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    Vita religiosa

    in Italia

    Un progetto per il futuro

    Alberto Lorenzelli


    Premessa: Un cammino di cinquant’anni

    Non è senza intima soddisfazione – e sono certo d’interpretare i sentimenti di tutti voi – che il traguardo della 50a Assemblea della CISM (Milano-Segrate 02-06.11.2010) ha ricevuto nei contenuti e nella sua proiezione programmatico-organizzativa una degna cornice celebrativa. Anzitutto è stata l’occasione per un pensare in positivo i temi e problemi di “casa nostra”, cioè della Conferenza e della Vita religiosa, con lucidità, senza rimpianti, con lungimiranza, senza illusioni. Si può dire che per la nostra Conferenza, nel lungo periodo, sia stato un crescendo di una propria coscienza ecclesiale: dai timidi inizi, alla consapevolezza di non essere un ente inutile – come qualcuno pensa – ma realtà che ha prefigurato, accompagnato, provocato la coscienza ecclesiale della Vita Religiosa in Italia. Non smarriamo questo patrimonio di esperienze e di confronto tra di noi e nelle nostre Chiese: una eventuale debolezza della Conferenza altro non sarebbe se non spia di scarsa rilevanza della stessa Vita Religiosa nella Chiesa in Italia.
    Cinquant’anni di Assemblee hanno, infatti, offerto la possibilità di uscire dal proprio recinto, ovvero di superare l’autorefenzialità della Vita Religiosa – tentazione da cui non si è immunizzata del tutto – per un pensare di Chiesa, con la Chiesa e nella Chiesa. In questa prospettiva la CISM non ha mai fatto mancare la sua presenza negli organismi ecclesiali, si è fatta promotrice di incontri e di confronti, ha offerto la sua disponibilità quando richiesta. In altre parole si è dimostrata convinta assertrice di una strategia del dialogo, anche quando si trovavano con difficoltà gli interlocutori. Si è assistito a stagioni alterne: di prossimità cordiale a situazioni di una certa distanza. Da parte nostra non è venuta meno e non verrà meno la volontà di proseguire nella direzione di una collaborazione e di un leale confronto con tutti gli organismi ecclesiali.
    Cinquant’anni sono stati anche un cammino di autocoscienza della Vita Religiosa in Italia? Non intendo affrettare risposte. Tuttavia fr. Enzo Bianchi ha dato una indiretta risposta, a mio avviso, convincente: “Va riconosciuto che la vita religiosa maschile e femminile ha partecipato, fornendo un contribuito decisivo, all’aggiornamento della vita della chiesa voluto dal Vaticano II: anche i religiosi sono stati protagonisti laboriosi e impazienti nell’attuazione dello spirito e della lettera del Concilio, partecipando alla vita delle chiese in cui erano presenti ed operavano. Chi può negare o minimizzare il loro contributo per la riforma liturgica, per l’affermazione della centralità della parola di Dio nella vita ecclesiale, per l’instaurazione del dialogo quale modo di conversazione con le altre confessioni cristiane, con le altre religioni, con gli uomini non credenti? In Italia i religiosi, spesso nel nascondimento e nel silenzio, hanno lavorato per la riforma conciliare impegnandosi sia come Congregazioni sia personalmente in modi differenti ma determinanti accanto alle altre componenti ecclesiali. Essi non hanno mai manifestato – fatta eccezione per rari casi personali – rifiuto, contraddizione o disinteresse per quel faticoso esodo che la chiesa aveva intrapreso”.
    Infine, prendo spunto dal versetto di At 2,47 - “Lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo”. Credo che possiamo asserire – pur nella consapevolezza di limiti anche in alcuni casi vistosi – che la Vita Religiosa in Italia ha ancora la fiducia della gente e delle nostre diocesi. Luca ricorre a chárin (complemento oggetto) la cui polisemia nel NT è di tale ampiezza che non è qui né la sede né l’evento per parlarne. Cháris: favore, benevolenza, simpatia, accoglienza e soprattutto GRAZIA. Quindi il favore di cui parla Luca non è solo simpatia – ancorché opportuna – ma un favore ottenuto grazie all’essere segno di una Grazia, cioè della grazia di vocazione di consacrati, vocazione custodita dalla Fedeltà di Dio anche attraverso la nostra fragile e precaria fedeltà. In altri termini vorremmo prioritariamente rafforzare il senso di fiducia nei nostri confronti, capitale che non possiamo per sprovvedutezza o magari colpevolezza disperdere o svalutare: dalla scuola alla parrocchia, dal confessionale all’ospedale, dalla predicazione alla direzione spirituale, dai molti volti della nostra carità, alla credibilità della nostra testimonianza nella Chiesa e nel territorio. In sintesi: recuperiamo in fiducia, investiremo in credibilità!

    Per un progetto di futuro

    Come di consuetudine offro, ora, una percorso di condivisione circa le riflessioni proposte in questa 50° Assemblea. Non temo smentite: l’autorevolezza dei Relatori, le provocazioni anche originali a noi pervenute sono spia di una offerta di qualità. Non abbiamo la pretesa di accontentare tutti: ci proviamo! Credo che i risultati si commentino da sé. Sintesi nella prospettiva della speranza, la vera chiave di lettura di un futuro consegnato al provvidente disegno di Dio e anche alle nostre inderogabile responsabilità di fronte alla Chiesa e alla società civile.
    “La vita religiosa si trova oggi in una crisi che va letta come esodo, dunque come un’ora pasquale in cui qualcosa muore ma qualcosa anche rinasce. Si faccia però attenzione: questa non è una crisi nel senso di una decadenza morale (ipocrisia che invece in altri secoli segnava realmente la vita religiosa!), ma è una thlipsis, una tribolazione in cui si vive una diminutio che a volte deve essere affrontata come ars moriendi; in cui si vive una precarietà che riguarda la presenza e la testimonianza; in cui si vive un’infirmitas, una debolezza soprattutto al futuro che avanza impetuosamente” (3). La posizione di fr. E. Bianchi, credo si possa largamente condividere. Lo stesso fr. Gianni Dal Piaz insisteva che si sta indubbiamente chiudendo un “ciclo di vita” delle istituzioni di Vita Religiosa, ma questo non significa tout court la “fine della Vita Religiosa”. In un Occidente allo sbando – il prof. P. Sequeri non è stato tenero al proposito – è ovvio il disorientamento che subisce la stessa Vita Religiosa. Disorientamento che lascia strascichi apparentemente interminabili…il passare attraverso la “tribolazione” non esime dalla responsabilità come credenti e come religiosi di non venir meno ad un esercizio della speranza.
    Mi è piaciuto il riferimento alla testimonianza del giornalista RAI, Paolo Giuntella, che qui ripropongo per lo spessore di una convinzione che non può lasciarci indifferenti: “Come si fa ad aver speranza in tempi come questi? Questo non è tempo di progetti”. E’ vero. Ma io non credo all’eclissi della speranza. La non speranza è il non-cristianesimo. La speranza cristiana non coincide con la conversione del mondo e il trionfo del bene sul male sulla terra, ma è il fondamento escatologico senza il quale non esiste né esperienza di fede, né trascendenza. […] Per i cristiani la concezione non sdolcinata della speranza è la tensione escatologica che ridimensiona ogni illusione e ogni progetto umano. La croce è il segno eterno che il Dio della nostra fede non è il Dio del dominio, ma il Dio Amore dell’apparente sconfitta nella storia, il Dio crocifisso. Non dobbiamo aver paura della depressione. Se non attraversassimo momenti cupi saremmo perfetti, cioè non saremmo umani”.
    La coscienza della nostra finitudine non sminuisce, anzi deve rafforzare gli sforzi per una Vita Religiosa che vuol essere semplicemente significativa. Riprendo la testimonianza di quello spirito vivace del P. Felice Scalia s.j...: “Noi, Chiesa e società, avremo sempre bisogno di chi ce lo ricordi questo Gesù Cristo e ce lo renda visibile agli occhi e rassicurante al cuore. Per questo avremo sempre bisogno di consacrati. Con saio o con qualche piccolo segno distintivo, uscendo da piccoli appartamenti urbani, da case comuni di un paesino, i nuovi religiosi passeranno per le nostre strade e rappresenteranno agli occhi di tutti, anche di islamici e animisti, l’umanità pulita, onesta, ricca di amore e accoglienza, credenti pieni di fede, forti e teneri, fedeli a Dio e a ogni uomo, cittadini caparbi di questa storia, e segni di una vita ‘altra’, eterna, che, cominciando oggi, è custodita dal Padre nell’eternità. E faranno ricordare l’Uomo di Nazaret, il Figlio di Dio, così ‘imperdonabile’ da essere assassinato dagli uomini, ma così decisivo per la nostra salvezza da essere risuscitato dal Padre”.
    Se la Chiesa avrà ancora bisogna di consacrati, il bisogno non dovrebbe nascere da necessità meramente funzionali all’efficacia di una interazione ecclesiale. Il bisogno vero risponde ad una domanda urgente:” In verità la domanda vera – ha affermato E. Bianchi – è una sola: la vita religiosa è esegesi vivente della vita di Gesù, del Vangelo? Se è tale, essa è anche profetica, cioè munita di una parola di Dio da comunicare alla chiesa e agli uomini. Ecco ciò che la vita religiosa deve essere, altrimenti è davvero sale che ha perso il sapore” (cf. Mt 5,13). In questo prospettiva il Priore di Bose ha rimarcato una sua convinzione di sempre: la vita religiosa deve essere un cammino di conversione, cioè una dinamica di ritorno incessante al Signore, un andare avanti sulle tracce di Cristo, senza guardare indietro e senza sentirsi arrivati” (18).
    Non ci sentiremo certo degli arrivati quando si tratta di avvicinarci sempre più al principio di Dio, che è la sorgente di ogni vera novità [1]. Come ho sottolineato nel mio intervento. Nel principio della nostra vocazione c’è la chiave per comprendere il senso di quello che viviamo oggi. Questo principio essendo divino ci è contemporaneo ed è presente in quello in cui vivo adesso, in questo luogo, in questo momento, qui e ora. Il valore del momento presente è dato dal fatto che Dio è presente a noi: saper reinterpretare la nostra storia così come essa è stata ordinata in principio da Dio, e da Dio anche ora continua a essere da Lui ordinata, a vantaggio dell’intera umanità e di tutta la chiesa. Secondo P. F. Rossi de Gasperis diventare profetici come Gesù, come i profeti e come i santi, significa “esser capaci di discernere se e quando una cosa era così fin dal principio” [2]. Questo fa la vera differenza della Vita Religiosa. Con accenti appassionati fr. Enzo Bianchi recupera la categoria della differenza in prospettiva evangelica, non certa settaria o di autocompiacimento. “La categoria della differenza o della distanza […] è quella che permette di discernere il cammino di conversione che la vita religiosa attua o non attua. L’esigenza della dinamica della conversione non va presa come ‘pia esortazione’, ma è invece ciò cui sta o cade la necessità della vita religiosa” (19).
    Non so se in linea o meno con il pensiero del priore di Bose, l’acuta reazione del prof. Pierangelo Sequeri, che ha riscontrato un largo e solidale apprezzamento, ricolloca la “necessità” della Vita Religiosa nella categoria della “stato di eccezione”: Lo “stato di eccezione” fa parte del “segno di stato” che caratterizza la vita consacrata. Non bisogna scavalcare questo tratto con troppa rapidità. Peggio poi, convertirlo magicamente e irresponsabilmente in un umanesimo alternativo e migliore. L’eccezione riguarda i comandamenti della creazione: va ricevuta da Dio, non calcolata come scelta più razionale. Include, come elemento qualificante, la “perdita”: la perdita di riconoscimento, di gratificazione, di regia della propria vita. Non è la stessa cosa che la resistenza alle tentazioni, comune a tutti i cristiani. Non è un progetto di vita, esasperato dal lessico moderno della scelta più razionale. E’ proprio l’offerta del progetto, il suo cuore. Si può fare solo su richiesta di Dio e in favore di terzi. E’ questa la sua esattezza cristologica”.
    “Stato di eccezione” come “segno di stato” dove il ruolo dello Spirito – come citava P. Fidenzio Volpi da un prezioso testo del P. de Chergé, priore dei monaci trappisti - martiri del fondamentalismo islamico - ha la prerogativa di “giocare con le differenze”, ovvero di farle convergere lentamente verso il centro, rispettando al tempo stesso la loro originalità, in un equilibrio spirituale [3] prima che organizzativo. Il nostro centro altro non è che la passione per Cristo e la sua la Chiesa e grazie a questa passione che la Vita Religiosa deve ritrovare una sua convinta capacità propositiva. Proporre nel senso di fare appello alle attese più vere e profonde di noi consacrati a servizio della Chiesa in Italia. Proporre, nel senso di saper motivare, di mostrare le ragioni della nostra speranza, perché la Vita Consacrata non venga percepita come soggetto in concorrenza, - o peggio ai margini – della vita ecclesiale, ma persuada gli altri che mantiene ancora viva la sua ragione perché è impegnata come tutti i soggetti ecclesiali – né più né meno - nel “rifare il tessuto cristiano della società umana” (Christifideles laici, n. 34).
    Nel rifare il tessuto cristiano della società la Vita Religiosa sa di dover pagare la sua “anomalia evangelica” –riletta da mons. Sequeri nella nostra capacità di essere uomini della “disciplina dell’arcano” necessaria a custodire una tale vocazione dalla comunicazione, dal dialogo, dall’infinito intrattenimento della chiacchiera collettiva dei sentimenti e delle inclinazioni, delle giustificazioni e delle ragioni di ottimizzazione delle scelte, dei desideri, delle pienezze di essere […] E in netta opposizione alle “culture dominanti”, la disciplina dell’arcano “interrompe il circuito narcisistico delle lotte per l’identità, l’autorealizzazione, l’ossessione del controllo dell’esistenza, il bisogno nevrotico di esprimere tutte le proprie potenzialità”. Personalmente credo che: la bellezza e l’incanto della liturgia, “dentro il chiostro”, e la passione per l’orientamento delle generazioni, “fuori dal chiostro”, con tutti gli annessi e connessi dell’amore per i dimenticati e gli avviliti “nello spirito”, siano i vettori creativi dell’istituzione della vita consacrata per il prossimo futuro”.
    Creatività che si misura sulla capacità di rischiare della Vita religiosa. Citando P. Amedeo Cencini affermavo una convinzione che mi porto da sempre. Se la scelta di una Vita Consacrata “è scelta rischiosa, persino avventurosa, per niente calcolata e affatto comoda”, tuttavia è “ giocata in forza della fiducia che tu riponi in un Altro […] E se anche consacrati e consacrate oggi sono un popolo umile e debole, come una quercia sfrondata di cui è rimasto solo il tronco, quel tronco sarà seme santo” (cf. Is 6,13) [4]. Purché la vita consacrata torni ad essere “spazio ecologico dove sin respira aria pulita della dignità della vita e del rispetto dell’uomo; spazio nel quale tutti possono abitare, perché deposito enorme di energia e amore, di generosità e altruismo, di vitalità e bellezza, al quale ognuno può liberamente attingere, e senza il quale il mondo sarebbe stato e sarebbe tutto più povero ed egoista, più brutto e inabitabile” [5].
    In questo “rischio per Dio”, va colto l’ammonimento del priore di Bose a prendere le distanze da una Vita Religiosa, dove la dimensione personale e comunitaria è di “scarsa qualità umana”, sovente in preda ad una “banalità di un’esistenza vissuta senza passioni e scarsità di convinzioni”. Un rinnovato cammino di umanizzazione predispone la Vita religiosa ad essere luogo dove Dio porterà a termine l’opera iniziata in noi (cf. Fil 1,6). Tuttavia l’umanizzazione, prosegue Enzo Bianchi, “si fa a caro prezzo, è faticosa, richiede un lavoro su se stessi, ha un costo umano. […] Non ci può essere vita religiosa senza rinuncia, senza patire mancanza, senza soffrire assenza” (20).
    Infatti la Vita religiosa è un “compito, non una rendita”, ha affermato Mons. PierAngelo Sequeri. “Se la si prende da questo lato [compito], la questione della vita consacrata è più una questione di destinazione, che non di identità (“per chi sono, io”?), ovvero che “è disposizione della vita in favore dei terzi: che sostiene la vita loro destinata da Dio, non cerca di inglobarla nella propria, o di proiettare su di essa la propria forma”. Bella questa immagine di una Vita religiosa chiamata a sostenere la vita che Dio ha destinato all’altro, con discrezione, in punta di piedi…perché l’altro è terreno di coltura di Dio e non nostro!
    L’autorevole parola di S. Eminenza Rev.ma il Card. Angelo Bagnasco, Presidente della C.E.I., che ha onorato con la Sua presenza la nostra Assemblea, nella lettura della sinergia tra religiosi e chiese locali sulla frontiera educativa, così si esprimeva: “Una particolare attenzione va riservata a quegli istituti che per carisma specifico si dedicano espressamente a compiti educativi: “questo è uno dei doni più preziosi che le persone consacrate possono offrire anche oggi alla gioventù facendola oggetto di un servizio pedagogico ricco di amore”. […] Mi riferisco alla necessità di evitare comportamenti stagni tra Istituti e vita ecclesiale, percorrendo ‘vie di più stretta collaborazione e intesa con le chiese locali”. Anzi, nel testo dell’Episcopato italiano si arriva a precisare che laddove “difficoltà vocazionali” o altre regioni richiedono agli Istituti dei ridimensionamenti dell’opera tipicamente educativa, come scuole, oratori, centri giovanili “è bene che ogni decisione in merito tenga conto di un dialogo previo e di una valutazione comune con la Chiesa locale interessata”. Non è una sottolineatura da poco, la successiva affermazione del Presidente della C.E.I.: “Chiaramente vale anche per le Chiese locali considerare con stima, mantenere il dialogo e prestare aiuto e collaborazione con l’azione educativa dei religiosi nel territorio, elaborando e partecipando a iniziative comuni. Ciò che conta insomma è che non si lavori isolatamente l’uno dall’altro e che si condivida il cammino”.

    Considerazione conclusiva

    La celebrazione della 50° Assemblea è stata un occasione propizia per aprire un cammino condiviso anche per noi Religiosi in Italia, un cammino tracciato da un'agenda della speranza, ci diceva P. Volpi. Pertinente espressione adottata dal documento preparatorio per la 46° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Reggio Calabria, 14-17 ottobre 2010) [6]. Questa nostra agenda è “anche destinata alla tante persone, donne e uomini di buona volontà operanti in Italia, verso i quali [noi religiosi] nutriamo sentimenti di viva amicizia e con i quali sentiamo di dover e poter condividere la cura del bene comune, come singoli, associazioni e istituzioni” (n. 14). La qualità civile e religiosa di una società dipende non da ultimo dalla qualità del confronto attraverso cui si forma questa agenda, la cui redazione non è appannaggio di noi religiosi, anzi abbiamo bisogno oggi più di ieri di questo confronto, per evitare – anche senza volerlo – di finire rinchiusi nei nostri “spazi” dove ascoltiamo solo noi stessi e discutiamo solo dei nostri problemi. Partecipare a questo confronto, al meglio delle nostre possibilità, è per noi Religiosi un dovere e allo stesso tempo un segno dell’amore grande che portiamo alla Chiesa e al nostro Paese che il prossimo anno celebra i 150 anni della sua unità.

     

    NOTE

    1 Cf. F. ROSSI DE GASPERIS, Sentieri di vita, Paoline, Milano 2005, vol. 1, 31-41.
    2 Op. cit., p. 41.
    3 Cf. B. OLIVERA, Martiri in Algeria, p. 9; P. CLAVERIE, Lettere dall’Algeria, Paoline, Milano 1998, p. 307.
    4 A. CENCINI, “Guardate al futuro”. Perché ha ancora senso consacrarsi a Dio, Paoline, Milano 2010, pp. 146-147.
    5 Op. cit., p. 144.
    6 Comitato Scientifico e Organizzazione delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese (Documento preparatorio per la 46° Settimana Sociale – Reggio Calabria 14-17 ottobre 2010).

    (50° Assemblea Generale CISM, Milano-Segrate 02-06.11.2010)


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