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    Giovani e religione

    Paolo Giulietti



    1. Premesse

    È di estrema importanza porre alcune premesse alla trattazione del rapporto tra giovani e religione: esse riguardano da una parte i due termini in gioco, dall’altra il punto di vista dell’osservatore. Dato che la disamina della materia non potrà essere che superficiale e semplificante, insistere sulle premesse significa porre le basi per un approfondimento personale di quanto verrà esposto.

    1.1. Premessa epistemologica: la questione della giovinezza

    La premessa iniziale riguarda il primo termine del rapporto giovani-religione: da più parti, infatti, si mette in discussione da una parte la sensatezza, dall’altra la possibilità di parlare di “giovani”.

    Esiste ancora la giovinezza?
    La giovinezza è un’età la cui definizione varia nel tempo e secondo le culture; essa dipende da molteplici fattori di carattere biologico, psicologico e sociale. A partire soprattutto dal secondo dopoguerra, in occidente si è assistito al dilatarsi nel tempo della giovinezza, intesa come periodo di vita collocato tra la pubertà e l’ingresso nell’età adulta.[1] Ciò ha comportato non solamente un ampliamento della quantità di individui appartenenti a tale fascia demografica, ma anche una differenziazione qualitativa, dal punto di vista culturale, rispetto alle età precedente (la fanciullezza) e successiva (l’età adulta). Il fenomeno, particolarmente evidente a cavallo degli anni ’70, ha fatto parlare di una “cultura giovanile”, diversa (e a volte contrapposta) a quella degli adulti.[2]
    Tale situazione si è andata però modificando, in direzione di una crescente compenetrazione tra stili di vita, modi di pensare e atteggiamenti adulti e giovanili. Secondo alcuni autori,[3] ciò implicherebbe la dissoluzione della cultura giovanile, e quindi la non sensatezza, per esempio, di affrontare il tema del rapporto tra giovani e religione, dovendosi invece affrontare la questione in termini assai più generali.
    Se però è indubbio che non si possa più identificare una “cultura giovanile” nettamente distinta da quella che caratterizza la società intera, è altrettanto innegabile che adolescenti e giovani si caratterizzano per alcune importanti peculiarità culturali. Valga per tutte la modalità di comunicare: le nuove tecnologie, diffuse soprattutto tra le nuove generazioni, consentono infatti modalità relazionali inedite, che implicano un linguaggio proprio e, quindi, una originale comprensione del mondo.[4] Per di più, i giovani interpretano le possibilità offerte dalla tecnologia in modo particolarmente creativo, generando ulteriori modalità relazionali e linguistiche (si pensi al linguaggio inventato per gli sms o agli “squillini” sul cellulare).
    Tali – e altre – considerazioni giustificano ancora un approccio particolare verso la giovinezza, tenendo però sempre presente che non si tratta di esaminare fenomeni esclusivi, quanto di identificare tendenze che appaiono particolarmente evidenti in relazione ad una fascia di età, ma che sono diffusamente presenti, sia pure in grado diverso.[5] Le “cifre” della religiosità giovanile sono quindi riconoscibili anche tra gli adulti, pur se declinate in maniera diversa e – forse – meno evidente.

    Si può legittimamente parlare di “giovani”?
    Altra questione è quella relativa alla possibilità di generalizzare. Infatti, accanto all’estensione nel tempo della giovinezza, nelle società occidentali è aumentata la differenziazione dei percorsi di vita. Il venir meno di alcuni “passaggi obbligati” (si pensi al servizio di leva), unitamente al moltiplicarsi delle opportunità (formative, lavorative, abitative…), alla crescente flessibilità e ai processi di globalizzazione (tra cui è catalogabile anche il percorso di unificazione europea), fa sì che oggi risulti estremamente difficile individuare giovani con “storie” uguali.
    Soprattutto per chi opera in educazione, parlare di “giovani” al plurale è quindi molto rischioso: può dare l’illusione di aver individuato panacee che invece non sono realistiche. La differenziazione porta ad esaltare soprattutto gli aspetti relazionali dell’agire educativo, a discapito di ogni generalizzazione, razionalizzazione ed ottimizzazione. Per il fatto religioso, come si dirà in seguito, questo è particolarmente evidente.
    D’altra parte, è anche possibile riconoscere nei giovani alcune grandi tendenze comuni, pur nella personale interpretazione che ciascuno ne dà. Riconoscerle e descriverle, tuttavia, non può essere mai sufficiente per comprendere l’individuo, la qual cosa necessita sempre, e sempre di più, di un confronto personale.

    1.2. Premessa operativa: religione e religiosità

    La seconda premessa riguarda il seguente termine della relazione: la religione. Essa può venire definita come “l’insieme del linguaggio, dei sentimenti, dei comportamenti e dei segni che si riferiscono ad un essere soprannaturale”.[6] La religione, e quella cattolica in maniera forse più marcata di altre, si presenta quindi come un sistema ben articolato di credenze, ideali, norme, istituzioni e riti. Altro, però, è la religione, altro è il vissuto religioso dei giovani, il quale tende a non identificarsi strettamente con una religione ed una istituzione religiosa, ma a vivere atteggiamenti assai diversificati: si va da un generico bisogno di interiorità, alla ricerca di spiritualità, alla pratica “selettiva”, alla convinta adesione, all’impegno personale.[7] In relazione al grado di coinvolgimento tra i giovani e la religione cattolica, alcuni autori hanno elaborato modelli e tipizzazioni, nel tentativo di delimitare diversi stili o atteggiamenti.[8]
    Al di là di queste considerazioni, resta il fatto che parlare di religione in relazione al mondo giovanile implica il dover tenere presenti una serie assai ampia di comportamenti ed atteggiamenti, che esprimono in qualche modo la loro ricerca religiosa. Di fronte a tale situazione si danno due possibilità (chiaramente non esclusive): esaminare il tipo di rapporto che intercorre tra nuove generazioni e religione cattolica, in relazione ai diversi aspetti che caratterizzano questo sistema religioso; oppure analizzare delle caratteristiche di fondo della domanda religiosa giovanile, che certamente influenzano anche gli aspetti di cui sopra, ma che delineano un orizzonte più ampio e sfumato. La prima opzione pone l’accento sulla religione, in rapporto alla quale si “misurano” i giovani e i loro atteggiamenti; la seconda ferma maggiormente lo sguardo sulle nuove generazioni ed il loro vissuto (la religiosità). Dovendo scegliere una prospettiva, le considerazioni che seguono si muoveranno soprattutto sul secondo versante, accettando consapevolmente una maggiore indeterminatezza sul piano della “religione”, in favore di una visione forse più feconda dal punto di vista educativo[9] e più stimolante dal punto di vista pastorale.

    1.3. Premessa ermeneutica: una lettura “interessata”

    La terza premessa concerne il tipo di approccio ad una lettura del mondo giovanile; non esiste, infatti, una analisi completamente oggettiva della realtà (soprattutto se si tratta di persone e insiemi di persone). Ogni analisi è interpretazione: assumere e dichiarare un punto di vista è dunque essenziale sia per elaborare una lettura che per utilizzarla ai propri fini. Uno sguardo da educatori e da credenti sulla realtà giovanile assume due prospettive fondanti, che è importante esplicitare.

    Una lettura “interessata”
    L’educatore si interroga sui giovani a partire da un interesse: quello di individuare le possibilità e i limiti che la situazione offre alla propria azione. Non è una lettura “asettica”, ma “interessata”. Essa indaga la realtà tenendo presente un’antropologia e – in questo caso – un’antropologia teologica, che non costituisce solamente un presupposto teorico, ma anche un obiettivo. Ciò condiziona certamente l’analisi, da una parte nella determinazione della griglia di lettura, dall’altra nella valutazione dei risultati.

    Una lettura “realisticamente positiva”
    L’approccio educativo e credente si manifesta anche in un atteggiamento realisticamente positivo. All’educazione, infatti, è necessario individuare soprattutto quel “cinque per cento di buono” (Baden-Powell) su cui fondare il proprio agire. Altri approcci (propri dell’istruzione o dell’addestramento) hanno assai minori preoccupazioni; il loro agire è infatti relativamente indipendente dalla soggettività del destinatario. Non così l’educazione, che è essenzialmente relazione ed esige reale reciprocità ed autentico protagonismo da parte dell’educando. Laddove non si individui alcun elemento favorvole, non può quindi darsi educazione.
    Il credente, inoltre, è sostenuto in questa visione positiva dalla convinzione che il Dio della storia sia presente ed agisca in ogni generazione, ad ogni latitudine ed in ogni cultura. A ciascuno, infatti, (e ad ogni generazione) sono dati i doni dello Spirito per l’utilità comune (cf. 1Cor 12, 7). C’è dunque, nella “novità” che caratterizza i giovani, anche una “verità” da riconoscere ed accogliere.[10]
    L’approccio positivo non implica però ingenuità: nell’educatore e nel credente, infatti, alberga la convinzione che la giovinezza è una realtà fondamentalmente ambigua, cioè suscettibile di sviluppi positivi o negativi.[11] Essi dipendono in larga parte dal tipo di accompagnamento e di sostegno che il giovane avrà ricevuto. Il carattere “interessato” dell’analisi non sta, quindi, solo in partenza, ma si determina anche come esito dell’approccio adottato: uno sguardo che va alla ricerca di potenzialità contiene infatti l’appello a farsene educativamente carico.

    2. La crescita di una domanda religiosa “nuova”

    Nella maggior parte delle società occidentali, alla crisi delle ideologie che ha caratterizzato la fine del secolo scorso è corrisposta la crescita del bisogno religioso. Nonostante i teorici della secolarizzazione avessero pronosticato l’estinzione della religione nelle società evolute, essa non solo non è scomparsa, ma conosce un interesse ed una diffusione impensabili solo qualche anno fa.[12]
    Nel caso italiano, alla persistenza di alcuni indicatori quantitativi si aggiungono fenomeni difficilmente ignorabili: si pensi ad esempio ai funerali di Giovanni Paolo II, al proliferare di fiction televisive di stampo agiografico, all’offerta di esperienze e vacanze di carattere spirituale… Il mondo giovanile è sicuramente in prima linea nell’interpretare tale crescita del sentimento religioso.
    Sarebbe però errato ritenere che la secolarizzazione non abbia influito sulla religione; se non ne ha determinato la scomparsa, ne ha però causato la trasformazione: l’atteggiamento dei contemporanei è infatti assai diverso dal passato.[13] Esso si caratterizza per alcune “cifre” peculiari del nostro tempo, che interessano tutte le fasce d’età, ma che sono vissute in modo eminente dai giovani. Tale situazione si qualifica per la sua ambiguità: ogni indicatore, infatti, contiene potenzialità positive e negative. Ciò rispecchia – probabilmente – la generalizzata situazione di cambiamento, con i rischi e le speranze che ogni trasformazione epocale porta con sé.
    Va notato che esiste un reciproco rimando tra una “cifra” e l’altra: il distinguere ha soprattutto utilità accademica, non potendosi separare aspetti che nella realtà sono profondamente connessi ed interdipendenti.

    2.1. La “cifra” della soggettività

    Il soggettivismo è uno dei caratteri emergenti della cultura contemporanea, segnatamente per le nuove generazioni. Esso è un effetto della complessità sociale, nella quale non esiste più un centro generatore di valori e ideali condivisi, ma una cultura fatta di frammenti, nella quale (complice la crisi delle grandi narrazioni) non trovano posto né la verità né l’oggettività. I giovani, in questo modo, “si chiudono in un orizzonte di senso costituito principalmente dai bisogni personali, dalle argomentazioni del desiderio, dai sentimenti, espressi o non, e dai sistemi simbolici interiorizzati. Questa chiusura si attenua solo in micro-aperture disegnate dalla relazionalità primaria con le persone con cui si condivide, in un clima di solidarietà affettiva, il piccolo mondo vitale quotidiano. Anche se spesso, in questi casi, più che di vere aperture si tratta di una reciproca accettazione, da parte delle persone in relazione, della propria soggettività”.[14]
    Anche la ricerca religiosa dei giovani si qualifica per il grande peso esercitato dalla soggettività. Da una parte, infatti, il bisogno di spiritualità viene percepito come qualcosa di estremamente personale, che interessa l’intimo di un individuo e che pertanto spetta solamente al soggetto valutare. Non può esser messo in discussione o sottoposto a verifica, come accade per altre dimensioni della sfera privata (ad esempio il look). Dall’altra parte la soggettività esercita una potente azione di filtro nei confronti della religione, che si presenta sempre in forme strutturate e istituzionali. La centralità del fattore soggettivo impedisce una facile coincidenza tra la domanda religiosa e l’offerta di una determinata istituzione. Ne risulta un prevalente atteggiamento di tipo funzionale, che accetta e aderisce ad una religione non integralmente, ma scegliendo di dare importanza a ciò che viene percepito come utile a soddisfare le esigenze personali.[15] Alcune pratiche, credenze e norme sono accolte e seguite, altre invece vengono rifiutate, altre ancor vengono vissute con significati e modalità nuovi. Tale selettività, in verità non nuova sul piano della prassi,[16] può condurre anche a derive di tipo sincretista: in un contesto caratterizzato dalla moltiplicazione dell’offerta religiosa, i bisogni individuali possono trovare risposta contemporaneamente in tradizioni religiose, superstizioni e pseudo-religioni diverse. Da questo punto di vista, l’Italia mostra una tenuta maggiore del cattolicesimo, rispetto ad altri paesi occidentali,[17] ma tendenze sincretiste sono comunque facilmente rilevabile tra i giovani.[18]
    La centralità del soggetto prospetta anche un esito positivo: la riscoperta della importanza insostituibile della coscienza individuale, “centro di gravità” di una identità capace di affrontare la complessità. La coscienza “nucleo più segreto e sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio”,[19] è infatti rimasta unica “guida” permanente in un contesto di grande frammentazione, in cui l’individuo non ha appoggi al di fuori di sé, se vuole vivere “unificato” ed evitare di consegnarsi di volta in volta alle visioni valoriali di ciascun ambiente. In tale situazione è necessario mettere l’accento sulla responsabilità personale, offrire una più intensa attenzione formativa, attenta soprattutto all’interiorità;[20] il compito educativo si presente probabilmente più arduo rispetto al passato, ma configura un esito molto valido: una persona capace di libertà, che agisce per convinzione e che sa muoversi da credente, senza complessi, nella società multiculturale.

    2.2. La “cifra” dell’emotività

    La dimensione affettiva svolge un ruolo sempre più incisivo nella vita sociale ed anche nella ricerca religiosa dei giovani. Al criterio della verità (“credo o faccio questo perché é vero”) si sostituisce spesso quello del benessere (“credo o faccio questo perché mi fa stare bene o perché sto bene con te che lo fai”). La questione della verità, intesa sia come ragionevolezza di un assunto (o di una prassi) che come coerenza del medesimo con l’impianto complessivo (teologico ed etico) di una religione, passa in secondo piano rispetto alla risonanza emotiva che esso suscita nel soggetto.
    Tale atteggiamento è, almeno in parte, debitore al deficit di cultura religiosa dei giovani (ma non solo dei giovani!): nel labirinto dell’offerta religiosa contemporanea, spesso veicolata dai media, e quindi segnata in modo pesante dalla sottolineatura del lato emozionale, la mancanza di adeguati criteri di giudizio gioca sicuramente un ruolo di primo piano. Non è tuttavia sufficiente addebitare tale situazione alla carenza di nozioni catechistiche: si tratta invece di un diverso approccio alla domanda religiosa, che attribuisce importanza alla risonanza interiore, immediata e soggettiva, destata dalle esperienze religiose, piuttosto che al loro carattere razionale.
    La congiuntura descritta rischia da una parte di favorire un accostamento superficiale alla religione, dall’altra di confinare la dimensione religiosa alla sfera dell’intimità, negando ogni possibile interazione con le altre dimensioni della vita personale, per la quale si adottano logiche e criteri assolutamente autonomi. Così, all’adesione entusiastica e radicale a talune manifestazioni o pratiche religiose corrisponde a volte la totale assenza di riferimenti religiosi in molti altri campi del vivere quotidiano. La pratica religiosa e la credenza religiosa vengono in questo modo ad assumere il carattere di uno tra i tanti “compartimenti stagni” o “frammenti” in cui si articola l’esperienza di un giovane. Una religione dell’emozione appare quindi tanto coinvolgente in alcuni istanti, quanto irrilevante nel complesso dell’esistenza personale, contribuendo alla “drammatica” frattura tra Vangelo e cultura, tra fede e vissuto quotidiano.[21]
    L’accentuazione della dimensione affettiva contiene però anche un’apertura positiva: il passaggio da una religione del timore di Dio ad una religione dell’amore, del cuore. Il venir meno della pressione di conformità esercitata da un ambiente ed una cultura sostanzialmente omogenei alla visione cristiana, insieme con il superamento di una visione precettistica e cognitiva dell’esperienza religiosa, restituisce infatti al “cuore” il ruolo di protagonista nel rapporto con Dio. Ciò risponde alla verità centrale del cristianesimo, che non è primariamente indentificabile con un sistema di verità, di valori o di riti, ma è essenzialmente una persona: Cristo.[22] La dinamica affettivo-relazionale è quindi inscindibile dall’esperienza cristiana, e ne costituisce anzi una componente primaria. Riportare l’accento sulla necessità di un coinvolgimento pieno e profondo del soggetto in una relazione di amore è sicuramente una grande potenzialità in ordine ad un vissuto più autentico della fede.
    È certamente necessario una retta comprensione, alla luce dell’antropologia biblica, del “cuore” come nucleo unificante della persona, in cui risiede non solo la centrale degli affetti, ma anche quella della volontà. “Il cuore dell’uomo è la fonte stessa della sua personalità cosciente, intelligente e libera, il centro delle sue opzioni decisive, quello della legge non scritta e dell’azione misteriosa di Dio”.[23] Ciò consente di recuperare una visione integrale dell’esperienza religiosa, senza negare attenzione (come non di rado è accaduto e accade) alle dinamiche affettive che tanta importanza rivestono per il vissuto giovanile.
    Una nuova attenzione all’emotività implica infine la capacità di educare i sentimenti, mediante un’azione che sappia evocarli, identificarli, valutarli e sostenerli nel loro sviluppo buono. Anche da questo punto di vista le tendenze giovanili sollecitano un fecondo recupero di sapienze antiche, le quali attraverso il “discernimento degli spiriti” e più generale valorizzazione degli affetti hanno prodotto grandi tradizione di spiritualità.

    2.3. La “cifra” della immediatezza (temporale)

    La ricerca religiosa dei giovani si caratterizza per quella centratura sul presente che è peraltro uno dei fenomeni più rilevanti della cultura contemporanea: l’indebolimento del nesso con le generazioni passate (le proprie radici) e della tensione progettuale al futuro è infatti un fenomeno generalizzato, che influisce pesantemente in parecchie aspetti dell’esperienza dei giovani. Le nuove generazioni sono sempre meno capaci di interpretare il fluire del tempo lungo l’asse lineare della storia e, quindi, di dare alla propria vita la coerenza e l’unitarietà di un progetto capace di fornire un senso al frammento di tempo i cui confini sono la nascita e la morte, all’interno del frammento di tempo più grande i cui confini sono, invece, l’inizio e la fine della storia umana. [24]
    La “cifra” dell’immediatezza ha particolare rilevanza nel rapporto con la religione, che è, da parte sua, un’esperienza fortemente radicata nel passato (la tradizione) e protesa verso il futuro (l’escatologia). Una religiosità priva di forte ancoraggio al passato e scarsamente interessata all’avvenire viene quindi a perdere dei riferimenti essenziali. Per di più, l’esperienza religiosa cattolica è segnata forse più di altre dal carattere comunitario, popolare, gerarchico ed intergenerazionale: mal si presta quindi ad essere interpretata individualisticamente o da segmenti anagraficamente definiti di popolazione.
    Le conseguenze più evidenti di tale atteggiamento sono da una parte la sempre minore propensione a fare progetti e ad assumere scelte definitive; dall’altra il minore radicamento nella tradizione, e quindi la crescente fatica a dotarsi di una identità religiosa fondata e sostenibile. La crisi delle vocazioni e la fragilità delle unioni matrimoniali non sono che la punta dell’iceberg di una situazione la cui “cifra” più preoccupante è la perdita della speranza, e quindi l’abbandono ad un vissuto orientato solamente al massimo sfruttamento del presente, in cui la dimensione religiosa perde la propria capacità motivante e mobilitante, per ridursi a mera esperienza consolatoria .
    A ben vedere, però, la questione del presente è altrettanto seria di quella del passato e del futuro. Il grido espresso in un graffito: “Non voglio il paradiso da morto, lo voglio mentre vivo sulla terra”,[25] non traduce forse la prospettiva di “vita abbondante” che Gesù dice essere obiettivo della sua missione?[26] Il bisogno di felicità non è quindi un desiderio illusorio,[27] ma una tensione positiva che abita nell’animo dei giovani, e che non implica necessariamente l’oblio della dimensione verticale del tempo, ma esige un suo recupero in funzione di quel presente che è il kairòs, l’”oggi della salvezza”. Ad una spiritualità in cui la dimensione tradizionale-istituzionale e quella escatologica prevalevano sull’immediatezza, giungendo a volte ad ignorarne le esigenze, si può sostituire oggi una spiritualità del presente, che si rifà al tempo precedente e a quello seguente perché essi sono essenziali nel conferire significato a ciò che si sta vivendo. Infatti perché si possa parlare di un’attualità pienamente e sensatamente vissuta, è necessario che la persona accetti la storia da cui proviene, con i relativi condizionamenti, ed affronti la prospettiva della morte (la quale è ben presente nella coscienza dei giovani[28]), con la sua potenzialità di mettere sotto scacco ogni dimensione dell’esperienza. Un’educazione capace di occuparsi della vita concreta e del presente dei giovani, offrendo loro al contempo ragioni di senso e di speranza, è la sfida che la “cifra” dell’immediatezza pone alla comunità cristiana.

    2.4. La “cifra” della fragilità

    La concezione di identità che il passato ci ha consegnato si caratterizza per la propria stabilità e definitività (identità forte); oggi invece, in una società che conosce innumerevoli e rapidi cambiamenti, l’identità viene concepita e vissuta come qualcosa di dinamico, di mai compiutamente definito (identità debole).[29] La cifra della fragilità, di volta in volta interpretata come elasticità, resilienza, flessibilità o passività, segna pertanto in maniera decisiva il processo identitario.
    Questa figura di identità è assai più funzionale della precedente ad un mondo in continua trasformazione, che obbliga soprattutto i giovani (più esposti alla precarietà[30]) ad un incessante processo di adattamento.[31] Laddove però la prassi adattiva risulti eccessiva, ha come effetto lo smarrimento dell’identità, in favore di un trasformismo certo efficace, ma che priva la persona della possibilità di essere ovunque e sempre coerente a se stessa: una identità eccessivamente dinamica finisce per non essere più in grado di svolgere la propria funzione.”L’impossibilità di far fronte adeguatamente al problema dell’identità può portare i giovani a non porsi troppi problemi, ad essere aderenti alla vita quotidiana, ad accettare il ritmo del vivere alla giornata, in una sorta di cambiamento ridimensionato delle attese che si produce in conseguenza di una situazione generale d’annebbiamento”.[32]
    Questo contesto presenta anche un lato positivo, che consiste nella possibilità di raggiungere e tollerare equilibri precari, che spesso sono gli unici possibili per i giovani. “Ciò a condizione che i giovani imparino e siano aiutati ad imparare a valersi delle opportunità a livello strumentale, evitando di identificarsi con esse in maniera totalizzante. […] Per questo urge impostare una pedagogia e una pastorale che abiliti i giovani a gestire la provvisorietà, dando motivazioni ‘a corto raggio’, giorno per giorno, con percorsi formativi sintonizzati con le attuali situazioni di precarietà, indecisione e condizionamento in cui storicamente si trovano ad esistere”.[33]
    Anche la dimensione religiosa risente del cambiamento relativo ai processi di costruzione e alla concezione dell’identità; infatti si registrano i medesimi fenomeni di fatica ed instabilità nella maturazione di quella “mentalità di fede” che il Documento di Base indica come obiettivo della crescita cristiana.[34] “Dal punto di vista del modello di religiosità, i giovani intervistati possono essere avvicinati all’immagine del cercatore e del pellegrino, di colui cioè che è in cammino e che quindi non può mai dire di avere raggiungo una meta; che tende a considerare ogni esperienza come una tappa del proprio itinerario di fede. La scelta di questa figura è emblematica di una religiosità in movimento, che fa della mobilità esteriore il riflesso di quella interiore. […] I giovani ammettono anche la fragilità della loro fede, che interpretano più come un processo e un dinamismo che come una conquista già realizzata”.[35]
    Una fede fragile, in un contesto di pluralismo culturale e religioso, appare esposta a notevoli rischi di instabilità e scarsamente capace di motivare un’azione testimoniale ed evangelizzatrice. D’altra parte, la dimensione del pellegrinaggio è costitutiva dell’esperienza cristiana. Pietro, nella sua prima lettera, non si rivolge forse ai cristiani del suo tempo (per certi versi simile all’attuale) definendoli “stranieri e pellegrini”? (1Pt 2,11). La fragilità di chi non possiede sicurezze diviene cifra positiva, perché abilita a percorrere il mondo con apertura di mente e di cuore, pronti a rendere ragione della propria speranza, ma con la dolcezza e il rispetto (cf. 1Pt 3, 15-16) di chi, in fondo, condivide il medesimo cammino di ricerca. La “spiritualità in movimento” dei giovani può dunque costituire una forma di identità cristiana adeguata ai tempi ed importante risorsa per una Chiesa protesa al dialogo e all’evangelizzazione. Certamente la questione educativa rimane centrale: il pellegrino, infatti, può anche degenerare in routier, e trasformare la ricerca religiosa in un turismo esperienziale che non produce alcuna sintesi personale.

    2.5. La “cifra” della relazionalità

    I “valori relazionali” sono da tempo in testa nelle classifiche registrate dalle diverse ricerche sul mondo giovanile.[36] Si tratta però di una relazionalità limitata, che privilegia i rapporti di tipo primario e che di converso si caratterizza per una marcata indifferenza verso tipologie relazionali tipiche dell’impegno sociale. “Ne consegue un insieme di atteggiamenti e di orientamenti all’azione che sembra sempre più rinserrarsi nella ristretta cerchia degli affetti sicuri, delle certezze che derivano solo dallo stare insieme e dal sostenersi a vicenda tra chi condivide i nostri stessi criteri di giudizio, i medesimi modi di vita, lo stesso ambiente sociale. L’altro appare sempre più lontano, la società viene relegata nel retroscena”.[37] Una simile relazionalità non di rado risulta agire da elemento negativo per la crescita dei giovani: il rapporto con la famiglia, in cui si rimane più a lungo che in qualsiasi paese d’Europa, viene spesso vissuto come un sistema di complicità che alla fine è di ostacolare al divenire adulti; anche la relazione con l’altro sesso dà luogo a legami tanto lunghi quanto a-progettuali, dove lo stare insieme non suscita impegno reciproco e non si apre alla generatività, che costituisce un fondamentale scatto di adultità.
    L’importanza della relazione ha conseguenze anche sul piano del vissuto religioso. “I fattori che mantengono costante la tensione nel cammino di fede [dei giovani] sono molteplici, ma l’elemento che sembra prevalere è quello relazionale, ovvero da un lato il riconoscimento di una presenza superiore con la quale ha senso rapportarsi, dall’altro l’importanza di figure di riferimento che aprano il cammino e segnino il passo. […] I giovani alimentano la loro religiosità non soltanto attraverso un rapporto verticale, con Dio e con la figura di Gesù Cristo, ma anche attraverso una relazione orizzontale con altri soggetti che condividono il loro cammino, in particolare con coloro che sono in grado di comunicare la bellezza della fede”.[38] Come si vede, la situazione è ambivalente: da una parte stanno gli esiti negativi di una socialità ecclesiale introversa e appagante; dall’altra la relazione, sia verticale che orizzontale, diviene fattore propulsivo di primaria importanza. Dal punto di vista della relazionalità orizzontale (dell’altra si è accennato al punto 2.2.), vanno sottolineati alcuni aspetti di grande importanza, in ordine all’educazione cristiana:
    - il ruolo dei testimoni, figure decisive per la crescita nella fede: il rapporto con adulti significativi è una chiave di volta del processo educativo;
    - l’importanza della relazione come fattore motivante: col tramontare delle ideologie, l’ideale è alimentato dall’incontro con persone e situazioni concrete; è la forza evocativa del volto dell’altro che - sola - è ancora capace di mobilitare le energie dei giovani;
    - l’attualità della peer-education: si esprima o meno nella classica forma del gruppo educativo ecclesiale, la relazione con i coetanei è elemento educativo di primaria importanza.
    La tendenza dei giovani a vivere una religione con forti contenuti relazionali orizzontali sollecita la comunità cristiana a divenire consapevole che il rapporto interpersonale, nelle sue diverse tipologie, costituisce uno strumento educativo imprescindibile. Ciò richiede una maggiore caratterizzazione comunitaria del vissuto ecclesiale, con la valorizzazione di dinamiche socializzanti ed intergenerazionali.

    3. Conclusione

    La rapida esposizione ha evidenziato rischi e potenzialità correlati alle “cifre” che caratterizzano la ricerca ed il vissuto religioso dei giovani. La situazione appare gravida di possibilità, ma anche bisognosa di un deciso investimento: l’apertura dei giovani alla dimensione religiosa ha consistenza qualitativa e quantitativa inedita e (per certi versi) inaspettata; però necessita di un’azione educativa competente e puntuale da parte della comunità adulta.
    La potenzialità e insieme la decisività della situazione attuale traspare dall’espressione utilizzata dai vescovi italiani, che hanno definito i giovani “talento” della Chiesa;[39] se infatti tale consapevolezza non dovesse sfociare in un’azione efficace di “investimento”, essi non potrebbero produrre i frutti che sono in grado di dare, ed il servo fannullone sarebbe gettato la dove è pianto e stridore di denti (cf. Mt 25, 14-30).

    4. Bibliografia minima

    4.1. Ricerche

    Carlo Buzzi – Alessandro Cavalli – Antonio de Lillo, Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna 2002.

    Pierpaolo Donati – Ivo Colozzi (edd.), Giovani e generazioni. Quando si cresce in una società eticamente neutra, Il Mulino, Bologna 1997.

    Riccardo Grassi (ed.), La religiosità giovanile in Italia. Come i giovani italiani vivono il rapporto con la religione, come la religione influisce sulle scelte e sui comportamenti quotidiani, Istituto Iard, Agosto 2005.

    Mario Midali – Riccardo Tonelli (edd.), L’esperienza religiosa dei giovani (5 voll.), ElleDiCi, Leumann (To) 1995-1996.

    Elisa Manna (ed.), Giovani e cultura nell’era della comunicazione, CENSIS, Roma 2002.

    Mario Pollo, Il volto giovane della ricerca di Dio, Piemme, Casale Monferrato (Al), 2003.

    4.2. Documenti

    CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità. Orientamenti pastorali per gli anni '90, Roma, 8 dicembre 1990, nn. 44-46.

    CEI, Con il dono della carità dentro la storia. Nota pastorale, Roma, 26 maggio 1996, nn. 38-40.

    CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000, Roma, 29 giugno 2001, n. 51.

    Presidenza della CEI, Educare i giovani alla fede. Orientamenti emersi dai lavori della XLV Assemblea Generale, Roma, 27 febbraio 1999.

    4.3. Studi

    Francis-Vicent Antony et al. (edd.), Pastorale giovanile. Sfide, prospettive ed esperienze, ElleDiCi, Leumann (To) 2003.

    Eurispes, Sesto rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, Eurispes- Telefono Azzurro, Roma 2005.

    Mario Midali - Riccardo Tonelli (edd.), Dizionario di pastorale giovanile, ElleDiCi, Leumann (To) 1992.

    Mario Pollo, Essere giovani nella complessità, tra speranza e indifferenza, in: CEI, Atti della XLV assemblea generale. Collevalenza, 9-12 novembre 1998, Roma, 1 settembre 2003, pp. 44-74.

    Matteo Zambuto, Generazione giovani: avvenimenti, personaggi, miti, musica, moda dell’ultimo cinquantennio, Paoline, Milano 2003.

    NOTE

    [1] Cf. Carlo Buzzi – Alessandro Cavalli – Antonio de Lillo,Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 19-39.

    [2] Cf. Cecilia CristoforiStato di moratoria. Le rappresentazioni sociali dei giovani dall’autonomia alla segregazione sociale, Franco Angeli, Milano 1990, pp. 15-25.

    [3] Vedere a proposito alcune interessanti panoramiche: MarioPolloModelli di approccio alla “condizione giovanile”, in:  Francis-Vincent Antony et al. (edd.), Pastorale giovanile. Sfide, prospettive ed esperienze, ElleDiCi, Leumann (To) 2003, pp. 21-32; Pierpaolo Donati – Ivo Colozzi (edd.), Giovani e generazioni. Quando si cresce in una società eticamente neutra, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 14-15; Alessandro Dal LagoAugusta Molinari (edd.), Giovani senza tempo. Il mito della giovinezza nella società globale, Ombre Corte, Verona 2001.

    [4] Cf. Pasquale ScandizzoLa realtà digitale e i giovani, in: Giuseppe Iannicelli (ed.), E-gener@tion. Cinema, educazione, società nella rivoluzione multimediale, CGS, Roma 2002, pp. 105-112.

    [5] Cf. Giovanni Levi – Jean Claude Schmitt (edd.), Storia dei giovani, Vol II: L'eta contemporanea, Laterza, Bari 1994.

    [6] Antoine VergoteReligione, fede, incredulità. Studio psicologico, Paoline, Roma 1985, p. 83.

    [7] Cf. Vito OrlandoReligione, in: Mario Midali - Riccardo Tonelli (edd.), Dizionario di pastorale giovanile, Elle DiCi, Leumann (To) 1992, pp. 808-818.

    [8] Così ad esempio Garelli, che descrive il “popolo delle Gmg” classificandolo in quattro “stili di religiosità”: “fedelissimi”,  “regolari”, “cercatori”, “in stand-by” (cf. Raffaella Ferrero CamolettoI giovani delle Gmg: un arcipelago di “stili religiosi”, in: Franco Garelli - Raffaella Ferrero Camoletto (edd.)Una spiritualità in movimento. Le giornate Mondiali della Gioventù da Roma a Toronto, Messaggero, Padova 2003, pp. 223-252); Anche la relazione IARD presenta un tentativo di tipizzazione (cf. Riccardo Grassi (ed.), La religiosità giovanile in Italia, Istituto Iard, Agosto 2005, pp. 18-41).

    [9] Nel pensiero di chi scrive, l’adozione di un punto di vista più ampio, anche se più generico, rende possibile ipotizzare percorsi ed interventi educativi a più vasto raggio, capaci soprattutto di educare la domanda religiosa anche in situazioni di marcata distanza dalla comunità cristiana (anche attraverso interventi di tipo culturale),

    [10] Cf. Presidenza della CEI, Educare i giovani alla fede.Orientamenti emersi dai lavori della XLV Assemblea Generale, Roma, 27 febbraio 1999, n. I.

    [11] Cf. Mario PolloEssere giovani nella complessità, tra speranza e indifferenza, in: CEI, Atti della XLV assemblea generale. Collevalenza, 9-12 novembre 1998, Roma, 1 settembre 2003, pp. 50-51.

    [12] Rodney Stark - Massimo IntrovigneDio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente,  Piemme, Casale Monferrato (Al) 2003; Marina Corradi, Parla Garelli: «La secolarizzazione si è fermata». Dio non è più morto, in: “Avvenire” 22.07.2003; Marco PolitiIl ritorno di Dio. Viaggio tra i cattolici d’Italia, Mondatori, Milano 2004.

    [13] Cf. Riccardo GrassiLa religiosità giovanile, pp. 146-147.

    [14] Mario PolloEssere giovani nella complessità, tra speranza e indifferenza, in: CEI, Atti della XLV assemblea generale. Collevalenza, 9-12 novembre 1998, Roma, 1 settembre 2003, p. 46.

    [15] Cf. ibid., 62-64.

    [16] È esistita in ogni epoca una religiosità popolare, con sentimenti, atteggiamenti e pratiche più o meno distinti da quelli della religione ufficiale.

    [17] Cf. Luca DiotalleviIl rompicapo della secolarizzazione italiana. Caso italiano, teorie americane e revisione del paradigma della secolarizzazione, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 2001. 

    [18] Cf. Barbara Riva, Il New Age fra secolarizzazione e nostalgia. Una ricerca sul senso religioso dei giovani, Il Ponte Vecchio, Cesena, 1997; cf. anche Mario PolloEssere giovani, pp. 72-73. Alle tendenze sincretiste contribuisce anche il fenomeno dell’immigrazione, che rende facilmente avvicinabili religioni diverse dalla cattolica. L’appartenenza religiosa degli immigrati in Italia vede infatti, accanto al 49,5% di cristiani (20,3% ortodossi, 22,6% cattolici, 6,6% riformati), il 33% di musulmani, il 4,3% di aderenti a religioni orientali e l’1,2% di praticanti le religioni tradizionali (cf. Caritas-Migrantes,Immigrazione. Dossier statistico 2005. XV Rapporto, Idos, Roma 2005, pp. 202-208).

    [19] Gaudium et spes, 16.

    [20] Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica,1776-1785.

    [21] Cf. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 20.

    [22] Cf. Giovanni Paolo IIMessaggio per la XIX Gmg, n. 3; Id.,Discorso ai giovani svizzeri, 5 giugno 2004, n. 2.

    [23] Jan De Fraine – Albert VanhoyeCuore, in: Xavier Leon-DufourDizionario di teologia biblica, Marietti, Genova 1990, 242.

    [24] Cf. Alessandro Cavalli (ed.), Il tempo dei giovani, Il Mulino, Bologna 1995; cf. anche Mario PolloEssere giovani, pp. 53-58.

    [25] Michele PignataleUn grido che diventa felicità, in: “MondoVoc” 3/2006, p. 23.

    [26] Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10, 10).

    [27] Cf. Giovanni Paolo IIDiscorso all’Exhibition place, Toronto 25 luglio 2002, n..2.

    [28] Cf. Mario PolloEssere giovani, pp. 55-56.

    [29] Cf. Anna Oliverio FerrarisLa ricerca dell’identità. Come nasce, come cresce, come cambia l’idea di sé, Giunti, Firenze 2002.

    [30] Sull’argomento cf. Barbara GattoniI giovani e la flessibilità lavorativa. Occasioni e rischi nella costruzione dell’identità, in: “Studi Zancan” 2/2005, pp. 64-85.

    [31] Cf. Mario PolloEssere giovani, p. 58.

    [32] Franco GarelliLa generazione della vita quotidianaI giovani in una società differenziata, Il Mulino, Bologna 1984, p. 30.

    [33] Severino De PieriIdentità, in: Mario Midali – RiccardoTonelli (edd.), Dizionario, p. 441.

    [34] “Educare al pensiero di Cristo, a  vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere ed amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito santo”(CEI, Il rinnovamento della catechesi, Roma, 2 febbraio 1970, n. 38).

    [35] Franco GarelliLa sensibilità religiosa emergente, in: Franco Garelli - Raffaella Ferrero Camoletto (edd.)Una spiritualità, pp. 256-257. Più avanti (p. 259) Garelli avverte di non dedurre semplicistiche identificazioni con il pellegrinare del passato, decisamente orientato alla meta, poiché i giovani sono anche “cercatori di sensazioni”, secondo la definizione di Bauman (Zygmunt BaumannLa società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1999).

    [36] Nel V Rapporto IARD guidano la graduatoria: famiglia, amore e amicizia (Carlo Buzzi – Alessandro Cavalli – Antonio de LilloGiovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna 2002, p. 42).

    [37] Ibid., p. 48.

    [38] Roberto ScalonLa spiritualità. Uno sguardo sui partecipanti alla Gmg, in: Franco Garelli - Raffaella Ferrero Camoletto (edd.)Una spiritualità, p. 68.

    [39] CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000, Roma, 29 giugno 2001, n. 51.




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