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    Amicizia:

    sfida e traguardo

    Eva Carlotta Rava

     

    L'adolescenza e la gioventù sono il tempo dell’amicizia. In un’età della vita così difficile e bella, in cui tutte le energie fisiche, psichiche, spirituali si dischiudono, l’amicizia diventa una realtà particolarmente importante e significativa perché legata alla elaborazione della propria identità e alla ricerca di un ideale al quale donarsi.

    Da legami obbligati ad amicizie ricercate

    In questa fase evolutiva l’amicizia così desiderata è una zona di passaggio, una transizione fra il più o meno stretto mondo domestico (quando esiste) e l’ampio mondo dei rapporti sociali: del lavoro, dell’impegno sociale e politico, della terra futura in cui ognuno è chiamato ad affondare le sue radici [1]. L’ambito in cui l’adolescente si trova non è più soltanto quello dei suoi, della scuola o della parrocchia, come avveniva da bambini quando i legami erano quasi dettati dalle circostanze, ma un ambito più vasto in cui iniziano i primi rapporti più liberi, frutto non solo d’incontri più o meno casuali, ma di scelte personali che preparano l’adolescente ad inserirsi nel mondo più ampio e più complesso della vita sociale.
    L’adolescente prende distanza dai suoi genitori e cerca di definire se stesso e, per questo, ha bisogno di amici con cui condividere non solo il divertimento, ma interessi, difficoltà e progetti. Amici non solo nei quali rispecchiarsi, ma nei quali imparare a scoprire le differenze e trovare stimoli per tutto ciò che è buono e bello.
    Oggi, tramite i mezzi che l’odierna tecnologia offre loro (internet, chat, cellulari, sms...) gli adolescenti socializzano molto presto. Ma questi rapporti sono fragili e superficiali: la persona nella sua totalità, non si trova coinvolta. Se ci si vede è tramite uno schermo, se ci si parla è tramite audio e microfono. Spesso sono soltanto un rapporto virtuale, non un contatto concreto, diretto che conferisce realtà, consistenza e resistenza ai rapporti interpersonali.
    Inoltre, nella società odierna lo sviluppo dell’amicizia trova particolari difficoltà. La famiglia come nucleo stabile fondato su rapporti d’amore duraturo è in crisi; prevale l’individualismo che porta all’assorbimento dell’io nel proprio clima psicologico; la vita sociale e politica rivela spesso l’assenza di valori e di modelli di vita che superino le motivazioni dell’utilità o del piacere. Questo disordine sociale che l’adolescente percepisce viene, poi, accresciuto dalla confusione interiore che egli spesso vive, ostacolando ulteriormente rapporti sani e costruttivi.
    In questo contesto l’amicizia dei giovani e degli adolescenti corre più che mai il rischio di diventare un mondo chiuso in cui cercare rifugio, dietro le cui mura nascondersi; un’esperienza deludente fatta di stordimento, eccitazione, disimpegno.
    L’amicizia diventa allora complicità, disperazione, una nuova forma di isolamento e di vuoto.
    Eppure l’adolescente e il giovane hanno sempre qualcosa di bello, di prezioso da donare agli altri, qualità di cui spesso sono inconsapevoli. In molti casi la mancanza di veri amici non è dovuta ad una bassa considerazione dell’amicizia, ma ad un eccesso di timidezza e/o insicurezza, ad una bassa autostima che impedisce loro di mostrarsi nella loro autenticità e bellezza e creare dei rapporti veri. Si nascondono dietro maschere per essere accettati dal gruppo: la sofferenza e lo scetticismo di molti adolescenti nasce dalla assenza di fiducia in se stessi.
    Se l’amicizia per l’adolescente è una particolare ricchezza, è perché egli ha bisogno di sentirsi sostenuto, appoggiato, confermato; essa offre sicurezza, calore, rende audaci e permette di accettare i rischi di ciò che s’intraprende. Con gli amici ci si sente capaci di affrontare tutto! [2] L’esperienza mostra infatti che senza amici non potremmo perseverare in compiti particolarmente difficili, che le nostre giornate non sarebbero così gioiose, né avremmo raggiunto i nostri più cari traguardi, insomma non saremmo quello che siamo. Ci rendiamo conto che l’amicizia ci conferisce identità ed è una forza potente per la nostra crescita. Ma, per quali motivi? E a quali condizioni?

    L’amicizia non né spontanea né casuale

    Se l’amicizia è uno dei rapporti interpersonali più significativi dell’esistenza, più costruttivo (o distruttivo) per lo sviluppo della persona, ciò si deve alla sua natura profondamente umana. Contrariamente a quanto pensiamo, l’amicizia non è un semplice frutto della spontaneità, non è un’attrazione del momento, e neanche un fatto di sensibilità. L’amicizia, così come l’intendeva Aristotele, è (come il fiore) la gratuità della virtù. Non si fonda sull’utilità o sul piacere che cambiano di continuo, ma sulla stabilità della virtù, sul valore stesso dell’amico, sulla sua bontà. Per questo nella giovinezza l’amicizia è sottoposta ad una tensione: da una parte i giovani vogliono passare insieme i giorni e la vita intera con chi amano, sperando di ottenere quella condivisione propria dell’amicizia, dall’altra parte trattandosi di un’età in cui prevale la ricerca del piacere e del piacere immediato, l’amicizia muta insieme col mutare di ciò che fa piacere; i giovani s’innamorano e cessano di amare rapidamente [3].
    Perché l’amicizia sia capace di accompagnarci attraverso la nostra esistenza, deve essere radicata non solo nella sensibilità, ma nel cuore con tutta la sua capacità d’interiorità, di donazione, di trascendenza. Soltanto così può nascere.
    Il cuore non è solo il centro di emozioni vaghe. È il nucleo più segreto della persona dove sensibilità e spirito s’intrecciano misteriosamente per condurre verso il vero, il buono, il bello. L’essere umano non è soltanto materia, ma neppure spirito puro, è spirito incarnato. Il cuore è sede dei sentimenti più contraddittori, ma è anche fonte di comprensione, di riflessione e di scelta. È il luogo da dove possono nascere le più belle aspirazioni dello spirito umano, ma anche – paradossalmente – le decisioni più distruttive. Il cuore, nel bene e nel male, porta in sé quella interazione fra conoscenza e tendenza, fra spirito e materia che gli dona la sua singolare potenza. Non a caso è stato detto «dove è il tuo cuore è il tuo tesoro». Il cuore esprime la realtà più intima dell’essere umano.
    Quando l’amicizia è profonda, affonda appunto nel «cuore» e coinvolge totalmente. Non solo è piacevole (non si diventa amici di coloro dai quali non si riceve alcuna gioia [4]) e comporta «un sentimento di benevolenza e di affetto», ma richiede anche «un perfetto accordo nelle cose divine e umane» [5]. L’amicizia in senso proprio, in quanto suppone la virtù, è radicata nell’intelletto e nella volontà, essendo l’amicizia perfetta quella degli uomini buoni e virtuosi che vogliono il bene l’uno per l’altro. Per questo stenta a svilupparsi in contesti equivoci mentre fiorisce nei rapporti umani più belli e più profondi che legano gli uomini fra di loro e perfino – in ambito cristiano – l’uomo con Dio [6].

    L’amicizia nasce da un’attrazione, da una sintonia di cui è difficile individuare la causa, da un compiacimento che s’impone come un dato primitivo e alquanto misterioso.

    Risveglia la capacità emotiva, che suscita gioia, simpatia, amore, che infonde calore e comunicazione fra le persone.

    Ma richiede anche una posizione attiva delle volontà, una scelta, una decisione, il consenso di due libertà. Non si tratta di un atteggiamento passivo, un lasciarsi trascinare dall’affetto, ma di un atto – o meglio, di molti atti – positivi della volontà libera in quanto due persone si accettano reciprocamente per essere l’una per l’altra, centro d’irradiazione e di accoglienza.

    Se manca quest’impegno reciproco più profondo, l’amicizia vera non può nascere, né svilupparsi.

    Il sentimento, la simpatia, avvicinano le persone in modo sensibile, ma occorre qualcosa di più: l’unione morale, la partecipazione decisa delle volontà capace di operare il passaggio dall’attrazione sensibile e dalla risonanza soggettiva al valore oggettivo dell’altro.

    Quando la nostra volontà – inizialmente attratta dalla persona amata non solo per le sue qualità, ma per l’affinità che queste qualità possiedono con ciò che desideriamo per noi stessi – accetta liberamente la responsabilità dell’amore, le corrispondenze affettive possono acquistare la forma duratura dell’amicizia. Gli amici incominciano ad amarsi come amano se stessi, e l’amicizia trasforma lentamente la loro esistenza.

    Questione di disponibilità interiore

    Il «cuore» non è mai totalmente puro. Nel processo della sua purificazione l’amicizia è una scuola ad amare con generosità e dedizione. Di quest’arte di amare, l’adolescenza e la gioventù sono un periodo di apprendistato.
    Molti rapporti di amicizia portano il sigillo dei nostri interessi egoistici e del nostro desiderio di auto-affermazione. Più che un’occasione per crescere, rafforzano le nostre debolezze e le nostre chiusure. È facile che un gruppo di amici crei intorno a sé un vuoto, ignorando con superiorità e arroganza quelli che rimangono al di fuori di esso.
    L’amicizia è un amore «centrifugo» che desidera condividere con l’amico la vita e i beni, non solo quelli materiali, ma quelli più propriamente umani: il dialogo, l’agire comune, l’interessamento per i traguardi e le pene dell’amico. È un amore che fa «uscire» alla ricerca dell’amico, della sua presenza fisica (desideriamo vederci, ascoltarci, stare insieme), psicologica (andiamo incontro ai suoi gusti, preferenze, pensieri), spirituale (condividiamo le mete, i principi, le scelte). Tutto ciò non è solo dare del proprio tempo, ma disponibilità interiore a trascendersi.
    In una prima fase questa disponibilità sembra facile: nell’amico noi amiamo noi stessi e in lui scorgiamo «quel carico di luce, di amore, di vitalità che noi desideriamo di realizzare» [7]. La percezione di avere una struttura simile dell’anima, la condivisione di gusti e di interessi è la forza che unisce, ma poi, se il rapporto diventa più stretto e ci si conosce di più, emergono con più chiarezza le differenze e i contrasti ed in fine il limite stesso di ogni essere umano.
    È a questo punto che ci accorgiamo che l’amico non è solo un io, ma un altro io, altro per l’io. La comunicazione umana non elimina le differenze e i limiti né la solitudine spirituale che ne deriva. L’amico non è qualcuno che s’identifica con noi, che risponde a tutte le nostre esigenze e desideri, fatto a nostra immagine e somiglianza: egli ha un suo modo di essere, un mondo interiore, una vocazione, una missione personale, intrasferibili, chiamati ad essere riconosciuti, rispettati, incoraggiati, potenziati. Se l’identità e la somiglianza sono una faccia dell’amicizia, l’alterità e la differenza ne costituiscono l’altra [8].
    In questa tensione dialettica, l’amicizia si rivela non solo nella gioiosa gratuità del dono, ma in tutta la serietà del compito. Le differenze suscitano resistenza. Se da una parte un eccesso di somiglianza, quando non c’è identità, porta ad interferenze insopportabili che irritano e allontanano, dall’altra, un eccesso di non somiglianza rende difficile colmare l’abisso che separa. È a questo punto che ci si può domandare se l’amicizia è possibile o soltanto un’illusione. A questo punto non c’è alternativa: l’amicizia deve crescere o rischia di morire. Rifiutare l’alterità e il limite vuole dire installarsi nella ribellione. Accettarla significa aprirsi alla ricchezza altrui e diventare più maturi. Determinante, qui, è saper ridimensionare i desideri di falsa autonomia e saper controllare gli impulsi di dominio e di aggressione.

    La forza di restare

    L’amore fra gli amici si rivela non solo nella sua dolcezza, ma nell’assolutezza della scelta di un bene «arduo»: il bene disinteressato del tu. Da questo versante, l’amicizia è una sfida a superare ogni scoglio. Il perdono, la riconoscenza, la pazienza reciproca sono vitali per il progredire dell’amicizia.
    Alla base di questo rapporto c’è dunque la capacità della costanza, perché sono molti i ragionamenti e i sentimenti che porterebbero a rinunciare all’amico, rimanere soli o allacciare nuovi rapporti.
    Questa capacità di restare infonde sicurezza e fiducia. Da una parte esprime che l’esistenza dell’amico è stata voluta e lo è tuttora nella sua singolarità, nonostante le differenze. Dall’altra parte, rafforza la propria identità personale perché si impara a riconoscere la continuità di se stessi al di là delle variazioni di umore.
    La fedeltà reciproca sprigiona una particolare energia nello spirito umano, si superano i pericoli e le tentazioni, la comunicazione delle anime diventa più profonda e il dono reciproco delle libertà si rinnova incessantemente. La vita comune offre agli amici continue occasioni di verificare la loro buona fede e di completarla con la virtù.
    In questo percorso la personalità di ciascuno diventa più trasparente ed accogliente, ci si capisce senza parole, il mondo interiore dell’uno risuona nell’altro, ci si trova ad essere «un cuor solo e un’anima sola». Perfino il corpo riflette l’unità degli spiriti ed entrambi realizzano gli stessi gesti senza accorgersi.
    Quando la compenetrazione delle persone è raggiunta, l’amicizia diventa indissolubile e la fedeltà reciproca non può essere infranta; la dedizione all’amico fa che l’io si ritrovi finalmente, con una gioia nuova e pura, in un «noi» in cui si realizza l’unità nella differenza.
    Tuttavia, giungere a quest’unità superiore eccede le nostre forze: richiede la presenza di Dio nel cuore degli amici. Ma quando quest’unità si avvera, l’amicizia si svela in tutto il suo mistero di partecipazione all’incrollabile unità della vita Trinitaria: l’amore divino s’incarna nel quotidiano, facendo di questo rapporto un «sacramento», un aiuto potente per la costante purificazione del cuore e la maturità personale. Una via esigente e dolce verso la perfezione della carità.

    NOTE

    1 Cf J. Vanier, Toute personne est une histoire sacrée, Plon, Paris 1994, p.115.
    2 Perfino le azioni moralmente cattive. Sant’Agostino parla infatti della «amicizia inimicissima» che, nell’infanzia, lo portò al furto delle pere, soltanto per il piacere di rubarle insieme (Confessioni 2, 9, 17).
    3 Cf Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 3, 1156a 35-1156b 1-6.
    4 Cf Aristotele, Ibid, VIII, 6, 1158a 5-10.
    5 Cicerone, L’amicizia, VI, 20.
    6 Aristotele considera l’amicizia nei rapporti parentali (fra gli sposi, fra genitori e figli, i fratelli fra di loro), ma esclude l’amicizia dell’uomo con Dio per la distanza che li separa (cf Etica Nicomachea, VIII, 7, 1159a 5-7). S. Tommaso invece definisce la carità come rapporto di amicizia fra Dio e l’uomo (cf Summa Teologica, II-II, 23,1).
    7 C. Fabro, Libro dell’esistenza e della libertà vagabonda, Piemme, Casale Monferrato 2000, n.862, p.150.
    8 Cf P. Florenskij, L’amicizia. Lettera undecima in Id., Colonna e fondamento della verità, Rusconi, Milano 1998, p. 505.

    (Tredimensioni 5(2008) 49-55)


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