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    Politiche e progetti

    per gli adolescenti

    Roberto Maurizio e Franco Santamaria

    (NPG 1997-08-57)

     


    Sono trascorsi oltre dieci anni dall’avvio dei primi Progetti adolescenti in Italia e, seppure in modo cauto e per impressioni, appare possibile delineare ed evidenziare alcuni aspetti e tendenze evolutive sulle quali è opportuno soffermarsi a riflettere.

    ELEMENTI DI CARATTERIZZAZIONE DEI PROGETTI ADOLESCENTI

    In particolare gli aspetti che emergono con maggiore rilevanza sembrano essere i seguenti:
    – in primo luogo la modalità del lavoro per progetti riscuote sempre più successo unitamente alla prospettiva dell’integrazione delle risorse (espressa anche con lo slogan del «lavoro di rete»);
    – in secondo luogo l’attenzione dei Progetti adolescenti sembra centrarsi in modo consistente, nella fase della definizione degli obiettivi e nella fase dell’individuazione delle aree di intervento, sui temi del disagio e della prevenzione del disagio e delle dipendenze;
    – in terzo luogo la filosofia di fondo che caratterizza i Progetti sembra essere, in modo crescente e consapevolmente, quella pedagogico-educativa;
    – in quarto luogo una delle frontiere operative dei Progetti sembra divenire in modo consistente l’azione nei confronti del mondo adulto;
    – in quinto luogo appare sempre più rilevante e centrale, nello sviluppo dei Progetti, la dimensione della comunità locale intesa non solo come palcoscenico o scenario ma come protagonista effettivo del lavoro con gli adolescenti.

    L’agire progettuale

    Gli Enti locali sono sempre più coinvolti nell’attivazione di interventi rivolti agli adolescenti che assumono la forma del progetto. Ma non tutti i modi di «fare progetto» sono uguali.
    Da una ricognizione d’insieme si possono senza dubbio individuare quattro approcci o modelli: il primo è il progetto che serve per far vedere che si sta facendo qualcosa (progettualità nominale); come secondo tipo vi è il progetto che rappresenta un’occasione per ottenere finanziamenti (progettualità strumentale); come terzo tipo, si può considerare il progetto che permette di valorizzare l’operato dei diversi soggetti senza interazione (attiva) tra di essi (progettualità assemblativa); mentre il quarto e ultimo tipo, è identificabile nel progetto che sa di creare interazioni forti tra i soggetti (progettualità sinergica).
    È facile intuire quali finalità e quali modalità operative tendano a privilegiare ciascuna di queste diverse forme di progettualità.
    È possibile leggere, in ciascuno di questi approcci, un significato culturale diverso: dal pensare il progetto come occasione per un sostanziale mantenimento dello status quo, o apportando modificazioni minime, al progetto pensato come occasione per l’attivazione di processi di cambiamento a livello istituzionale e comunitario, oltreché sul piano professionale ed organizzativo.
    È indubbio, inoltre, che ciascuno di questi approcci propone al sistema dei servizi e ai soggetti che attivano il Progetto un «lavoro» diverso: in particolare gli ultimi approcci focalizzano l’attenzione da un lato sull’azione di assemblaggio e, dall’altro, sull’azione di negoziazione che implicano sul piano professionale, organizzativo e culturale il misurarsi con compiti ben diversi.

    L’ansia del prevenire

    Nell’ambito dei Progetti adolescenti la prevenzione del disagio costituisce l’obiettivo più comune, il settore d’intervento su cui vi è il maggiore investimento operativo ed uno dei settori che evidenzia un impegno ugualmente rilevante anche per quella parte di iniziative rivolte agli adolescenti non integrate nel Progetto, pur se attuate dalla stessa amministrazione.
    Tale situazione sembra essersi sviluppata in relazione all’entrata in vigore di alcune normative nazionali (in particolare la legge T. U. 309 del 1990 sulla prevenzione delle tossicodipendenze e la 216 del 1991 sulla prevenzione del coinvolgimento degli adolescenti nelle attività criminose), che hanno fortemente incentivato, soprattutto finanziariamente, gli Enti locali a mettere a punto e ad avviare Progetti di prevenzione rivolti agli adolescenti in una fase storica in cui, proprio negli Enti locali, diminuivano consistentemente le risorse finanziarie per dare continuità od avvio ad esperienze come quelle dei Progetti giovani o/e Progetti adolescenti.
    Alcuni dati della ricerca promossa dal Ministero dell’Interno e realizzata recentemente dal Gruppo Abele# confermano tale ipotesi: un terzo dei Comuni ha sviluppato il Progetto adolescenti in ottemperanza di normative nazionali; un terzo circa dei Progetti nasce dopo il 1990; quasi la metà dei Comuni ha come fonte di finanziamento del Progetto la Presidenza del Consiglio ed uno su cinque il Ministero dell’Interno, in entrambi i casi su presentazione di specifici progetti di intervento.
    Ci troviamo di fronte, quindi, ad una situazione in cui la centratura sulla prevenzione del disagio si spiega in modo consistente, seppur non esaustivo, in ragione delle spinte istituzionali di carattere nazionale che sono diventate, per alcuni aspetti, coattive e determinanti in molte realtà territoriali, ai fini dell’accesso ai finanziamenti e alla conseguente possibilità, per l’Ente locale, di dare continuità ad esperienze avviate autonomamente da tempo o di avviare nuove iniziative verso gli adolescenti.
    Se si analizza la situazione sotto il profilo dell’attenzione e della considerazione verso i giovani e verso la prevenzione, certamente può esservi una valutazione positiva di ciò che l’applicazione delle due leggi ha generato in termini di nuove e maggiori risorse, attenzioni e sensibilità. Ma in questa tendenza si può intravedere anche il rischio di una paradossale negazione dei motivi (e delle radici culturali) che hanno dato vita alle politiche giovanili.
    Oggi, infatti, la questione giovanile si è sempre più ridotta al problema dei giovani in difficoltà: dei giovani e degli adolescenti a rischio. Questa prospettiva «crisiologica» è preoccupante in quanto può generare categorizzazioni ed etichette verso i giovani e gli adolescenti che possono essere sempre più percepiti e considerati come «soggetti a rischio» e non, invece, come i destinatari di investimenti in vista delle prospettive future della nostra società.
    Si prefigura inoltre la conseguenza, nelle altre componenti della società – i «non» giovani e i «non» adolescenti –, di una consistente riduzione, della percezione di forte distanza dei propri vissuti rispetto alle esperienza del disagio giovanile e adolescenziale. In tal caso verrebbero meno, in termini di significatività, le molteplici esperienze di prevenzione che hanno focalizzato l’attenzione sulla qualità delle relazioni tra il mondo adulto e gli adolescenti e non solo sulle relazioni tra adolescenti.
    In secondo luogo tale approccio sembra contraddire le acquisizioni teoriche più recenti, di carattere psicosociale e pedagogico, sull’adolescenza, che sottolineano invece la necessità di guardare all’adolescenza non solo come periodo di transizione da far trascorrere il più velocemente possibile, ma anche come modalità della psiche di tipo «ricorsivo», sulla base della quale anche gli adulti sono chiamati a interrogarsi sulla propria adolescenza, sia come percorso autobiografico che come presenza nella loro biografia attuale di risonanze, di vissuti, di atteggiamenti legati all’età adolescenziale.
    Si tratta di una concezione di «normalità» dell’adolescenza che evidenzia come sia importante una forte attenzione alle storie di vita, ai loro comportamenti e alle loro relazioni con gli altri.
    In coerenza con questi orientamenti i Progetti adolescenti possono costituire un’esperienza significativa, in grado di rafforzare una prospettiva preventiva di tipo promozionale, centrata sulla volontà della società di lavorare per costruire condizioni di crescita e benessere delle sue componenti e non tanto per cercare di evitare situazioni negative o spiacevoli (dipendenze, ecc.).
    Non si può, d’altro canto, parlare di Progetti che tendono ad eliminare completamente il disagio. Agio e disagio fanno parte dell’esperienza «normale» di vita dei singoli e dei gruppi in un equilibrio dinamico. Un intervento di prevenzione deve tendere a mantenere questo equilibrio, impedendo la cronicizzazione di situazioni di disagio e di sofferenza.
    Sulla base di queste ultime considerazioni occorre attentamente valutare se il mondo degli adulti e delle istituzioni non stia creando, attraverso l’attivazione di Progetti, una situazione che ha carattere di paradosso. Esso, infatti, dichiara di occuparsi degli adolescenti e dei giovani, ma il modo e l’approccio che caratterizzano tali azioni rischiano di essere poco adeguati e quindi di vanificare gli sforzi compiuti che, non producendo significativi risultati, a loro volta producono sfiducia verso i giovani e valutazioni negative circa l’opportunità di proseguire l’impegno in tale direzione.
    Il rischio è che, insistendo in questa logica, la distanza tra i giovani e la società aumenti sino ad arrivare a polarizzazioni eccessive e ad una progressiva paralisi nell’azione.

    La riscoperta dell’educazione: ma quale educazione?

    In considerazione di queste riflessioni sulla prevenzione acquista una «luce» nuova e particolare anche il terzo elemento di caratterizzazione che è stato evidenziato: il fatto che la quasi totalità dei Progetti dichiari anche di avere una chiara e precisa intenzionalità educativa.
    Ad una analisi sommaria dei Progetti adolescenti, sotto il profilo dei modelli# e delle prassi educative, sembra potersi rilevare la prevalenza di due prospettive educative, a volte in opposizione e a volte coincidenti: alcuni Progetti si muovono in una prospettiva di tipo relazionale mentre per altri si può riconoscere una maggiore centratura di tipo attivistico.
    In particolare alla prima prospettiva si potrebbero ascrivere quelli che esprimono, quali caratteristiche principali del proprio agire: la priorità delle relazioni adulto-adolescente, la priorità delle relazioni rispetto alle iniziative, l’attenzione al processo più che al prodotto, l’attenzione alle storie di vita degli adolescenti, la necessità di mettere a punto progetti educativi mirati partendo da un’attenta analisi dei bisogni e delle attitudini, la volontà di responsabilizzare gli adolescenti anche attraverso il coinvolgimento nella cogestione delle attività, la flessibilità organizzativa, l’integrazione delle agenzie educative di territorio.
    Si muovono coerentemente con un modello «attivistico» i Progetti che sottolineano, invece, l’intenzione e l’importanza di sviluppare spazi per attività da fare insieme di tipo ludico, espressivo, teatrale, sportivo, scolastico.
    Il fatto che i Progetti si attestino prevalentemente su questi due modelli permette di riconoscere come la prassi dei Progetti sembra comunque ispirarsi ad una cultura pedagogica coerente con la complessità dei bisogni educativi e delle domande degli adolescenti, che vede nell’educazione un processo caratterizzato da forte incertezza e dalla necessità di scoprire con l’altro, nella relazione, le possibilità di agire.
    In altri termini, la cultura pedagogica che sembra connotare i Progetti adolescenti si presenta come un insieme di eventi organizzati, orientati verso la ricerca di senso per l’adolescente, ma anche per l’adulto: senso che viene elaborato costruendo la relazione e costruendo la situazione relazionale.
    Da qui nasce l’esigenza, però, di un confronto approfondito tra gli operatori dei Progetti al fine di riconoscere se e quale grado di coerenza interna, in ordine alle culture e ai modelli pedagogici, è opportuno che esista nei Progetti tra la dimensione complessiva e gli atti educativi, espliciti ed impliciti, messi in atto nelle specifiche iniziative ed interventi.

    La debolezza degli adulti

    Si tratta in sostanza di vedere come, se e a quali condizioni a partire dai Progetti è possibile incidere anche sulla società, sulla cultura educativa che la caratterizza oggi, al fine di trovare un nuovo punto di incontro tra gli adulti e gli adolescenti, e di evitare che lo sforzo di costruire spazi e possibilità educative per gli adolescenti si traducano in un’azione di assimilazione culturale piuttosto che di crescita.
    Da questo punto di vista si possono leggere diversi segnali positivi. L’esperienza dei Progetti adolescenti ha permesso di accrescere le possibilità di incontro tra soggetti, realtà ed organizzazioni (istituzioni, università, centri di ricerca, ecc.) e di costruire opportunità di collaborazione; così come di aumentare le possibilità di interazione-integrazione tra le associazioni giovanili.
    Lavorare sugli adolescenti ha permesso inoltre di scoprire che anche gli adulti esprimono bisogni di rilettura della propria identità, rispetto ai quali scarse sono le opportunità e le occasioni di ricerca di adeguate risposte o rispetto ai quali con molta difficoltà gli stessi adulti riescono ad organizzarsi.
    In particolare emerge come non esista solo un problema relativo alla qualità della relazione tra adulti ed adolescenti ma anche, ed in molti casi soprattutto, un problema relativo alla comunicazione tra gli stessi adulti.
    Questa è la scommessa che si presenta alle esperienze dei Progetti adolescenti per i prossimi anni con più forza: agire sul versante dei bisogni di relazione e di identità degli adolescenti ma anche degli adulti, non solo in quanto educatori ma in quanto soggetti sempre più desiderosi di supporti e di opportunità adeguate per poter sviluppare e consolidare le proprie competenze di carattere comunicativo e relazionale.
    Il Progetto acquista così in tale prospettiva il significato di occasione e di stimolo per il riconoscimento e la valorizzazione di responsabilità di risorse e di metodi per sviluppare nuova cultura intorno alle relazioni intergenerazionali ed intragenerazionali.

    La prospettiva della comunità locale come soggetto

    I Progetti adolescenti hanno avuto ricadute differenti che, sul piano culturale, possono essere così sintetizzate.
    In alcuni casi hanno confermato l’importanza di una attenzione, già esistente, verso le problematiche degli adolescenti; in altri, invece, sono state lo spunto per avviare riflessioni che hanno coinvolto il livello politico (amministratori e funzionari delle amministrazioni pubbliche, della scuola, delle realtà del territorio) e il livello tecnico-operativo, con ricadute in termini di investimento progettuale e, soprattutto, di riconoscimento culturale dell’esistenza di uno specifico adolescenziale. In altri casi, numericamente ridotti, hanno confermato la difficoltà di costruire strategie di attenzione nei confronti di una fascia d’età che sovente viene dimenticata, pur se fonte di notevoli preoccupazioni: sono situazioni che hanno costretto operatori e politici ad un rilevante lavoro di mediazione tra bisogni e idee differenti circa le priorità e le necessità sociali.
    In tutti i casi hanno contribuito notevolmente a far assumere, o riassumere, responsabilità da parte delle diverse istituzioni pubbliche coinvolte, e in secondo luogo hanno contribuito ad accrescere una cultura dell’adolescenza: delle peculiarità che la caratterizzano, delle differenze che al proprio interno esistono (maschi/femmine, età, condizioni sociali, culturali...), della necessità di misurarsi con essa e delle attenzioni che essa richiede e della coerenza che sollecita a livello progettuale ed educativo negli interventi delle diverse agenzie di socializzazione ed educazione presenti nel territorio.
    È opportuno sottolineare, oltre che agli esiti, anche la logica che ha caratterizzato globalmente i Progetti. Alla base del lavoro svolto esiste un presupposto: la valutazione della comunità locale e dei soggetti in essa presenti (singolo, gruppo, associazione, istituzione...) come attori del processo di lavoro e non come destinatari isolati di azioni dell’ente pubblico.
    Molto importante, in tale contesto, è stato l’apporto offerto da associazioni, cooperative, gruppi di volontariato, allo sviluppo e realizzazione dei Progetti. Questo fenomeno non può essere spiegato solamente con la necessità di ricorso a risorse operative a basso costo, che pure esiste, ma soprattutto con l’interesse e la volontà di praticare nuove modalità di relazione tra ente pubblico e realtà del territorio.
    La partecipazione al Progetto è stata occasione per accrescere e praticare maggiormente questo obiettivo. Uno degli esiti ottenuti è che proprio l’ingresso di realtà quali associazioni, gruppi, cooperative ha permesso di introdurre in alcuni casi elementi di complessità nella gestione dei servizi e nell’organizzazione dell’Ente pubblico, con la costruzione di progetti e servizi caratterizzati da maggiore flessibilità.
    È possibile riconoscere, inoltre, come in diversi Progetti (non molti purtroppo) si sono sviluppate forme di compartecipazione già nella fase della progettazione e come siano state attivati coordinamenti fattivi; come in alcuni casi il referente tecnico abbia avuto un gruppo permanente con cui confrontarsi, assumere decisioni e verificare; come sia stato sviluppato un notevole rapporto tra pubblico e privato; come sia cresciuta la consapevolezza nella realtà di privato sociale, soprattutto del sud, circa l’importanza del coinvolgimento delle istituzioni – peraltro assenti – nel loro lavoro.
    In questa prospettiva il ruolo assunto dall’Ente locale è stato essenzialmente quelle di promotore di sensibilità, di valorizzatore e legittimatore delle risorse informali presenti nel contesto, di supporto tecnico e metodologico nei confronti delle stesse, di coordinamento per ciò che riguarda le connessioni tra le iniziative attuate da associazioni, famiglie, comitati e la più complessiva azione dell’Ente pubblico.
    La prospettiva culturale che sembra collegare tra loro questi aspetti può essere individuata nella necessità di far crescere un sistema formativo integrato che coinvolga pienamente scuola, famiglie, associazioni ed ente locale nella costruzione di opportunità di crescita per gli adulti e per gli adolescenti.

    QUESTIONI SU CUI CONTINUARE A LAVORARE

    L’idea di Progetto adolescenti che sosteniamo implica una visione complessiva di politica sociale in cui strategie educative, formative e informative, preventive, di orientamento del funzionamento della Pubblica Amministrazione (progettazione, attuazione, valutazione), di rapporto tra pubblico e privato (profit e non profit), sono via via coimplicate e messe in rete.
    Si può dire che la «strategia delle connessioni», costruita e legittimata grazie anche alla politica dei Progetti giovani, informi l’approccio con cui oggi si vuole riconoscere ai Progetti adolescenti il ruolo di sfida per l’Ente Locale e, più in generale, per un contesto territoriale in cui una molteplicità di soggetti, in primis gli stessi adolescenti, vivono e operano.
    Per comprendere quella che è la portata di tale processo, e di conseguenza per dare forza agli sbocchi operativi che si possono mettere in cantiere, è necessario misurarsi con alcuni nodi di ordine culturale e politico che sono oggi sul tappeto.

    La cittadinanza riconosciuta agli adolescenti

    Nella Relazione conclusiva della «Commissione parlamentare d’inchiesta sulla condizione giovanile» si individuavano, come urgenti, alcuni indirizzi di intervento legislativo e politico-istituzionale. Questi implicavano: l’assetto organizzativo e amministrativo; il sistema formativo e l’educazione sessuale nelle scuole; le forme di organizzazione della società civile, particolarmente in tema di tempo libero; il mercato del lavoro; le politiche socio-assistenziali e, con queste, quelle rivolte alla famiglia; il servizio di leva, militare e civile; la giustizia minorile.
    Si trattava e si tratta di veri e propri capitoli di un’agenda per le politiche giovanili nazionali e, con le dovute differenze e integrazioni relative al diverso livello politico-amministrativo, data la loro rilevanza strategica, esse hanno anche una funzione paradigmatica per leggere l’iniziativa degli Enti Locali nel contesto della seguente riflessione. Questi sono i fronti su cui si misurerà la possibilità o meno di dare effettiva e piena cittadinanza agli adolescenti nel nostro Paese e, come suo cardine, l’affermazione del diritto alla socializzazione.
    La domanda che allora viene da porsi è la seguente: come possono gli Enti Locali e le realtà dell’associazionismo per adolescenti diventare artefici di tale promozione? Quale elemento operativo può consentire la praticabilità di questa prospettiva?
    Per rispondere a queste domande bisogna sottolineare che dopo un paio d’anni dalle conclusioni della Commissione di inchiesta non vi sono grandi segnali di iniziativa conseguente; che a differenza di molti altri paesi dell’UE, l’Italia non ha un Ministero per la Gioventù e neppure un Dipartimento per le Politiche Giovanili; che la più volte richiesta Conferenza Stato-Regioni sulle politiche giovanili non si è mai realizzata; che la legislazione «emergenziale» sulle tossicodipendenze (DPR 309790) e sulla criminalità giovanile (L. 216/91) hanno messo in luce segnali di inversione – oggi in fase di correzione – caratterizzantesi per lo scollegamento tra le stesse (pur operando entrambi nel campo delle politiche giovanili di prevenzione), per l’esautoramento del ruolo delle Regioni nelle funzioni di programmazione e orientamento sul territorio, per lo scollegamento con altri settori (lavoro, assistenza, ecc.); che a livello locale si è verificato uno «sviluppo non governato», che ha messo in luce un profilo modesto di queste politiche, «non solo e non tanto, per la scarsità di risorse allocatevi, quanto per il loro mancato consolidamento in programmi continuativi e in strutture stabili, e per la loro (sembra connaturata) tendenza alla frammentarietà e allo sperimentalismo».
    Qualche speranza può essere riposta nel provvedimento legislativo in fase di discussione in sede parlamentare – su iniziativa del Ministro per gli Affari sociali – che dovrebbe venire a costituirsi come legge quadro sui minori, e quindi anche sugli adolescenti e giovani, che prevede un grande ruolo di programmazione attribuito alle Regioni e di progettazione assistita ai Comuni.
    Nello scenario dell’azione politica e legislativa dei diversi livelli della Pubblica Amministrazione emergono sia forti differenze che altrettante somiglianze. Le somiglianze riguardano i problemi di reperimento e valorizzazione piena delle risorse economiche e umane necessarie e/o disponibili e, più in generale, di funzionamento della macchina amministrativa, la stratificazione geografica (settentrione, centro e meridione) della attivazione dei Progetti o di iniziative per adolescenti. Inoltre, i diversi limiti sopra indicati hanno sulla Pubblica Amministrazione un effetto «trascinamento» tendenzialmente omogeneo tra i livelli centrale, regionale e locale.
    In secondo luogo, gli interventi messi in atto, in particolare, dagli enti a più diretto contatto con il cittadino, oltre che sottolineare diversità significative in merito alla qualità del fare amministrazione, mettono in luce la fondamentale autoreferenzialità di ogni ente locale nell’apertura al riconoscimento degli adolescenti come destinatari di un’azione pubblica.
    Detto altrimenti, se i Progetti Adolescenti rappresentano certamente, quando attuati secondo le indicazioni del Ministero degli Interni dell’86, un elemento di innovazione nel modo di fare pubblica amministrazione, essa rimane comunque interna all’autoreferenzialità dello specifico ente, e questo avviene soprattutto a livello di istituzione locale. Si tratta di un’autoreferenzialità inerente le competenze di settore effettive, identificative lo stesso ente, maturate dentro una tradizione gestionale consolidata nella storia del nostro paese, al di là anche delle indicazioni di legge o comunque degli orientamenti che nella legislazione hanno visto tradursi ipotesi politico-sociali improntate sul principio dell’integrazione. Chi si identifica come appartenenza professionale nell’area socio-sanitaria fa fatica ad operare nell’area socio-educativa e viceversa, così come fa fatica ad assumere una progettualità che contempli anche azioni al mercato del lavoro.
    Il caso delle Regioni è emblematico. Per le Regioni italiane gli adolescenti, tranne rari e parziali casi, non sono ritenuti interlocutori diretti: si tratta di cittadini presenti in quanto fruitori dei servizi ma, nel contempo, anche assenti in quanto destinatari espliciti. Vi sono i «minori» e i «giovani». Gli adolescenti essendo sia minori che, per il sistema amministrativo in alcuni casi anche giovani, non sono riconosciuti come segmento generazionale titolare di una iniziativa politico-amministrativa specifica, non frammentaria.
    Non solo. Questa frammentazione si traduce in una azione amministrativa per cui le politiche per i minori e quelle per i giovani risultano il più delle volte o indirette, o incluse nelle più complessive politiche di settore. È il caso delle politiche socio-assistenziali e/o socio-sanitarie; delle politiche della formazione professionale e occupazionali (quando non sono finalizzate); delle politiche per l’handicap e per la tossicodipendenza; delle politiche per gli scambi culturali (più o meno legati agli accordi del Ministero per gli Affari Esteri) o della promozione e valorizzazione delle attività e dei beni culturali in senso lato, ecc.
    Se un indicatore significativo della qualità operativa è dato dai livelli organizzativi di funzionamento, risulta che strutture regionali per adolescenti manchino quasi totalmente in quanto, coerentemente con quanto già detto sopra, sono o inglobate nelle strutture per minori, per giovani, per i servizi socio-assistenziali e/o socio-sanitari, del mercato del lavoro, relative alle politiche scolastiche, ecc., oppure non vi sono affatto. Anche in questo caso, però, bisogna sottolineare come la presenza di momenti di sintesi e di orientamento complessivo dell’operato di una amministrazione nei confronti dei giovani o dei minori può garantire una qualità nel funzionamento organizzativo ben diversa dalle situazioni in cui questa non c’è, ovvero in cui ogni assessorato interviene per conto proprio in modo scoordinato. Per quanto riguarda i Comuni la situazione, visto il maggiore riconoscimento a livello politico di una progettualità rivolta agli adolescenti, sembra diversa o quantomeno fa sperare che le iniziative intraprese possano avere un futuro.
    Anche a questo livello amministrativo emergono alcune «zone grigie», legate sia a fattori «ambientali», come la mancanza di un contesto normativo chiaro, regionale (salvo eccezioni) e nazionale, sia a fattori «interni», come l’utilizzo delle risorse professionali (reperimento, formazione, stabilizzazione degli operatori), lo stile emergenziale con cui si partecipa alle possibilità offerte dalla legislazione nazionale e con cui si affronta il mondo degli adolescenti (forte è la denuncia di una carenza conoscitiva), la inadeguatezza e/o il sottoutilizzo delle risorse finanziarie, la farraginosità della macchina amministrativa.
    Se prendiamo poi in considerazione le risposte date dal mondo associativo, troviamo due caratteristiche già riscontrate nella componente istituzionale. Ci riferiamo alla autoreferenzialità dell’azione delle singole associazioni e al fatto che la relazione con i Progetti adolescenti attivati nei diversi contesti del Paese sia un fatto che le riguarda quasi unicamente nelle loro ramificazioni locali senza che gli organi centrali abbiano stabilito linee guida da cui partire e su cui muoversi.
    Sembra, in sintesi, di intravvedere una specie di parallelismo tra pubblico e privato-sociale, per cui l’assunzione di una progettualità sociale rivolta agli adolescenti è appannaggio di chi, pubblico o privato-sociale, ha a che fare direttamente con i ragazzi e le ragazze, e questo comunque dentro la specificità identificativa dell’ente come della associazione coinvolti.
    Località e autoreferenzialità sono così i due termini su cui si muove la «progettualità per adolescenti» da noi considerata e confermata dalla ricerca. Questo non è un fatto di poco conto. Se l’obiettivo di tutte le considerazioni svolte è quello di stabilire il contenuto e le modalità di una cittadinanza degli adolescenti centrata sul diritto/dovere alla socializzazione, la dimensione locale è la vera dimensione di vita che essi hanno ed è dentro questa che loro incontrano, o non incontrano, le diverse agenzie di socializzazione, «subendo attivamente» le difficoltà di azione che esse presentano.
    Una cittadinanza locale, quindi. La normativa sulle autonomie locali ha fortemente sostenuto tale principio. Se i presupposti basilari sono validi per ognuno, ovvero se la cittadinanza locale è importante per tutti i soggetti che vivono in un territorio, per gli adolescenti essa è insostituibile qualora li si voglia effettivamente riconoscere come cittadini a tutti gli effetti: essere messi in grado di sapere ciò che li riguarda, essere messi nella condizione di partecipare attivamente a ciò che li riguarda, e essere riconosciuti effettivamente e fattivamente come destinatari di un’azione pubblica, sia questa gestita dal settore pubblico o dal privato-sociale, che cosa altrimenti dovrebbe significare?
    I Progetti adolescenti vengono ad assumere così, almeno potenzialmente, una valenza culturale e politica ben più pregante: essi possono essere una (la?) modalità attraverso cui si promuove la cittadinanza di questo segmento generazionale; ma essi sono, nelle difficoltà che incontrano o nelle potenzialità che riescono ad esprimere, anche un «termometro» della qualità della cittadinanza locale che un territorio amministrativo offre; in terzo luogo, nella loro operatività, possono comunque essere una spinta affinché la qualità della cittadinanza cresca.

    Per guardare avanti

    Le questioni sollevate potrebbero permetterci di stendere una proposta di agenda di lavoro per il prossimo futuro.
    Il primo punto di questa agenda riguarda la riflessione politica. Dare cittadinanza agli adolescenti, riconoscerli come «figli legittimi», significa operare non solo per la allocazione delle risorse (materiali, morali, culturali, naturali, ecc.) di cui dispone una società, ma per la possibilità di accedere lì dove questi beni sono o dovrebbero essere messi a disposizione. E qui viene a porsi anche la questione della socializzazione come diritto/dovere cardine di una cittadinanza degli adolescenti.
    Il secondo punto è inerente alla comprensione dell’universo degli adolescenti. Date le moltissime ricerche realizzate sulla condizione giovanile, si tratta di mettere in atto, se possibile, un sistema di analisi di secondo livello che ricostruisca la varietà di condizioni in cui vivono gli adolescenti nel nostro Paese. Questo perché oltre alla iniquità generazionale non è da dimenticare l’iniquità intra-generazionale.
    Terzo punto, si tratta di proseguire l’analisi della politica degli Enti Locali attorno alla questione della cittadinanza locale e tenendo come obiettivo la costruzione di una tipologia delle forme di coordinamento che faccia sintesi della frammentazione e della eterogeneità individuate. Si tratta di una premessa strategica per dare indicazioni mirate di sviluppo di una più diffusa «progettualità per e degli adolescenti».

     


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