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    Il Giubileo

    per noi preti

    Franco Cagnasso


    “Il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra” ( cfr. Lv 25,4 ).
    Questa scritta ha posto un vicino di casa nel suo giardinetto, decidendo di non lavorarlo durante il Giubileo. Una piccola curiosità per chi passa e si chiede il perché e il senso di questo gesto. Me lo sono chiesto anch’io, e provvidenzialmente m’è tornato in mente quando ho accettato di tenere questa riflessione. Colto di sorpresa, non ho detto di no, ma ho sentito fatica e fastidio all’idea di affrontare l’argomento Giubileo, di cui tanto s’è scritto e parlato, e specialmente di trattarlo con i preti. Non ne siamo forse già stanchi prima ancora che incominci ? Non rischiamo di perderci in un mare di luoghi comuni e di retorica, senza la voglia e forse senza la capacità di far sì che questo “tempo favorevole” significhi davvero qualcosa anche per noi ? Ne parliamo, facciamo fare il Giubileo agli altri, celebriamo magari in tante occasioni, circostanze e con tante comunità diverse, ma fatichiamo ad entrarci, forse anche a crederci.
    Per me è così, e dopo il primo momento di “panico” ho deciso di accettare questo impegno di parlarvi come una sfida, o meglio un’occasione per me, per vedere se riesco a lasciarmi interpellare personalmente, a sentire che si sta avvicinando qualcosa che mi riguarda non solo esternamente.
    Il punto di partenza è stato quel giardinetto con il cartello e la citazione del Levitico. Il Giubileo è un riposo per la terra. Ma riposo da che cosa ? e perché ? Le culture agricole, animiste, percepiscono l’agricoltura come un affaticare la terra. Essa dà, ma l’uomo chiede di più ; per questo la lavora e facendo così quasi la ferisce. Non è sbagliata questa percezione, come si sta riscoprendo ora davanti a terreni deforestati e impoveriti per un’agricoltura troppo intensiva. La terra dunque deve riposare, e questo è riposo anche dell’uomo che la lavora. Riposo sì, ma che cosa si mangerà ? Levitico si pone questa domanda, e il Signore risponde : “ Io disporrò in vostro favore un raccolto abbondante per il sesto anno ed esso vi darà frutti per tre anni” ( Lv 25,21 ).
    Pare che Dio si sia preoccupato di non farci lavorare troppo. Dà la legge del riposo settimanale ( assente in altre culture ), suscita l’ira del faraone dicendo che i suoi schiavi hanno diritto alle ferie per andare a offrire il sacrificio ( cfr. Es 5,3ss). Il lavoro è buono, fa parte del compito originario, del dominio dell’uomo sul creato ( cfr. Gen 2,15). Ma è anche inquinato dal peccato - come la sessualità - e perciò tende a dominare l’uomo, a condizionarlo. Il riposo gli fa alzare il capo, lo colloca nella sua dimensione adatta : capace di operare sul creato, e anche di “passeggiare nel giardino” insieme a Dio ( cfr. Gen 3,8 ).
    Smettere il lavoro sembra essere, in Levitico, un atto di fede : se voi vi impegnate a rispettare l’anno sabbatico, il Giubileo, Dio provvederà. E’ un riconsegnare la terra al dominio diretto di Dio che ne è il vero e unico padrone : un padrone non avido di per sé, ma che elargisce e provvede. E’ un atto eucaristico : i pochi pani disponibili non vengono trattenuti perché ci salvino dalla fame, ma messi a disposizione in rendimento di grazie, e così vengono moltiplicati e bastano a tutti. La terra che riposa e produce ciò che è necessario sta nella stessa logica della manna, di cui non bisogna fare scorta : se ne prendo di più marcisce, se prendi quello che serve, domani ne trovi ancora. Così è della farina e dell’olio della vedova di Sarepta che nella fede rischia tutto ciò che ha e nutre il profeta (I Re 17).
    La terra che riposa è nella logica di quanto dice Gesù : “Non datevi pensiero per la vostra vita... guardate i gigli... non cercate che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia : di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo ; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il Regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta” ( Lc 12,22-31).
    Noi traduciamo queste raccomandazioni di Gesù in una richiesta alla nostra gente ( e a noi stessi ) di maggiore generosità, nell’invito a non fare del lavoro e del denaro un idolo, il riferimento portante della nostra vita. Per il Giubileo questo invito si fa più pressante e diventa anche questo insieme concreto e simbolico con la campagna per il condono dei debiti internazionali dei paesi più poveri.
    Ma io vorrei andare un poco oltre, supponendo che nella nostra vita siamo abbastanza liberati dall’affanno dell’avere, dell’accumulare, del provvedere al domani. Se è così mi chiedo - il messaggio della terra che riposa, l’invito a non affannarsi riguarda solo gli altri ? In fondo, i preti “lavorano” di più proprio quando gli altri si riposano, e il Giubileo si presenta a molti di noi come un periodo di lavoro in più. Forse per questo mi dava fastidio l’idea di parlarne, e mi sento già saturo prima che incominci... Bisogna allora dire che - dal momento che lavoriamo per il Regno - l’affanno è giusto e il riposo non è per noi ?
    C’è un paraboletta sul Regno che forse mette in discussione questa conclusione : “Il Regno di Dio è come un uomo che getta il seme sulla terra ; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce ; come, egli stesso non lo sa. Perché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco fino alla spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura” ( Mc 4, 26-29 ). Eccola qua, la terra che produce senza che ci si affanni a lavorarla, come nel settimo anno del Levitico ! Non si tratta più della terra fatta di polvere, ma del Regno, la terra formata dai cuori degli uomini ; il Regno di cui non si conosce il tempo, né l’ora, né il luogo, e di cui tuttavia Gesù dice : “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto darvi il suo Regno” ( Lc 12,32 ).
    Un Regno in cui si entra con la forza, dove bisogna mettere a frutto i talenti ricevuti, ma anche un Regno nel quale pure i lavoratori dell’ultima ora ricevono piena paga ; un Regno dove chi fa tutto il suo dovere è servo inutile, e dove il vero segreto che quel gran lavoratore del figlio maggiore non aveva capito sta non nel fare mille cose ma nel condividere con il Padre, i suoi affetti e i suoi desideri. Un Regno dove Gesù considera ben spesi i soldi del profumo che l’attenzione e l’affetto di Maria “spreca” per lui ; un Regno dove Gesù desidera stare con i suoi a riposare, a raccontarsi, a mangiare.
    Mi pare che nel Vangelo convivano queste due dimensioni : il dovere, l’ansia di impegno, di andare a cercare la pecora perduta, di vigilare attivamente, con il senso della gratuità, dell’abbandono fiducioso, del lasciar fare alla grazia, del saper perdere tempo....
    Se è così, allora il messaggio della terra che riposa vale anche per noi. Bisogna lavorare, certo, ma bisogna anche lasciar crescere, tirare il fiato, guardare con sorpresa come - con o senza di me - nasca lo stelo, poi la spiga, poi il chicco. Saper attendere, lasciar fare, rischiare meno risultati, un raccolto più scarso, ma più consapevolmente accolto dalla mano di Dio invece che inconsapevolmente attribuito alla nostra capacità e al nostro lavoro - magari affannoso.
    Dico “rischiare”, perché dobbiamo smettere qualcosa da cui sembra dipendere tutto, e credere che questo tutto verrà ugualmente anche senza di noi ; e dico “credere” perché si tratta di un vero atto di fede, e come tale porta frutto, ma in modo diverso, cioè come dono gratuito, seguendo tempi e modi che non possiamo calcolare in precedenza.
    La terra che riposa ci dice due cose : - che il Giubileo è un’occasione per fare un po’ di discernimento fra ciò che facciamo per il Regno e ciò che è contorno. Troppo spesso riteniamo tutto importante allo stesso modo, e ci affanniamo per cose buone e belle ma per nulla rilevanti. - che anche il nostro operare per il Regno deve essere serenamente abbandonato in Dio, fatto con impegno ma senza paure, affanni, rabbiosi inseguimenti del tempo che non è mai sufficiente,
    Io vorrei provare a lasciar riposare un poco il mio cuore. Per farlo, voglio affidare più lucidamente a Dio il terreno che ha affidato al mio lavoro. Per me, sono i confratelli sparsi nel mondo. Se mi fermo e guardo, mi accorgo di come sia vero che i frutti che loro portano sono cresciuti “come, non lo so” e non certo perché io sono stato capace di farli crescere. Anche le loro mancanze, quando sono terreno arido, o spinoso, o troppo superficiale, hanno una relazione certo con me, con l’istituto, con la formazione ricevuta, le esperienze vissute, ma sono in ultima analisi qualcosa che non dipende dal mio affannarmi. Bisogna mettercela tutta, certo ; lo zelo pastorale deve essere continuo e deve emergere ogni giorno, ogni ora, in ogni scelta che facciamo. Però il contadino per quanto faccia sa che può arare, irrigare, ma chi fa crescere è il Signore (I Cor 3,6ss). S’affatica, ma sa rispettare i tempi della terra e del seme, sa lasciar riposare la terra e riposare lui stesso. Anche questo atteggiamento esplicito e profondo di abbandono fiducioso diventa un annuncio e una testimonianza. Il mio impegno più sereno e meno affannato “dice” la mia fede più o meglio di tante prediche e opere.
    Il riposo del cuore. Ma come arrivarci ?
    Rileggendo la “Tertio Millennio Adveniente” ho percepito meglio una cosa talmente ovvia che quasi non ci si pensa : il Giubileo festeggia, si rallegra per l’incarnazione e la redenzione, cioè fa memoria dell’opera di Dio. Si collocano nel grande scenario della storia umana, con la sua bellezza, ricerche e tragedie, 2000 anni decisivi perché in questa storia è entrato il Verbo di Dio fatto carne, uomo, partecipe della storia e del tempo. Il Giubileo è come il contadino che sosta nella mietitura e s’interroga : da dove viene questo grano ? chi l’ha seminato ? chi l’ha fatto crescere ? Nel suo cuore nasce una riconoscenza stupìta.
    “La Chiesa festeggia la salvezza” ( ivi n.16), festeggia Dio che ci viene incontro, si coinvolge, riscatta, accompagna. Per questo come per un compleanno o un anniversario, il Giubileo ricorda, fa memoria. Memoria della storia della Chiesa, della nostra storia personale. Anche quest’ultima è importante, perché non siamo spettatori della salvezza, o ripetitori della sua storia per gli altri ; ne siamo testimoni anzitutto davanti a noi stessi. Devo voltarmi indietro per riconoscere e testimoniare in me, con riconoscenza e gioia, che : sì, Dio mi ha scelto, mi ama, mi perdona, mi dà tantissimi doni.
    Della storia della Chiesa, e su questo il Papa è stato insistente e coraggioso : memoria di tanti eventi che hanno portato o segnato l’arrivo del Vangelo fra i popoli, e memoria dei nostri sbagli e peccati, delle nostre inadempienze passate e attuali. Il “riposo del cuore” è possibile facendo memoria delle opere di Dio, del suo amore e della sua misericordia, verso il suo popolo e verso ciascuno di noi. Un cuore che cerca, è inquieto, opera ma sa di aver trovato una roccia solida su cui poggiare, una casa che lo accoglie.
    Memoria dell’amore e della misericordia. Un accenno anzitutto a quest’ultima, anch’essa dimensione specifica del Giubileo. Un’immagine molto espressiva dell’opera di Gesù ci è offerta dal samaritano che si ferma a curare le ferite, a ridare speranza. Il Giubileo celebra una misericordia che non si stanca, che cerca sempre nuove vie e nuovi segni per manifestarsi, che va a cercare chi pensa di non aver bisogno, o di non esser degno. Noi siamo i servitori di un Dio che non attende gli onori, ma si muove per dare dignità a chi l’ha perduta, per renderci capaci di amare curando i cuori spezzati e induriti. Questa memoria della misericordia fa riposare il nostro cuore. Ci ricorda infatti che i peccati di 2000 anni, e i nostri, non bastano per accorciare il braccio di Dio e per distogliere il suo sguardo ; ci dice che anche se il nostro campo è stato devastato, lui può ancora farvi crescere il grano buono e desidera intensamente farlo. Ci rende, a nostra volta, misericordiosi.
    Siamo spesso aspri nei nostri rapporti, severi nei nostri giudizi, privi di speranza nelle nostre valutazioni. Ci portiamo dietro, a volte, rancori espliciti o inespressi e tuttavia profondi, strana contraddizione rispetto alla parola di pace e di perdono che tanto spesso pronunciamo. Il Giubileo è l’occasione per una silenziosa, profonda ricomposizione dell’unità interiore, per liberarci delle ostilità più o meno camuffate che ci portiamo dentro, per sentirci pacificati perché profondamente amati da un Amore che è più grande di qualsiasi delusione, invidia, frustrazione, ingiustizia che pensiamo di aver subito.
    Il cuore riposa e si dilata ; lasciandosi amare e perdonare diventa capace di perdono. Diventiamo magnanimi e perciò sereni.
    Sappiamo allora anche fare giustizia. Si pongono spesso accanto i termini amore e giustizia, per dire giustamente che uno non può stare senza l’altro, per chiedersi quale dei due venga prima. A me piace l’esperienza di Zaccheo ( Lc 19, 1-10 ) che a seguito della visita di Gesù diventa insieme giusto e generoso, riconosce ciò che è suo dovere e va oltre.
    Il Giubileo chiede una giustizia che è imitazione della giustizia divina, come dice la parabola dei due debitori : poiché molto mi è stato condonato, divento capace di condonare il poco che è dovuto a me. Chiede una giustizia che è possibile se siamo meno preoccupati di cosa mangeremo e berremo, e più preoccupati invece di limpidezza, di rapporti senza ombre. Lasciatemi dire allora che potremmo liberarci dall’abitudine tutta italiana delle piccole e grandi frodi, più o meno furbe, che affligge anche il clero. Potremmo tentare di essere un esempio di correttezza nei rapporti con i dipendenti...
    Il riposo del cuore si attua cercando di essere attivi sì, ma meno protagonisti, perché più capaci di lasciar operare Dio, di discernere, scoprire, contemplare ciò che lui fa prima di noi e senza di noi.
    Elia sull’Oreb era preso da grande zelo e da grande depressione, valutava tutto alla luce della sua stessa opera, perciò si riteneva fallito e pensava d’esser rimasto solo, L’esperienza nuova di Dio, frutto del deserto doloroso e del silenzio, gli fa vedere la realtà con occhi nuovi : non sei solo, ma Dio ha “messo a parte” ben settemila persone per la sua opera.
    Così noi spesso pensiamo che il Regno vada male o sia in pericolo perché le nostre iniziative non hanno il successo che vorremmo. Ma è proprio così ? La magnanimità del cuore deve essere anche magnanimità della mente. Duemila anni di grazia dentro il grande cammino della storia umana sono il segno di come Dio guarda tutto il mondo. Il Giubileo ci rallegra perché ci mostra una Chiesa viva, ricca di fermenti, varia. Pensate quante nuove chiese si sono formate in questi ultimi 50 anni, e portano nell’unica Chiesa una grande varietà di popoli, lingue, costumi, spiritualità... Ciascuna di queste Chiese è stata convocata per essere segno dell’attenzione di Dio per ogni popolo, in ogni tempo. Questo sguardo più ampio ci mette nella verità, ci rende più intensamente partecipi dello sguardo di Cristo e dell’opera dello Spirito sull’umanità intera.
    Sguardo grande, ma anche - poiché libero - sguardo più capace di cogliere ciò che è vicino e al quale non prestiamo attenzione : Dio è Signore dei mondi, e si prende cura anche dei capelli del nostro capo, dei piccoli più piccoli...
    Tra gli atteggiamenti e le iniziative del Giubileo, la Tertio Millennio Adveniente raccomanda l’attenzione ai martiri e al patrimonio di santità di cui è ricca la Chiesa. Conosciamo l’iniziativa dell’aggiornamento del martirologio, e sappiamo quante persone sono state proclamate sante e beate in questo pontificato. Ma coloro che emergono per particolari circostanze non devono rimanere isolati : spesso non sono i più santi in assoluto, ma quelli in cui la santità ha una visibilità particolare o un significato particolare... Non isoliamoli, al contrario, ci aiutino a guardare con occhio più attento attorno a noi, alla santità silenziosa, semplice, a volte eroica anche se non corredata da opere speciali o da un apparato di conoscenze teologiche corrette e adeguate. La santità, a volte, anche dei non praticanti...
    Scoprire “questo patrimonio di santità” vuol dire sentirci più sereni e meno preoccupati, vuol dire anche “fare giustizia”, vuol dire porre in maggior valore i doni di Dio, quelli che lui liberamente offre piuttosto che quelli che noi andiamo cercando e chiedendo. Questo ci dà anche coraggio...
    Ecco, questi sono i miei propositi e le mie speranze per il Giubileo. Guardando in casa mia, saper continuare il mio servizio con impegno, ma cercando di vedermi più chiaramente come un piccolo, piccolissimo segno di un amore e di un’attività ben più grande, che per 2000 anni ha agito in Cristo e in milioni di persone, in centinaia di popoli, e questo a sua volta come segno di un amore ancora più grande, quello della salvezza dell’umanità. Il mio piccolo pezzo di storia è una cosa seria, perché in esso mi gioco tutto di me stesso ; allo stesso tempo è un impegno gratuito e “inutile” e perciò da vivere nella fiducia piena e senza protagonismi. Questo, io spero, può contribuire a liberare il cuore e la mente da grettezze, scorie di rancori, rivalse, divisioni, e quindi dargli una maggiore capacità di vedere l’opera dello Spirito nelle grandi e nelle piccole cose, negli altri e specialmente nei piccoli e nella santità povera, popolare, silenziosa di cui sono circondato. Essere più attento a chi non è brillante o non pianta grane, a quelli dai quali sembra sia tutto dovuto, dove la bontà pare scontata e ovvia, mentre a volte è frutto di impegno eroico ed è vero martirio. E’ anche questo un modo di fare giustizia !


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