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    Il nichilismo,

    i giovani

    e la mutazione spirituale

    Carlo Molari

     

    Da alcuni decenni sociologi, psicologi, sacerdoti, politici e filosofi indicano nel nichilismo un male mortale serpeggiante nella nostra società e in particolare nelle nuove generazioni. Da anni inchieste e riflessioni si susseguono per analizzare il male nascosto e indicarne le terapie. D’altra parte i giovani di qualche decennio fa stanno diventando adulti e sono in grado di fornire le testimonianze del loro sviluppo.
    Un libro di testimonianze giovanili pubblicato nel 2006 veniva presentato con queste parole: «“Figli del nulla” è un appellativo nel quale possono riconoscersi intere generazioni di giovani occidentali, permeati da un abissale senso di vuoto che alimenta inquietudine, ribellione, angoscia, panico, smarrimento. Queste le voci viscerali del nulla di valori, di direzioni, di riferimenti assoluti, di fondamento, di senso. Esiste un buon motivo per alzarsi dal letto e affrontare una nuova giornata? C'è una ragione del proprio esserci? Qual è il senso della vita? Tali domande rivelano come il problema sia non il senso di vuoto in sé, ma ciò che nel vuoto si evidenzia e con cui dobbiamo fare i conti: esistere”» (I figli del nulla tra nichilismo e buddismo, Alboversorio, 2006).
    Don Julian Carron, successore di Don Giussani, in una lezione all’Università di Firenze del 2006 dopo avere affermato: «Il nichilismo oggi non è più una teoria, è la pratica di una vita apatica e dispersa. Non ci deve poi meravigliare se una realtà svuotata non riesce ad interessare la persona», aggiungeva: «La ragione domanda incessantemente, quanto può durare?».
    Introducendo un suo recente libro Umberto Galimberti osserva che i giovani stanno male: «non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce la passioni rendendole esangui» (L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, ottobre 2007 p. 11).
    Sono solo alcune espressioni della preoccupata attenzione di osservatori sulle condizioni delle nuove generazioni. C’è da chiedersi però: quella denunciata è un’esperienza deleteria o è una scoperta salutare? Il nichilismo è un male reale o un momento del processo complesso di crescita che può condurre la specie umana ad una soglia nuova di civiltà attraverso una svolta culturale e spirituale? Le conseguenze della scoperta del nulla della vita sono necessariamente negative o possono offrire l’opportunità di un nuovo salto qualitativo nell’evoluzione spirituale?

    Esperienza del nulla e del vuoto

    La mancanza di un senso compiuto della vita è un’esperienza oggi molto diffusa e profonda. Le generazioni precedenti hanno vissuto spesso secondo prospettive illusorie. Potevano pensare che realizzando progetti storici o accumulando ricchezze, i problemi dell’esistenza e della società si sarebbero dissolti. Era un’illusione frequente, né era sempre facile smascherare l’inconsistenza dei sogni. La scarsità dei beni a disposizione e la lentezza dei processi storici conduceva le persone a scoprire l’insufficienza dei traguardi sognati solo molto tardi, quando ormai la prospettiva della morte modificava completamente il senso dell’esperienza.
    Le generazioni attuali hanno il compito molto facilitato. Esse possono scoprire con maggiore facilità che tutto quello che ora compone la nostra esistenza è provvisorio e precario; che nulla in sé ha senso compiuto. Esse sanno che la trama della realtà storica è caotica e contraddittoria che tutto finirà: ciò che costruiamo sulla terra prima o poi scomparirà. Per questo non può avere senso compiuto. Noi siamo nulla dal punto di vista vitale. Ci illudiamo di essere viventi ma in realtà siamo il semplice tentativo che la vita fa di renderci vivi in forma definitiva. Siamo continuamente alimentati e sostenuti nella vita da energie che non ci appartengono e non hanno in noi la loro sorgente. Quando presumiamo di essere noi a vivere ci comportiamo come uno specchio che si inorgoglisce dell’immagine che trasmette. L’immagine è nulla dello specchio. Noi siamo il riflesso di una realtà più grande: solo in quanto riflesso valiamo, non per la consistenza di ciò che si realizza, ma per la realtà che si trasmette.
    La vita perciò non vale per le realizzazioni, per le scoperte, per la fama che otteniamo, per la risonanza nei mezzi di comunicazione. Queste cose tutte cose illusorie. Chi perciò pensa che quello che fa sia importante, che la sua presenza sia necessaria, si illude. Chi coglie perciò l’insufficienza e il vuoto di ogni esperienza è nel vero. Chi giunge a percepire il vuoto delle cose, l’incompiutezza delle realizzazioni, la mancanza di senso definitivo delle scelte, non fa un’esperienza negativa, perché coglie la realtà. La scoperta della precarietà del tutto non è un male in sé, può anzi diventare l’occasione di un salto qualitativo. La generazione attuale sta facendo un’esperienza salutare.

    Dall’abisso un flusso di vita

    Per chi vive la fede in Dio o almeno chi crede ad un’energia vitale alimentatrice del processo evolutivo, l’abisso del nulla può diventare la scaturigine di un flusso nuovo di vita, l’occasione di un getto creativo, quasi una mutazione genetica. Non è escluso che l’umanità stia vivendo un salto qualitativo a livello spirituale e culturale.
    Il principio che regge questo sviluppo sta nella scoperta della dimensione spirituale della persona. Le cose che facciamo valgono in quanto fanno crescere persone, in quanto diffondono vita eterna, cioè la dimensione definitiva dell’esistenza. Per questo l’importanza di tutto ciò che noi facciamo non sta nelle cose, ma in chi diventiamo attraverso le cose che facciamo, quali doni di vita trasmettiamo agli altri. Vivere in questa prospettiva ci introduce in un’altra dimensione, che non è più precaria, provvisoria, funzionale, che scompare e non ha più consistenza, ma è quella vita che resta, perché è la vita divina in noi.
    Perché quello che facciamo diventi trasmissione di vita, faccia crescere figli di Dio, ci renda eterni è necessario che in gioco nella nostra azione ci sia una forza più grande. Che ci sia l’energia della vita, che ci sia l’azione di Dio presente. Per questo è necessario l’atteggiamento di fede, che non è altro che l’atteggiamento con cui noi ci mettiamo in sintonia con la parola/azione di Dio nella nostra esistenza.
    Noi raramente viviamo le esperienze in questa consapevolezza. Ma quando la roccia di fondo, l’azione di Dio, quando viene scoperta, rende solido il nostro cammino e rende solida la nostra speranza.
    Noi adulti potremmo favorire nei giovani questa mutazione, che penso sia proprio una mutazione genetica, dal punto di vista culturale e spirituale. Ed è una cosa straordinariamente positiva, se avviene. Per cui io credo che non dobbiamo stracciarci le vesti, come alcuni sembrano fare, di fronte alla crisi dei giovani. Parlano del nichilismo, ma c’è un nichilismo che è essenziale per vivere in modo autentico: la scoperta del nulla delle cose che facciamo, come tali, della mancanza di senso, perché non hanno un senso compiuto, hanno solo un senso provvisorio che subito svanisce. Ora, questa scoperta è essenziale per vivere in modo autentico. Solo che avviene oggi in un modo molto esteso, in un modo anticipato rispetto ai secoli scorsi e spesso senza la componente di fede. Non parlo della dottrina della fede, ma parlo della componente di fede, cioè di quell’atteggiamento interiore per cui siamo consapevoli che in gioco nella nostra vita c’è un’azione più grande di noi, che ci avvolge un amore che contiene ricchezze non ancora espresse, perché non abbiamo avuto ancora il tempo di accoglierle e di esprimerle quindi nella nostra vita.
    Il compito della generazione più anziana è appunto quello di diffondere la consapevolezza della possibilità nuova con la propria testimonianza. Anche l’esperienza del nulla e del vuoto che le nuove generazioni stanno facendo diventerà positiva, non svanirà nella depressione, nel suicidio, nella fuga nella droga o negli altri stratagemmi che gli uomini hanno inventato per uscire dalla loro condizione. Diventerà un’esperienza positiva, perché condurrà a quella ricchezza di vita autentica che è realmente la ragione della nostra esistenza sulla terra. Noi infatti siamo qui per diventare figli, per raggiungere una dimensione nuova, che si sviluppa lungo il cammino che stiamo facendo. Se questo non avviene tutto perde senso. Per questo le persone che vivono esperienze di questo tipo, se riescono a introdurre in esse le dinamiche di fede fanno un lavoro straordinario: preparano il futuro delle nuove generazioni, perché la mutazione culturale e spirituale può avere certamente uno sbocco positivo.

    Rocca 22/2007


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