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    Lectio divina ai giovani della Diocesi di Modena

    sulla parabola del buon Samaritano (Lc 10, 25-37)

    Renato Corti


    Questo incontro è stato preceduto da quello nel quale siete stati illuminati e stimolati da significative testimonianze presentate da alcuni disabili. Sarà seguito da un incontro nel quale la chiamata ad essere il prossimo di ogni uomo diventerà esame di coscienza e richiesta di perdono a Dio nel sacramento della riconciliazione.
    Oggi ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio e precisamente di una pagina evangelica nella quale esplicitamente si parla dell’ “altro” e si chiarisce, da parte di Gesù, la domanda: “Chi è il mio prossimo?”.

    ***
    C’è una coincidenza che vorrei non vi sfuggisse: proprio oggi si celebra la “Giornata mondiale dei diritti umani” e ci viene ricordato che, nel mondo, alcuni diritti umani “di base” sono ancora un sogno, non una realtà. Così è per il cibo, l’acqua, la salute, l’igiene, l’istruzione, la maternità, la stessa vita, la libertà politica, la libertà religiosa. Questi capitoli indicano quanta strada debba ancora essere compiuta perché l’uomo sia riconosciuto per la sua dignità e perchè le risorse vengano utilizzate non contro l’uomo (per esempio, con le guerre e il commercio delle armi che le rende possibili e terribili), ma per l’istruzione, la sanità, l’agricoltura, eccetera. Il Vangelo chiede ai cristiani di essere in prima linea in questa difesa dell’uomo. Giovanni Paolo II non ha esitato a scrivere nell’Enc. “Redemptor hominis”, che, “l’uomo è la prima e fondamentale via della Chiesa” (n. 10).

    ***
    Vorrei fare riferimento anche a un’altra circostanza. Nelle scorse settimane è morto un noto sociologo austriaco che ha vissuto questi ultimi decenni soprattutto in Messico. Si chiamava Ivan Illich I suoi scritti, sempre provocatori, hanno suscitato molte obiezioni e polemiche. Egli intendeva indagare sulle radici profonde del male della nostra società. E affermava che vanno riconosciute nel fatto che le persone vengono ridotte a pazienti, a clienti, a dipendenti. Vedeva in questo fenomeno la perversione della proposta del Vangelo a vivere la prossimità. Vi vedeva anche la dimenticanza dell’arte evangelica di ospitare, di soccorrere il prossimo, di educare. Tutto – scriveva – si è irrigidito quando la chiamata di ciascuno di noi a vivere la relazione fraterna (che diventa concretezza dell’amore) e la relazione educativa (che diventa luogo di crescita reale delle nuove generazioni verso una pienezza di umanità) è stata dimenticata in un processo di istituzionalizzazione che obbedisce a logiche diverse rispetto a quella che dà il primato alla persona.
    Senza volere generalizzare, e non dimenticando di riconoscere doverosamente il bene che a livello istituzionale si può e si deve compiere, il suo richiamo all’umanità e ai rischi della disumanità nella nostra società merita attenzione e anche il coraggio di una revisione dei diversi capitoli di vita della nostra convivenza civile.

    ***
    Ma vengo ora alla pagina evangelica. Vi farò una sintetica “lectio”. La lascerà esprimere al card. Martini. Vorrei poi farla commentare (“meditatio”) ad alcune persone che l’hanno vissuta in maniera esemplare. Saremo così istruiti da alcuni veri discepoli di Gesù su come intendere e praticare il suo Vangelo.

    1. LA PARABOLA DEL BUON SAMARITANO

    Eccone il testo: “Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: ‘Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?’. Gesù gli disse: ‘Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?’. Costui rispose: ‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza' e con tutta la tua mente e 'il prossimo tuo come te stesso’. E Gesù: ‘Hai risposto bene; fa' questo e vivrai’. Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: ‘E chi è il mio prossimo?’. Gesù riprese: ‘Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: ‘Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno’. ‘Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?’. Quegli rispose: ‘Chi ha avuto compassione di lui’. Gesù gli disse: ‘Va' e anche tu fa' lo stesso’" (Lc 10,25-37).
    Si possono distinguere quattro momenti.

    a) “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico”: i briganti
    “Il primo momento è come un’introduzione scenica. In alto sta Gerusalemme con le sue mura sicure, le case accoglienti, il tempio di Dio che offre bellezza e protezione. Mille metri più in basso, Gerico, la città delle palme, che si stende non lontano dal Mar Morto a 300 metri sotto il livello del mare. Tra le due città una zona aspra e desertica, con una strada piena di imprevisti e di pericoli. Un uomo, che scende da Gerusalemme a Gerico, incontra dei briganti che gli portano via tutto, lo bastonano e lo lasciano mezzo morto” (Carlo M. Martini, Lett. Past. “Farsi prossimo”, n. 2).

    b) “Passò oltre dall’altra parte”: la durezza di cuore
    “Il secondo momento della parabola ci presenta il penoso spettacolo della durezza del cuore. Un sacerdote e un levita, che percorrono quella strada, passano oltre, senza prestare soccorso” (id).
    La loro durezza è l’immagine della nostra. I bisogni dei fratelli ci mettono in difficoltà. Rimaniamo chiusi in noi stessi e scarichiamo sugli altri le responsabilità. I rapporti sociali che ci legano ai nostri simili, senza la scintilla della carità, restano inerti. Dovremmo riflettere, in modo particolare, se anche noi non “passiamo oltre” per la fretta, la superficialità, la paura di coinvolgere la nostra persona, e per gli alibi che vengono suggeriti proprio dalla superficialità e dalla paura.

    c) “Lo vide e ne ebbe compassione”: toccato nel cuore
    “Il terzo momento è il cuore di tutta la narrazione. Consta di una sola parola greca che significa: fu mosso a compassione. Essa designa l’intensa commozione e pietà da cui fu afferrato un samaritano, che passava per quella strada. Non pensiamo soltanto a un risveglio di buoni sentimenti. Poche pagine prima (Cfr Lc 7,13), la stessa parola è usata per descrivere la compassione di Gesù davanti al funerale del figlio della vedova di Nain. In altri passi della Bibbia questa parola allude all’immensa tenerezza che Dio prova per ogni uomo. Dobbiamo pensare che con questa parola il racconto evangelico voglia descrivere un evento misterioso che è accaduto nel cuore del samaritano e lo ha, per così dire, attratto nello stesso movimento di misericordia con cui Dio ama gli uomini” (id).
    “Quando questo avviene e noi ci lasciamo affascinare dal dinamismo della prossimità, siamo condotti a considerare e a comprendere più a fondo la nostra vita e quella degli altri. Siamo infatti condotti a chiederci: “Perché agisco così?. Fin dove posso e devo spingermi nel gesto di carità? Chi sono io che agisco in questo modo? Chi è il fratello a cui mi dedico? Qual è la sua più profonda dignità? Qual è il vero bene che gli debbo volere? La particolare prossimità interpersonale, a cui tende il gesto della carità, invita a porre le domande sul valore della persona umana” (id, n. 10).

    d) “Si prese cura di lui”: la carità premurosa
    “Il quarto momento è una conclusione movimentata, tutta premura ed azione; il samaritano si avvicina allo sfortunato, si fa prossimo, versa vino e olio sulle ferite, le fascia; carica lo sconosciuto, fatto diventare prossimo, sul proprio asino e lo porta alla locanda; sborsa due monete d’argento per le cure che saranno necessarie. La cosa più bella è che non lo abbandona al suo destino. Sa che può aver bisogno di tante altre cose; allora dice al padrone della locanda: ‘Abbi cura di lui e, anche se spenderai di più, pagherò io quando ritorno” (id, n. 2).
    “Questi gesti sono molto semplici e umili. Sappiamo che la carità è più grande di loro. Eppure in essi si esprime concretamente la carità. Sono un segno, una testimonianza sempre superabile, ma sempre urgente” (id, n. 16).

    2. TESTIMONIANZE DI CRISTIANI CHE HANNO MESSO IN PRATICA LA PARABOLA

    Le maniere di vivere il comando di Gesù a diventare il prossimo del nostro fratello sono molte. Ciascuno di noi ha la sua strada da seguire per tradurre il Vangelo in vita vissuta. La storia della santità cristiana ci permette di cogliere questa varietà delle forme della carità. Vi porto alcuni esempi.

    a) Il Cottolengo e gli ultimi
    Comincio da un grande santo della carità. È del XIX secolo, ma l’impulso da lui dato dura ancora. È il Cottolengo. Era un prete di Torino. Fu marcato per sempre dall’esperienza vissuta un giorno del 1827.
    Giunge da Milano una carrozza che trasportava una giovane donna con il marito e cinque figli. La donna, palesemente incinta, è febbricitante. Il viaggio la sta conducendo in Francia. Lei si chiama Maria Gonnet. La carrozza giunge all’ospedale San Giovanni. Qui dicono che la donna non può essere accolta a causa della gravidanza avanzata. Il regolamento vieta il ricovero di donne prossimo al parto. La inviano all’ospedale San Michele che è l’ospizio di maternità. Ma nemmeno qui l’accolgono, visto che ha la febbre ed il regolamento vieta l’accesso a partorienti affette da malattie. Viene allora portata in un lurido dormitorio per gli infermi abbandonati che le guardie comunali raccolgono lungo le strade. La donna peggiora rapidamente. Chiamano il sacerdote e giunge il can. Giuseppe Cottolengo. Quando arriverà anche il medico, la donna sarà già morta. Con lei muore anche il nascituro che il medico estrae dal grembo. È una bambina che morirà qualche minuto dopo. Il Cottolengo la battezza.

    ***
    L’esperienza di quel giorno cambia questo prete. Lo cambia la donna che muore perché respinta da tutti. Lo cambia il pianto disperato di cinque bambini. Lo cambia il marito di quella donna, che maledice la città che non ha fatto nulla per salvargli la sposa.
    Il Cottolengo si domanda come predicare il Vangelo e, dinanzi a infamie come questa, come parlare di Dio padre ai miserabili che muoiono come cani. E così, proprio dal fatto di sentirsi toccato profondamente nel cuore, è sospinto a fare qualcosa. Nasce così un’opera: quella che noi oggi siamo soliti chiamare “il Cottolengo”, ma che egli indicò come “Piccola Casa della Divina Provvidenza”. Quando l’attività di quella Casa ebbe inizio, il Cottolengo prese un martello e inchiodò sulla rustica porta di ingresso un pezzo di cartone. Con calligrafia pesante e chiara vi scrisse sopra: “Caritas Christi urget nos”. Per entrare in quella casa bastava essere poveri o malati. È così anche oggi (Cfr Domenico Carena, “Il Cottolengo e gli altri”, pag. 7-9; 121).

    ***
    Sono tanti i giovani che, in questi anni, hanno fatto settimane di permanenza al Cottolengo. Molti di loro, alla fine, potevano dire: “Caritas Christi urget nos”, unendosi così a un “buon samaritano” del secolo XIXI.
    Mi rivolgo a ciascuno di voi giovani e vi dico: al Cottolengo, come in altri luoghi, anche molto vicini a voi, potete fare la stessa esperienza di vicinanza agli ultimi. Ve n’è grande urgenza.

    b) Bartolomeo De Las Casas e la carità politica
    Voglio ricordare anche un altro samaritano. All’inizio dello scorso ottobre è stata aperta, in Messico, la causa di beatificazione di un Vescovo del XVI secolo. Si chiamava Bartolomeo De Las Casas, celebre difensore degli Indios delle Americhe. Egli visse la prossimità levando coraggiosamente la voce per denunciare le violenze e gli abusi dei conquistadores spagnoli. Questa scelta magnanima gli creò molti nemici, anche nelle file cristiane, e soprattutto da parte di coloro che praticavano la schiavitù.
    Fu una voce profetica. Grazia alle sue circostanziate narrazioni, intrise di raccapriccio per le ingiustizie perpetrate, Carlo V emanò le “Nuevas Leyes” che, riconoscendo i fondamentali diritti degli indigeni, si rivelarono un’autentica benedizione per le popolazioni autoctone delle Filippine, quando gli spagnoli vi misero piede. Là, infatti, l’abolizione della schiavitù venne sancita nel 1585, tre secoli prima di quel che accadrà altrove, nel mondo (Cfr G. Fazzini, “Il difensore degli indigeni”, in “Avvenire”, 3 ottobre 2002).

    ***
    Questa testimonianza apre a voi giovani l’orizzonte su una modalità sociale e politica di vivere la prossimità. Dovete farvi carico dei popoli del mondo e lavorare per la giustizia, la pace, il riconoscimento di tutti i popoli, l’accoglienza vicendevole. Anche così si vive la parabola del buon Samaritano. Si tratta, ancora una volta, di una grande urgenza.

    c) San Francesco: avere sugli altri lo sguardo di Gesù crocifisso
    Facciamo ancora un passo indietro nel tempo. A proposito della prossimità ha qualcosa da dirci San Francesco. In lui è particolarmente prezioso scoprire come e quando Dio gli ha cambiato il cuore, facendolo diventare tutto amore.
    Aveva 23 anni. Già si era convertito. Si era messo addosso un abito da eremita e andava a piedi scalzi. Amava pregare in solitudine. Scendendo da Assisi incontrava una chiesetta che si chiamava San Damiano. Là sostava pregando seduto o in ginocchio sul pavimento. Sopra l’altare, sospeso nell’arco gotico, stava uno stupendo Crocifisso di legno di stile bizantino. Lo sguardo di Gesù veniva fuori da due occhi straordinariamente umili e dolci. Un giorno – racconta Carlo Carretto – ebbe l’impressione che il Crocifisso muovesse le labbra e nello stesso tempo sentì una voce: “Francesco, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”. Si sentì invaso da un’infinita dolcezza e si avvicinò per baciare il Crocifisso. Salì sull’altare per abbracciare Gesù, per baciare le ferite delle mani, dei piedi, del costato. Venne folgorato dal mistero dell’Incarnazione di Cristo. L’idea dell’Incarnazione di Dio diveniva in lui l’unica risposta a tutti i “perché” che si era posto fino ad allora nella sua vita. La croce di Gesù, che esprimeva in pienezza la condivisione della vita dell’uomo da parte di Dio, diventava la felicità dell’uomo, la risposta di amore a tutti i “perché” (Cfr Carlo Carretto, “Io, Francesco”, pag. 40-44).

    ***
    Dio che si fa prossimo dell’uomo ha reso Francesco prossimo di tutti. La scuola alla quale ha appreso questa sapienza è stata il Crocifisso. Gli occhi di Gesù Crocifisso su di lui sono diventati gli occhi con cui, da lì in avanti, egli avrebbe guardato gli altri.
    È a questa scuola che dobbiamo andare anche noi. La strada da Gerusalemme a Gerico è quella che ha condotto il Figlio di Dio a compiere quel viaggio con il quale, dalla gloria del Padre, è disceso per piantare la sua tenda fra noi. È lui il vero e supremo samaritano.

    d) Jaques Loew e la ferita nel cuore
    Vengo ai tempi nostri. Vi voglio portare ancora una testimonianza: è quella di Jaques Loew, figura tra le più significative della Chiesa francese nella seconda metà del XX secolo. Quando ha compiuto i 75 anni ha scritto un libro nel quale racconta la sua storia personale. Dice di aver vissuto 50 anni di felicità. Facendo i conti, ha cominciato ad essere veramente felice a 25 anni. Fu allora che, da ateo qual era, ha scoperto Dio; o meglio, come egli stesso mette in evidenza, è stato trovato da Dio (così come tanti secoli prima era stato trovato Agostino). I maestri della sua adolescenza erano stati dei non credenti, come Anatole France e G. de Maupassant. A quella scuola si era imbevuto di scetticismo e riteneva importante soprattutto cercare il piacere dei sensi.
    La scoperta di Dio lo ha reso consapevole di una spaventosa miseria, anzi della più spaventosa fra tutte, quella dell’assenza e dell’ignoranza di Dio. Vivere senza Dio era camminare nelle tenebre e nell’ombra di morte. Questa percezione è diventata come una ferita nel suo cuore e non si è rimarginata più. Lo ha condotto, mentre era religioso domenicano, a diventare prete operaio nel porto di Marsiglia, a stare in compagnia di lavoratori che, anche per la durezza della condizione quotidiana e per la propaganda marxista che investiva la classe operaia, potevano essere sospinti a relegare Dio nel magazzino degli accessori, se non a ritenerlo addirittura nemico dell’uomo.
    Jaques Loew si è dunque fatto prossimo due volte: stando concretamente vicino ai poveri e avendo in cuore la passione della fede, vera risposta all’ateismo e all’indifferenza religiosa. Viveva questa esperienza persuaso, nel medesimo tempo, che ateismo e indifferenza non sono, di fronte all’amore di Dio per l’uomo, che una goccia davanti al calore del sole. E così egli ha voluto confondersi con la folla per dire senza soste, con la sua vita e le sue parole, il nome e la realtà e la bontà di Colui che solo è essenziale per la vita dell’uomo: Dio.

    ***
    Anche questa è una maniera di essere samaritani: andare incontro alla più grande povertà, che è quella dello spirito, per svelare e donare la più grande fra tutte le ricchezze: Dio.
    Ancora oggi ci sono dei giovani che hanno questa ferita nel cuore. Da essa sono condotti a diventare apostoli del Signore. Può essere anche la vocazione e l’esperienza di alcuni tra voi. Non temetela. Anzi, siatene infinitamente grati a Dio: a lui che, per la fede, è diventato la gioia del vostro cuore (Cfr Jaques Loew, “Comme s’il voyait l’Invisible”, pag. 35-42; id., “Dio incontro all’uomo”, pag. 18-19).

    Conclusione

    Charles de Foucauld diceva che “i santi sono la vera esegesi del Vangelo”. È per questo che ho voluto approfondire con voi una pagina evangelica attraverso alcune grandi figure cristiane. Le loro testimonianze ci hanno permesso di comprendere come la stessa pagina evangelica possa aprire una varietà di sentieri per la sua incarnazione nella vita personale e nella storia dell’umanità.
    Vi suggerisco, infine, qualche invocazione da esprimere a Gesù nel silenzio della preghiera (“contemplatio”).
    Signore, tocca il mio cuore, come avvenne al Samaritano.
    Fammi comprendere, pensando anche ai testimoni presentati stasera, qual è la mia maniera privilegiata di essere prossimo dei miei fratelli.
    Dammi grazia per vincere gli ostacoli che, dentro di me e fuori di me, sospingono nella direzione opposta a quella che tu mi indichi.
    Fa’ che io contempli sempre il tuo volto, soprattutto il tuo volto di Figlio di Dio crocifisso per amore, perché il tuo amore diventi il mio e gli altri, incontrando me, avvertano che tu sei vicino a loro.

    (10 dicembre 2002)


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