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    Scuola della fede,

    quattro incontri

    Carlo Caffarra


    1. L’UOMO ALLA RICERCA DI DIO

    1. Due sono le grandi metafore della vita: il girovago, il pellegrino. Essi indicano due modi di vivere molto diversi.
    Il girovago non ha una meta; il pellegrino ha una meta. Il girovago si distrae ad osservare, e a fermarsi di fronte a ciò che gli piace; il pellegrino, pur non chiudendo gli occhi a ciò che incontra, non si lascia distrarre fino al punto da dimenticare la meta a cui è diretto. Il girovago non ha una strada non avendo una meta da raggiungere; il pellegrino ha una strada che non deve e non vuole abbandonare perché desidera raggiungere la meta.
    Passiamo dalla metafora alla realtà. Ciascuno di voi ha nel cuore grandi o piccole speranze, diverse a seconda dei periodi della vostra vita: la speranza di un grande amore ricambiato; la speranza di poter trovare un lavoro sicuro e dignitosamente retribuito; la speranza di avere grandi riconoscimenti professionali, e così via. Tutto questo basta? Siamo condannati a girovagare da una speranza all’altra?
    Vi chiedo ora di riflettere su un’esperienza molto significativa, che spesso ciascuno di voi vive. La riassumo nel modo seguente: la delusione del compimento. Succede non raramente che raggiunto l’obiettivo del nostro desiderio, ci troviamo a dire: "tutto qui?". È come se fosse più bella la ricerca che il possesso, il desiderio che la soddisfazione. Viviamo spesso una sproporzione esistenziale fra ciò che speriamo e desideriamo e ciò che concretamente possiamo raggiungere.
    Chi ha espresso in modo sublime questa sproporzione è stato G. Leopardi. Faccio solo una citazione. Nella poesia, che molti di voi sicuramente hanno studiato, Il sabato del villaggio, il poeta scrive:
    "Questo di sette è il più gradito giorno,
    pien di speme e di gioia:
    diman tristezza e noia
    recheran l’ore, ed al travaglio usato
    ciascuno in suo pensiero farà ritorno"
    Il sabato, cioè l’attesa, è "pien di speme e di gioia"; la domenica, cioè il compimento, è "tristezza e noia". È questa esperienza che persuade molti a vivere la vita da girovaghi, per quanto possibile. A navigare sempre a vista, senza proporsi un porto in cui fermarsi.

    2. Vorrei ora che compiste un passo ulteriore: quale posizione possiamo ragionevolmente prendere di fronte a questa condizione di sproporzione fra il desiderio e i beni che lo soddisfano nella quale ci troviamo a vivere?
    Una prima posizione è la seguente: siamo fatti male! Siamo, noi persone umane, realtà assurde, perché desideriamo naturalmente ciò che non possiamo raggiungere.
    La conseguenza esistenziale, pratica di questa posizione, o – se volete – il consiglio che viene dato spesso, è il seguente: "accorcia la misura del tuo desiderio, e taglia la tua speranza. Non potendo raggiungere ciò che desideri, cerca di desiderare solo ciò che puoi raggiungere".
    Se uno fa propria questa posizione e questo consiglio pratico, può vivere secondo uno stile di vita che ho chiamato del girovago: "va alla ricerca di tutti i beni e le gioie possibili; una volta consumata l’una, passa a consumarne un’altra" [=consumismo].
    Ma di fronte alla sproporzione fra desiderio-speranza e soddisfazione raggiunta, è possibile un’altra posizione: quella del pellegrino. La sproporzione non potrebbe derivare dal fatto che la persona umana è fatta per un bene infinito? Certamente essa ha bisogno di avere e nutrire nel cuore "piccole" speranze. Ma il fatto che quando queste si realizzano, appaia con chiarezza che esse non sono tutto, è indice che l’uomo è fatto per una speranza infinita, per un bene infinito.
    Il nostro desiderio non va accorciato, la nostra speranza non va tagliata, perché esiste una risposta a loro misura. E il pellegrino si mette alla ricerca di questa risposta.
    L’uomo alla ricerca di Dio è l’uomo che non si accontenta dei beni limitati, oggetto delle piccole speranze pure significative ed importanti. È l’uomo che prende coscienza che non può bastargli niente che non sia infinito; qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere.
    Fermatevi un momento a riflettere sulle qualità o caratteristiche di questa ricerca. È la ricerca non semplicemente di una risposta ad una domanda della nostra ragione, del tipo: quanto è lungo il Nilo? C’è vita su Marte? Ma è ricerca di una Realtà di cui ho assoluto bisogno per vivere bene in senso pieno; di una Realtà colla quale possa stabilire una relazione reale.
    È una ricerca che impegna tutto l’uomo: la sua ragione, il suo cuore, la sua libertà. E al massimo grado. È necessario impegnare la nostra ragione colla massima intensità per cercare Dio, e la nostra libertà in grado supremo.

    3. Vorrei ora richiamare la vostra attenzione su ciò che può impedire la ricerca di Dio.
    Il primo impedimento può essere quella che io considero la più grave malattia spirituale che possa colpire il cuore di un giovane: la tristezza del cuore.
    La tristezza del cuore è una sorta di anoressia spirituale che rifiuta di prendere in considerazione ogni proposta che vada oltre la quotidianità; una sorta di pigrizia spirituale che induce neppure più a sperare che sia possibile una vita bella, vera, buona. Cari giovani…ai primi sintomi di questa malattia reagite subito; andate subito…dal medico [un buon confessore], perché altrimenti la prognosi è la morte del vostro io.
    Il secondo impedimento è lo scientismo. Questo impedimento è come un’epidemia: la prendi senza accorgertene.
    Lo scientismo consiste nel pensare che solo le proposizioni scientifiche sono qualificabili come vere o false, perché sono verificabili col metodo proprio della scienza. Chiedersi dunque: "la proposizione " Dio esiste" o "Dio non esiste" è vera o falsa"? È come chiedersi: quanti kg pesa una sinfonia di Mozart? È come farsi cioè una domanda priva di senso. Le suddette proposizioni sono mere opinioni soggettive e private.
    È facile capire che se uno si lascia infettare da questa epidemia, non si mette in ricerca di Dio. Semplicemente si tiene la sua opinione al riguardo.
    Potete aver ricevuto col latte materno la certezza di Dio. È un grande dono che vi è stato fatto. Ora si tratta di continuare ad essere, o di iniziare ad essere grandi cercatori di Dio. Che cosa significa essere cercatori di Dio ho cercato di spiegarlo sopra.

    (12 febbraio 2013)


    2. DIO VIENE INCONTRO ALL'UOMO /1

    1.L’apostolo Paolo nel discorso fatto ad Atene, parlando della ricerca di Dio da parte dell’uomo, usa un’immagine stupenda. Egli dice che gli uomini cercano Dio "andando come a tentoni" [At 17,27].
    L’espressione paolina richiama sicuramente alla nostra memoria un’esperienza che abbiamo vissuto: trovarci all’improvviso al buio, e dover cercare di fare luce. È questa la grande metafora che usa spesso Paolo per cercare di descrivere l’uomo alla ricerca di Dio: una stanza buia; un grande bisogno di luce; la ricerca della luce per illuminare la stanza dove viviamo.
    Perché una stanza buia? Perché siamo costretti a farci delle domande che superano la nostra capacità di rispondere [perché la sofferenza dell’innocente? Perché tanta ingiustizia nella storia? Alla fine: che senso ha il tutto?].
    Perché un grande bisogno di luce? Perché possiamo ignorare tante cose [se c’è o non c’è vita su Marte; che cosa è la materia oscura], ma non possiamo ignorare, per esempio, se colla morte finiamo interamente; se la nostra sofferenza ha un senso o no.
    Ora, Dio ci ha dato dei segnali in questa stanza buia in cui andiamo a tentoni; non ci muoviamo a caso. L’apostolo Paolo, sempre nello stesso contesto, ci dice che Dio non è lontano da ciascuno di noi.
    Questa sera, in questa seconda lezione della nostra Scuola della fede, vorrei aiutarvi a notare i segni della vicinanza di Dio a ciascuno di noi; i segni che Dio viene incontro all’uomo che lo cerca a tentoni.
    Vi prego di prestare molta attenzione, perché la riflessione esige un impegno vero della vostra persona.

    2.[Primo segno di Dio che ci viene incontro]. Inizio richiamando la vostra attenzione su un fatto che è talmente abituale, da poterci sembrare perfino banale. Il fatto è il seguente: noi diamo un giudizio secondo un "più" o un "meno". La cosa vi risulterà chiara subito. Prima però devo fare una precisazione assai importante.
    Esistono delle perfezioni, delle doti umane, che è sempre bene possedere: sempre e comunque. Per esempio: essere intelligenti; essere santi; essere giusti. Non sarà mai vero che è meglio essere stupidi ed ignoranti piuttosto che intelligenti ed istruiti; essere moralmente perversi piuttosto che santi; essere ladri piuttosto che onesti.
    Esistono invece delle perfezioni, delle doti umane che è bene possedere, ma che in senso assoluto sarebbe meglio non esserne in possesso. Faccio un esempio. Fare l’elemosina ai poveri è una vera perfezione morale, degna di lode e di ammirazione. Tuttavia, il fatto che io faccia l’elemosina implica che ci siano persone che non hanno di che vivere.
    Chiamiamo le prime perfezioni pure. Esse sono qualità della persona che, in senso assoluto ed eminente, e in qualsiasi condizione è sempre e comunque meglio possedere che non possedere. Nella riflessione che faremo, parlerò esclusivamente di esse. E ritorno al fatto da cui sono partito.
    Noi diciamo che A è più bello(a) di B, e che C è più bello(a) di A. Indicate colle lettere persone, opere d’arte, brani musicali.
    Ciascuno di noi istituisce, o meglio vede una gradazione nella misura in cui A, B, e C sono belli(e). Come è possibile questo? È possibile solo perché abbiamo come la percezione di una bellezza assoluta che non entra più nella scala del più e del meno. Avendo in mente questa Bellezza assoluta posso dire A si avvicina di più, è più simile ad essa di B; cioè: A è più bello(a) di B.
    Esiste dunque nella nostra mente come il riflesso di una Bellezza assoluta, illimitata, pura, non mista cioè a niente di brutto e di turpe.
    È Dio che mostra il suo volto all’uomo che lo cerca come a tentoni.

    3.[Secondo segno che Dio ci viene incontro]. Questo segno è ancora più chiaro e coinvolgente. Inizio sempre richiamando la vostra attenzione su un fatto che accade non raramente dentro di noi: l’esperienza morale. Cerco di farvela ora percepire, mediante quel fenomeno spirituale che è l’esperienza del dovere.
    Immaginate di potervi trovare nella situazione di chi può arricchirsi compiendo un grande furto, nella certezza che nessun tribunale mai vi condannerà, che nessuno mai lo verrà a sapere.
    In una situazione come questa voi sentite come una voce che vi dice: "puoi rubare, ma non devi". Fate bene attenzione a voi stessi. Non è il discorso tipo: "il furto è un’ingiustizia", cioè l’intimazione di un obbligo morale universalmente valido. È a te che il "devi" è rivolto: tu non devi rubare. È un discorso rivolto alla tua persona.
    Non solo, ma questo "devi" è carico di una forza straordinaria, incondizionata. Non dice: "se non vuoi andare in prigione, non rubare"; non dice: "se non vuoi perdere il tuo buon nome, non rubare"; "potrebbero venirlo a sapere altri". Ma semplicemente: "tu non devi".
    È tuttavia una forza molto…fragile, perché è una voce che interloquisce con la libertà. Non è la forza delle leggi fisiche, biologiche, o chimiche: non ammettono scelte. Non è la forza delle leggi logiche che governano l’esercizio della nostra ragione: essa non può sottrarsi. A quell’intimazione invece la libertà può dire: "devo, ma non voglio".
    Dunque, risuona dentro di noi un comando che si rivolge alla nostra persona nel suo intimo più profondo, la sua libertà; è un comando incondizionato che non ammette scappatoie. È, in sintesi, il comando di una Persona ad una persona.
    La forza che possiede questo comando è tale che non può avere origine dalla persona stessa: chi ha l’autorità e la forza di legare, ha anche l’autorità e la forza di slegare. Non può aver origine dal costume sociale. Esso risuona anche per scelte che riguardano esclusivamente l’interiorità della persona; o per scelte che non diventeranno mai note alla pubblica opinione. Ascoltiamo ora una profonda spiegazione di questo fenomeno spirituale.
    "Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa’ questo, fuggi quest’altro…La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria" [Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et Spes 16, EV 1, 1369].
    Alla persona che lo cerca a tentoni, Dio viene incontro mediante la voce della coscienza, che fa risuonare nel nostro intimo la voce stessa di Dio.
    Concludiamo questa riflessione. Dio non ha lasciato brancolare l’uomo nel buio della stanza della vita. Gli viene incontro su due strade.
    Mediante l’esercizio retto della sua ragione, la persona umana riflette una Verità, una Bellezza che la trascendono ma che nello stesso tempo le sono immanenti.
    Mediante l’esercizio della sua libertà, la persona umana sente risuonare in se stessa una voce di una tale potenza e delicatezza che non può provenire che dalla stessa Bontà che è Dio.

    (19 febbraio 2013)


    3. DIO VIENE INCONTRO ALL'UOMO /2

    1. Inizio dalla lettura di un testo biblico che sono sicuro molti di voi conoscono.
    "Il Signore disse ad Abramo: vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre verso la terra che io ti mostrerò" [Gen 12,1]
    Viene narrato con queste parole un fatto che costituisce LA svolta nella storia dell’umanità. All’uomo che cercava Dio come a tentoni - e dal quale Dio non era lontano – il Signore rivolge la parola. Dio comincia a parlare all’uomo.
    Se avete seguito e riflettuto con attenzione quanto vi ho detto nei due incontri precedenti, potrete rendervi conto della portata, del significato di questo fatto. Dio, per così dire, aveva impresso nella persona umana dei segni della sua presenza. Tuttavia Egli restava avvolto in un’oscurità impenetrabile, in un silenzio infrangibile. E l’uomo non sapeva esattamente chi era quel Dio di cui sente il bisogno più che dell’aria che respira; che cosa pensava dell’uomo; quali erano i suoi progetti al riguardo. L’uomo rimaneva uno che cercava Dio a tentoni; oppure che cercava con la magia di catturarne il favore; oppure di farne delle rappresentazioni che lo rendessero in un qualche modo presente [=idolatria].
    S. Paolo, pur avendo scritto ai fedeli cristiani di Roma che i pagani hanno in se stessi un’istruzione divina testimoniata dalla loro coscienza [cfr. Rom 2, 14-15] quando vuole descrivere la loro condizione esistenziale scrive: "senza speranza e senza Dio nel mondo" [Ef 2,12]. Eppure le città del tempo di S. Paolo erano piene di templi, ma gli uomini brancolavano nel buio, davanti ad un destino incerto. Dio non rivolgeva loro la parola.
    Dio ad un certo momento esce dal suo silenzio e comincia a rivolgere la sua parola all’uomo. Notate bene. È una parola che propone un progetto di vita nuovo: un inizio. Un progetto di vita di cui Dio stesso si assume la responsabilità ultima. La vicenda di Abramo lo documenta ampiamente: fa nascere un figlio da una donna sterile.
    Non solo, ma questa parola è certamente rivolta ad uno, ma in ordine ad un popolo: "farò di te una grande nazione". La parola, il discorso che Dio rivolge all’uomo, quindi, non dona all’uomo solo delle informazioni di cui pure l’uomo aveva bisogno, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. Oggi diremmo: il linguaggio di Dio non è mai solo informativo, ma performativo.
    In altre parole. Dentro alle vicende umane, dentro alla storia umana, accade una storia che potremmo chiamare sacra che ha come attori Dio che parla all’uomo e agisce, e la persona umana cui viene chiesto di coinvolgersi. Potremmo anche dire: è una vera rappresentazione teo-drammatica che avviene sul palco dell’universo, i cui attori sono Dio e l’uomo.
    Per lo scopo che si propone la Scuola della fede non è necessario narrare ora tutta l’azione teo-drammatica. Basta che voi abbiate chiaro che cosa significa che Dio parla all’uomo, e che cosa questo comporta per l’uomo nella ricerca di Dio. Non lo cerca più a tentoni, perché gli è data la possibilità di ascoltarlo. Un’ultima annotazione importante. Da un certo momento in poi, coloro che vivevano questa storia sacra hanno avvertito il bisogno di mettere per iscritto questa vicenda, parole e fatti. Sono nati così un insieme di libri [biblia in greco] che nel loro insieme sono giustamente chiamati sacra scrittura o Bibbia.

    2. Ma con tutto questo il discorso di Dio all’uomo che lo cerca non è concluso. Anzi, avviene qualcosa di assolutamente imprevedibile.
    L’apostolo Giovanni, nel Prologo al suo Vangelo scrive: "Dio nessuno l’ha mai visto" [Gv 1,18]. Dio certamente aveva parlato all’uomo, ma l’uomo non aveva visto il volto di Dio. Un grande amico di Dio, a cui Dio rivolgeva da amico ad amico molto spesso la sua parola, Mosè, gli disse alla fine: "mostrami la tua gloria". E non fu esaudito: "tu non potrai vedere il mio volto [cfr. Es 33, 11.18-33]. È come se Dio parlasse all’uomo, ma colle spalle voltate.
    Che cosa è accaduto, alla fine? Che Dio stesso si è svelato [ha tolto il velo], divenendo uomo senza cessare di essere Dio. Si è rivelato: "ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo" [Cost. past. Gaudium et spes; EV 1, 1386].
    L’uomo ha visto Dio stesso nella nostra umanità; Dio ci ha parlato vivendo la nostra stessa vicenda umana, fino a morire per noi per vincere la nostra paura. La ricerca dell’uomo, in fondo, ha finalmente raggiunto il suo termine; il pellegrinaggio umano ha raggiunto la sua meta; il suo andare a tentoni per trovare la luce vera, è finito. Dio che è venuto ad abitare fra noi, nell’unico modo che avrebbe dato all’uomo di incontrarlo, di ascoltarlo e di vivere con Lui: facendosi uno di noi, come uno di noi; incarnandosi, in-umanizzandosi.
    Pur consapevoli che "il mondo non basterebbe a contenere libri che si dovrebbero scrivere" [Gv 21,25] per narrare e spiegare questo evento da parte di coloro che ne furono testimoni, tuttavia sentirono il bisogno di narrare la loro esperienza anche per iscritto. Sono un insieme di 27 libri di cui i quattro evangeli sono "la perla".
    Questi 27 libri si aggiunsero agli altri già scritti di cui ho già parlato, e il tutto forma la Sacra Scrittura, o Bibbia, o Parola di Dio scritta.
    Il Dio-uomo è Gesù di Nazareth, il figlio di Maria. Dopo di Lui, Dio rientra nel silenzio. Per quale ragione? Perché ci ha già detto tutto in Gesù; non ha più nulla da dirci. Ora non ci resta, se siamo veramente cercatori di Dio, ascoltare la Parola che Dio ci ha detto, incontrarlo realmente da persona a persona incontrando Gesù.

    3. Ma ora il cercatore di Dio non può non porre una domanda decisiva: concretamente, allora, per ascoltare ciò che Dio mi dice; per incontrare Gesù, non mi resta che leggere la Bibbia? Dio in Gesù viene incontro alla mia ricerca mediante un libro? La cosa è molto importante, e vi prego di prestare molta attenzione.
    Questa domanda ha percorso questi duemila anni che ci separano da Cristo. E siccome sono state date risposte false che non hanno affatto portato ad incontrare Cristo, credo sia bene prima di tutto indicarvele così che non le seguiate. Su queste strade non incontrerete mai Gesù Cristo. Tempo e fatica persi.
    La prima strada sbagliata è la seguente. Immaginiamo che un ragazzo abbia incontrato una ragazza e comincia a nascere fra loro l’amore. Uno dei due comincia a pensare: "come faccio a sapere se mi ama o no?" E decide: "siccome mi ha scritto alcune lettere, vado ad analizzare quelle lettere e così saprò se mi ama o no".
    Che stoltezza! Si può sapere, rendersi conto di chi è una persona per te prescindendo dalla persona stessa, e studiando ciò che la persona ha detto o scritto?
    Molti hanno cercato una risposta a quella domanda facendo uno studio molto accurato di ciò che Gesù aveva detto o fatto, distinguendo le sue parole proprie dalla testimonianza di chi aveva vissuto con Lui. Lo hanno fatto attraverso una analisi molto accurata dei testi evangelici. Che cosa hanno trovato alla fine? Niente.
    All’origine di questo atteggiamento sta un errore di metodo molto grave. Perché? perché c’è un solo modo di renderti conto se la tua/il tuo ragazza/o ti ama: la sua compagnia, stare assieme. Così c’è un modo per vedere se Gesù dice il vero, se le sue promesse sono affidabili: la sua compagnia. Bisogna dunque verificare se la sua compagnia è oggi possibile.
    La seconda strada sbagliata è oggi molto battuta, anche (e soprattutto) da voi giovani. È più ingannevole, perché è più seducente.
    La domanda, vi ricordate, è: "come faccio oggi ad incontrarmi con
    Cristo ...?" La risposta è: "facendo quello che ti dice di fare (lavora per i poveri, impegnati per la pace ...); esegui con generosità ciò che ti dice di fare". Poiché, ripeto, questa risposta è molto seducente ed ha ingannato già tanti giovani, impedendo loro di incontrare Cristo, dobbiamo analizzare bene questa risposta.
    Comincio col richiamare la vostra attenzione su un episodio evangelico: l’incontro con Zaccheo. Quando avvenne l’incontro? Quando Zaccheo dice: "restituisco ...do la metà ai poveri"? No: questa decisione di Zaccheo è una conseguenza dell’incontro con Cristo. È Cristo che dice: "scendi, oggi mangio con te". Ecco l’incontro! E solo allora Zaccheo capisce che non si può stare in compagnia con Cristo e continuare a rubare, ad essere prepotenti coi più deboli, a prevaricare sugli innocenti.
    Vedete: questa seconda strada commette lo stesso errore della prima. Pensa: non c’è che un modo di essere con Cristo, quello di imitare ciò che ha fatto. Parte già dal presupposto che Egli, in persona, non possa ora affiancarsi al cammino dell’uomo. Egli – si pensa – continua ad essere presente in mezzo a noi nel senso che noi possiamo, dobbiamo "portare avanti la sua causa".
    Ma è proprio vero che questa è la sua compagnia, la modalità della sua presenza? Oppure posso vivere la stessa esperienza di Zaccheo: Cristo in persona mi invita a "stare con Lui"?
    Questa è la domanda e la risposta ha un nome: si chiama CHIESA. C’è un solo modo, un solo metodo, una sola strada per incontrare Cristo: vivere l’esperienza della Chiesa; essere nella Chiesa, perché la Chiesa è vivere con Cristo.
    Abbiamo trovato la risposta che cercavamo. Come faccio oggi ad incontrare Cristo? Esiste una comunità di uomini e donne entrando nella quale tu vivi in "compagnia con Cristo", perché questa comunità è semplicemente la compagnia di Cristo. E questa compagnia è la Chiesa; essa è la presenza di Cristo in mezzo a noi. Di Cristo, ho detto. Non solo il luogo dove rimane il suo insegnamento; dove si cerca di mantenere viva la sua memoria, e la sua "causa". No: lì c’è Lui stesso.
    E quando diciamo Chiesa, diciamo qualcosa di molto concreto e di visibile: sono uomini e donne che vivono in un certo territorio. È incontrando questa comunità che incontro Cristo; è entrando a farne parte, che mi imbatto letteralmente in Cristo . Da questo punto di vista, io oggi ho la stessa possibilità di incontrare Cristo che ebbero Zaccheo, gli Apostoli, e tanti altri di cui parlano i Vangeli.

    4. Sono sicuro che se mi avete seguito attentamente, provate in voi un qualche sconcerto, e vi siete fatti una domanda [la stessa in fondo che si fecero nei confronti di Gesù i suoi conterranei: cfr. Lc 4,22-30]: ma come è possibile che la Chiesa, cioè questa precisa comunità in questo nostro territorio, sia la presenza di Cristo, della sua persona in mezzo a noi? ma di che Chiesa stiamo parlando? Entriamo dentro a questa stupenda casa dove abita Cristo.

    4.1 Il primo aspetto di questa realtà è il seguente: la Chiesa è una comunità visibile di uomini/donne.
    È un gruppo di persone ben identificabile, ben individuabile: non si tratta di una società segreta o invisibile. L’incontro con Gesù, Signore risorto, non è un fatto esclusivamente interiore, che accade solo nell’intimo della coscienza di ciascuno. Non è un fatto individuale, anche se personale [c’è una differenza essenziale fra individuo e persona: si pensi all’esperienza umana dell’amore]. È una comunità di persone che vi si trovano con tutta la realtà della loro persona. Sentite come S. Cipriano, un vescovo martire del terzo secolo, descrive questo fatto: "Siccome Colui che abita in noi è unico, ovunque egli allaccia e lega insieme coloro che sono suoi col legame dell’unità".
    Vedete la bellezza di questa casa che è la Chiesa: la nostra individualità, la nostra "solitudine" diventa "comunione" fra persone. Anzi ciò che suscita lo stupore è immediatamente proprio questo.
    Ma ora dobbiamo fare un piccolo sforzo per penetrare più in profondità in questa prima dimensione della Chiesa. E per farlo possiamo partire, come sempre, da una esperienza umana. Che cosa è che crea una comunione profonda fra due sposi che si amano veramente? È l’appartenenza reciproca: l’uno è dell’altro. Se proviamo a riflettere, vediamo che questo significa due cose:
    io sono stato amato/a (sono stato scelto fra i molti possibili);
    io provo in questa scelta-amore un senso di sicurezza, di forza che mi sostiene.
    Ora, avete mai fatto attenzione al fatto che nella preghiera, noi, la Chiesa, chiamiamo Dio: "Padre nostro". Cioè: "Tu ci appartieni"; ed il Signore ci dice: "voi, mio popolo". Esiste una reciproca appartenenza che significa due cose: siamo stati scelti-amati (apparteniamo a Lui); e in Lui troviamo la nostra forza. Dunque: la Chiesa è la comunità visibile del Signore.

    4.2 Il secondo aspetto è quello più importante di tutti: dovete prestare molta attenzione. Non perché le cose che ora dirò sono difficili, ma perché non sono usuali.
    In che modo Cristo è presente in questa comunità di uomini e donne? In che modo noi diventiamo la comunità di Cristo, che vive con Cristo?
    A questo punto vi dovete ricordare come è nata la Chiesa. Vi ricordate che cosa è accaduto il giorno di Pentecoste? È narrato in At 2,1-13. Fino a quel momento Cristo si era presentato con la sua persona "di fronte" ai suoi amici; tra essi e Lui c’era come un fossato, una barriera. Essi non lo avevano compreso. La Pentecoste fa si che Cristo, la sua Persona, la sua vita e la sua azione redentiva, le sue parole diventino una realtà "loro".
    Vi faccio due esempi. Quante volte se uno è scosso da un dolore molto forte, a chi cerca di consolarlo dice: "tu fai presto a parlare, bisogna provare!" Sicuramente avete letto qualche poesia o opera letteraria sull’amore e magari vi siete commossi. E poi vi siete innamorati veramente: è allora che avete capito veramente che cosa è l’amore. Una cosa è capire, una cosa è sentire. Una cosa è sapere, e una cosa è sperimentare. Questo vi aiuta a capire un po’ che cosa è la Chiesa. Essa si costituisce perché lo Spirito Santo è donato dal Signore Risorto all’uomo, e l’uomo così vive l’esperienza di essere con Cristo, anzi in Cristo.
    Ma in che modo lo Spirito Santo fa accadere questo avvenimento che è la Chiesa? Fa nascere quella comunità visibile che siamo noi, che è la Chiesa? In tre modi, o meglio mediante tre vie.
    a/ La prima via è la successione apostolica. Che cosa vuol dire? Egli nella Chiesa costituisce alcuni uomini che hanno il compito di predicare la parola di Cristo, di celebrare i sacramenti, di guidare i discepoli del Signore: sono il Papa ed i vescovi. Essi fanno in un qualche modo le veci di Cristo nella sua comunità. E Cristo è talmente presente in essi che chi ascolta loro ascolta Cristo, chi disprezza loro disprezza Cristo.
    b/ La seconda via sono i Sacramenti. Cosa sono i Sacramenti? Sono azioni che Cristo stesso compie. È Lui che quando vai a confessarti, ti perdona; è Lui che unisce l’uomo e la donna in matrimonio. Ma è Lui soprattutto l’Eucarestia: quando tu celebri col sacerdote l’Eucarestia tu sei presente all’avvenimento della Croce. Veramente i venti secoli che ci separano da esso sono superati.
    Ascoltate ora quanto dice il papa S. Leone M.: "tutte le cose dunque che il Figlio di Dio fece ed insegnò per la riconciliazione del mondo, noi non lo conosciamo solamente dalla narrazione accurata di eventi passati, ma lo sperimentiamo anche nella potenza di opere presenti" [Sermone 50 (63), 6,1].
    c/ La terza via è l’azione dello Spirito Santo dentro di noi: ti fa sentire la presenza di Cristo, ti unisce a Lui; Cristo cessa di essere solo un ricordo: lo incontri realmente.
    Ma vorrei che voi non cadeste in un errore oggi non infrequente. Sentendo parlare di queste cose, non dovete pensare a chissà quale esperienza "straordinaria". No: sapete che cosa succede? Succede che la vostra vita comincia ad essere vissuta in modo nuovo: è la vostra realtà quotidiana a trasformarsi. Sei sposato? Cominci ad amare tua moglie/tuo marito con una profondità, una intensità che prima non avevi: hai ricevuto un amore "cento volte" più grande. Sei fidanzato? Cominci a vedere la tua ragazza/ragazzo con una tenerezza, con una venerazione, un rispetto che prima non sentivi. Il tuo lavoro? Non è solo "produzione" di beni; è realizzazione della tua persona. È la vita stessa di Cristo che ti pervade sempre più intimamente.

    4.3 Il terzo aspetto è il vincolo della carità. Il fatto che la Chiesa sia una compagine visibile (prima dimensione) come tale non distingue ancora la Chiesa. Il vero fatto che costituisce la Chiesa è - come abbiamo detto - che questa compagine visibile è posta in essere dallo Spirito Santo come vita con e in Cristo, e Cristo è presente in essa mediante l’apostolo, i sacramenti e l’azione dello Spirito nel cuore dei credenti. Ma questo "miracolo" prende corpo in una struttura di rapporti che qualifica quella compagine in un modo di vivere ed agire che è proprio di questa comunità: ne è come la sua "carta costituzionale". Questa struttura si chiama CARITÀ.
    Abbiamo scoperto la verità decisiva per la nostra vita: se vuoi incontrare Cristo, devi appartenere alla Chiesa. L’appartenenza alla Chiesa è necessaria perché è necessario appartenere a Cristo, se non vogliamo perdere la nostra vita.
    Avete compreso che cosa significa "appartenere alla Chiesa". Far parte mediante la fede e il battesimo di quella comunità di uomini e donne nella quale guidati dai successori degli Apostoli, partecipando ai sacramenti, siamo uniti in una comunione di persone dove "non c’è giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, più uomo né donna, poiché voi siete uno in Cristo" [Gal 3,26]. Veramente la Chiesa è il luogo in cui l’umanità ritrova se stessa.

    Concludo. Dio ci viene incontro mediante la Chiesa. Essa, fate bene attenzione, è non un ostacolo. In essa Dio in Gesù mi rivolge la sua Parola, e mi dona la sua vita! Se scomparisse la Chiesa – ma non può accadere – l’uomo sarebbe condannato a cercare Dio a tentoni.

    (26 febbraio 2013)


    4. LA RISPOSTA DELL'UOMO A DIO

    1. La risposta a Dio che ci parla; a Dio che intende vivere con noi; a Dio che ci fa una proposta di vita, è la fede. Questa sera cercheremo di rispondere a questa domanda: che cosa è la fede? Che cosa vuol dire credere?
    Parto da una metafora. L’ho già usata altre volte, ma non ne ho trovata una più adeguata. Immaginiamo che un ragazzo faccia una proposta d’amore ad una ragazza; le dica che la ama veramente, che intende condividere con lei la sua vita. Di fronte a questa proposta la ragazza può dare tre risposte: tre risposte sono possibili.
    Prima risposta: mi stai ingannando, perché conosco bene come ti sei comportato altre volte. Non mi fido.
    Seconda risposta: sei una persona onesta, affidabile, ma io per te non "sento" nulla; restiamo buoni amici, e nulla più.
    Terza risposta: ti ho ascoltato; so che sei una persona che non mi inganni: sei affidabile; consento alla tua proposta, ed iniziamo il nostro cammino.
    Provate ora a sostituire il ragazzo con Dio stesso venuto fra noi, e la ragazza con ciascuno(a) di voi, ed avremo questo risultato. La prima risposta e l’incredulità; la seconda risposta è il rispetto di chi comprende la grandezza della cosa, ma nulla più; la terza risposta è la fede. Tenendo presente questo paragone, ora possiamo cominciare a rispondere alla domanda che cosa è la fede.
    La fede è l’assenso che la persona umana dona a Dio che in Gesù le parla, nella certezza che Egli non le dice il falso e non l’inganna. Proviamo ora ad analizzare attentamente questa risposta. Prestatemi molta attenzione.

    2. La fede è prima di tutto un assenso della nostra ragione [o più concretamente: della persona mediante la sua ragione]. Che cosa significa "assentire con la nostra ragione"? Ritenere che quanto mi è detto, è vero. È vero, cioè mi sta dicendo come stanno le cose, come stanno realmente. Faccio un esempio. Dio in Gesù mi dice: "io sono morto in croce per i tuoi peccati". La fede che cosa è? Ritenere con certezza che veramente; che in realtà Gesù è morto in croce per i miei peccati; che le cose stanno proprio così.
    Dal fatto che la fede sia un assenso derivano due conseguenze.
    La prima. L’assenso della fede è assolutamente certo. Parlare di una fede dubbia è parlare di un circolo quadrato. O non sono dubbi, ma solo difficoltà che uno incontra nel dare il proprio assenso, e mille difficoltà non fanno un dubbio. Oppure la persona non è ancora giunta alla fede: non è credente.
    La seconda, poiché la fede è un assenso, essa ha dei contenuti, precisamente ciò che Dio in Gesù mi dice. Se fate attenzione quando voi avete una convinzione, voi la esprimete con una proposizione: "io sono convinto che…; io penso che…". Una fede priva di contenuti non esiste neppure. Se Dio mi parla, è perché mi vuole dire qualcosa. Una fede o è istruita circa i propri contenuti o non è neppure fede.
    Ma procediamo nella nostra analisi. Se voi assentite a ciò che una persona vi dice, lo fate o perché avete personalmente verificato che vi dice il vero o perché, pur non avendo possibilità di verificarlo personalmente, vi fidate di chi ve lo dice. Subito dopo il terremoto - faccio un esempio – vennero chiuse molte case perché giudicate pericolanti. Ora molte di esse sono state dichiarate abitabili e i proprietari vi sono rientrati. Forse erano tutti ingegneri? No, ma si sono fidati dell’onestà e della competenza delle persone che hanno fatto le verifiche.
    Ciò che Dio in Gesù mi dice non è, non può essere verificato, poiché mi comunica una verità che supera infinitamente le mie capacità intellettive. Perché allora una persona assentisce, e dice: "tutto ciò che mi dici è vero"? Perché "si fida del Dio di Gesù Cristo; ha fiducia che Lui non la inganna, e quindi la libertà sceglie di assentire.
    C’è anche un altro fatto da considerare [ricordate il paragone inziale]. Il contenuto centrale di tutto quanto Dio ci ha detto è il seguente: "io ti amo di un amore eterno". La certezza di essere amato da un’altra persona è sempre un atto di fiducia.
    Vi ricordate che cosa dice Pietro a Gesù, dopo che Questi aveva fatto un discorso così incredibile che tutti lo abbandonarono? "Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" [Gv 6,67]. Pietro non aveva capito più degli altri. Però aveva "creduto", cioè si era affidato a Gesù: "che io capisca o non, Lui mi dice parole che mi danno la vita".
    La fede dunque è una scelta della libertà che decide di fare affidamento della persona di Gesù, fino al punto di ritenere veri anche discorsi inverificabili. Fate bene attenzione che Gesù fa proposte di vita che solo se ti fidi pienamente di Lui, puoi farle tue. Da questo punto si può anche dire che la fede è un atto di obbedienza, e parlare dell’obbedienza della fede.
    Dunque siamo arrivati a due momenti della nostra risposta. (A) La fede è un assenso della nostra ragione; (B) la fede è una scelta-decisione della nostra libertà.
    Ora ci resta da scrutare la dimensione più profonda della fede. Ricordate la seconda risposta data dalla ragazza: "… non sento nulla nei tuoi confronti". Domandiamoci che cosa spinge una persona a decidersi di dare fiducia a Gesù e a ciò che Lui dice? Ricordate la risposta di Pietro: "da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna". Cioè: "abbiamo ascoltato tante parole dette da altri, però solo le tue parole hanno in se stesse "qualcosa" di diverso ["tu solo"], di così attraente che non possiamo andare da altri". La persona è interiormente attratta, attirata verso Gesù e quindi verso ciò che dice. È un’attrazione che spesso viene suscitata da persone incontrate, da un colloquio avuto: da qualcuno/qualcosa di esterno. Ma soprattutto è interiore: muove la persona verso Gesù.
    Questa attrazione interna è l’effetto di un intervento di Dio-Padre stesso che attira la persona a Gesù. Senza questa attrazione, la persona può conoscere ciò che insegna la fede cristiana; leggere attentamente i vangeli, ma non giungerebbe mai alla fede.
    Abbiamo così il terzo e più importante elemento delle definizione della fede: la fede è un dono di Dio; è frutto della grazia [attrazione] interiore che Dio esercita nell’intimo della persona.
    Ultima dimensione dell’atto di fede. Fino ad ora ho parlato della fede come atto della persona. Ma ogni singola persona riceva la parola di Dio dalla Chiesa, come abbiamo visto nella scorsa lezione, e la Chiesa a sua volta ha in sé la parola di Dio perché ha creduto e crede: la fede del Papa e dei vescovi; la fede dei martiri e dei santi; la fede dei grandi teologi; la fede dei nostri genitori; la fede dei fedeli. Insomma: la fede della Chiesa precede la fede di ciascuno.
    Non solo, ma la nostra fede ci viene comunicata attraverso la Chiesa: è la fede della Chiesa. Non esiste la fede di Pietro, Paolo, Maria … che mettendosi assieme fanno la fede della Chiesa. La fede della Chiesa precede, genera, e nutre la fede della singola persona. Per cui non diciamo solo: io credo; ma anche: noi crediamo.
    Ho terminato la risposta alla domanda: che cosa è la fede? È l’assenso che la persona dà liberamente con assoluta certezza alla parola di Dio in Gesù trasmessa dalla Chiesa, attratta dalla grazia del Padre. Togliete anche un solo elemento di questa definizione, e non avrete più la fede.

    3. Per concludere mi fermo brevemente su un punto importante. La fede rende inutile la ragione? La fede può convivere colla ragione? Credendo, si rinuncia all’uso della ragione? Assolutamente no.
    La fede ha bisogno della ragione per almeno tre motivi. (A) La ragione deve ritenere credibile che Dio ha parlato. Il fatto cioè della parola o rivelazione di Dio deve poter essere ragionevolmente verificato. In altre parole: discernere la vera parola o rivelazione di Dio dalle sedicenti tali, è un compito preliminare della ragione. È essa che individua i segni della vera Rivelazione. (B) La fede desidera conoscere la persona in cui crede, il senso delle sue parole. Orbene l’uomo possiede un solo strumento di conoscenza: la sua ragione. (C) Chi non crede può chiedere a chi crede ragione della nostra fede, o muovere difficoltà contro essa. Con queste persone è necessario ragionare circa la nostra fede.
    Ma anche la ragione ha bisogno della fede. La nostra ragione è capace di porre delle domande, alle quali non è capace di rispondere. "L’ultimo atto della ragione è di riconoscere che ci sono molte cose che non è in grado di conoscere" [B. Pascal]. È la fede che ci dona queste verità di cui abbiamo immenso bisogno.
    Concludo. Se mi avete seguito, non fate fatica a comprendere l’importanza della fede nella vita cristiana.
    Essa è il fondamento della vita cristiana, ed il suo principio. È come la porta: è attraverso essa che entri nel cristianesimo.
    La fede è la radice della vita cristiana: ciò che la nutre. Senza fede, la Scrittura diventa un libro come tutti gli altri; i Sacramenti, atti magici o riti consuetudinari; l’esercizio della carità, mera assistenza sociale; la Chiesa, una società umana come le altre. Insomma: senza la fede il cristianesimo muore, perché la sua proposta diventa vacua e vana.

    (5 marzo 2013)


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