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    Vittorino Andreoli

    (NPG 2004-04-74)


    L’adolescenza è l’età della metamorfosi, del cambiamento rapido del corpo, ma anche della personalità e del ruolo sociale. Una metamorfosi che spesso spaventa, che induce a non piacersi, alla paura di diventare un mostro. Su questa metamorfosi che spesso spaventa, che induce a non piacersi, alla paura di diventare un mostro. Su questa metamorfosi “imposta” dalla crescita, l’adolescente cerca di reagire mostrando il volto dell’eroe: una metamorfosi guidata. Ha bisogno di stupire e di stupirsi. Per questo il suo gioco si nutre del rischio, dell’avversario contro cui compere, della platea che riconosce la sua vittoria. Se guida la moto, deve superare i limiti, correre su una ruota sola. Se va allo stadio è per sfidare i poliziotti e farla franca. Insomma, un eroe “contro” che vive dell’identificazione con il gruppo, al tempo stesso platea delle sue gesta. E la prova di coraggio è la grande sfida, perché in fondo l’adolescente gioca con se stesso. Se il bambino si proietta nei giocattoli, negli oggetti, l’adolescente cresce ed entra da protagonista nel teatro, si fa personaggio. Questo bisogno di metamorofsi è antico, e ha trovato accoglienza anche nell’epica di Virgilio, dove dà vita ad uno degli episodi più poetici dell’Eneide.
    L’accampamento dei Troiani alle foci del Tevere è stretto nella morsa dell’assedio del Volsci. I nemici sono forti e si apprestano, come una tenaglia, a schiacciare il nuovo popolo giunto dal mare.La situazione è talmente disperata che appare inutile anche la saggezza degli anziani. Chi conosce la guerra e le sue leggi sa di non potersi fare illusioni. E poi il capo, Enea, è lontano.
    Ma ciò che appare impossibile ai guerrieri e agli anziani germina invece nella fantasia di due adolescenti che, sino a quell’istante, hanno soltanto sentito il rumore delle armi, confinati alla porta dell’accampamento cui sono stati posti di guardia. Eurialo e Niso – questi i loro nomi – sentono di poter compiere un gesto grande, eroico: attraversare le linee nemiche per avvisare Enea del pericolo che corre il suo popolo.
    L’idea si forma lentamente nelle loro menti, prima incerta, timida, quindi dilaga e si trasforma. Lo scopo non è più raggiungere Enea, ma compiere una grande strage di nemici e assicurarsi un ricco bottino.
    I ragazzi, che hanno ammirato gli eroi dai racconti degli anziani e dallo splendore delle armi alle parate, avvertono una sorta di chiamata dagli dei o dalla loro fantasia (il dubbio assale per un momento Niso) a fare ciò che nemmeno un guerriero oserebbe. Un gesto straordinario, impossibile dunque, il cui destino appare subito tragico ma, al contempo, ineluttabile.
    In realtà il “dio” a cui rispondono è il bisogno di metamorfosi: dimostrare cioè di saper compiere gesta tali da trovarsi degni di ammirazione agli occhi degli eroi celebrati, veri.
    Eurialo e Niso ci raccontano la storia eterna dell’adolescenza. L’atto eroico impone l’abbandono di tutte le sicurezze, le difese: i due lasciano le sicure mura dell’accampamento, per lanciarsi in un destino cui sono chiamati in maniera impellente e invincibile, tale da costringerli a sacrificare anche la propria madre e gli affetti. “Io ora la lascio”, dice Eurialo ai capi troiani prima di andare, “ignara di questo pericolo, qualunque esso sia, e senza darle il mio saluto. Mi sia testimone la notte e la sua destra, che io non potrei sopportare le sue lagrime”.
    L’atto eroico si presenta quale continuazione di sogni rincorsi con i coetanei, nella fantasia, come dedizione reciproca, al punto che – lo racconta Enea – uno darà la vita per l’altro. Il rapporto che lega Eurialo, il più giovane, a Niso è di ammirazione. Quando questi lo vuole escludere dall’avventura, Eurialo si sente tradito e al tempo stesso ferito, perché il suo modello non pare ritenerlo all’altezza del compito, non mostra stima per lui.
    Con quel gesto deciso, Eurialo e Niso escono dalle quinte del teatro dove gli adulti li avevano confinati pe irrompere su un palcoscenico diverso: la posta in gioco è elevatissima. Sono loro, giovani dalle membra ancora efebiche, a violare il campo nemico, compiendo una strage di terribili guerrieri e capi eroici.La parte è inebriante esattamente per la facilità con cui infrangono le regole. Eppure proprio quando si rivestono delle vere armi degli eroi, la recita si fa dramma: l’elmo lucente razziato a Messalo tradisce i due, le armi dei guerrieri uccisi sono troppo pesanti e intralciano la fuga.Il sogno non può nulla contro il risveglio della regola di sangue della guerra, la morte arriva, impietosa e precisa, a spezzare la favola.
    Ho accennato a questa storia, perché è una straordinaria rappresentazione di come il mondo delle pulsioni giovanili si muova alla ricerca d’un teatro, dove mettere in scena la propria metamorfosi. L’adolescente avverte un bisogno impellente di conquistare ciò che non ha, di diventare ciò che non è. Per questo si tratta del momento più rischioso dell’esistenza.
    Una corsa forsennata verso il cambiamento continuo, una metamorfosi che lo faccia sentire altro da sé, e così gioca con le emozioni estreme, rischia persino la vita, muove una critica radicale contro la società e la famiglia. Insomma, somiglia a una farfalla che deve rompere la prigione della crisalide, ma senza sapere verso dove volerà.
    Per molti secoli la società ha fornito a questa pulsione il modello dell’adolescente-soldato. Il campo di battaglia era il palcoscenico dove inscenare il bisogno di una vita eroica.La guerra costituiva la sola compagna di giochi, mimata sino dall’infanzia, fino al momento di imbracciare, più tardi, il moschetto reale.In altre parole, la società tentava di instradare e finalizzare le pulsioni giovanili.
    Oggi tutto questo non c’è più e prevale un eroismo senza obiettivo.Non si esce più, nemmeno simbolicamente, dalle mura del villaggio per raggiungere il campo nemico, eppure si gioca sempre alla morte.Noi siamo contro la guerra e non abbiamo nostalgia per questa modalità di dare senso all’impulso temerario dell’adolescente, ma crediamo che una società, ogni società debba suggerire dei modelli da seguire e ogni modello deve avere una valenza sociale, di utilità agli altri.
    Altrimenti nasceranno, come continuano a nascere, club che riuniscono giovani capaci di correre in moto su una ruota sola. Per esserne ammessi, bisogna seguire un’iniziazione: dimostrare di saper superare una certa velocità, sempre su una ruota, e percorrere un tragitto in città contromano. Fallire la prova significa essere esclusi e diventare ridicoli.
    La cronaca racconta molte storie di iniziazione. In Inghilterra gli adolescenti si danno appuntamento in una stazione della metropolitana per la “prova della bandiera”. Se si vuole fare parte del gruppo, è necessario aggrapparsi all’esterno del convoglio che lascia la stazione e staccarsi quando ha raggiunto piena velocità, prima che entri nel tunnel. Chi sbaglia muore schiacciato tra il muro della galleria e il treno.
    A New York attraggono i rischi legati agli ascensori, che corrono velocissimi. Il gioco sta nel salire appesi alla cabina, percorrendo un centinaio di piani dentro il caveau, sospesi nel vuoto. I giudici di gara fermano bruscamente il mezzo e controllano poi se l’aspirante eroe è ancora attaccato.
    Anche le storie di droga non sono lontane da Eurialo e Niso. Drogarsi è, in fondo, disporsi ad un grande viaggio di metamorfosi. Si abbandonano tutte le proprie sicurezze e difese, travolgendo ogni coordinata esistenziale. Eurialo è ucciso dalla dipendenza che vive verso Niso (è lui che matura l’idea della grande avventura) e dagli effetti collaterali della loro impresa (essersi attardati nell’ebbrezza della strage e avere indossato le armi degli uccisi).
    Con l’eroismo l’adolescente risponde al bisogno di giocare con la vita. Una ricerca di straordinario, della sensazione di avventura, libertà e novità. Il bisogno di rischio, che Eurialo e Niso legano ad una funzione utile alla nazione, talora manca e l’azione porta a diventare dei nulla. Gesta che non hanno senso e non verranno riconosciute.
    Eurialo e Niso sono in fondo degli “esclusi”: gli anziani li relegano alla guardia della porta. Non vengono ammessi alle decisioni e neppure al campo di battaglia. Così s’inventano un ruolo, non avendone alcuno. Vogliono rompere il recinto dell’esclusione e possono farlo solo con un’azione che li renda straordinari.
    In tal modo il loro bisogno di riscatto, di avventura, trova rappresentazione in un gesto che nessun guerriero, nemmeno il più coraggioso, oserebbe. Per loro è un gioco; se avessero consapevolezza della tristezza e delle leggi della guerra non abbandonerebbero l’accampamento.
    Gli anziani sanno che l’impresa è impossibile. Ma i sogni non si possono fermare. Eurialo e Niso muoiono per essersi inventati il ruolo coerente alla cultura e ai valori del gruppo. Tanto che il loro gesto viene riconosciuto come eroico e cantato nella poesia epica. Il prezzo è stata la morte.
    Gli adolescenti di oggi, oltre ad essere degli “esclusi” dalla società, non hanno più alcun modello né motivazioni capaci di finalizzare il loro bisogno di avventura. Attraversando il campo nemico Eurialo e Niso sfidavano la morte per proteggere la propria gente, la madre, gli affetti.
    Gli adolescenti di oggi non devono salvare niente e nessuno: sono gli eroi del nulla. Il gioco di cui si fanno artefici diviene il loro padrone assoluto. Gli adolescenti o sono piccoli protagonisti nel quotidiano, a scuola, a casa, oppure si trasformeranno in eroi del sabato sera, eroi del nulla.
    Questa riflessione rimanda alla sentenza di Bertholt Brecht: “Beati quei popoli che non hanno bisogno di eroi”. Beati, poiché significa che ognuno vive un piccolo protagonismo nel silenzio, nella gratificazione dentro le norme e non ha necessità di compensare una monotonia del vivere, il taedium vitae con gesta da eroi.
    (Avvenire, 9 dicembre 2003)


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