diventare matura prima di giungere alla luce del giorno. In questo senso possiamo pensare che la notte di Nicodemo sia il segno di domande che covano nel profondo, e lì debbono essere custodite. La formazione, soprattutto quella di un laico, deve insegnare a non avere paura delle domande e a dare alla propria vita il carattere di una permanente ricerca. Soprattutto di Dio, come di un mistero che attrae e che è sempre oscuro, "oltre". Solo nella disponibilità a camminare continuamente verso questo "oltre" si può vivere veramente un'esperienza da cristiani, non censurando gli interrogativi connessi a questa ricerca, ma restando pronti per cogliere nella vita i segni della presenza di Dio che lo nascondono e, al tempo stesso, lo rivelano. La ricerca di Dio avvicina il laico ad ogni persona: non sono solo i credenti a cercare, ma anche chi non riesce ancora a dare un nome esplicito al mistero di Dio. Un atteggiamento di ricerca ci fa fare molta strada insieme a chi non crede. È ricerca che si sviluppa dentro la vita e si lega alla domanda di senso, che caratterizza il nostro tempo: i giovani cercano un senso alla vita; gli adulti hanno bisogno di dare un senso agli aspetti concreti e quotidiani dell'esistenza. La disponibilità a vivere sia la fede che la vita in un atteggiamento aperto permette di recuperare, giorno dopo giorno, la freschezza del quotidiano.
    Queste considerazioni potranno apparire troppo povere dei caratteri tipicamente cristiani di cui certo la formazione di un laico abbisogna: formazione a vivere di fede; a fare del Signore il centro della propria vita; educazione alla preghiera e all'ascolto, eccetera. Ma questi aspetti hanno bisogno di avere alla base una più attenta formazione umana. Del valore di essa parla anche il Concilio, dove afferma che i laici «facciano pure gran conto della competenza professionale, del senso della famiglia e del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali, cioè la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo, senza le quali non ci può essere neanche vera vita cristiana» (CONCILIO VATICANO II, Apostolicam actuositatem, 4).
    Senza un'adeguata formazione umana, anche le dimensioni tipicamente religiose rischiano di restare fragili, anemiche, sradicate dalla vita. Per la crescita dell'umanità di ciascuno non vi è ancora una considerazione proporzionata all'importanza che essa ha; per questo deve essere fatta oggetto di una considerazione specifica e particolare.


    Stili e luoghi della formazione dei laici

    Oggi la formazione dei laici cristiani ha bisogno di creatività: quella che sa muoversi oltre gli schemi e sa costruire risposte alle esigenze vive delle persone. La formazione cristiana degli adult rischia di scimmiottare quella dei ragazzi: forte attenzione ai contenuti, metodi di trasmissione, scarsa comunicazione tra le persone; in molti casi, finisce con l'assomigliare, pertanto, ad un continuo ripasso di cose che si sanno già, affrontate spesso senza progressione e senza approfondimento. Risultato: permangono insieme ignoranza e noia per il già risaputo, insieme ad un senso di inutilità per esperienze formative che non fanno crescere; per esigenze che restano senza interlocutori e senza contesti significativi in cui possano essere elaborate.
    Perché la formazione degli adulti possa essere effettivamente utile e quindi motivare le persone e risultare interessante, deve avere un forte aggancio con l'esistenza. Oggi l'adulto, più che essere formato dai contenuti, deve lasciarsi educare dalla vita. Non che la vita in sé abbia valore educativo, ma l'esistenza di ogni giorno presenta interrogativi, esigenze, dubbi, inquietudini che si riversano nella coscienza, spesso mettono in difficoltà, creano incertezza su come muoversi, fanno sentire spaesati davanti a interrogativi per cui non ci si sente preparati. Le esperienze dell'educazione dei figli, o dei propri studenti, o dei ragazzi che ci sono affidati in parrocchia sono tipiche in questo senso; poter avere il punto di riferimento di un contesto formativo in cui da adulti rielaborare i propri vissuti può essere utile per la propria crescita di adulti. Il confronto da adulti e tra adulti con le nuove generazioni può costituire una delle situazione privilegiate per la continua crescita umana e cristiana della generazione adulta.
    Luogo educativo di straordinario valore continua ad essere la parrocchia: essa costituisce un contesto che educa coinvolgendo nella sua stessa vita; la forza dell'appartenenza che genera va oltre quella dei bei discorsi o delle esperienze raffinate che si possono fare altrove. La parrocchia educa perché coinvolge in una vita comunitaria, perché richiede l'assunzione di responsabilità, perché mette a confronto generazioni diverse, perché impegna a porre la fede in dialogo con gli aspetti più semplici dell'esistenza di ogni giorno: lo stile dei rapporti tra le persone, la gestione dei conflitti, l'attenzione ai più deboli, la dedizione a qualcosa che non è per se stessi, il dialogo con le realtà del territorio. E se il mondo troppo mobile di oggi rischia il nomadismo e lo sradicamento, la parrocchia offre alle persone l'ancoraggio di una stabilità che fa bene e che educa alla fedeltà. La parrocchia educa al di là delle proposte formative esplicite: educa per il fatto stesso che coinvolge in una vita, e vita di Chiesa. Certo, quando a questo si aggiungono proposte di riflessione, di preghiera, di discernimento, di catechesi qualificate, allora la formazione si arricchisce di ragioni e offre un esplicito percorso di crescita spirituale.
    Ma questo non sempre può accadere; e comunque resta la necessità, per la formazione degli adulti, di luoghi molteplici e diversi, che possano intercettare la varietà delle condizioni di vita e la complessità esistenziale degli adulti stessi. Si tratta di una formazione che ha bisogno anche di luoghi non istituzionali, ma piuttosto di contesti più legati alle condizioni di vita dei laici: la casa, il gruppo degli amici, esperienze che si accendono per l'iniziativa e l'interesse di qualcuno, al di fuori dalle programmazioni pastorali consuete. Oggi penso sia necessario valorizzare in modo particolare la casa, luogo ordinario della vita quotidiana dei laici, adatto a far cogliere il rapporto che esiste tra la formazione e le esigenze delle persone. L'esperienza delle comunità cristiane di cui parla Paolo nelle sue lettere ha questo carattere di legame con la dimensione domestica e familiare. Iniziative spontanee di cui oggi vi sarebbe grande bisogno, per accendere passioni e interessi; per mettere radici più profonde nei problemi di oggi. Non è facile dar vita ad esperienze di questo tipo: l'impostazione molto strutturata della pastorale presuppone un ordine in cui trovano posto con difficoltà le iniziative informali, che assumano le questioni difficili che appassionano, coinvolgono, inquietano. Si tratta in genere di questioni "pericolose", aperte, su cui è possibile avere posizioni non univoche. Ma proprio per questo, i luoghi della formazione degli adulti sono i più adatti ad affrontarle.
    Questo modello di formazione è lontano da quello comunemente diffuso: piuttosto passivo, poco dialogante, poco problematico. Ma se la formazione deve avere per protagonisti gli adulti, non potrà che essere così: in grado di rendere gli adulti attori del cammino formativo, e non semplici fruitori; aperta ad accogliere le loro domande, ad interagire con le loro esperienze, a generare una comprensione più matura del Vangelo.
    Luoghi importanti di formazione per i laici adulti sono poi le associazioni e i movimenti. Essi sono il frutto di una scelta da parte di coloro che vi aderiscono e che in essi cercano un tipo di esperienza, anche formativa, caratterizzata da uno stile, una sensibilità, un carisma. In un contesto associativo o di movimento ci si forma attraverso il dialogo e la condivisione di esperienze; la comunicazione è circolare, lo spazio riservato all'esperienza vissuta è importante e qualificato. In genere qui i formatori sono laici, con un'azione formativa che può avvantaggiarsi del comune esercizio della stessa vocazione. La presenza del prete, in questi momenti, è molto preziosa, non per essere l'unica fonte di risposta alle domande che si pongono alla coscienza, ma per essere il segno di unità, che connette il cammino di quel gruppo di laici a quello di tutta la comunità; che connette il cammino dei laici a quello delle altre vocazioni. Non è necessario essere tutti insieme nello stesso luogo a fare le stesse cose: i percorsi della comunione sono più semplici e al tempo stesso più esigenti. Quale il ruolo del prete in questo genere di formazione, che assomiglia più alla elaborazione culturale che all'acquisizione passiva di idee e contenuti? Quello di coinvolgersi, adulto tra adulti, in una ricerca in cui, insieme, sia possibile rinnovare la comprensione del Vangelo e dei problemi di oggi. Ma è anche quello di sostenere e di incoraggiare tentativi incerti che in alcuni momenti possono apparire velleitari, evidenziando di essi la domanda di una presenza più matura dei cristiani nel proprio tempo.
    La formazione, come l'educazione, ha bisogno di qualcuno che abbia la funzione di maestro. Chi sono i maestri dei laici adulti? Chi può guidare cammini formativi che sono complessi per la stessa natura dei soggetti in campo, persone che hanno una loro esperienza, una loro maturità, una storia alle spalle?
    I maestri, per ogni adulto, sono quelli che egli ha interiorizzato negli anni della sua giovinezza, quelli che hanno lasciato un'impronta nella sua vita e che hanno acceso in lui delle intuizioni, degli ideali, delle decisioni. Nella storia di molti ci sono una o più figure di questo tipo: un prete, un insegnante, un educatore di gruppo... Nella coscienza, resta il fascino di una persona che ci ha dato qualcosa di importante e che ha acceso nella nostra esistenza un desiderio di bene. Oltre a questi maestri della porta accanto, ci sono figure importanti, che forse non abbiamo conosciuto direttamente, ma che con la loro testimonianza, il loro esempio, le loro idee, hanno segnato la coscienza perché hanno segnato un'epoca e sono state figure di riferimento per intere generazioni.
    E poi ci sono "maestri" che in maniera più sommessa ci aiutano a crescere perché si accompagnano a noi: sono le persone della famiglia, lo sposo per la sposa, la sposa per lo sposo, ma anche i figli per i genitori, i nonni per i ragazzi. C'è una crescita che awiene attraverso i dialoghi quotidiani, le relazioni che si stabiliscono tra persone che si vogliono bene; relazioni che aiutano a crescere perché coinvolgono quei legami di affetto che rendono le persone importanti, autorevoli per la credibilità e la fiducia che riversiamo in loro.


    La formazione nelle diverse età della vita

    Ogni età della vita ha le sue esigenze formative, e conosce anche forme tipiche di crescita. È un'affermazione fin troppo owia, tuttavia non sempre di ciascuna età si colgono le specifiche esigenze e caratteristiche: la formazione in fondo continua ad essere affrontata con la convinzione implicita che in essa vi sia molto di ovvio, e che non ci sia bisogno di essere attenti a come cambiano le domande, le attese, i bisogni formativi.
    Eppure: ad età diverse debbono corrispondere percorsi formativi capaci di interpretare quell'età e di farla crescere verso la sua pienezza.
    Così, appartiene all'età giovanile una formazione che porti all'individuazione del proprio "baricentro", quel nucleo di convinzioni, di scelte, di idee che danno fisionomia e unità alla propria personalità, che conduce verso l'individuazione del proprio progetto di vita. Oggi la formazione della generazione giovanile è molto difficile: sembra che non vi siano veri maestri per i giovani. Gli adulti sono spiazzati dalla novità di questo tempo e sono quasi senza parole, parole vive, vere, capaci di scuotere dal torpore del consumismo e di accendere nella vita dei giovani delle luci: soprattutto quella del dedicarsi ad altri o a qualcosa di importante, del dono di sé, del vivere avendo nel cuore degli ideali.
    È tipico dell'adulto un impegno formativo che porti verso l'essenziale, in un percorso continuo verso la semplicità, verso la capacità di dare significato all'esperienza concreta, raccordata con l'essenziale. L'adulto, mentre matura progressivamente il suo stile di vita, elabora anche una sua sapienza di vita.
    Il tema della formazione degli anziani è quasi inesplorato, eppure è più che mai attuale e urgente. Fino a pochi decenni fa, non erano molti coloro che raggiungevano l'età anziana. Oggi diventare anziani è quasi naturale; ci si rende conto che questa età, come ogni altra, ha luci e ombre che devono essere considerate anche in chiave formativa, perché il modo tipico di vivere dell'anziano raggiunga la sua maturità tipica. Sono tante le sfide di questa età: l'esperienza del limite, dare un senso al proprio declino, misurarsi con il dolore, la familiarità con il pensiero della morte. Anche la fede tende a farsi stanca come il passo: come accogliere questa età come un'occasione propizia per diventare più essenziali? Come trasformare il venir meno delle energie in un'opportunità per accelerare il cammino sulla strada della semplicità, della profondità? Per rendere più maturo l'amore per i giovani, frutto della libertà da se stessi, vissuto nella gioia di consegnare loro qualcosa di importante, rinunciando a restare attaccati gelosamente alla vita?
    La questione della formazione mostra quanto questo aspetto della vita cristiana abbia bisogno di nuove attenzioni, scelte, investimento di energie. D'altra parte, la formazione costituisce una risorsa fondamentale per far crescere nei laici la capacità di vivere secondo la vocazione ricevuta e per esercitare quella creatività dentro la propria vocazione che consenta di mostrarne tutte le potenzialità ancora nascoste, di liberarla dal condizionamento di stili di vita cristiana che non le sono consoni, per interpretarla secondo la sua possibile originalità. Se poi ci saranno preti disponibili a percorrere tratti di strada insieme ai loro fratelli laici, allora si assisterà effettivamente a una crescita dell'esperienza ecclesiale, nella fraternità e nell'apertura alla vita.


    T e r z a
    p a g i n A


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