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    dell'animatore


    5. L'ANIMAZIONE

    CULTURALE /1

    Mario Pollo 

     

     INDICE

    1. INTRODUZIONE

    1.1. Animazione come scommessa e stile di vita
    1.2. Animazione come modello educativo

    2. LA «FUNZIONE» DELL'ANIMAZIONE NELL'ATTIVITA UMANA

    2.1. Alcuni usi odierni del termine
    2.2. Le radici culturali e linguistiche
    Le indicazioni del Dizionario del Tommaseo
    Animazione come qualità delle forme di vita liberate e liberanti

    2.3. L'uso educativoformativo dell'animazione
    L'animazione negli anni del politico
    La scelta educativa dell'animazione
    Socializzazione, inculturazione, educazione
    L'animazione al crocevia dei processi formativi
    Animazione: qualità diffusa e attività intenzionale e metodica

    2.4. L'animazione come funzione della vita e come modello formativo/educativo
    Animazione come funzione della vita
    Animazione come modello formativo/educativo
    Attività di animazione e «animazione culturale»

    3. PERCHÉ L’ANIMAZIONE CULTURALE OGGI?

    3.1. La crisi dell'identità storicoculturale
    Lo scontro tra culture tradizionali e cultura tecnologica
    Il consumismo: un vivere senza passato e senza futuro
    Il risultato: un uomo indifeso dall'angoscia e «disponibile»

    3.2. La difficoltà di transazione tra mondi vitali e sistema sociale
    Mondi vitali, sistema sociale, transazione
    Il ritorno al privato e l'arcipelago della soggettività
    La distanza tra paese reale e paese istituzionale

    3.3. La crisi dei meccanismi di trasmissione culturale
    Il ruolo negativo di certe pratiche di allevamento
    L'affievolirsi della famiglia come trasmettitore culturale
    La crisi di identità della scuola
    La pluralità delle agenzie formative

    3.4. Le trasformazioni del linguaggio giovanile
    L'offuscamento della funzione referenziale delle parole
    La trasformazione della struttura lineare della frase
    L'impoverimento del lessico giovanile

    3.5. Il contributo (povero) dell'animazione dei giovani

    4. FONDAMENTI ANTROPOLOGICI DELVANIMAZIONE CULTURALE

    4. 1. L'homo symbolicus
    Vivere e «rappresentare» il reale, il vissuto, il linguaggio e la cultura come «ordinatori» della realtà
    L'uso dei segni nel disegnare la realtà
    Miti, simboli e immagini per dire il senso profondo della vita
    Perché animazione «culturale»

    4.2. L'uomo come sistema aperto
    Il sistema: unità, relazioni, osservatore
    L'uomo come sistema aperto
    L'animazione assume l'uomo come «sistema complesso»
    L'animazione del sistema prima che dell'individuo
    Al di là del rapporto deterministico tra causa ed effetto

    4.3. L'uomo nello spaziotempo
    Lo spaziotempo: descrizione e definizione
    Uno spaziotempo relativo all'uomo e agli eventi
    I vari flussi di tempo nella vita umana
    Un tempo einsteiniano per l'animazione
    La creazione di un «centro» esistenziale nello spaziotempo
    Preservare la parte

    ^ I quaderni 5 e 6 costituiscono insieme uno dei poli attorno a cui ruota il nostro progetto di animazione giovanile. È giunto il momento di scoprire le carte e dichiarare quale uso vogliamo fare dei termine. Fin dal «credo dell'animatore» (Q1) avevamo indicato le nostre scelte di fondo. Le richiamiamo velocemente, come introduzione a questo quaderno.

    - «Crediamo anzitutto nell'educazione, come forza politica e culturale capace di rigenerare Nomo e la società». Lo crediamo in un tempo che per molti versi è di crisi, ma anche di speranza.
    - «La nostra opzione per l'educazione non è un'opzione indifferenziata». Ci sono in circolazione diversi modelli di educazione. Per noi l'animazione vuoi essere un originale modello educativo. «L'animazione non è un capitolo dell'educazione: è invece tutto il libro».
    - «L'animazione è una antropologia. E cioè un modo di pensare all'uomo, ai suoi dinamismi, ai processi di crescita in cui gioca la sua maturazione». L'animazione affonda le sue radici in una scommessa sull'uomo e in una scelta di «amore alla vita» che non può essere dedotta dalla attuale crisi, ma costituisce anzi una «profezia antropologica» proprio dentro la crisi.
    - «L'animazione è anche un metodo». Seleziona le risorse educative disponibili in una istituzione e le organizza scientificamente in uno stile di relazione educativa, in una strategia fatta di tempi, di luoghi, di agenti, di processi, di strumentazioni.
    - «L'animatore è l'animazione in azione». Il perno dell'animazione culturale, è la relazione tra animatore e gruppo di animazione. Anche questa è una scommessa educativa di rilievo. Che rimanda ad una seria qualificazione professionale dell'animatore.

    ^ C'è da verificare un istante l'atteggiamento con cui avvicinarsi ai due quaderni di Mario Pollo. Le attese di chi legge sono molte. Se da una parte sollecitano alla lettura, dall'altra però possono essere un ostacolo. Viviamo in una società che ad ogni problema vuole trovare una immediata soluzione, attraverso un prodotto, uno strumento, una tecnica, una informazione. Si ricerca la formula ed il «pronto all'uso». In campo educativo questo non è possibile. L'animazione culturale non è in grado di fornire soluzioni miracolistiche o bacchette magiche.

    ^ L'animazione culturale è un processo che si svolge su tempi relativamente lunghi, che richiedono una qualificazione che avviene a tre livelli: il livello della pratica, il livello dello studio, il livello della saggezza. Se la saggezza è un dono naturale che solo in parte può essere frutto di sforzo personale, la pratica e lo studio dipendono dalla onestà dell'animatore. Le pagine che seguono sono essenzialmente di studio, di allargamento di confini, di assunzione di nuove informazioni per ristrutturare la propria «mappa cognitiva» a proposito dì animazione. Una ristrutturazione lenta, che richiede tempo e fatica. È necessario pertanto avvicinare questi quaderni sull'animazione culturale carichi di domande, ma anche disposti a lasciare da parte, almeno per un certo tempo, i problemi concreti e l'ansia di ricette, per addentrarsi in un mondo nuovo da cui uscire arricchiti, capaci di affrontare i problemi concreti con una nuova fantasia e competenza. L'autore riporta un paragone originale. Rifacendosi al gioco degli scacchi egli dice che si propone di insegnare a giocare agli scacchi facendone conoscere le regole, gli accorgimenti tattici più usuali, le strategie che nella storia si sono dimostrate vincenti. Ma nulla più. Toccherà al nuovo giocatore inventare, di volta in volta, la partita. Con l'aiuto delle informazioni che avrà ricevuto, ma anche della saggezza personale e della pratica che andrà facendo, comprese le sconfitte.

    ^ I Q5 e Q6 fanno parte di un'unica riflessione che solo per la sua lunghezza è stata suddivisa in due parti. li Q5 sviluppa maggiormente i fondamenti esperienziali ed antropologici, mentre il G6 entra direttamente nei problemi dei metodo. I due quaderni rimandano in particolare al Q16 «Il gruppo come luogo di comunicazione» e Q17 «La comunicazione fra animatore e gruppo» come sviluppo dei metodo.

    1. INTRODUZIONE

    L'animazione culturale è indubbiamente la funzione più indeterminata tra quelle che sono comunemente considerate appartenenti alla sfera dei processi educativi/formativi in senso stretto ed in senso lato. Per dare una risposta che consenta di uscire dall'indeterminatezza è necessario percorrere due grandi tappe che si possano sintetizzare, per ora, come segue.

    1.1. Animazione come scommessa e stile di vita

    La prima tappa consiste nella riflessione sull'uso del termine e sui significati che ad esso sono stati associati nel passato e, naturalmente, oggi. Questa prima riflessione consentirà, pur fra alcune ambiguità e contraddizioni, di elaborare una prima descrizione dell'animazione che svelerà due funzioni dell'animazione.

    ^ Per prima cosa consentirà di individuare la funzione globale dell'animazione nella esperienza umana, riassumibile come si vedrà nella scommessa esistenziale e nel conseguente stile di vita, secondo cui è possibile anche nel tempo attuale «dare vita» ai vari momenti dell'esperienza stessa.

    ^ In secondo luogo consentirà la descrizione dell'animazione come modello originale formativo/educativo che è presente accanto, armonicamente o conflittualmente, ad altri modelli magari di maggior successo in questa fase della vita sociale e culturale.
    L'analisi di queste due funzioni consentirà di chiarire anche lo scopo ed il senso di queste pagine che intendono offrire una «teoria dell'animazione culturale», cioè un momento di riflessione «scientifica» su una pratica di vita e su una esperienza formativa/educativa, in vista di una ridefinizione della prassi dell'animazione, soprattutto tra le nuove generazioni.
    Questa prima tappa termina con una lettura dell'attuale momento culturale, alla luce di quella precomprensione della realtà che è insita nell'uso e nella teoria dell'animazione. Non mi interessa offrire qui, e non ne avrei la competenza e lo. spazio, una lettura esaustiva della società contemporanea ed in modo particolare della condizione giovanile che si dà in essa. Altri quaderni tenteranno questa impresa. A me preme viceversa offrire una lettura, da una angolatura originale, della crisi di identità storicoculturale delle nuove generazioni.

    1.2. Animazione come modello educativo-formativo

    La seconda tappa è la più lunga e dell'animazione culturale come la più complessa in quanto tende modello formativo/educativo. Al a delineare una teoria organica è suo interno possono essere individuate delle ulteriori fasi di un approccio che rimane unico.

    ^ L'antropologia dell'animazione. La prima di queste fasi consiste nella individuazione di quella che può essere considerata l'antropologia dell'animazione, in quanto attraverso alcuni concetti base, che fra l'altro offrono le coordinate di un particolare approccio alla vicenda umana, si tenta di cogliere in modo non generico il senso della scommessa antropologica che è sottesa ad ogni forma, anche povera e confusa, di animazione e cioè dei desiderio di «dar vita» all'esperienza dell'uomo nel mondo.
    L'antropologia dell'animazione che in questo modo si verrà a delineare spero possa offrire nuovi stimoli ed un nuovo linguaggio per affrontare il nodo centrale dell'animazione, e cioè la formazione nei giovani di una identità personale nell'alveo dell'identità storicoculturale sufficientemente organica, riflessa, articolata e potente.

    ^ La seconda fase, e realizzando con questa un ulteriore avvicinamento all'animazione dei giovani, consiste nella messa a fuoco di un obiettivo generale dell'animazione culturale nell'attuale contesto sociale e culturale.
    Questo obiettivo verrà formulato attraverso le indicazioni di quella «circolarità ermeneutica» che consente di passare da una conoscenza della esperienza di animazione sino ad ora accumulata ad una sua ridefinizione ed ad un aggiustamento dei suoi compiti in riferimento a «questi giovani».
    Un modo attraverso cui la riformulazione può avvenire, in aderenza alla attuale condizione giovanile, è quello che consiste nell'assumere il problema della formazione di una identità personale dentro l'attuale cultura come centrale per l'animazione dei giovani contemporanei.

    ^ Gli obiettivi intermedi e le strategie. La terza fase consiste nella concretizzazione dell'obiettivo generale in una serie di obiettivi intermedi che sono generatori di una serie di indicazioni strategiche la cui prossimità all'azione è assai elevata.
    Questi obiettivi possono essere più facilmente compresi e specifici se vengono raccolti intorno ad alcune, in questo caso tre, aree di intervento:
    - l'area dell'inserimento attivo delle nuove generazioni nella cultura attuale, come luogo in cui possono definire una identità;
    - l'area della partecipazione alla elaborazione di una nuova cultura e di una nuova società;
    - l'area della esplicitazione della dimensione religiosa della esistenza umana.

    ^ L'animazione come metodo. La quarta fase è dedicata all'animazione come «metodo», cioè come capacità di riconoscere, selezionare, organizzare le risorse, gli strumenti e le tecniche a disposizione per dare luogo storicamente ad un processo di animazione. In questo capitolo del metodo si analizzeranno in modo particolare:
    - lo strumento dell'animazione culturale dei giovani, costituito dalla relazione animatore/gruppo e attorno a cui vengono a porsi organicamente i vari interventi educativi;
    - le tecniche dell'animazione, viste non come improbabili bacchette magiche atte a risolvere i nodi problematici e le difficoltà del rapporto animatore/gruppo ' ma semplicemente come possibilità di potenziare, amplificare (e a volte distorcere) tale rapporto.
    Chi vorrà incamminarsi lungo questo cammino ed avrà la pazienza di resistere alla fatica, alla noia e non si farà cogliere dall’impazienza di arrivare presto alla fine, potrà cogliere l'obiettivo che è sotteso a tutte le pagine. Potrà prendere coscienza che se è vero che «animatori si nasce è ancora più vero che animatori si diventa».
    Formare un animatore è, con una impropria similitudine, come formare un giocatore di scacchi, al quale si insegna una «teoria dei gioco degli scacchi» e lo si fa esercitare per qualche tempo sulla scacchiera.
    È chiaro che né il possesso di una buona teoria né tantomeno il tirocinio pratico possono garantirgli di divenire un buon giocatore. Tuttavia senza una buona teoria non potrà mai diventare un «artista degli scacchi».
    Queste pagine allo stesso modo non servono per inventare «l'animatore artista», ma vogliono più modestamente offrire un contesto utile a far maturare le capacità potenziali di ogni animatore sufficientemente dotato.

    2. LA «FUNZIONE» DELL'ANIMAZIONE NELLA ATTIVITÀ UMANA

    Per definire la funzione dell'animazione il primo dato da considerare è che si parla, e si è sempre parlato, di animazione. Cosa lascia intendere quest'uso dei termine, visto che la ricchezza e l'ambiguità della parola nascono anzitutto dalla pratica di animazione? Qual è oggi la valenza semantica del termine? Per esplorarla seguirò tre diversi approcci:
    - il primo è l'uso comune del termine;
    - il secondo è la ricerca delle sue radici linguistiche;
    - il terzo è il suo uso in campo pedagogicoformativo oggi.

    2.1. Alcuni usi odierni del termine

    ^ Animazione e attività ricreativo-ludica. Con il termine animazione alcuni indicano un insieme di attività di tipo ricreativoludico, altri attività di tipo espressivo, quali quelle teatrali, e infine, altri ancora, attività di tipo psicosociale, volte a innescare processi vagamente terapeutici e/o di apprendimento nei gruppi umani. L'elencazione potrebbe continuare ben oltre ma a me pare che questo raccolga l'insieme più significativo e rappresentativo delle concezioni dell'animazione che percorrono la scena educativa italiana. Ognuna di queste concezioni, se non sempre ha a monte riflessioni di ordine teorico, perlomeno ha una serie significativa di sperimentazioni e di esperienze consolidate che tendono a divenire normative nei confronti di ogni ulteriore pratica di animazione.
    Laddove, ad esempio, l'animazione è coincisa con l'attività teatrale, si tende a riconoscere in modo privilegiato come animazione solo quelle iniziative finalizzate ad aiutare i ragazzi e gli adulti ad educare ed a liberare le loro capacità espressive. Ecco allora la nascita di laboratori di animazione che altro non sono che botteghe per l'apprendimento dell'arte dell'attore, del mimo, dei pittore, del ceramista, ecc.
    In questi casi la parola animazione diviene un aggettivo che dà una particolare dimensione a tradizionali attività artistiche ed artigianali svolte, con lo scopo dei loro apprendimento, da parte di un gruppo più o meno eterogeneo di apprendisti. Solitamente gli «animatori» che svolgono questa attività non si pongono particolari problemi di ordine psicosociale o più semplicemente pedagogico, ma si accontentano di insegnare una o più arti secondo modi imitanti quelli delle antiche botteghe artigiane o pittoriche. Al massimo, caricano queste loro attività, per sovrabbondanza, di significati e di intenzionalità di carattere ideologico, riducendole così ad un bricolage dell'immaginario, che è tipico dell'attività degli ideologi.

    ^ Animazione contro la noia del tempo libero. Accanto a questa concezione vi è quella che vede l'animazione come attività per aiutare la gente a superare la noia o l'angoscia del tempo libero o meglio per aiutare la gente a organizzare, delegandolo, l'ultimo spazio di libertà che gli è rimasto: il tempo libero per l'appunto.
    Questa concezione è forse quella cui fa riferimento il significato più diffuso a livello di linguaggio comune della parola animazione ed è derivato, senza sofisticate mediazioni, da atti ed espressioni linguistiche del tipo: «animare una serata», «animare una festa», «animare una discussione», ecc.

    ^ Animazione e dinamica di gruppo. L'ultima concezione dell'animazione è forse quella più sofisticata e moderna, essendo direttamente derivata dagli studi psicosociologici intorno ai gruppi umani e ai dinamismi del profondo della personalità umana, oltre naturalmente a quelli intorno ai processi dell'apprendimento.
    All'interno di questo modello, l'animazione tende a coincidere, per vaste aree, con la dinamica di gruppo e con la terapia di gruppo. Lo stesso apprendimento viene visto come prodotto e conseguenza dello svolgersi di determinate dinamiche di gruppo e della personalità individuale. L'animazione è considerata allora una sorta di blanda attività terapeutica, tesa a liberare l'individuo dai condizionamenti sociali, che ne limitano la piena realizzazione umana, ponendolo quindi nella condizione di reimparare ad apprendere.
    Già dalla considerazione di queste tre concezioni dell'animazione, e quindi lasciando da parte le molte altre concezioni esistenti, emerge con chiarezza come la parola animazione rappresenti nella nostra cultura un insieme assai vasto di attività aventi tra di loro, in fondo, scarsa affinità. L'eccessiva ampiezza delle funzioni sociali designate con la parola animazione rende la stessa alquanto ambigua, o perlomeno testimonia i complessi significati che sono embricati in essa a vari livelli di profondità.
    L'aver descritto, seppur brevemente, alcuni usi sociali della parola è un passo necessario per la comprensione del suo significato, anche se naturalmente non può esaurirsi, se si tiene presente la lezione di L. Wittgenstein che evidenzia la stretta relazione tra uso sociale e significato della parola.

    2.2. Le radici culturale e linguistiche

    Un altro passo nella ricerca del significato della parola animazione è costituito dalla ricerca delle sue radici culturali e linguistiche.

    2.2.1. Le indicazioni dei Dizionario dei Tommaseo

    Per compiere questo ulteriore passo nella definizione dei significato di animazione, uno degli strumenti, forse il più efficace, è costituito dal Dizionario della lingua italiana di Nicolò Tommaseo.

    Secondo la voce di questo grande e irripetibile Dizionario, «animazione è:
    1. l'atto di ricevere l'anima;
    2. l'atto del dare l'anima, o del mantenere la vita animale;
    3. complesso delle facoltà e degli atti della vita animale;
    4. moto vivace di persona, passionato o no; è gallicismo».
    Questa descrizione della parola animazione si arricchisce di molto se si consulta la voce «animare», verbo da cui essa deriva, o meglio di cui rappresenta l'aspetto statico. I significati che si trovano enunciati in questa voce paiono molto più articolati e complessi.
    Alla definizione: «Coll'anima dar vita al corpo, conservagliela, svolgergliela», seguono varie sue articolazioni da cui si ricava che animare significa tanto dar vita ai viventi quanto alle cose inanimate. Ad esempio, uno strumento musicale può essere animato da chi lo usa e lo stesso universo può essere animato dai pensieri dell'uomo. Le attività di espressione artistica sono «animazione»; così come il trasmettere agli altri la propria forza di volontà, i propri sentimenti, le proprie idee o determinazioni all'azione. Infine si può essere animati in modo riflessivo da una idea, da una convinzione o credenza oppure da una azione.
    Il verbo animare, nelle sue radici storiche, indica fondamentalmente l'attività attraverso cui la vita infonde di sé l'uomo e l'universo. Esso quindi designa una qualità dell'agire, che appartiene ad una vastissima gamma delle azioni umane e divine, e che vanno dall'atto educativo, attraverso cui l'educatore intenzionalmente infonde negli educandi valori, principi, idee, opinioni, ecc.; all'attività artistica che, animando la materia, crea l'opera d'arte; oppure ancora all'atto di chi, animando dei propri sentimenti e dei propri convincimenti gli altri, li muove all'azione.
    Secondo il Tommaseo quindi con la parola animazione si può indicare la qualità che sottende l'atto educativo, quello creativo o artistico e anche quello politico o più genericamente associativo. Nella cultura a cui fa riferimento il Tommaseo, animare non è una azione particolare, distinta dalle altre, ma una qualità o un carattere di molle azioni umane, connesse all'azione di dare, conservare e sviluppare la vita nella sua dimensione individuale e sociale, materiale e spirituale, terrena e divina.

    2.2.2. L'animazione come qualità delle forme di vita liberate e liberanti

    Se queste sono alcune delle radici linguistiche e culturali da cui si svolge il significato contemporaneo di animazione, allora non stupisce troppo l'ampiezza di attività che oggi essa designa. Molti poi degli usi odierni dell'animazione sono, in qualche modo, già prefigurati nel nucleo di significato originario della parola, come più avanti apparirà con più compiuta evidenza.

    A questo punto dei discorso mi interessa rilevare come le concezioni di animazione odierna, rispetto a quelle più antiche prima descritte, siano maggiormente «positivizzate», in parte abbiano anche perso la dimensione spirituale e religiosa e infine risentano, in modo evidente, dell'impatto dell'animare con le scienze sociali, che così grande parte hanno nella cultura contemporanea. Su questo aspetto ritornerò comunque più avanti.
    Un'ultima osservazione riguardante il significato antico della parola animazione è che da esso emerge a tutto tondo come animare non è un gesto particolare ma un modo, una qualità specifica che può essere presente in molte azioni umane. Animare è un modo più che una cosa o un contenuto; forse può essere un metodo particolare di condurre le azioni umane più direttamente legate al senso della vita.
    Mi rendo conto che questa significazione della parola, così come proviene dal Tommaseo, rischia di essere troppo generale e quindi comprendere un numero troppo grande di azioni umane per essere effettivamente di qualche utilità. E necessario, allora, introdurre alcuni elementi attuali nella definizione che consentano di ridurre l'area delle azioni umane che possono essere dette di animazione per il modo e la qualità dei loro svolgersi.
    Infatti, dalle ultime cose dette, dovrebbe essere emerso con chiarezza che l'animazione non può essere considerata come un'azione particolare a sé stante, ma solo come una attività embricata, nascosta in altre ritenute principali. Essa è una sorta di significato latente, presente in alcuni segni e contesti della vita umana. È precisando questa qualità nascosta di animazione che è possibile restringere l'area troppo vasta di significato quale emerge nella storia antica del segno, pur rimanendovi sostanzialmente fedeli.
    L'animazione, in quanto legata, interrelata ai significati più genuini dell'esistenza, pone come estranee al proprio orizzonte di senso, le forme della vita segnate dall'alienazione, dalla schiavitù, dall'oppressione dell'uomo sull'uomo o su se stesso e che quindi impediscono alla singola vita umana di svolgersi in tutta la potenza che in essa è contenuta. L'orizzonte di senso dell'animazione rimanda alla libertà, alla creatività, alla gioia, all'amore per gli altri giocato sul rispetto di se stessi, alla speranza come senso fondamentale dell'essere ed inFine allo scacco, al fallimento come tratto umano, origine di vita e non di distruttiva disperazione.
    Da questa prima e breve riflessione intorno al senso nascosto dell’animazione emerge un primo restringimento del suo significato. L'animazione è una qualità che compare solo nelle forme di vita liberanti e liberate. È uno spaziotempo in cui si declina la crescita e l'emancipazione dell'uomo dalle ferinità arcaiche che ancora negli strati profondi dei suo essere urlano la propria presenza. Animazione è la qualità che sottende gli atti che liberano l'uomo individuale e sociale e sostanziano il suo radicarsi pieno e totale nell'essere.

    2.3. L'uso educativo-formativo dell'animazione

    Dopo aver rintracciato il significato della parola animazione, così come la tradizione culturale e linguistica ce l'ha consegnata, si può passare ad intersecarlo con quello che si può ricavare dagli usi sociali contemporanei che all'inizio ho brevemente trascritto. Mi sembra che il denominatore comune dei vari usi possa essere colto nella funzione educativo-formativa dell'animazione.
    Più da vicino, mi sembra importante riconoscere due forme con cui l'animazione come processo legato alla formazioneeducazione si è presentata, fin dagli anni dei cosiddetto sessantotto. La prima forma insiste sul politicoeducativo, la seconda sulla «funzione centrale» che l'animazione viene ad avere dentro la formazione come insieme di educazione, socializzazione e inculturazione.

    2.3.1. L'animazione negli anni dei politico

    Per capire la funzione dell'animazione oggi, almeno nei suoi punti critici, nei punti cioè che rendono originale il suo impatto con la realtà, in particolare con quella educativa, è necessario anzitutto ritornare indietro fino alle tensioni e ai valori che hanno sotteso l'animazione negli anni del cosiddetto '68.

    È in quegli anni che in Italia, in particolare negli ambienti ecclesiali, si impone la figura dell'animatore. Infatti è dal '68 che è diventata culturalmente rilevante una pedagogia che sino ad allora era esistita solo come isola di progresso, e quindi marginale rispetto alle altre forme educative usuali che portavano ad identificarsi passivamente nella cultura dominante.
    L'animatore è un ruolo ed una figura che da allora si è andata delineando come quella attraverso cui, in una rinnovata visione dell'uomo, della società, del rapporto tra fede e politica, alcuni gruppi sociali (e alcune comunità ecclesiali) perseguono il compito di una educazione liberatrice dei ragazzi e dei giovani. Una educazione attenta al cambio culturale in atto, ai rapporti tra educazione e politica, alla fede come forza propulsiva di una liberazione integrale dell'uomo.
    Il dato ricorrente, costitutivo di ogni processo di formazione e di ogni intervento nella realtà, fu quello rappresentato dal concetto di liberazione nelle sue varie forme e sfumature.
    Molta dell'enfasi di quegli anni attorno alla funzione dell'animazione è venuta a cadere, sotto la spinta dell'esperienza e dei vari fenomeni di riflusso del «politico».
    La maggior parte degli educatori si era illusa che bastasse animare in un certo modo per ottenere, nel breve periodo, significativi risultati a livello delle coscienze degli educandi e addirittura a livello di trasformazione delle strutture in cui erano inseriti, fossero esse ecclesiali o sociali.
    Molti di loro sono stati contraddetti dagli eventi perché avevano creduto, sbagliando, che il compito dell'animazione fosse sostituire ad un potere un altro potere, cioè liberare offrendo un modello concreto, storico, possibile di liberazione.
    Molti cioè non hanno tenuto sufficientemente conto che l'animazione deve liberare da.... e non assolutamente per..., rendendo di fatto disponibili gli educandi ad un nuovo potere, e che non si deve ritenere conclusa la liberazione solo perché ad un potere se ne è sostituito un altro.
    La disillusione, in altri casi, è stata generata dal credere che i risultati di un processo di animazione sui singoli e sul sociale fossero valutabili attraverso l'analisi dei risultati nel breve periodo.

    2.3.2. La scelta educativa dell'animazione

    Questa prima fase dell'animazione, fortemente connotata di istanze politiche, ha costituito in Italia un grande sforzo educativo che, se da una parte ha portato una ventata di freschezza nei vari processi formativi, dall'altra ha dovuto morire a se stessa per rinascere a nuova vita, nella fedeltà alle istanze di fondo.

    La nuova nascita dell'animazione, parallela alla crisi della sua primitiva forma politica, porta alla accentuazione della sua dimensione educativa, come luogo in cui riformulare le stesse istanze politiche. Da allora l'animazione procede alla ricerca di un suo «statuto» teorico, di una sua visione di uomo, di vita, di educazione, di formazione.
    Con questo non si deve pensare che l'animazione sia diventata di fatto neutrale nei confronti della società e della cultura dominante.
    Che significa questo?
    Significa che l'animazione non intende più assumersi il compito di sostituire ad un potere un altro potere, o ad una ideologia un'altra ideologia, ma disvelare invece all'uomo e in particolare al giovane, la struttura ingannevole dei potere e della ideologia.
    L'animazione si percepisce sempre meno come «azione politica» e sempre più come «azione sull'azione politica». La sua non-neutralità non sta nella scelta di un potere, di una ideologia, di una fede, di una cultura, ma nell'assunzione di un modello d'uomo che si pone in modo critico di fronte ad ogni potere, ideologia, fede, cultura. Si pone contro la subdola malattia dei conformismo, pur non rifiutando, evidentemente, il senso dei potere nella storia e la necessità di identificarsi in particolari modelli politici, ideologici, religiosi.
    L'accentuazione della dimensione educativa dell'animazione ha portato con sé anche una maggior attenzione, oltre che alle dimensioni sociali e politiche dell’individuo, anche a quelle che appartengono alla sfera del personale.
    Personale e politico, privato e pubblico, razionale e irrazionale, intellettuale ed affettivo sono i poli entro cui sviluppare oggi una educazione ispirata all'animazione.

    2.3.3. Socializzazione, inculturazione, educazione

    Questa progressiva ridefinizione dell'animazione ha portato ad una ricomprensione dello spazio globale dell'animazione dentro le stesse attività formative.

    È bene fare subito alcune precisazioni circa la proprietà di indicare le attività formative dell'animazione sotto l'etichetta delle attività educative. Questo perché a mio avviso, i processi che tali attività dette di animazione designano, vanno al di là di quelli che una certa filosofia dell'educazione definisce come educativi. Essi riguardano in qualche modo anche i processi socializzanti ed inculturanti.
    - Con il termine funzione socializzante intendo tanto le modalità psicosociali che presiedono alla formazione della socialità dell'individuo in una società ed in una cultura data, quanto l'azione degli strumenti e delle agenzie attraverso cui l'individuo acquisisce quelle configurazioni comportamentali che gli consentono la progressiva appartenenza e partecipazione alla vita sociale.
    - Con il termine funzione inculturante intendo i processi che orientano la personalità individuale e collettiva degli appartenenti ad un dato sistema sociale e alla sua cultura. E' ormai da molti studiosi acclarato che esistono profonde influenze della cultura sulla personalità degli individui.
    Ora di fatto, l'animazione si occupa non solo dei processi di formazione della persona in quanto tale, ma anche della personalità degli individui, cioè dei tratti che li caratterizzano.
    - Con il termine infine funzione educativa intendo la relazione intenzionale che un adulto, cui la società attribuisce il ruolo di educatore, stabilisce con un giovane per far sì che questi acquisisca, coscientemente e criticamente, il patrimonio dei testi, dei codici, dei valori e delle regole istituzionali che costituiscono la cultura ed il tessuto organizzativo della società in cui vive.
    La relazione educativa, per essere tale, deve essere strutturata secondo un metodo, e cioè secondo una sequenza logicamente coerente di azioni, e deve utilizzare i luoghi e gli strumenti che la società ha predisposto per tale scopo.
    Questa funzione può essere, e di fatto viene, esercitata in modi assai differenti.
    C'è infatti chi la esercita in modo autoritario, senza rispettare la libertà e responsabilità dell'educando e chi invece, all'opposto, esaltandole. Così, ad esempio, c'è chi mira con l'educazione alla integrazione passiva e acritica nella società e chi invece mira viceversa a porre il giovane in grado di vivere nella società, ma anche di farsi artefice di un processo di cambio.

    2.3.4. L'animazione al crocevia dei processi formativi

    Qual è, a questo punto, la funzione dell'animazione, il suo specifico «dentro» i processi formativi? L'animazione invece in gran parte tende ad occuparsi dei processi attraverso cui gli individui, appartenenti ad una società e ad una cultura, acquisiscono quelle modalità e configurazioni comportamentali che consentono loro una maggiore o minore appartenenza e partecipazione alla vita sociale. Senza contare poi i processi che favorendo l'identità culturale dell'individuo di fatto però agiscono in qualche modo sulla sua personalità.

    Per maggior precisione occorre quindi sottolineare che l'animazione, pur toccando tanto i processi educativi quanto quelli socializzanti ed inculturanti, non appartiene organicamente ad alcuno di essi. Infatti, e qui viene in soccorso la radica storica della parola animazione, essa non è né l'educazione, né la socializzazione né tantomeno l'inculturazione: essa è una qualità che può esistere o non esistere all'interno di questi processi.
    L'animazione si pone l'obiettivo della convergenza unitaria ed armonica di questi tre processi in un processo di maturazione e di liberazione degli uomini che vivono in un determinato momento storico, in una data società e cultura.
    Molte volte i dati dell'educazione e della socializzazione sono in contraddizione tra loro, oppure, caso più comune, violano la libertà, la possibilità degli individui di crescere in modo adeguato alle loro potenzialità. L'animazione si pone il compito, difficile ma non per questo utopico, di abilitare l'individuo, e i gruppi sociali organizzati, a divenire committenti o, perlomeno, partecipanti attivi e critici dei processi educativi, socializzanti ed inculturanti che permeano la loro quotidiana esistenza. In altre parole significa dare all'uomo la possibilità di controllare, attraverso la creatività e il dominio critico della ragione, quei processi attraverso cui il potere e la cultura sociale condizionano in qualche modo il suo essere.

    2.3.5. Animazione: qualità diffusa e attività intenzionale e metodica

    Il raggiungimento di questo obiettivo è possibile e di fatto si realizza per molte strade, Ogni attività umana che abbia spazio di vita all'individuo o a un gruppo, di fatto spinge verso l'obiettivo. In questo caso si può parlare di animazione come qualità diffusa in diverse attività umane, comprese quelle ludico ricreative e teatrali.

    C'è un senso più ristretto dì animazione che tuttavia è più interessante e che a sua volta può riqualificare le attività ludicoricreative di cui ora parlavo.
    Questo senso ristretto fa riferimento all'animazione come attività intenzionale e metodica. Per animazione si intende, in questo caso, una funzione sociale particolare che permette con atti intenzionali, declinati attraverso un metodo rigoroso, di convogliare in un unico processo integrato la socializzazione, l'inculturazione e l'educazione che, come si diceva, troppo spesso nella società si svolgono in modo disarticolato, contraddittorio, distruttivo per l'individuo.
    Quando affermo che l'animazione è una attività intenzionale intendo che essa è conforme ad un senso e ad uno scopo oltre ad essere riflessiva e cosciente, così come affermando che essa si declina attraverso un metodo intendo affermare che tutti gli interventi sono organizzati ed ordinati in base ad alcuni ben precisi principi ed a chiare regole logiche.
    L'intenzionalità e la metodicità sono le chiavi per capire come essa possa tra i suoi scopi porre quello di abilitare l'individuo a controllare in qualche modo, criticamente, i processi formativi a cui è continuamente sottoposto, siano essi educativi, socializzanti od inculturanti. Essa dovrebbe cioè consentire alle persone di rendersi coscienti di fronte ai processi formativi intenzionali e non, metodici e non, e renderle capaci di intervenire su di essi in modo attivo e partecipe, orientandoli verso quegli obiettivi che essi ritengono necessari alla loro evoluzione e crescita umana.
    È questo il senso da dare alla affermazione secondo cui l'animazione non è né una semplice funzione educativa né tantomeno una funzione socializzante-inculturante, ma bensì una funzione particolare che si situa con intenzione dì coordinamento ai confini di tutte e tre.

    2.4. L'animazione come funzione «della vita» e come modello formativo-educativo

    Concludendo questa prima parte dedicata all'uso del termine, sì può osservare come si siano acquisiti alcuni punti fermi: l'animazione come funzione e l'animazione come metodo.
    È stata anzitutto delineata la funzione dell'animatore dentro la vita dell'uomo. L'animazione è un modo con cui accostarsi ai vari compiti e ambiti dell'esistenza.

    2.4.1. Animazione come funzione della vita

    L'animazione è, prima di tutto, un modo di vivere e affrontare la vita. Ed è uno stile di vita a cui abilitare ogni giovane e ogni uomo alla ricerca della sua dignità. La funzione che qualifica l'animazione è proprio l'amore alla vita nella libertà e nella verità, e si esprime in un atteggiamento globale, fallace e imperfetto per sua natura, ma che significa lo sforzo dell'uomo e del suo pensiero di onorare la vita al di là dello scacco e dei fallimento che ogni giorno segnano il suo vivere.

    Viviamo in un tempo di crisi culturale drammatica e complessa. Sappiamo che la persona è al centro di una trama di relazioni politiche, economiche, culturali, che la condizionano e spesso la soffocano.
    In questo contesto l'animazione intende svolgere, consapevolmente, la sua funzione: rendere l'uomo felice, restituirgli la gioia di vivere. È una piccola cosa questa nella mischia delle sopraffazioni, degli intrighi, degli sfruttamenti e delle violenze; ma è una cosa tanto grande che vale la pena di spendere la vita per perseguirla.
    L'animazione è allora una scommessa sulla vita e sull’uomo: scommessa sull'uomo e sulla sua capacità di liberazione storica, pur nella povertà che contraddistingue ogni sua azione. Essa, per rifarci al linguaggio di Paulo Freire, è un «tema generatore» di vita nel momento in cui la vita stessa è minacciata. Un luogo di speranza per il futuro dell'umanità, un luogo in cui liberare la ricchezza delle nuove genera/ioni e in cui continuamente rigenerare l'uomo e la stessa società.

    2.4.2. Animazione come modello formativo-educativo

    Se è facile comprendere che l'animazione come funzione è la qualità che tutte le attività umane devono possedere, se vogliono dire l'amore alla vita, e che necessariamente questa qualità è presente in tutte le forme di vita liberate e liberanti, più complesso è individuare il modo attraverso cui questa funzione viene a costituirsi in un modello formativo.

    Questo anche perché il modello formativo dell'animazione postula la convergenza di tutti quei processi, quali la socializzazione, l'inculturazione e l'educazione, che vengono a costituire il grande capitolo della formazione della personalità.
    È chiaro che il modello dell'animazione si presenta in manifestazioni concrete differenti a seconda che l'attività di animazione si svolga in un ambito di socializzazione, di inculturazione oppure di educazione.
    Infatti assai diversi sono i modi di dire l'animazione all'interno dei processi di socializzazione di un quartiere o di un paese, rispetto a quelli che si manifestano nelle attività inculturanti del tipo feste popolari, espressioni folkloristiche, spettacoli vari, ecc. Infine un altro modo all'apparenza radicalmente diverso si manifesterà nel fare animazione, e cioè un'attività educativa in senso stretto, dentro un ambiente educativo come la scuola ed il centro giovanile ecclesiale.
    Tuttavia, anche se a livello linguistico converrà distinguerli, vi sono in questi tre modi di dire il modello formativo dell'animazione alcuni caratteri costanti che sono quelli che costituiscono l'identità dei modello stesso.
    Per evitare un uso troppo generale del termine formativo converrà però parlare di animazione come modello formativo quando ci si riferisce ai processi socializzanti ed inculturanti, e di animazione come modello educativo quando ci si riferisce a processi educativi in senso stretto.
    Il carattere costitutivo dell'animazione sia come modello formativo che come modello educativo è dato dal suo essere in generale una proposta formativa/educativa che seleziona ed organizza, in un quadro teorico, gli obiettivi che essa persegue a lungo e a breve termine, nonché gli strumenti attraverso cui realizzarla.
    In particolare per essere un «modello» l'animazione deve muoversi su queste tre direttrici:
    - la ricerca di un quadro teorico, cioè di una filosofia di vita e di una antropologia di vita che le sia relativa;
    - la qualificazione di un obiettivo generale e di una serie di obiettivi intermedi che operazionalizzano il generale in una data situazione storico culturale;
    - la individuazione degli strumenti per un intervento storico concreto.

    2.4.3. Attività di animazione e «animazione culturale»

    Oltre che negli elementi costitutari dei modello formativo/educativo la radice comune delle varie attività in cui si manifesta l'animazione è data dal fatto che esse hanno il loro cuore pulsante nell'animazione culturale.

    L'uso dell'espressione animazione culturale, fatta sin dall'inizio dell'esposizione non era e non è un fatto casuale o un modo ridondante di parlare di animazione, ma la manifestazione della consapevolezza che l'animazione culturale è un di più rispetto alle pratiche di animazione.
    Nelle pagine precedenti ho già accennato per esemplificare ai vari usi dei termine animazione, che appariva sempre giocato tra funzione e metodo di intervento nella realtà in campo, di volta in volta, sociale, culturale ed educativo.
    - Un primo uso, come si ricorderà è legato all'immagine di laboratorio teatrale o di azione ludico/ ricreativa.
    - Un secondo uso è legato all'immagine di dinamica di gruppo, cioè di intervento più o meno terapeutico diretto al buon funzionamento interpersonale, al buon clima di lavoro, al rapporto tra efficienza e qualificazione di un dato ambiente.
    - Un terzo uso è quello diretto alle attività sociopolitiche nel territorio. In questo caso l'animazione è vista anzitutto come modalità di cambio sociale, soprattutto a livello strutturale e istituzionale.
    - Un quarto uso è quello connesso più da vicino con la pratica dell'educazione a scuola, in famiglia, nel gruppo o nella associazione giovanile ecclesiale.
    In questi ambiti delle pratiche di animazione si sviluppa indubbiamente l'animazione culturale. Tuttavia è bene sottolineare che non si esaurisce affatto in essi. La spiegazione dei motivi per cui l'animazione culturale è questo di più delle pratiche di animazione non può essere data ora, per cui rimando alle pagine successive. Per ora mi limito ad affermare che l'animazione culturale prima di essere una pratica è una teoria dell'esperienza e della stessa attività di animazione. Con in più una connotazione specifica che le deriva dall'aggettivo qualificativo (utilizzato in senso forte) «culturale».

    3. PERCHÉ L’ANIMAZIONE CULTURALE OGGI?

    L'animazione culturale come funzione generale dei «dare vita», e dunque di fare una «scommessa» sull'uomo e sul suo futuro giocandola dentro i processi di formazione delle nuove generazioni, viene a qualificarsi, oltre che per il modello di uomo che sottende e per gli obiettivi che di conseguenza persegue, per il contesto socioculturale in cui opera. L'animazione ha senso infatti solo in quanto «risposta», accogliente e provocante, ai bisogni delle nuove generazioni, viste dentro il più vasto sistema sociale e culturale. L'animazione, in altre parole, tiene sempre ben presente il legame inscindibile tra individuo e cultura sociale.
    In realtà la cultura è la condizione per la formazione di una identità nelle nuove generazioni. La cultura sociale è il terreno indispensabile al nascere e allo svilupparsi dell'identità individuale, della personalità umana che rende ogni uomo un essere unico ed irripetibile. Infatti è la cultura umana che rende possibile alle singole unità individuali di essere simultaneamente parte di un insieme e unità irripetibili. La cultura consente la individualità nel momento in cui rende possibile la società.
    Per cultura qui si intende il patrimonio di testi e di codici in cui si esprimono la concezione del mondo, il sistema di valori, le opinioni, le credenze e le modalità di organizzazione interna di una data società.
    Quando invece si parla di identità ci si riferisce a quel complesso fenomeno che consente ad un essere di comprendersi come individuo distinto dal mondo e dagli altri esseri umani, e di riconoscersi nel proprio passato e nel proprio futuro. Fondamentale perché questo riconoscimento di sé, come distintivo, unico pur nelle variazioni che il tempo induce in ogni personalità umana, possa avvenire, è che l'individuo si riconosca nella storia, e quindi nella cultura del gruppo umano in cui ha la ventura di vivere.
    Quali i tratti caratteristici della cultura sociale oggi?
    Come ben si comprende, è impossibile (e, in fondo, non ha senso) offrire qui uno studio completo dei tratti fondamentali della nostra società, compito dei resto di altri «quaderni», come quello dedicato all'analisi del trapasso culturale oggi e ai suoi riflessi sull'identità sociale e psicologica dei giovani, e l'altro dedicato alla presentazione di quelli che vengono chiamati «i giovani della vita quotidiana».
    In queste brevi pagine preferisco invece portare l'attenzione su alcuni fenomeni che più da vicino possono aiutare a qualificare il discorso sulla animazione culturale.
    L'insieme di queste mie osservazioni ed analisi può essere raggruppato intorno a quattro grandi nuclei:
    - la crisi dell'identità storico culturale;
    - la difficoltà di transazione tra mondi vitali e sistema sociale;
    - la crisi dei meccanismi di trasmissione culturale;
    - le trasformazioni del linguaggio umano e le sue «piaghe», soprattutto a livello giovanile.
    All'analisi seguirà una breve conclusione sulle sfide che ne derivano all'animazione.

    3.1. La crisi dell'identità storico-culturale

    Un primo «fatto» utile per la comprensione dell'attuale momento culturale e quindi dell'eventuale funzione e compito della stessa animazione, è la rottura della continuità storico-culturale, ad opera della cultura tecnico-universalistica, che ha portato a vivere in un tempo presente senza passato e senza futuro, con gravi riflessi sulla formazione della identità personale, soprattutto nei giovani.

    3.1.1. Lo scontro tra culture tradizionali e cultura tecnologica

    Negli anni '60, a causa del forte sviluppo della industrializzazione, si è in effetti verificata una trasformazione culturale, che si è resa sempre più evidente nell' incontro/scontro tra la cultura tecnicouniversalistica e le culture locali tradizionali.

    Un fenomeno che ha coinvolto tutti, ma specialmente quanti si sono dovuti assoggettare ai grandi processi migratori di quegli anni.
    Questa trasformazione può essere considerata una vera e propria rivoluzione che ha sconvolto e modificato i valori, i modi di vita, di lavoro, di riproduzione e di convivenza della società italiana. In questo scontro tra culture locali tradizionali, culture migranti e cultura tecnologica, le prime due, almeno nel breve periodo, sono risultanti perdenti.
    Ora il prevalere della cultura tecnico-universalistica ha provocato profondi riflessi tanto nella personalità degli individui che in quegli anni nascevano od erano in formazione, quanto in quella degli adulti.
    Uno di questi effetti, forse il più evidente, è stato quello della perdita dell'identità storico-culturale e cioè la mancata assimilazione dei modi di vita tradizionali da parte dei nuovi abitanti le città industriali e financo i paesi rurali. Si può dire che la cultura industriale ha privato del passato le coscienze degli individui, condannandoli a vivere in un presente piatto in cui non trovano spazio e risposta gli arcaici problemi e interrogativi legati al senso dell'esistenza.
    Mi permetto di accennare a due esempi, il primo per evidenziare le modalità concrete secondo cui la cultura si è trasformata, ed il secondo per evidenziare la nuova logica culturale e le conseguenze a cui porta.
    La vittoria di Pirro della cultura tecnico universalistica si è manifestata con pienezza soprattutto nella sostituzione dei modi tradizionali di lavoro, di allevamento ed educazione dei figli, di nutrizione, ecc., con quelli suggeriti dalla presunta razionalità tecnicoscientistica.
    Gli esperti sono subentrati come depositari del sapere sociale agli anziani, ai leaders, ecc., a chiunque cioè in qualche modo detenesse il sapere della cultura sociale.
    Come nutrire i bambini non viene più desunto dall'esperienza della tradizione da parte del gruppo sociale, ma dal pediatra o dalla puericultrice. Come mangiare e stare bene lo dice un medico e non più secoli di esperienza cumulati nel modello alimentare, nella cucina popolare e tradizionale.

    3.1.2. L'esempio dei consumismo: un vivere senza passato e senza futuro

    Il secondo esempio è quello del consumismo, il quale gioca pienamente la sua parte nello sradicamento umano imponendo modi di soddisfacimento dei bisogni primari, tradizionali e nuovi profondamente estranei alla tradizione e alle culture locali.

    Il consumo alimentare tende sempre più a divenire universale e a far superare le abitudini alimentari locali tradizionali. Lo stesso vale per il vestire, per la fruizione degli svaghi e dei divertimenti, per i prodotti delle arti maggiori e minori e per ogni produzione culturale in genere. Di fatto questo rappresenta un contributo allo sradicamento umano, un danno all'equilibrio fisico e mentale degli abitanti delle società industriali.
    Ritornando al discorso più spiccatamente antropologico, mi preme sottolineare che questa progressione condizionante della spirale consumista impedisce all'uomo contemporaneo di selezionare i propri bisogni, di coltivarne il soddisfacimento in coerenza ad un progetto di vita, ad una scelta che ha la sua ragione nei valori ideali e culturali. Gli impedisce, o gli rende oltremodo difficile, organizzare la propria vita in modo selettivo, in modo cioè che egli possa guidare la propria «alimentazione» fisica, ideale e culturale e quindi di crescere in modo coerente ad un progetto. Di avere cioè un futuro che non sia il risultato degli accadimenti esterni ma che sia legato alla propria volontà ed al proprio progetto di sé. Di essere cioè un po' artefice del proprio destino umano.
    È per questo che il titolo suona: il consumismo: vivere senza passato e senza futuro.
    Il consumismo, oltre che uno sradicamento dalle proprie radici, dalla propria storia, è anche una chiusura ad un futuro in cui la libertà di scelta umana possa giocare un ruolo: il consumismo come circolo vizioso in cui il presente consuma inutilmente se stesso.

    3.1.3. Il risultato: un uomo indifeso dall'angoscia e «disponibile»

    Nella cultura disegnata dalla scienza e dalla tecnica sono nascosti, in qualche modo oscurati, i legami dell'individuo con il passato; come ho già detto è andata in crisi la sua capacità di adattamento ad una vita che avesse orizzonti di senso al di là del consumo e del benessere. Le risposte anche ingenue ma efficaci delle antiche culture rurali sono state archiviate e financo ridicolizzate e comunque non è stata riproposta una loro evoluzione che seguisse il flusso del tempo e le trasformazioni sociali ed economiche che in esso avvenivano.

    Il risultato (medio) è quello di un uomo contemporaneo abitatore delle città industriali, dotato di potentissimi strumenti concettuali e pratici, fornitigli dalla scienza e dalla tecnica contemporanea, ma indifeso rispetto alla angoscia che la vita provoca al di là delle apparenze di felicità. Indifeso perché si ritrova come un naufrago abbandonato in un territorio, in un'isola ricchissima, ma priva di segni leggibili di vita umana.
    La perdita delle radici culturali è uno dei modi più distruttivi e angoscianti del dirsi della solitudine. Un uomo senza radici è infatti un uomo a cui la cultura dell'oggi assegna una identità fatta esclusivamente del riconoscimento della posizione che egli occupa nel sistema sociale in ogni istante; basta però che vada in crisi il suo ruolo nel sistema perché venga, di fatto, egli a trovarsi nella condizione di un non esistente.
    Questa identità orizzontale desunta dai ruoli che ogni individuo gioca nel sistema sociale, non è mai in grado di fornire una profonda e duratura collocazione in un orizzonte di senso, che aiuti a capire se stessi e la propria esistenza al di là dei limiti e dei confini dell'oggi.
    Un uomo senza una cultura stereoscopica è un uomo su cui l'esperienza di emarginazione e di devianza sociale ha un effetto distruttivo radicale.
    L'uomo senza radici culturali è l'uomo disponibile, perché debole e povero, ad ogni esperienza di controllo sociale totalizzante che il sistema possa promuovere nei suoi confronti. ~ un uomo la cui esistenza è da lui stesso percepita come una fragile apparenza tra nulla e nulla e quindi, radicalmente, come nulla. Su questa ultima frontiera dell'angoscia può attestarsi, e molti giovani vi si sono già tragicamente attestati con la droga o la violenza, l'identità personale più profonda di un individuo privato della propria cultura.

    3.2. La difficoltà di transizione tra mondi vitali e sistema sociale

    Accanto alla crisi di identità culturale e forse anche in ragione di essa, ma non solo di essa, la solitudine e l'alienazione dell'uomo contemporaneo è segnata dalla crisi o meglio dallo sfaldarsi della continuità tra il sistema sociale e la sua organizzazione e la vita singola delle persone, dei loro privati e vitali bisogni. E cioè in crisi, come ha spiegato A. Ardigò, la transazione tra sistema sociale e mondo vitale quotidiano.

    3.2.1. Mondi vitali, sistema sociale, transazione

    È necessario anzitutto, rifacendosi ad Ardigò, analizzare cosa si intende per mondo vitale quotidiano e per sistema sociale e, subito dopo, per transazione tra i due.

    «Per mondo vitale quotidiano s'intende l'ambito di relazioni intersoggettive (e prima ancora l'intenzionalità dei soggetto aperto all'esperire vivente di mondo vitale) che precedono e accompagnano la riproduzione della vita umana e che, successivamente, anche attraverso comunicazioni simboliche tra due o poche persone, formano la fascia delle relazioni di familiarità, di amicizia, di interazione quotidiana con piena comprensione reciproca del senso dell'azione e della comunicazione intersoggettive. Mondi vitali quotidiani si possono anche formare per «nuova nascita» (religiosa, politica, civile), per metanoia.
    Nel mondo vitale, le comunicazioni e le interazioni di esperire vivente, come le azioni, chiamano in causa rapporti diretti e diffusi tra persone, in un medesimo ambiente locale e in un dato tempo comune. Sono rapporti tra l'lo e l'Altro, o pochi Altri, che insieme vivendo come s'è detto facciamo Noi» (A. Ardigò). Per sistema sociale invece s'intende «un insieme di relazioni sociali tipizzate e dotate di alcune proprietà. È un insieme organizzato d'autodirezione, in un dato tempo e nei confronti di un dato ambiente.
    Ogni sistema sociale tende ad essere strutturato attorno a quella trama di istituzioni e di rapporti tra esse da cui dipende la stabilità e l'identità dei sistema sociale in un dato tempo e ambiente. Grazie alla sua struttura (sociale), o forma, ogni sistema sociale si distacca in quanto tipo ideale storicamente datato dalle relazioni che gli sono servite di supporto; ha un'esistenza autonoma in quanto struttura sociale» (A Ardigò).
    Le definizioni sono di natura ideale. Nella realtà avviene spesso una mescolanza o una trasformazione.
    Così, ad esempio, rapporti familiari o rapporti di coppia possono diventare da mondo vitale rapporti da sistema sociale, standardizzati, oppressivi, anonimi.
    E viceversa, la familiarità si può almeno in certe situazioni eccezionali, viverla all'interno di strutture collettive: un'assemblea, un convegno, con eccezionale fusione di intenti e un intenso, diffuso comunicare fino a raggiungere quella pienezza di senso della vita e di comprensione reciproca nel rapporto tra persone, che è normalmente propria dei piccolo gruppo di mondo vitale.
    La distinzione tra mondi vitali e sistema sociale si muove nella stessa direzione di altre coppie, come sfera pubblica e sfera privata, privato e pubblico.
    Tra mondi vitali e sistema sociale, al di là dei fenomeni interni ad ogni polo, si pongono continuamente problemi di comunicazione e di transazione reciproca. Oggi questi problemi si sono aggravati. Una precisazione proprio sul termine transazione.
    Esso è un neologismo che vuole significare che i flussi di inputoutput tra mondi vitali e sistema sociale, ovvero il trapasso dei soggetto dal mondo vitale a sfere sempre più vaste del sistema sociale, non sono riducibili alla categoria dello scambio (simbolico, economico, politico), ma includono altre modalità possibili, come il dono, il gioco, la «metanoia», la «nuova nascita», (spirituale, ideologica, utopica). Soprattutto quest'ultima può gettare un ponte di vicinanza vissuta anche al di là dei proprio ambiente vitale, anche al di là del «noi» pensato in termini di convivenza immediata nello stesso spazio, verso tutta l'umanità.

    3.2.2. Il ritorno al privato e l'arcipelago della soggettività

    Questa crisi si è manifestata e si manifesta tuttora attraverso il progressivo aumento della distanza psicologica tra l'individuo ed il sistema, tra i cittadini e le istituzioni, tra governati e governanti e infine tra le regole che presiedono lo svolgimento della vita privata dell'individuo e quelle invece che presiedono e limitano il comportamento di chi è preposto al governo ed al controllo dei sistema sociale o dello stato. Questa crisi si manifesta in modo evidente in una serie di fenomeni sociali tra cui si segnala indubbiamente il cosiddetto ritorno al privato e soprattutto il particolare carattere che intesse la comunicazione e cioè il linguaggio ed i modi attraverso cui si sviluppa la relazione sociale odierna.

    In altre parole, si potrebbe dire che il sistema sociale contemporaneo appare come un arcipelago di soggettività, di piccoli mondi vitali privati, collegati da enormi reti e quantità di comunicazione che tuttavia non riescono a rompere il diaframma dell'isolamento ed a fare sistema. li sistema, che pure esiste, è ad un altro livello ed è più un insieme di costrizioni e di vincoli esterni che una vera e propria area in cui l'individuale con i propri bisogni si identifica, partecipando, in una sintesi sociale di livello superiore. li sistema viene vissuto come necessario, ma nello stesso tempo, come estraneo, artificiale e soprattutto lontano dal consentire la sintesi del proprio individuale con quello degli altri nel sociale.

    3.2.3. La distanza tra paese reale e paese istituzionale

    La crisi di transazione tra individuale e sociale, tra privato e pubblico e tra singolo e sistema è quella che nel linguaggio della politica viene detta «crisi di governabilità» o «distanza tra il paese reale e quello istituzionale-politico», e che le varie vicende di questi tempi mettono più o meno a nudo.

    Quasi tutti i tentativi di superare la crisi si sono rivelati e si rivelano fallimentari o perlomeno ininfluenti, in quanto muovono tutti da concezioni ideologiche, o più genericamente culturali, che in modo più o meno scoperto, professano la concezione di un sistema fortemente centralizzato e la cui immagine più diffusa è quella di una concezione tardo ottocentesca del sistema sociale, declinato attraverso il centro e la periferia e la piramide di diversi livelli di informazione e di potere sociale, senza rendersi conto che la società postmoderna non ha più centri né periferie, ma è un enorme villaggio in cui ogni parte è centro (Mac Luhan) ed i grandi sistemi di comunicazione distribuiscono sempre più orizzontalmente l'informazione.
    Occorre prendere atto allora che le isole della soggettività non sono più periferia rispetto al sistema sociale e quindi allo stato, ma centro, per cui è necessario pensare ad altre forme di transazione, tra individuale e sociale, tra pubblico e privato.

    3.3. La crisi dei meccamisno di trasmissione culturale

    Tre importanti fattori sono alla origine del processo che fa sì che nella nostra epoca storica esista una cultura che caratterizza i giovani differenziandoli in modo significativo dagli adulti.
    Indubbiamente, in questo processo, intervengono altri importanti fattori, ma, data l'ottica del mio intervento, non mi sento troppo colpevole se li tralascio.
    È un dato oramai acquisito alla riflessione sulla società contemporanea italiana che siamo in presenza di una profonda crisi delle istituzioni, in modo particolare di quelle educative in senso lato. Educative in senso lato in quanto, con questo termine, intendo riferirmi tanto alle classiche e tradizionali istituzioni educative, quanto a quelle responsabili dei processi di socializzazione e di inculturazione. Tenendo conto che se anche è possibile distinguere questi tre processi sociali a livello di categorie astratte, nella pratica, nella vita quotidiana, essi sono sovrapposti e non sono altro che tre dimensioni della stessa funzione sociale. La famiglia, ad esempio, svolge contemporaneamente una funzione educativa, una funzione socializzante e una inculturante.
    Cosa significa la crisi di queste istituzioni educative?
    Significa semplicemente che tutti quei complessi sistemi di comunicazione, deputati alla trasmissione della cultura e quindi dell'esperienza storica del gruppo sociale, dei suoi strumenti cognitivi e operativi, del suo linguaggio, della sua tradizione, dei suoi valori, dei modi di vita validati dalla esperienza, funzionano al di sotto della loro potenzialità e sono soggetti a notevoli distorsioni e disturbi.
    Questa crisi dei meccanismi di trasmissione culturale comporta anche, in quanto è indissolubilmente legata alla trasmissione culturale, la crisi dei meccanismi attraverso cui il gruppo sociale condiziona la formazione della personalità dei suoi membri, orientandola verso quella matrice chiamata «personalità culturale di base».
    Ora, senza entrare nel merito del dibattito a favore o contro la personalità culturale di base, mi preme semplicemente far rilevare che esistono in ogni gruppo sociale degli standard comportamentali, degli atteggiamenti socialmente rilevanti e dei modi di reagire comuni ad importanti eventi della vita, che presuppongono perlomeno un orientamento comune di alcuni tratti nella struttura della personalità dei membri del gruppo sociale.
    La crisi dei meccanismi di trasmissione culturale e della personalità di base è originata fondamentalmente dalla crisi delle principali istituzioni educative, socializzanti, inculturanti, in modo particolare della scuola e della famiglia, e correlativamente di molti modelli educativi e di allevamento dei bambini.

    3.3.1. Il ruolo negativo di certe pratiche di allevamento

    Ho già accennato al fatto che il processo attraverso cui il neonato si trasforma progressivamente in uomo adulto ha subito una vera e propria rivoluzione, i cui effetti hanno investito la struttura della personalità dei soggetti ad esso sottoposti.

    Ora più che entrare nel merito di come si sono modificati i processi attraverso cui il neonato forma la propria struttura di base della personalità, mi preme rilevare che la modifica di questi processi ha profondamente inciso nella trasmissione culturale, e quindi dei valori da una generazione all'altra, rendendola indubbiamente meno efficace e comunque introducendo valori «diversi», non previsti o anomali nel corso della stessa trasmissione.

    3.3.2. L'affievolirsi della famiglia come trasmettitore culturale

    Oltre al metodo di allevamento e di educazione dei figli è rilevante, per la trasmissione culturale, la struttura della famiglia, i rapporti interni tra i suoi membri, il loro ruolo e infine la funzione che la famiglia esercita nel sistema sociale. Mi limiterò a poche considerazioni.

    La famiglia in cui hanno vissuto anni importanti i giovani di oggi, era una famiglia segnata dalla crisi e da una immanente negatività. Una famiglia che doveva fare i conti, oltre che con una immagine sociale deteriorata, anche, direi soprattutto, con la propria funzionalità interna e con la crisi dei ruoli tradizionali del padre, della madre e dei figli, oltre che con alcune conseguenze strutturali dovute al suo essere mononucleare.
    La crisi dei ruoli familiari negli anni '60. Attorno agli anni '60 si è molto parlato, scritto e discusso sul cosiddetto «padre assente». Mi ricordo che in un certo periodo non c'erano quotidiani, radio, televisione, ecc., che non affrontassero in vari modi questo argomento.
    Si era rilevato infatti che il padre a causa di molti fattori, esterni ed interni alla famiglia, non riusciva più a ricoprire il ruolo che da sempre nella nostra cultura gli era stato assegnato. Quello cioè di trasmissione dei valori e delle norme culturali e sociali nei confronti dei Figli. Questa incapacità dei padre era enfatizzata e resa più evidente dal fatto che all'interno della famiglia mononucleare urbana non c'erano altre persone che potessero in qualche in modo surrogare o integrare questo ruolo.
    Qualche volta ci provava la madre ma con risultati poco soddisfacenti, nel migliore dei casi, e con veri e propri disastri quando la unificazione dei ruoli materni e paterni faceva saltare l'intera trasmissione culturale familiare.
    Il salto generazionale eccessivo. Nella famiglia mononucleare urbana, oltre al padre assente, c'era da fronteggiare uno scarto generazionale piuttosto ampio tra genitori e figli non mediato da persone di età intermedia componenti la famiglia.
    Nelle famiglie patriarcali esistevano zii, fratelli e sorelle, cugini di età superiore a quella dei figli ma inferiore a quella dei genitori. La loro funzione era quella di cerniera generazionale e costituivano delle stazioni importantissime di decodificazione nella trasmissione culturale dai genitori ai figli. Oltre a questi vi erano poi i vecchi che in qualche modo saldavano il bambino con le proprie radici, con la storia non più immediatamente significativa dei gruppo sociale, importante tuttavia per dare alla sua cultura un senso non contingente e astratto. La crisi della funzione dì trasmettitore culturale negli anni '60. Da questo coacervo di fattori emerge con chiarezza come la famiglia intorno agli anni sessanta sia andata fortemente in crisi nella sua funzione di trasmettitore culturale, come luogo della socializzazione e della educazione.

    3.3.3. La crisi di identità della scuola

    Anche la crisi della scuola è complessa e ha origini non semplificabili in uno schemino. Tuttavia mi sembra di poter dire che circa la sua funzione di trasmettitore culturale le principali dimensioni della crisi siano due,

    L'una è la crisi che l'ha investita come funzione del sistema sociale e quindi come istituzione sociale. L'altra crisi è invece riscontrabile internamente nel suo modello di funzionamento e delle persone che come docenti e allievi la formano.
    La crisi della funzione della scuola nella società. Per quanto riguarda la crisi della funzione della scuola nel sistema sociale mi sembra di poter affermare che dopo la distruzione e messa in crisi della precedente funzione, un'altra nuova non l'ha ancora adeguatamente sostituita. Ad esempio, a tutt'oggi il decisore politico non ha ancora deciso se essa debba essere una funzione di formazione per l'integrazione del giovane alla vita sociale e produttiva, oppure un luogo puramente di costruzione di una personalità più umanizzata ed evoluta al di fuori di rigidi schemi di utilità sociale. Il risultato è che la scuola di oggi non assolve né all'una né all'altra funzione. Infatti non prepara alla vita lavorativa, né umanizza ad un più elevato livello i suoi membri.
    La crisi interna alla scuola. La crisi interna è complessa e va dalla crisi dei comando e dell'autorità, alla ignoranza degli insegnanti e alle loro aberrazioni pedagogiche.
    Il risultato è stato che anche nella scuola la trasmissione delle informazioni, dei modelli e degli standard di comportamento, dei valori sociali e della tradizione del gruppo sociale è saltato o perlomeno si è ridotta al di sotto dei limiti accettabili. Oltre a questo la scuola ha sempre di più enfatizzato, impropriamente la funzione socializzante rispetto a quella più propriamente educativa, abdicando così al proprio ruolo primario. La scuola socializza ma non insegna.

    3.3.4. La pluralità delle agenzie formative

    Le tradizionali istituzioni educative, socializzanti, inculturanti, che nel nostro sistema sociale provvedono ad aiutare il formarsi del bambino in adulto, in questi ultimi anni si sono trovate a fare i conti con degli agguerriti concorrenti.

    Alcuni di questi concorrenti non sono nient'altro che gli strumenti di comunicazione oggi largamente diffusi, di massa come si conviene dire.
    Altri concorrenti sono costituiti dai luoghi della produzione e dei consumo industriale che, attraverso la pubblicità e la propaganda, divengono anche essi comunicazione di massa.
    Altri ancora sono le varie organizzazioni politiche, sportive, culturali, dei tempo libero, ecc., che in questi anni si sono proposte nella vita sociale come istituzioni formative, specializzate e settoriali sin che si vuole, ma alla fine con profondi riflessi nella formazione complessiva della persona nella sua dimensione individuale e in quella sociale.
    La pluralità di queste agenzie che incidono nella formazione della persona umana integrata in un determinato sistema sociale, implica una serie di conseguenze particolari a livello della costituzione del sistema di valori del giovane.
    I valori trasmessi a livello familiare spesso si trovano in concorrenza o in dissonanza con altri valori veicolati dai massmedia e dalle altre agenzie.
    Con questo non voglio dire che i valori che provengono dalle altre agenzie siano necessariamente meno nobili, meno significativi o comunque meno validi per l'adattamento e l'evoluzione delle persone o dei gruppi sociali; ma semplicemente che essi sono prodotti molto spesso dal presente senza alcun significativo aggancio con la cultura originaria del gruppo sociale.

    3.4. Le trasformazioni del linguaggio giovanile

    Un ultimo importante elemento che occorre considerare, se si vuole capire la cultura giovanile, è quello del linguaggio. Questo tempo meriterebbe un intervento tutto per sé ma qui devo limitarmi ad alcuni rapidi accenni.
    Innanzitutto intendo ricordare che, personalmente, mi identifico nella teoria secondo cui il linguaggio non è puro strumento di descrizione della realtà, ma anche lo strumento attraverso cui l'uomo costruisce e organizza la stessa realtà.
    Da questo punto di vista le diversità linguistiche tra gruppi sociali possono essere prese come indicatori di diversi modi di strutturazione del loro pensiero sul mondo e del loro rapporto con la realtà.
    Tra giovani e adulti in questi ultimi anni si è aperta una vera e propria divaricazione linguistica, che, oltre ad avere ostacolato la comunicazione intergenerazionale, ha di fatto aperto il mondo giovanile a modelli culturali significativamente diversi da quelli dominanti tra gli adulti.
    La trasformazione linguistica avvenuta a livello giovanile, e anche socialmente in senso generale, anche se non è stata avvertita di meno dalla massa degli adulti, ha toccato molte dimensioni del linguaggio.

    3.4.1. L'offuscamento della funzione referenziale delle parole

    La prima e forse più importante riguarda la perdita della dimensione referenziale del linguaggio. Un segno linguistico deriva il suo senso complesso tanto dal suo opporsi e distinguersi dagli altri segni del sistema linguistico, quanto dalla sua relazione con la referenza, cioè l'oggetto fisico (o mentale) a cui il segno rimanda. Ora nella nostra cultura, il segno si è andato sempre più autonomizzando dall'oggetto referente per manifestare sempre più il suo significato quasi esclusivo in relazione con gli altri segni.

    Questa trasformazione profonda della lingua ha portato le persone che la utilizzano a sganciarsi sempre più dalla natura, dalla realtà.
    La lingua da mezzo di orientamento e di mediazione della realtà è divenuta strumento di confusione e di nascondimento della realtà. La lingua perde la capacità di apertura all'esistenza in nome di una chiusura che la restringe a gioco logico puramente mentale e astratto. La vita si cela attraverso la lingua invece di svelarsi.
    Ora questa perdita del rapporto fra segni e oggetti ha profonde conseguenze nell'uso della lingua come strumento di comunicazione e apertura agli altri, apertura che risulta inibita e coartata.
    La lingua non aiuta a esplodere ma viceversa a implodere. L'uomo imploso è a mio avviso, un uomo collassato che va verso l'indifferenziazione originaria in cui l'individuo non si distingue più dal mondo in cui è immerso. L'individuo è espropriato della sua coscienza e vita.
    J. Baudrillard sostiene che l'implosione è l'unica via della liberazione, l'unica via attraverso cui la rivoluzione può aprirsi una strada nel dominio totale dei sistemi sociali ed economici attuali. Non sono d'accordo, perché la distruzione non è mai premessa alla vita, ma una sua profonda e radicale negazione, e, anche quando la vita sopravvive e risorge dalla distruzione, impiega un tempo enorme a riacquistare la pienezza che prima aveva raggiunto.
    L'implosione linguistica è uno dei caratteri della cultura giovanile che condiziona profondamente il sistema dei valori.

    3.4.2. La trasformazione della struttura lineare della frase

    Una seconda trasformazione rilevante riguarda la dimensione sintattica dei linguaggio. Esso infatti sta perdendo la sua struttura logica lineare consequenziale, per assumere quello di una struttura d'insieme. Di una struttura che invece di essere una sequenza temporalmente successiva di elementi vede gli stessi in presenza simultanea. Direi che le parole nel discorso rientrano più come parti di un quadro, di una immagine che di una sequenza.

    Il linguaggio sta divenendo visivo e perdendo i legami con la cultura orale, con la parola parlata. Non per nulla alcuni discorsi fatti con questa nuova sintassi se scritti sono comprensibili, se parlati sono incomprensibili. Questo perché a livello di comunicazione orale è di fondamentale importanza la sequenzialità dei segni mentre a livello visivo può essere superato con una percezione più d'insieme complessiva.
    Un giovane di oggi non sa più raccontare, e il racconto è una tipica espressione della cultura orale, anche perché l'educazione ossessiva alla immagine ha indotto la lingua a perdere sempre più contatto con la sua forma originaria orale per divenire un linguaggio visivo/orale. Non è un paradosso. La logica di questa nuova sintassi è quella della teoria degli insiemi, e non quello dei lineare dedurre.

    3.4.3. L'impoverimento dei lessico giovanile

    La terza trasformazione è dovuta alla riduzione del lessico nella lingua giovanile. Se si studia il linguaggio giovanile si può osservare che esso utilizza un numero molto limitato di vocaboli, molto al di sotto di quello che è il thesaurus complessivo della lingua. Qualcuno ha anche calcolato in circa 3,0003.500 vocaboli il dizionario medio dei giovani.

    li fenomeno della riduzione del lessico interroga in modo netto l'osservatore. Indubbiamente esso rappresenta un impoverimento culturale notevole, almeno a prima vista, e fa presagire la possibilità da parte dei giovani di una ridotta ed eccessivamente semplificata attività di pensiero e di un adattamento sociale alquanto povero.
    Questo tuttavia non è dei tutto vero, in quanto l'attuale riduzione del lessico fa sì che nel gioco linguistico i segni stessi siano intercambiabili. In effetti tra i giovani viene ampliata a dismisura la multivocità dei segni, che, al pari di variabili algebriche, acquisiscono il loro valore non in assoluto ma dalle espressioni in cui sono inserite.
    L'esempio più marcato del segno come variabile priva dì un qualsivoglia senso che non sia dato dal contesto linguistico, è fornito dall'uso della parolaccia, o dalla interiezione, nel discorso. La parolaccia ha infatti, nel contesto, il valore di una «x», di una incognita il cui senso è dato dalla complessiva costruzione della frase o del discorso. Provate a sostituire la parolaccia con la parola che, secondo voi, completa il senso della frase e vedrete che la sostituzione funziona, nella maggior parte dei casi.
    Da queste sommarie note emerge come il linguaggio giovanile sia profondamente diverso da quello degli adulti e quindi lo sia la stessa cultura che veicola.

    3.5. Il contributo (povero) dell'animazione dei giovani

    Due tendenze contraddittorie, come già nella società, emergono nel mondo giovanile: l'una va verso l'annichili mento, l'implosione, il ripiegamento in sé distruttivo, e l'altra verso la ricostruzione di una società meno barbarica e alienante.
    La cultura giovanile ha in sé la morte e la vita, dialetticamente opponentisi. Oltre le degenerazioni della cultura che porta in sé, cioè le stigmate degli errori educativi degli adulti, contiene anche potenti antidoti alle stesse degenerazioni e ha quindi la capacità di trasformare il principio di morte nel principio di una vita più piena e più ricca,
    Da una caduta può nascere la santità, da un errore una scoperta, per cui la minaccia dì morte presente nella cultura giovanile può essere una via di arricchimento della stessa e della cultura sociale in generale.
    L'animazione può portare un contributo piccolo e modesto (come dimenticare la «povertà» dell'educazione, cioè la sua impotenza, se presa da sola, a risolvere i problemi dei giovani e della società?), in quanto tra i suoi obiettivi e nella qualità dei suo metodo, mira alla formazione di personalità umane e di gruppi sociali che siano:
    - radicati in una precisa identità storicaculturale, quella occidentale (e cristiana) che non ha mai rinunciato all'amore per la vita;
    - in grado di articolare un linguaggio che apra effettivamente alla interazione autentica con se stessi e gli altri;
    - capaci di sviluppare relazioni che, pur rispettando la diversità irriducibile di ogni isola della soggettività, sappiano costruire il sistema, ovvero la solidarietà del contratto sociale;
    - portatori di una capacità creativa, che sappia coniugare la fedeltà a ciò che è stato e che è del proprio progetto di sé con le esigenze dell'amore e della verità, giocando sino in fondo se stessi nella vita.
    L'animazione indica all'uomo e soprattutto al giovane dell'occidente una strada originale per riscoprire che la vita non è nulla e che la storia non è un'illusione effimera, ma il luogo in cui l'uomo può perseguire la propria emancipazione terrena e nello stesso tempo la propria salvezza, legandosi per l'eternità alla verità ed alla felicità divina.
    L'occidente e la sua cultura, così come si è costituita dopo la comparsa dei cristianesimo, hanno ancora molto da offrire al compiersi della ricerca della felicità e del senso della vita umana. La difficile sintesi che vince la disperazione e la falsa gaiezza del nichilismo è ancora quella data dalla capacità di amare la vita umana, anche se essa è un frammento minuscolo nel ciclo cosmico, e di comprendere che, nonostante la sua precarietà, essa ha un posto per sempre nello spazio del mistero dove l'Assoluto ha il suo luogo.

    4. FONDAMENTI ANTROPOLOGICI DELL’ANIMAZIONE CULTURALE

    A partire da un'analisi della attuale situazione culturale si è arrivati ad evidenziare come nodo cruciale, soprattutto per l'animazione dei giovani, la formazione dell'identità personale in un concetto di sradicamento, frammentazione, differenziazione di linguaggi.
    A questo punto è possibile iniziare a svolgere la riflessione su ciò che è possibile chiamare una «teoria dell'animazione culturale», suddividendola in quattro grandi capitoli:
    - l'antropologia di base,
    - l'obiettivo generale,
    - gli obiettivi intermedi e gli orientamenti strategici,
    - il metodo dell'animazione.
    L'animazione in primo luogo è un modo di pensare all'uomo, ai suoi dinamismi, ai processi in cui gioca la sua maturazione, e soprattutto al mondo, agli orizzonti di senso in cui si dice la necessità della sua esistenza.
    A prima vista l'antropologia che esporrò qui di seguito sembra «formale», nel senso che più che una proposta appare come un quadro logico di riferimento. Questa impressione è però solo parzialmente vera in quanto, piuttosto che «vendere» un suo progetto d'uomo, l'animazione preferisce offrire i punti di riferimento, le coordinate che consentiranno ai giovani di scoprire il proprio progetto d'uomo.
    Progetto che in virtù dell'antropologia dell'animazione sarà radicato nella storia, nella tradizione, nella cultura, nella lingua e nel futuro di una avventura umana che supera il limite dell'effimero, nonostante la sua irrinunciabile novità. Una antropologia quella dell'animazione quindi che più che offrire lei stessa un definitivo progetto d'uomo, offre gli strumenti per pensarlo senza disancorarsi dalla propria identità storica, sociale e culturale.
    Infine si può affermare che l'antropologia che qui di seguito sommariamente svilupperò è la chiarificazione del contesto culturale e relazionale, dei processi dinamici, attraverso cui i giovani possono dare uno spessore concreto ed attuale all'amore per la vita.
    I tre concetti base che in qualche modo costituiscono lo scheletro portante di questa antropologia sono:
    - l'homo symbolicus;
    - l'uomo come sistemaaperto;
    - l'uomo nello spaziotempo.

    4.1. L'homo symbolicus

    La prima grande concezione su cui si fonda l'animazione si basa sulla constatazione che l'attività linguisticosimbolica è quella che disegnando il mondo dell'uomo, costituendolo ed organizzandolo, rende all'uomo stesso un ruolo unico ed irripetibile che lo differenzia in modo netto dalle altre manifestazioni del vivente.
    Differenza che è quella che ha reso possibile il sorgere delle «rappresentazioni» della vita, il formarsi e la trasmissione della cultura, la continuità della società e della storia, l'efficace funzionamento dei vari gruppi sociali e soprattutto ha reso possibile l'avventura umana negli universi del senso.

    4.1.1. Vivere è «rappresentare» il reale, il vissuto

    L'uomo ha l'impressione di conoscere direttamente la realtà. Egli parla di cose che vede, racconta fatti che succedono, descrive «sequenze» che, a suo dire, egli trova nella realtà. Sono fatti, eventi, sequenze che oggettivamente si impongono a lui e che lui non fa che recepire più o meno passivamente.

    Le cose sono più complesse, a ben considerare.
    L'uomo non conosce la realtà direttamente, ma attraverso la «rappresentazione» che i suoi sensi, il suo cervello e la sua cultura gli forniscono di essa.
    La realtà si presenta all'uomo in modo disorganico, quasi, per usare una immagine, come l'acqua allo stato liquido.
    Se l'uomo si avvicina all'acqua e cerca di raccoglierla gli scivola tra le dita, pur essendo dotata di un peso e volume proprio. Per raccoglierla e utilizzarla l'uomo ha bisogno di utilizzare un «contenitore» che le dà la sua forma. L'incontro dell'uomo con la realtà sembra seguire un procedimento simile.
    Certo i fatti, gli eventi, le persone, le sequenze hanno un loro spessore, una loro consistenza ed autonomia rispetto a chi entra in contatto con loro. Eppure sono ancora senza forma, senza un «contenitore», che è invece fornito dalla attività sensoriale, mentale e culturale dell'uomo.
    La vita dell'uomo si svolge continuamente lungo un percorso di andata e ritorno tra «le cose come stanno» e «le cose come le percepisce e le rappresenta».
    Come si è accennato, l'attività di percezione e rappresentazione è tutt'altro che passiva. Nel percepire e rappresentare l'uomo dà forma e «organizza» la realtà.
    Vivere è in fondo rappresentare e organizzare la realtà, compresa quella oggettiva.

    4.1.2. Il linguaggio e la cultura come «ordinatori» della realtà

    L'uomo non conosce la realtà direttamente, ma attraverso la rappresentazione che i suoi sensi, il suo cervello e la sua cultura gli forniscono di essa. In fondo non è tanto importante stabilire se questa rappresentazione che l'uomo fa del reale sia vera, quanto invece constatare che essa è «utile» e che gli consente di muoversi agevolmente al suo interno. Tuttavia, affinché tutti gli stimoli che colpiscono gli organi di senso umani divengano rappresentazioni, devono disporsi come i fili di un ordito, secondo un ordine ben determinato.

    Occorre cioè un telaio, o meglio ancora una programma e delle istruzioni, che consentono di unire, in una rappresentazione coerente e dotata di senso, tutti gli stimoli che arrivano al cervello. È ormai assodato che, unitamente alla attività motoria, sono il linguaggio e la cultura a fornire all'uomo il programma, i comandi e le istruzioni che gli consentono la costruzione delle rappresentazioni della realtà e la loro comunicazione.
    Attraverso il linguaggio l'uomo attua una continua modellizzazione della realtà, che consiste nella produzione di «segni» che poi utilizza nel vivere quotidiano al posto delle stesse cose e situazioni. Da questo punto di vista l'uomo vive in un mondo di segni (e, come si vedrà, simboli) che rappresentano la realtà. E poiché nella elaborazione dei segni egli è soggetto attivo, si può accettare l'espressione di chi dice che un uomo può essere riconosciuto dalle sue parole e dai segni linguistici che utilizza.
    Si può affermare che vivere da uomo è allora, in qualche modo, elaborare dei segni organizzati in un linguaggio.
    Così dicendo si viene a dire implicitamente alcune cose che vanno ora approfondite.
    Si viene anzitutto a dire che l'uomo non è padrone a sufficienza della realtà finché non la rappresenta e la organizza in un linguaggio. Essere uomo è modellare la realtà attraverso il linguaggio.
    Si viene però anche a dire che l'uomo stesso riceve forma dal linguaggio che apprende e quindi dalla cultura che lo ha allevato e gli ha offerto un originale sistema linguistico per accostarsi alla realtà.
    Vivere da uomo è allora, in qualche modo, elaborare dei segni organizzati in un linguaggio. Così che il mondo non è più una realtà indifferenziata, perché, superata la estranietà, l'uomo può riconoscere se stesso e ciò che lo circonda.
    Il linguaggio è in effetti al centro dei rapporto dell'uomo con se stesso. Influisce nella determinazione dei suoi processi mentali e controlla lo sviluppo della personalità.
    Il linguaggio è anche al centro del rapporto tra l'individuo e la realtà sociale e culturale in cui vive. Secondo il linguista americano B. Lee Whorf gli uomini di diverse culture percepiscono il mondo in maniera radicalmente differente. A suo parere, le differenti strutture linguistiche inducono nei soggetti modi diversi di percepire ed organizzare la realtà.

    4.1.3. L'uso di segni nel disegnare la realtà

    Il rapporto dell'uomo con il reale è un rapporto che come si è visto passa attraverso l'ordinatore del linguaggio.

    L'interesse per il linguaggio nasce dall'opzione di base dell'animazione, quella di liberare la vita nei soggetti umani e quindi liberare la capacità di avere una visione della vita ed essere attivi ed emancipati dentro una particolare cultura.
    Rifarsi al linguaggio come concezione di base per l'animazione significa allora voler abilitare ad appropriarsi criticamente dei sistema il linguaggio di una cultura. Infatti, come ha scritto Bernstein, «il linguaggio è uno dei mezzi per introdurre, sintetizzare, rinforzare modelli di pensiero, di sentimento e di comportamento»
    Fare animazione significa fornire ai singoli e ai gruppi il possesso degli strumenti linguistici e culturali, che ben al di là dell'essere irrazionale barbarie, gli possono offrire il controllo su una parte sempre più ampia della sua vita e della sua personalità,
    In altre parole, animare significa fare in modo che l'individuo sia in grado di governare tanto il comportamento cosciente, quanto quello motivato dall'inconscio individuale o collettivo e infine il dialogo con il trascendente che balena nell'esistenza umana.
    Per fare questo deve iniziarsi ad un «centro»; deve fare in modo che la sua coscienza sia effettivamente il centro della sua vita psichica, in quanto essa possiede una via, un passaggio, che la mette in contatto con l'inconscio ed un'altra che la mette in contatto con il cielo, ovvero la dimensione trascendente dell'esperienza umana.
    In questo consolidamento del centro e quindi della coscienza l'uomo si serve di due tipi di mediatori linguistici, cioè i segni e i simboli.
    Segni e simboli interessano l'animazione in quanto introducono in aree e livelli diversi dell'esperienza umana e delle culture che ne sono un coagulo lungo la storia.
    Una prima precisazione su cosa intendo per segno.
    Con segno qui intendo quell'entità a due facce. Una di queste facce è materiale, di natura sensibile, concreta e in grado quindi di stimolare gli organi di senso umani.
    L'altra invece è immateriale, assente, e non può essere percepita direttamente dagli organi di senso. La parte materiale e sensibile è detta dai linguisti significante, e altro non è che la forma materiale (grafica, sonora, olfattiva, ecc.) attraverso cui si presenta il segno. La forma grafica delle parole qui scritte è il significante mentre le parole sono i segni.
    La parte immateriale, assente, è costituita dal significato che il segno veicola.
    In altre parole, il segno è costituito da una associazione stabile tra un significante, ossia una forma materiale, ed un significato all'interno di una particolare comunità umana. Quest'ultima affermazione è importante perché evidenzia che un segno, per essere riconosciuto come tale, deve poggiare sul fatto che l'associazione tra significante e significato è riconosciuta dalle persone che costituiscono una particolare comunità linguistica.
    Un'altra caratteristica, almeno secondo la scuola semiologica europea che si richiama più direttamente a De Saussurre, è data dal carattere arbitrario e motivato che deve esistere nella relazione che assegna ad un dato significante un particolare significato. i una convenzione, ad esempio, che ad un certo suono corrisponde un certo significato. Non esiste nulla in questo suono che in qualche modo contenga, richiami in sé il significato se non il fatto che in una comunità linguistica la relazione è stabilita attraverso una convenzione sociale.
    Sono segni, ad esempio, quelli che costituiscono il vocabolario, scritto orale, delle lingue umane. Il filosofo E. Cassirer ritiene che l'uso dei segni (che egli chiamò tuttavia simboli) sia esclusivo dell'uomo e costituisca quindi ciò che lo differenzia in modo specifico dagli altri esseri viventi. In seguito a queste considerazioni egli definì l'uomo come animal symbolicum.

    4.1.4. Miti, simboli e immagini per dire il senso profondo della vita

    Il secondo tipo di mediatore del rapporto tra l'uomo e la realtà sono i simboli e, assieme a loro, i miti e le immagini.

    La conoscenza attraverso il mito, l'immagine ed il simbolo è un tipo di conoscenza, di discorso che ha sempre accompagnato il cammino dell'uomo nel mondo sino al XVIII sec., quando nella natura occidentale si è generata una separazione tra pensiero logicorazionale e pensiero mitico e quest'ultimo è stato rapidamente rimosso dalla cultura occidentale. Oggi si assiste ad un suo recupero in corrispondenza alla crisi dello scientismo e delle ideologie razionaliste.
    - Il mito è una forma di discorso che non richiede e non prevede dimostrazioni, che anticipa il senso del tutto. In altre parole è una forma di conoscenza globale che si oppone alle forme di conoscenza per (i analisi», che procede cioè per successive divisioni, tipica dei razionalismo in generale e più in particolare dei discorso scientifico, e che trova la sua verità in particolari criteri di validazione rispondenti alle leggi della logica. La verità di un mito non può essere dimostrata ma so. lo accettata.
    Di solito i miti, anche se non esclusivamente, appartengono alla sfera dei sacro e riguardano dimensioni di significato legate alle concezioni del mondo, il fine della vita umana ed il senso dell'universo, ecc. Esempi di miti sono rintracciabili in tutte le culture umane antiche. È un mito, ad esempio, il racconto del libro della Genesi, come lo è quello greco di Prometeo o quello indiano di Indra, re degli dei.
    Proprio per la loro forma di mito questi racconti manifestano una profonda potenza capace di salvare gli uomini, svelando loro la dimensione più profonda dell'esistenza attraverso fatti connessi alla origine del mondo.
    - il simbolo è qualcosa di più di un semplice segno in quanto appare come una «struttura di significazione in cui un senso diretto, primario letterale designa per sovrappiù un altro senso, indiretto secondario o figurato che può essere appreso solo attraverso il primo» (P. Ricoeur).
    In altre parole, il simbolo è nascosto solitamente in un normale segno, ed il suo significato è celato dal significato immediato dei segno. In questo senso Jung afferma che il «simbolo è un termine, un nome, o anche una rappresentazione che può essere familiare nella vita di tutti i giorni e che tuttavia possiede connotati specifici oltre al suo significato ovvio convenzionale. Esso implica qualcosa di vago, di sconosciuto o di inaccessibile per noi» li simbolo riconnette l'uomo tanto con la sua parte individuai più profonda, l'inconscio, quanto con la storia dell'umanità prima che sorgesse all'orizzonte ed alla storia.
    Un esempio di immagine è costituito da quello della (4 madre» che ha in sé il «ricordo di una esistenza beatificata già vissuta dall'umanità, anche solo come promessa».
    L'immagine della madre non è traducibile, ad esempio, in «discorso» perché se lo si fa si rischia dì banalizzarla, dì degradarla evidenziando solo alcuni aspetti escludendone altri. Basta vedere a questo proposito la fine che ha fatto questa immagine tra le mani di Freud all'interno del cosiddetto complesso edipico.
    - L’immagine è una rappresentazione, una imitazione di un modello esemplare che viene continuamente riattualizzato attraverso l'immaginazione, e cioè attraverso la facoltà di rappresentare cose non date attualmente alla sensazione.
    Avere immaginazione è segno di ricchezza interiore, di un flusso ininterrotto e spontaneo di immagini che consente di vedere il mondo nella sua totalità. Infatti la missione ed il potere delle immagini è quello di mostrare tutto ciò che rimane refrattario al concetto. Di solito l'immagine non è portatrice di un solo significato, ma di un fascio di significati reciprocamente interdipendenti anche se appartenenti a piani diversi. L'immagine appartiene allo stesso piano conoscitivo dei mito anche se ne differisce profondamente, perché l'uno è discorso, e l'altra rappresentazione. Tuttavia l'immagine è anche essa una forma di pensiero complementare rispetto a quello razionalescientifico.
    Esempi dì simboli sono ad esempio l'acqua, la luna, le conchiglie. L'acqua solitamente è un simbolo che rimanda alla esperienza dell'uomo prima della storia, quando non era ancora separato dal tutto e non si era quindi individuato rispetto al mondo. Oppure anche alla maternità. Questo perché molti simboli giocano il loro significato a più livelli ed a differenti vie.
    La luna è un simbolo femminile, che con l'acqua, le conchiglie appartiene al simbolismo femminile legato alla sessualità ed alla maternità.
    Prima di chiudere questa parte è necessario accennare se pur brevemente al rito, e cioè a quell'atto religioso, eseguito debitamente secondo le norme, attraverso cui è possibile incanalare l’esperienza religiosa rendendola praticabile ad un ampio numero di persone. Tra mito, simbolo, immagine e rito vi è una precisa continuità anche perché, ad esempio, è attraverso un rito che un mito viene raccontato e riatualizzato, oppure simboli ed immagini escono dall'oscurità di senso per esprimere la loro potenza evocatrice.
    La funzione del rito è poi quella di sostenere i momenti critici, difficili dell'esistenza umana, consentendo agli individui, ai gruppi ed alla società più ampia di mantenere la propria identità peculiare ed irripetibile.

    4.1.5. Perché animazione «culturale»

    Concludendo questa parte si può dire che l'animazione si interessa ai processi attraverso cui l'uomo manifesta il reale, ne prende coscienza, lo rappresenta ponendolo al centro del sistema vivente che abita quel frammento di ,spaziotempo, chiamato dai filosofi mondo e dai contadini terra. L'animazione trova, a questo punto, un terreno congeniale per definire se stessa e i suoi compiti, nella educazione alla conoscenza e all'uso corretto dei segni e dei simboli, per entrare in contatto con la cultura in cui si vive e arricchirsene, ed essere in grado di inventare nuovi segni, simboli, miti, rappresentazioni della stessa realtà.

    L'attenzione sui simboli, immagini e miti, oltre che sui segni, comporta una serie di processi formativi che non si esauriscono nelle rappresentazioni superficiali, ma le integrano nelle visioni più profonde, legate alla ricerca dei senso «indicibile» della vita. L'aver escluso dall'esperienza dei giovani e dalla loro educazione i miti ed i simboli ha innegabilmente impoverito la loro esistenza.
    Il compito dell'animazione del resto, come già si accennava, non è tanto di consegnare i giovani ad un particolare sistema di segni o di simboli o ad una loro organizzazione come nella cultura, ma piuttosto abilitarli a comprendere il mondo e le sue rappresentazioni per rivelare i giochi sottili, di manipolazione e di potere, nascosti nello stesso uso dei segni, dei simboli, del linguaggio in genere. La libertà dell'uomo implica profondamente questa capacità di tipo linguistico.
    In questo senso l'animazione che intendo proporre è animazione culturale: perché da una parte intende educare a leggere la realtà attraverso l'apprendimento critico dei simboli, dei segni e della lingua, e dall'altro intende fare cultura, cioè aiutare a maturare una nuova esperienza umana e la capacità di rappresentarla, che non è una capacità aggiunta, ma il momento più originale dell'homo symbolicus.
    Essere animali simbolici, a questo punto, vuol dire privilegiare una antropologia in cui il singolo ed il gruppo umano si sforzano continuamente di reagire con i vari segni dei linguaggio umano e con le diverse forme culturali, consapevoli che ciò che non è immediatamente evidente va colto e rispettato nella sua non perfetta chiarezza. E quindi senza appropriarsi mai in modo definitivo dei messaggi evocati, ma, proprio per questo, in continua ricerca della ricchezza di senso che ogni evento, persona o realtà, se compreso in questa logica, porta dentro di sé.
    D'altronde il senso culturale dell'animazione è testimoniato ampiamente, anche se spesso in modo non consapevole, dall'uso che della parola animazione viene fatto nella nostra società.
    Infatti quando si usa tale termine per indicare un modo diverso, critico di fare, ad esempio, l'attività sportiva, teatrale, associativa, altro non si vuole intendere che il riappropriamento da parte delle persone di un linguaggio e di una cultura radicati nella storia del loro mondo.
    Il linguaggio e la cultura che consentono, cioè, alle persone di riconoscersi, oltre che esistenti, anche come irripetibili singolarità plasmate da una storia, che rappresenta la solidarietà delle individualità espressa da quell'insieme di modi di vita, di valori, di opinioni, di credenza e linguaggi che è la cultura.

    4.2. L'uomo come sistema aperto

    Il secondo concetto cardine dell'antropologia dell'animazione è quello che considera l'uomo non come una macchina, chiusa in se stessa, costituita dalla somma di un dato insieme di parti separate ed indipendenti; ma come una entità indivisibile, in cui esiste una forte connessione tra parte e tutto, aperta ad uno scambio, che ne influenza il comportamento con l'esterno costituito dalla natura, dalla società, dalla cultura e dagli altri singoli esseri viventi.
    In altre parole questo significa considerare l'uomo come un sistema aperto.

    4.2.1. Il sistema: unità, relazioni, osservatore

    «Sistema», secondo una classica definizione di J.C. Miller, è «un insieme di unità interagenti in relazione tra di loro».

    Le unità e le relazioni come sì vede da questa definizione sono ì due elementi più significativi dei concetto di sistema.
    In altre parole, il sistema appare come un ente in cui, pur rispettandone l'autonomia e l'individualità, si riconosce che le singole parti manifestano comportamenti differenti a seconda se sono considerate singolarmente o come parte di un dato sistema.
    Le relazioni, oltre che influire sulle prestazioni delle unità, consentono al sistema di produrre delle prestazioni, un comportamento, un modo d'essere, che è diverso da quello che nascerebbe dalla semplice somma delle prestazioni, dei comportamenti e dei modi di essere delle singole unità o parti.
    Al di là comunque di questa asimmetria tra sistema e singole unità che lo compongono, resta il fatto che una singola unità la si può comprendere completamente solo in relazione al sistema di cui fa parte, ed il sistema è comprensibile anch'esso completamente solo in relazione alle unità di cui è formato.
    Tuttavia il sistema non è dato solo dagli elementi «oggettivi» che lo costituiscono, e cioè dalle parti, dalle relazioni tra le stesse e dal comportamento ma anche, e qualcuno potrebbe dire soprattutto, dalla relazione che esso ha con l'osservatore.
    Sino a non molto tempo fa si sottovalutava il rapporto tra un dato sistema umano e sociale e l'osservatore che in qualche modo si poneva in relazione con esso. Al massimo si ammetteva che l'osservatore potesse «perturbare» con la sua presenza il comportamento del sistema. Il problema per gli studiosi, gli osservatori dei sistemi umani era solo quello di studiare delle tecniche utili a ridurre la perturbazione.
    Ora accettare un discorso che considera l'uomo come un sistema implica anche un salto in avanti rispetto a questa concezione.
    Infatti nell'ottica dì questo quadro teorico l'osservatore non può e non deve essere considerato un semplice «perturbatore», ma un elemento essenziale per la costituzione dello stesso. L'osservatore attraverso il suo punto di vista, il suo linguaggio, la sua prassi relazionale con il gruppo dì fatto dà forma al sistema, lo organizza e lo costituisce in una descrizione irrimediabilmente relativa e parziale, che evidenzia alcuni aspetti della «realtà oggettiva» e ne sottace altri. È un modo di disegnare il reale. Il sistema è sì un ente che ha un riscontro nella realtà, ma è soprattutto e forse un quadro teorico di organizzazione e descrizione della stessa. Il sistema esiste sempre a livello concettuale: si può dire che il sistema è un linguaggio che potenzia la capacità dell'osservatore dì comprendere e descrivere l'uomo e le sue varie forme di aggregatore sociale. Per questo motivo l'osservatore diviene un elemento fondamentale del sistema.
    Senza il linguaggio dell'osservatore, i suoi concetti e la sua osservazione non si ha un sistema ma una realtà dotata di altre forme o ancora senza forme.
    L'osservatore per capire non deve quindi limitarsi a osservare quell'insieme umano che egli definisce sistema e che gli è esterno, ma prioritariamente, o almeno contestualmente, deve osservare se stesso: il proprio linguaggio, le proprie opinioni, teorie e ideologie, la propria affettività.
    Solo se comprenderà se stesso nell'atto di organizzare e descrivere il sistema potrà essere più obiettivo ed oggettivo nella descrizione del sistema stesso.

    4.2.2. L'uomo come sistema aperto

    Sulla scorta delle brevi suggestioni fornite ora sui sistemi sì potrebbe affermare che l'uomo è un sistema aperto vivente che elabora materia, energia ed informazione.

    Tuttavia questa definizione non lo differenzia affatto dagli altri sistemi viventi di natura animale. Ciò che lo differenzia infatti è che egli è un sistema vivente che vive inscritto in un mondo che prima ancora di essere materiale è simbolico e dotato di senso.
    L'uomo è un sistema capace di creare ed abitare un mondo simbolico.
    Allora l'uomo come sistema possiede questi tratti specifici:
    - crea sistemi di segni e simboli che trasmette attraverso l'apprendimento da una generazione all'altra;
    - articola segni e simboli in complessi organizzati di tipo linguistico;
    - dilata, attraverso gli universi simbolici, la dimensione del presente attualizzando da un lato il passato (memoria culturale, tradizione) e dall'altro anticipando il futuro (mondo possibile, utopia, dover essere);
    - gli oggetti materiali al di là della propria consistenza, sono veicoli di simboli e segni, e quindi di ulteriori realtà e significati in grado di rappresentare i confini dell'io, i limiti del sistema ed in definitiva del mondo. La realtà materiale è mondo dell'uomo, luogo dei suo essere individuale e sociale, parte e tutto, oltre che con la propria oggettiva presenza per ciò di cui è sovraccarica a livello linguistico e culturale;
    - è cosciente della morte ed è in grado di trascenderla nell'universo simbolico.
    Fare del concetto di sistema uno dei concettibase dell'animazione comporta una serie dì opzioni antropologiche e formative che ora vanno esplicate.

    4.2.3. L'animazione assume l'uomo come «sistema complesso»

    La prima opzione è considerare l'uomo e i vari gruppi sociali come unità altamente complesse. Infatti un sistema è definito come un insieme di unità interagenti in relazione tra di loro. In cui quindi non è possibile considerare una singola unità, se non contestualmente alle altre che con lei formano il sistema.

    Concepire l'uomo come sistema significa considerarlo come un tutto indivisibile di cui ogni singola parte, in cui a volte per comodità di analisi viene concettualmente scomposto, viene sempre vista e considerata in relazione alle altre e all'intiero, Si tratta di considerare l'uomo utilizzando un modello conoscitivo in cui il tutto è spiegato dalla parte e questa dal tutto.
    Oltre a questo, la concezione dell'uomo come sistema significa che egli non è la somma delle parti che lo compongono. L'uomo non è infatti la somma di materia e spirito, mente e corpo, oppure di razionalità, emotività, affettività, socialità, ecc., ma un tutto in cui dinamicamente esistono ed interagiscono, influenzandosi reciprocamente, tutte queste parti.
    Nessun comportamento umano è mai pienamente solo razionale o solo affettivo o solo sociale o solo istintivo o solo morale, ma è sempre la sintesi di tutto ciò che costituisce l'individuo umano. L'unità, la sintesi che si sviluppa nella mente e nella coscienza umana, è resa possibile dal linguaggio dei segni e dei simboli che disegnano la cultura in cui vivono gli individui ed i gruppi umani.
    Considerare l'individuo come un tutto ha delle profonde conseguenze nell'impostazione dell'animazione culturale. Questo concetto presuppone infatti che il modello formativo dell'animazione sia di natura globale, e cioè tale da tener conto che non è possibile formare la razionalità di un individuo senza considerare gli effetti che tale azione ha sull'affettività, la socialità e così di seguito.
    A prima vista queste affermazioni paiono banali e scontate, tuttavia se si guarda alle concezioni psicologiche e financo mediche, che hanno ispirato le principali correnti pedagogiche in questi anni recenti, esse sono, in gran parte, basate sul meccanicismo, cioè sulla scomposizione della psiche e del corpo umano in tante parti che venivano studiate, una per una, separatamente, senza curarsi dei loro rapporti reciproci o con il tutto in cui erano inserite. Basta pensare ai test psicologici che hanno parcellizzato l'intelligenza umana, la personalità, la psicomotricità in un numero enorme di tratti specifici, ad ognuno dei quali corrisponde un test particolare. Ancora oggi gli esami di orientamento scolastico professionale e, più in generale, la misurazione dei l'intelligenza, avvengono utilizzando questi test nati dall'aver smontato la funzione dell'intelligenza in tante piccole partì, al pari di una macchina. Il pensiero meccanicista infatti ha teso a ridurre la comprensione «scientifica» dell'uomo, esaltando al massimo l'analisi e cioè la scomposizione dell'insieme in parti sempre più piccole, viste isolatamente. È come se la conoscenza particolare dei singoli pezzi che compongono una macchina bastasse a garantire la comprensione del funzionamento della macchina.
    Approccio globale significa dar vita a dei processi di animazione culturale che mirino a investire simultaneamente tutta la complessità umana, e quindi tutte quelle parti che le concettualizzazioni scientifiche e filosofiche ritengono costitutive dell'essere umano. Non si può, ad esempio, sviluppare adeguatamente la capacità linguistica di una persona, prescindendo dalla sua maturazione psicomotoria.

    4.2.4. Animazione dei sistema, prima che dell'individuo

    Una seconda opzione derivante all'animazione dal concetto di sistema è di considerare sempre il singolo dentro i vari sistemi entro cui vive, dentro i vari gruppi sociali di cui è parte attiva o passiva.

    L'animazione è un modello e metodo formativo che non si limita ad osservare la persona come singolo, ma dentro i processi di socializzazione e di inculturazione in cui è immersa. E non si limita ad interventi sul singolo, tesi cioè a modificare e far crescere le qualità interiori del soggetto, come in qualche modo faceva l'educazione tradizionale, ma è sempre interessata alla trasformazione dei sistemi in cui il soggetto vive, nella loro globalità.
    In questo senso l'animazione è sempre una concezione e strategia educativa di tipo politico e strutturate. Si rifiuta di educare un soggetto astratto slegato dal suo ambiente e si lavora perché sia l'ambiente stesso, nei limiti del possibile, a trasformarsi, ad umanizzarsi, a liberare tutte le sue potenzialità.
    Proprio l'attenzione all'uomo come sistema permette, ad ogni modo, di uscire anche dalle secche delle vecchie concezioni educative basate unilateralmente sul cambio di tipo strutturale, secondo cui, una volta creato un nuovo sistema strutturale, in qualche modo i singoli si sarebbero modificati. Non è forse questa la speranza che avevano cullato tanti animatori attorno agli anni dei politico, ma non solo allora?
    Una terza opzione ritorna sulla funzione dell'osservatore, che non deve essere inteso in termini solo personali (una persona che osserva), ma anche e piuttosto in termini di «punto di vista» da cui analizzare il sistema.
    L'animazione si propone di modificare il sistema, abilitando i soggetti da una parte a cogliere il sistema così come si presenta, e dall'altra a maturare nuovi punti di osservazione, cioè, in fondo, nuovi linguaggi, nuovi segni e simboli sul sistema. Animare è arricchire il linguaggio, cioè dare nuovi punti di vista a partire dai quali far evolvere il sistema.

    4.2.5. Al di là dei rapporto deterministico fra causa ed effetto

    L'assunzione di una concezione di uomo come sistema comporta in quarto luogo anche una nuova visione di tutto il capitolo nell'esperienza umana del rapporto fra causa ed effetto.

    Nella visione del mondo e dell'uomo, compresa l'educazione, la concezione di base si rifaceva al modello meccanicistico, secondo cui ad ogni azione corrispondeva una precisa e sempre identica reazione, in modo che una volta conosciuti i modelli di causaeffetto, li si poteva riprodurre all'infinito. Così ad esempio, una volta stabilito per esperienza che una determinata sequenza educativa aveva prodotto un certo effetto, era possibile riprodurne l'effetto ponendo in atto sempre gli stessi interventi.
    Su questo principio è sostenuta una falsa pretesa di scientificità dell'educazione basata sull'osservazione dei casi ed esperienze educative, o basata addirittura sull'applicazione all'uomo delle leggi scoperte su ratti nevrotici in laboratorio! È quello che io chiamo il rattomorfismo educativo, fondato sul modello rigido azione-reazione, causa-effetto.
    Il rifiuto dell'ipotesi meccanicista nello studio dell'uomo comporta necessariamente il rifiuto dell'accettazione del determinismo e cioè che lo stato finale di un determinato sistema sia irrevocabilmente determinato dalle sue condizioni iniziali.
    La moderna epistemologia e la logica contemporanea hanno evidenziato che il principio determinista è applicabile solo ai sistemi chiusi. E cioè, come si diceva, a quei sistemi che non scambiano né materia, né energia e tanto meno informazione con l'ambiente esterno. Il sistema chiuso è quindi un sistema totalmente impermeabile all'ambiente esterno. Nei sistemi aperti occorre sostituire il determinismo con il principio dell'equifinalità, il quale postula che un identico stato finale possa essere raggiunto partendo da condizioni iniziali differenti; oppure che partendo da condizioni iniziali uguali si possono raggiungere stadi finali differenti. Se questo principio è valido per le scienze fisiche lo è ancora di più per quelle umane ed in modo particolare per quelle che si occupano di formazione. A volte penso che la strada dell'inferno degli educatori sia lastricata dal determinismo, e cioè dal fatto che molti di loro danno per scontato che usando un certo metodo, compiendo certe azioni, ecc., si otterrà sicuramente un particolare risultato. Se questo è vero in un gran numero di casi, non lo è in altri, per cui una certa azione che produce il risultato sperato con alcune persone, con altre può risultare indifferente quando non controproducente. Ogni azione educativa deve essere perciò collocata nel suo contesto e continuamente verificata sulla base dei risultati che essa produce.
    Applicare il principio dell'equifinalità significa anche che lo stesso risultato può essere raggiunto tanto da chi parte da posizioni svantaggiate, quanto da chi parte da posizioni privilegiate. Un'ultima e interessante conseguenza dell'equi finalità è quella di ribadire che lo stesso risultato può essere raggiunto seguendo percorsi differenti e che identici percorsi possono portare a risultati differenti.
    - La irriducibile diversità di ogni situazione educativa. Questo principio ribadisce cioè la specifica e irriducibile diversità di ogni situazione educativa, di ogni essere umano. Ogni essere umano segue nella propria costruzione vie e percorsi propri che non sempre possono essere ricondotti all'interno dei modelli e degli schemi prefissati dall'educatore. Accettare l'equifinalità vuol dire ricercare un metodo formativo centrato sull'utente e non sui valori statistici medi o solo ed esclusivamente sull'esperienza del passato.
    Significa dare continuità alla tradizione, rinnovandola e reincarnandola in modo specifico in ogni situazione particolare. Infine offre la possibilità di ridefinire, di revisionare la propria condotta educante sulla base dei risultati effettivi e non su effimere e irreali speranze.
    Concludendo questo punto si può dire che l'equifinalità afferma un grande valore di giustizia sociale ed umana, perché ribadisce la libertà di ogni individuo e la sua possibilità di costruire, al di là delle condizioni di partenza, una vita che valga la pena di essere vissuta, in quanto luogo dove possono esprimersi le sue potenzialità. Equifinalità come rispetto della libertà e della pluralità dei percorsi attraverso cui l'uomo porta a compimento la propria umanità e la propria specifica individualità.

    (continua nel Q6)

    IL CANOVACCIO

    Per una scuola di giovani animatori


    Franco Floris - Domenico Sigalini

    Il Q5 ed il Q6 rappresentano, nel progetto complessivo dei quaderni, la nostra «proposta» in termini di «prassi» (azione più riflessione) di animazione, con una determinante accentuazione dell'aspetto teorico, critico e scientifico. Si sbilanciano, volutamente, nel discorso culturale, invitano allo studio e alla ricerca, vogliono evitare che l'animatore sia uno che «fa tante cose», senza aver chiara una visione di uomo e di educazione.
    La riflessione che si vuole richiedere non è immediatamente finalizzabile o utilizzabile. In un certo senso è «gratuita» rispetto al bisogno immediato di «fare», ma è decisiva anche per l'identità personale dell'animatore.
    Il Q5 ed il Q6 fanno parte di un unico discorso che si propone di offrire una «visione generale di uomo e di vita» ed una «fondazione teorica» dell'animazione culturale.
    Il presupposto è che chi incontra questa proposta abbia un'esperienza di animazione che si porta dentro attese, intuizioni, interrogativi, anche se non è normalmente in grado di dirlo in forma compiuta e riflessa.
    §L'itinerario metodologico con cui avvicinare i due quaderni parte allora dalla «assunzione» (critica ed empatica ad un tempo) dell'esperienza dell'animatore, anche se povera e ambivalente carica di una visione di uomo e di educazione. Questo è il primo passo metodologico.
    §Il secondo passo è l'allargamento di confine», cioè la sollecitazione a ristrutturare i confini della propria esperienza di animazione, attraverso il confronto con altre esperienze e l'approfondimento di una «proposta teorica».
    §Questo passo permette di dire in modo riflesso la propria esperienza, cogliendone la povertà e la ricchezza, e di aprirsi ad una «prassi nuova», fatta di azione concreta e di riflessione, di animazione culturale. L'avvio verso una «nuova prassi» è il terzo passo metodologico.
    La strutturazione dei due quaderni impone un lavoro complesso in cui il tema viene accostato da diversi punti di vista, relativamente autonomi, che convergono verso un centro attorno al quale si viene a costruire il «mondo dell'animazione».
    Le principali fasi di questo approccio riprendono gli argomenti dei due quaderni:
    - L'uso del termine.
    - L'antropologia di base.
    - L'analisi dell'attuale momento culturale.
    - L'obiettivo generale.
    - Gli obiettivi intermedi e le strategie per aree di intervento.
    - il metodo: risorse, strumenti, tecniche.
    In questo canovaccio ci occuperemo dell'uso del termine e dell'antropologia di base.
    Ancora una premessa. li canovaccio richiede una lettura attenta perché ci si è sforzati di individuare, di volta in volta, le «tappe» e i «passaggi» cruciali delle varie fasi del discorso. In qualche modo questo canovaccio è un commento originale allo stesso contenuto del quaderno.

    PRIMO APPROCCIO: USO DEL TERMINE

    Obiettivo

    Definire i vari usi dei termine per arrivare ad un «atteggiamento di ricerca» a partire dalla propria esperienza di animazione.

    Il primo approccio vuole rende,, gli animatori (o futuri animatori) consapevoli della ricchezza e povertà della loro pratica e delle personali attese verso l'animazione, in modo da sollecitarli ad un atteggiamento, pratico e teorico, di ricerca.
    Si possono individuare alcune tappe.
    I. Far emergere la ricchezza nascosta della personale pratica di animazione dove ognuno, anche senza saperlo, esprime l'utopia e la speranza verso la propria vita e verso l'uomo. In gesti spesso poveri e banali (c'è bisogno di ricordarlo?) che spesso approdano a scarsi risultati, è in atto una grande esistenziale «scommessa» che va esplicitata.
    2. Allargare la propria esperienza aprendosi all'esperienza di altri animatori:
    - nello spazio: in ambiti e con stili diversi tante persone scommettono oggi sull'animazione;
    - nel tempo: l'animazione è una pratica con oltre dieci anni di sperimentazione; diversi stili e modi di concepirla si sono succeduti...
    3. Aiutare a riflettere sul fatto che la scommessa, per tanti versi comune, che sostiene l'attività di tanti animatori parte da svariati presupposti antropologici e si esprime in diversi stili e metodi educativi. Anche chi non ci pensa, nella sua attività pone al centro una visione di uomo e di vita, di individuo e di società, di passato presente futuro, di criteri per la formazione delle nuove generazioni...
    In questa tappa, in altre parole, ci si rende conto della pluralità dei modelli di animazione.
    4. La quarta tappa si propone di motivare gli animatori ad una riflessione teorica, calma e approfondita, che li aiuti a purificare le intuizioni che Fino a quel momento li hanno sostenuti e a fare propri alcuni orientamenti teorici per la pratica di animazione.
    Questa tappa presuppone:
    - l'agganciarsi alle «motivazioni» personali o di gruppo che già spingono ad interessarsi dell'animazione;
    - l'enucleare in modo riflesso alcuni «interrogativi dal basso», cioè dalla pratica, e alcuni problemi che sono nati dal confronto di esperienze diverse.
    5. Una quinta tappa è puntare l'attenzione sui vari processi formativi (cfr l'articolo di C. Nanni in Q 1, p. 24) per definire lo spazio tipico dell'animazione come luogo di interazione e unificazione. Questa tappa porta a maturazione «l'atteggiamento di ricerca» come incontro tra la propria esperienza e una riflessione teorica.

    Strumenti

    1. Per interrogare la propria pratica di animazione e vederne le speranze o gli obiettivi impliciti o espliciti si fa un disegno di gruppo su due cartelloni accostati.
    Ciascuno, quando se la sente, in silenzio si accosta al cartellone e vi traccia un disegno in cui raffigura la situazione del suo gruppo, o dei ragazzi che vi partecipano o del clima che vi si trova e, subito dopo, sull'altro cartellone disegna come pensa che maturino o cambino le persone attraverso il suo lavoro di animazione.
    (Se non fosse banale si può titolare il mandato così: «prima e dopo l'animazione»).
    Alla fine si leggono i disegni per aiutarsi a evidenziare quali scommesse ciascuno fa sull'animazione.
    Il lavoro fatto lo si riassume su un cartellone e lo si conserva per gli esercizi successivi.

    2. Elencare quali persone hanno ruoli di animazione o si pongono gli obiettivi che ci siamo chiariti nell'esercizio precedente (es.: genitori, insegnanti, catechisti, allenatori sportivi ... ) e sottolineare con quali si è maggiormente in sintonia e perché.

    3. Se, come era suggerito nel Q 1 (pag. 3031), non si sono analizzate le motivazioni per cui si fa l'animatore, bisogna a questo punto farle emergere completando con più libertà il cartellone dell'esercizio di apertura di questo Q5.

    q5 28

    4. Visualizzare con qualche schema la collocazione dell'animazione nei vari processi formativi. Ogni schema tradisce le sfumature e la precisione ma può aiutare a rendere l'idea. Si veda, ad esempio, lo schema riportato nel Q 1, a pag. 24.


    5. Confrontare le proprie attese con la definizione di animazione (pp. 811) per allargare le attese e collocare concretamente la sua funzione.


    6. Riempire lo schema che segue chiarendo quali azioni o ruoli devono svolgere gli educatori elencati rispetto ai vari processi formativi: catechista, prete, allenatore sportivo, animatore teatrale, insegnante, suora, genitori... (cfr la tavola riportata a pagina 28).

    SECONDO APPROCCIO: ANTROPOLOGIA DELL'ANIMAZIONE

    Obiettivo

    Arricchire le proprie intuizioni sull'animazione con un forte «input» di informazioni.

    Il secondo approccio all'animazione è il confronto con un quadro antropologico, che purifichi, arricchisca e consolidi un «terreno di base» su cui costruire l'animazione come stile e metodo educativo.
    Il Q5 al paragrafo 4 offre alcuni «concetti base» in tale direzione: uomo come animale simbolico, uomo come sistema, uomo nello spazio-tempo.

    1. L'homo symbolicus

    Ci sono alcune tappe metodologiche da percorrere per fare propria la ricchezza di questo concetto.
    - Prima tappa: rendere consapevoli, in modo riflesso, del fatto che l'uomo «vive» e «vive rappresentando il vissuto». Non c'è un semplice fare, ma un fare che si accompagna a delle rappresentazioni, le quali non sono uno specchio passivo, ma una organizzazione del vissuto, un porre in un particolare «ordine» le esperienze.
    - Seconda tappa: far emergere come la personale rappresentazione del vissuto non è mai attività individualistica, ma «sociale» in quanto ogni rappresentazione si avvale delle varie forme di linguaggio «ordinatore» elaborato in una cultura.
    - Terza tappa: far cogliere come i vari linguaggi offrono diverso «contatto» con la realtà, senza mai esaurirla: in particolare è possibile distinguere tra i linguaggi della razionalità scientifica e i linguaggi dei mondo simbolico.
    Sono linguaggi che si collocano a livelli diversi nel rappresentare l'uomo e il suo vissuto.
    - Quarta tappa: riportare la riflessione svolta finora all'animazione. A questo punto infatti è possibile spiegare perché la proposta del Q5 sia di «animazione culturale»: si propone di sollecitare i soggetti a vivere e rappresentare; e a vivere e rappresentare utilizzando la ricchezza dei linguaggi che la cultura ha elaborato per dire la vita.

    Strumenti

    1. Formulare un vocabolario per capire il senso delle parole: segno, simbolo, mito, immagine, e per ogni voce fare degli esempi. Diamo alcune indicazioni, tanto per avviare la ricerca:
    - segno: semaforo, segnaletica stradale, teschio davanti alle cabine elettriche;
    - simbolo: la svastica, garofano rosso, focolare, albero di Natale; mito: Prometeo, la conquista di Icaro, la pace dei campi, la primavera;
    - immagine: i fiori, un tramonto per rappresentare il passare del tempo, un fiume...
    Per prendere coscienza dell'uso continuo di questi modi di esprimersi:
    - presentarsi agli altri utilizzando una immagine. Es.: «io sono una pianta, ho queste foglie, d'inverno ...», oppure: «io sono un fiume ...»;
    - ascoltare assieme un brano di musica classica cercando di fissare le immagini suscitate; quindi esprimerle con delle foto, scegliendone una ciascuno da un certo numero di foto già in precedenza selezionate.

    2. Analizzare una poesia o una canzone di cantautore per elencarne immagini e simboli e comunicare agli altri che cosa evocano nella vita di ciascuno.

    2. L'uomo come sistema aperto

    Parlare di uomo come «sistema aperto» è reagire criticamente sia ad alcune ipotesi antropologiche che ad alcune conseguenti impostazioni educative.
    A livello antropologico si vuole reagire:
    - alle concezioni individualistiche di chi vede l'uomo come pura interiorità che si costruisce una identità fuori dallo spazio e dal tempo;
    - alle concezioni deterministiche di chi vede l'uomo come un calcolatore programmato che esegue operazioni dettate da altri, sempre che possa ribellarsi.
    Parlare di sistema aperto porta invece a una concezione di uomo come essere in relazione, che attraverso le relazioni costruisce la sua identità, senza tuttavia venirne programmato fino al punto da svuotare la sua libertà. Vediamo alcune tappe.
    - Prima tappa: far emergere come l'uomo è essere in relazione, dove ogni relazione non è marginale o aggiunta ma decisiva e costitutiva per la propria identità. L'identità è data dalla relazione. L'identità personale è strettamente connessa alla appartenenza dell'individuo a vari sistemi e alle relazioni fra i sistemi.
    Il problema della costruzione dell'identità è ricondurre ad unità le diverse appartenenze e relazioni.
    - Seconda tappa: rendere consapevoli che il far parte di sistemi e vivere quindi in relazione non uccide la libertà dell'uomo, che è invece capacità di decidere non nel «vuoto n sociale e Culturale ma dentro l'insieme delle relazioni sociali e culturali. Da una parte quindi l'uomo non è programmato, dall'altra la libertà è sempre libertàinsituazione.
    - Terza tappa: parlare di uomo come sistema aperto orienta ad una concezione di animazione che rifiuta, come si diceva:
    - un approccio individualistico alla formazione dei giovani, come quando si pretende di occuparsi della persona come pura interiorità, come “io” fuori dallo spazio e dal tempo, senza occuparsi della educazione/liberazione delle relazioni che il soggetto vive in un ambiente e nella società;
    - un approccio strutturalistico alla formazione dei giovani, secondo cui per educare è sufficiente operare «cambi strutturali» nel sistema (o nei sistemi), nella pretesa che una volta operati questi cambi, il soggetto Finirà per «adeguarsi»; in questo senso vanno certe concezioni politiche ed anche certe ipotesi tecnologistiche di educazione.
    - Quarta tappa: parlare di uomo come sistema aperto orienta positivamente ad una concezione di animazione in cui:
    - si opta per un'azione formativa giocata sul rapporto tra individuo e ambiente;
    - si interessa, di conseguenza, della «liberazione» complessiva dei contesto sociale a cui i giovani appartengono (in questo sta la sua «dimensione politica»),
    - se ne interessa tuttavia considerando l'uomo come sistema aperto, e quindi come oggetto di libertà e decisione personale, dove, oltre le informazioni più o meno scientifiche sulla realtà e i condizionamenti più o meno palesi dell'ambiente, un ruolo determinante è dato alla vita come «evento indecidibile» e come mistero.

    q5 30

    Strumenti

    - Ogni componente dei gruppo compila in silenzio un elenco di persone che hanno influito nella sua vita, Tra queste sceglie le 10 più decisive e fa un disegno con un punto centrale che rappresenta se stesso e attorno i 10 nomi. Ciascun nome è legato da un raggio al centro; quindi da ogni persona si fanno partire delle linee che terminano su qualche altro dei 10 nomi. Questa è una prima tabella di relazioni.
    - In un secondo tempo si mettono a confronto le varie tabelle nel tentativo di costruirne una con al centro i componenti dei gruppo attorniati dalle proprie 10 persone, e per tutti (componenti dei gruppo e persone che hanno influito) si tracciano altre linee rappresentanti le relazioni tra le persone elencate.
    (Evidentemente al posto delle lettere... ci sono persone reali!).
    - Se il mondo in cui sì vive è sufficientemente omogeneo, alla fine il cartellone sarà una rete di linee inestricabile.
    Se ne discute, ma già a livello visivo rende un'idea di che cosa significa «uomo=sistema»!
    Può essere usato come gioco prima di approfondire i contenuti di pagg. 2427.
    - Lo stesso effetto lo si può ottenere discutendo su che cosa è libertà e condizionamento con due esiti finali: di esaltare i margini di libertà che ognuno si riscopre nella vita; o di prendere coscienza dei comportamenti indotti dalla realtà sulla propria vita.

    3. L'uomo nello spazio-tempo

    Parlare di uomo nello spaziotempo significa avviarsi ad una concezione di uomo visto nella sua concretezza storica: è inserito in un determinato spazio, fa parte di un tempo particolare.
    Veniamo ad alcune tappe ed obiettivi.
    - Prima tappa: rendere consapevoli di come il soggetto è attraversato dallo spaziotempo e si dilata secondo due dimensioni:
    - dimensione spaziale: divenire uomo è apprendere a muoversi nello spazio nel quale si osservano due poli: da una parte sta l'esperienza dello spazio soggettivo rappresentato dal proprio corpo e dall'immagine che uno si costruisce; dall'altra sta l'esperienza dello spazio sociale rappresentato dal territorio, in senso fisico ma anche culturale;
    - dimensione temporale: l'individuo fa parte di una «storia» vista come un continuum interrelato dove passato-presente-futuro si influenzano reciprocamente, si osservano due poli: il passato come «memoria culturale» («chi vive senza passato non ha un presente e non avrà un futuro») e il futuro come «utopia» e speranza.
    - Seconda tappa: rendere consapevoli che la distensione nello spaziotempo è possibile solo se progressivamente si costituisce un «centro» esistenziale attorno al quale spazio e tempo si organizzano. Tale organizzazione:
    - non è meccanica, passiva, già data. Con una battuta si può dire che il centro... non è un ombelico!;
    - implica un soggetto che apprende a «controllare» gli eventi e quindi a dar loro un «senso» di volta in volta originale. Un esempio: il magnete che dispone attorno a sé secondo un disegno di forze, la polvere di ferro. Altro esempio: l'equilibrio dinamico dello sciatore.
    - Terza tappa: rendere consapevoli che il conferimento di senso non è una attività puramente soggettiva, ma è, insieme, scoperta e accoglienza di un segno oggettivo diffuso, anche se in modo non uniforme, nell'esperienza. Non solo altri prima di noi hanno organizzato la realtà dandole un senso, ma la stessa realtà evoca un «senso ultimo» che è nascosto nei vari «sensi penultimi» costruiti dall'uomo. Fare animazione è aiutare il senso già dato a livello ultimo e penultimo.
    - Quarta tappa: condurre a scoprire che «dare senso» è una attività soggettiva completa in cui si incrociano il «conferire il senso» e lo «scoprire il senso» a livello individuale e a livello collettivo:
    - a livello individuale: il soggetto è chiamato a conferire scoprire il senso dando riconoscendo rilievo ad alcuni eventi piuttosto che ad altri; il soggetto è chiamato a costituirsi spazi e tempi personali in cui il «senso» è più immediato, intenso, chiaro, evocativo;
    - a livello collettivo: visto che l'identità del soggetto è data dall'essere in relazione nello spazio-tempo, il soggetto e il gruppo umano di cui fa parte è chiamato a conferire-riconoscere senso ad alcuni eventi piuttosto che ad altri, in quanto in loro emerge con maggior intensità e forza evocativa il senso complessivo della vita.
    In questa direzione sono da comprendere i miti, i simboli, i riti, le feste di un popolo.
    - Quinta tappa: rendere consapevoli che lo spazio-tempo organizzato del singolo è in qualche modo diverso da quello degli altri. Questo comporta:
    - a livello personale: maturare la consapevolezza della propria originalità come modo irripetibile di organizzare gli eventi quotidiani;
    - a livello sociale: maturare l'empatia, il dialogo, il pluralismo, la disponibilità ad arricchirsi delle diverse modalità di senso che soggetti e gruppi umani elaborano;
    - a livello educativo: apprendere ad accogliere, valorizzare il modo originale secondo cui ogni giovane organizza lo spazio-tempo ed abilitare a creare relazioni nel rispetto delle varie modalità organizzative personali, di gruppo, culturali,

    Strumenti

    Esercizi che permettono di cogliere la propria corporietà, il proprio tempo (ritmo), la relazione con lo spazio non possono essere di tipo razionale o verbale, ma di vissuto corporeo, come esercizi di rilassamento, di ricerca dello spazio, di ascolto del ritmo cardiaco, di evocazione.
    Un buon animatore deve imbarcarsi in questa ricerca. Suggeriamo, per averne un'idea più precisa, il testo: G. Moroni, Educazione corporea. I. Vissuto corporeo. Ed. Scuola Viva, Milano 1982.
    Per aiutare la percezione dell'importanza dei passato, del ricordo, della «memoria» si può fare come segue.
    - Il mio ricordo:
    con un fotolinguaggio, seguendo il mandato «alcuni ricordi della mia vita», mettere in sequenza alcuni fatti che han segnato la propria vita e narrarne la storia;
    con i vari ricordi suscitati costruire una unica storia di un'ipotetica persona, incollando le foto su un cartellone;
    tutti assieme si analizza la storia guardando: i fatti, i gesti compiuti, gli atteggiamenti, i significati e le conseguenze nell'oggi di quanto narrato;
    con una breve comunicazione, che si può maturare da quanto sviluppato nel testo di M. Pollo, esplicitare ciò che non si è riusciti ad ottenere col lavoro di gruppo, cioè far capire l'importanza dei ricordi per la vita di ciascuno.
    - Si divide il gruppo in due sottogruppi, Il primo osserva una sequenza di foto o di disegni che esprimono fatti importanti della vita di un giovane (almeno 6 o 7). Si spiegano questi fatti e continua la storia o a parole, o con foto o disegni.
    L'altro gruppo, contemporaneamente, inventa la storia di un giovane conoscendo solo l'ultimo fotogramma (cioè non può sapere il passato) della sequenza preparata per il primo gruppo.
    Alla fine si confrontano le storie, soprattutto per sottolineare le difficoltà del secondo gruppo rispetto al primo.
    - A questo punto si può ascoltare e cantare la canzone Radici di F. Guccini per ricalcare il discorso dei proprio spazio-tempo. Può essere utile, dello stesso Guccini, la canzone Incontro.


    T e r z a
    p a g i n A


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