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    Accompagnare

    nella scelta

    dello stato di vita

    Maurizio Costa

     

    CHIARIFICAZIONI INIZIALI E ATTEGGIAMENTI DA FAVORIRE

    (Tredimensioni 1(2004) 2, 122-141)

    In quest’ordine di Provvidenza, accompagnare verso la maturità abbraccia tutto lo spettro della vita di un uomo. L’esistenza dell’uomo nuovo (a differenza di quella dell’uomo vecchio raffigurabile come una parabola al cui vertice andrebbe collocata la maturità della persona tra un «prima» fatto d’attesa, di desiderio e di crescita e un «poi» marcato da delusione, ripiegamento e disfacimento) si presenta come una linea ascendente di continua crescita. La maturità resta sempre un punto di arrivo, perché, di fatto, si realizzerà pienamente solo attraverso la morte nella vita eterna, mentre su questa terra non è mai un risultato già acquisito. Nell’accostare il tema dell’accompagnamento di una persona verso la maturità, tuttavia, desideriamo imporci alcune limitazioni.
    Prima di tutto, fermeremo la nostra attenzione solo su quel segmento della vita dell’uomo [1] che riguarda la gioventù e che è caratterizzato dalla ricerca della propria vocazione e stato di vita. Se è vero che si tratta solo di una parte di tutto l’arco dell’esistenza e che la maturità della persona non può considerarsi già raggiunta con la scelta definitiva di un particolare stato di vita, rimane pur vero che questo periodo è molto importante e decisivo, per il fatto di fissare certi paracarri e il guardrail entro i quali si svolgerà la sua vita futura e di offrire criteri di discernimento per individuare l’autenticità e il valore delle sue scelte future nel cammino verso la pienezza della sua maturità. Questo periodo è paradigmatico per tutta la vita: l’esperienza del cammino percorso verso la meta della scelta dello stato di vita ha influsso, come modello e criterio o, all’opposto, come ostacolo e inciampo, sull’esperienza di tutta la vita umana tesa verso la meta finale della maturità definitiva e della realizzazione dell’uomo per tutta l’eternità.
    Inoltre, su quest’accompagnamento e discernimento vocazionale ci proponiamo di riflettere a partire da un particolare punto di vista. Lo analizzeremo cioè solo, o almeno prevalentemente, in quanto si presenta come progetto di crescita verso la maturità umana e cristiana.
    Infine, più in particolare, circa questo progetto di vita [2] vogliamo soprattutto evidenziare i criteri, i parametri e gli aspetti fondamentali che devono essere considerati dal formatore per aiutare il giovane a fissare e a stendere o a correggere e ad aggiornare il programma più particolareggiato del suo cammino di ricerca dello stato di vita e, più, in generale, del cammino di tutta la sua esistenza.

    Elementi fondamentali

    Come punto di partenza della nostra indagine e per darle concretezza, possiamo fare nostra quella semplice domanda che non raramente guide sollecitate da ragazzi desiderosi di operare una scelta definitiva di vita in modo maturo, senza lasciare il ritmo della vita spirituale al caso, si sono poste o ci hanno posto: «Come faccio ad accompagnare un giovane senza inventare lì per lì e senza cadere in un discorso standardizzato e scontato?». Si può facilmente insinuare, nell’interno dell’accompagnatore la tentazione di rispondere con una serie di consigli o di norme chiare e distinte, ma concepite a priori e, pertanto, spesso astratte, da applicare come ricette infallibili, oppure, all’opposto, di soffocare la domanda nel subconscio o nell’inconscio per affidarsi al proprio buon senso o, addirittura, a quello del giovane, evitando in tal modo dure fatiche. Questa domanda, infatti, mette in gioco la necessità di un progetto di crescita personale, di un progetto di cammino limpido verso una decisione matura a riguardo dello stato di vita, distinto dalla comune regola o dall’ordinamento di vita, che, però, sia concreto e, pertanto, rispettoso delle diverse e molteplici circostanze. Già da questo solo punto di vista appare la complessità dell’argomento: i casi sono così diversi e le circostanze concrete sono così numerose e influenti che, senza un discernimento che proceda da una circospetta raccolta di dati, la maturazione di un progetto di crescita personale rimane fortemente compromessa per non dire irrealizzabile.
    «Entra tu stesso in una dinamica di discernimento spirituale» dovrebbe essere la prima e sintetica risposta a chi accompagna il giovane e, da parte della guida, alla persona stessa che a lui si rivolge. Con questo si è detto tutto e non si è detto nulla o quasi nulla. Non è difficile immaginare che chi ha posto la prima domanda incalza con una seconda: «Ma che cosa comporta questo processo di discernimento spirituale?».
    Ad una semplice analisi fenomenologica del discernimento spirituale si possono rilevare quattro/cinque elementi fondamentali: esso è un’operazione strutturata secondo un preciso ritmo (1/2), compiuta da persone (3), intorno a determinati contenuti (4), e in un preciso ambiente o clima (5). In modo corrispettivo si pongono le questioni relative alla procedura tecnica e alle tappe dell’itinerario (1/2), al soggetto (3), all’oggetto (4) e alle condizioni necessarie (5) di quest’operazione. Nel presente studio, diamo per scontato che questo cammino di discernimento ha nello Spirito Santo il suo principale attore e protagonista: senza di Lui, senza la Sua azione ad un tempo di luce e di forza, invano i soggetti umani, l’accompagnatore e il giovane, potrebbero costruire un cammino di maturità pienamente autentica, e invano la più scrupolosa attenzione alle procedure tecniche e la più concentrata fedeltà alle tappe previste del cammino di crescita potrebbero garantire un successo ed esito positivo.
    Della complessità di questo particolare discernimento spirituale ci limiteremo a considerare solamente alcuni aspetti, parametri e criteri riguardanti soprattutto gli ultimi tre punti, come dati fondamentali da considerare circa il modo di impostare un progetto di crescita personale. Li raccogliamo intorno ad alcune parole-chiave, come in altrettanti gruppi che scandiscono la successione delle parti del nostro studio e, parzialmente, anche quella dei passi che entrambi, la guida e il giovane, devono compiere verso la maturazione di un progetto di crescita personale. In questo articolo tratteremo delle chiarificazioni e degli atteggiamenti da offrire al giovane; nel prossimo delle attenzioni privilegiate di metodo che devono essere attuate e delle relazioni che caratterizzano questo processo di maturazione e di scelta di un progetto di vita che, pertanto, devono essere in esso rispettate.

    Chiarificazioni iniziali

    a) La domanda di aiuto

    Generalmente l’accompagnatore [3], appena richiesto e sollecitato di un aiuto da parte di un giovane nel suo cammino di maturazione della scelta dello stato di vita, deve concentrare una sua prima attenzione sul significato e sul valore della domanda postagli.
    * Dipendenza. Talora dietro il ricorso ad una persona che l’accompagni nel suo viaggio e itinerario verso la maturità, c’è nel giovane un modo inesatto di intendere quel «essere persona guidata dallo Spirito» [4] a cui è stato invitato: spesso può essere visto come un passaporto per una passività completa nel campo decisionale, che dà diritto al «ditemi che cosa devo fare», senza impegnarsi nel faticoso lavorio di ricerca e di studio che richiede soprattutto da parte sua la risposta alla domanda che pone alla guida. Inoltre, vi si annida spesso anche una forte sottovalutazione della richiesta di creatività, che a lui, per primo, è rivolta per essere pienamente fedele a quel Dio cui vorrebbe affidarsi. Erroneamente, invece, egli preferisce fidarsi ciecamente della guida, quasi con un’ubbidienza passiva e irresponsabile.
    L’accompagnatore che stesse al gioco e volesse impostare la relazione con il giovane su un registro di pesante direttività, appellandosi al valore della docilità da parte del giovane, dovrebbe interrogarsi se si sia addentrato sufficientemente nel cammino di purificazione dalla sete di potere e di gestione nei riguardi di altri, che, tra le sue molteplici radici, ha anche lo scetticismo e la scarsa fiducia nell'azione di Dio educatore, oltre l’insufficiente stima di se stesso, modo con cui certi cuori gretti compensano la propria debolezza. Se così fosse, il suo accompagnamento diventerebbe precario e difficile, per non dire impossibile.
    Certamente nel rapporto d’accompagnamento si stabilisce una certa dipendenza.
    D’altra parte è per lo meno equivoco, oltre che illusorio e ingenuo, che l’accompagnatore pensi di doversi porre in una posizione d’assoluta non-direttività! Se è vero che deve rispettare la libertà del soggetto, non deve dimenticare che la sua presenza indica già un'orientazione e che non potrà mai essere totalmente neutra, perché la comunicazione si stabilisce non solo attraverso le parole, ma anche, per esempio, attraverso un clima e un'atmosfera affettiva che veicola messaggi impliciti da lui al giovane. È sempre meglio giocare a carte scoperte! Una certa dipendenza è ineliminabile e giusta, ma si deve anche distinguere la dipendenza autentica dell'uomo spirituale dalla dipendenza psicologica. L'uomo spirituale deve cercare una dipendenza: in fondo cerca se stesso nella fede, perché, dipendendo sempre più da Cristo, si allontana e si estrania da quello spirito d’autonomia, d’autarchia e d’autosufficienza che lo allontana dal suo essere creatura e, quindi, dall'essere se stesso in verità. D’altra parte deve cercare progressivamente di rendersi sempre più autonomo e indipendente. Se non si può omologare la libertà dell’uomo su quella di Dio, perché l’uomo resterà sempre una creatura e quindi dipendente dal Creatore, d’altra parte la sua libertà non è una finzione, ma comporterà sempre una vera autonomia. L'uomo si realizza e marcia autenticamente verso una più piena libertà se si espropria, se perde la sua vita, se si converte dall'indipendenza di se stesso alla dipendenza da Cristo, se si orienta alla docilità verso lo Spirito che lo rende libero e autonomo. L'uomo diventa maturo se diventa fanciullo di fronte all'unico Signore e Maestro. Perciò non è principalmente un motivo psicologico che giustifica la ricerca di dipendenza nell’accompagnamento, ma solo un motivo di fede illuminata: essa lo porta, anche se psicologicamente adulto e proprio perché adulto, a cercare un aiuto da un altro, l’accompagnatore, colto come «sacramento» di Dio o, meglio, come persona che lo aiuta a dipendere da Dio attraverso l'esperienza di una certa dipendenza da lui, ma non lo fa dipendere da lui.

    * Sicurezza. Un discorso analogo dovrebbe essere condotto a proposito dell’esame da parte dell’accompagnatore sulla ricerca di sicurezza che si potrebbe facilmente nascondere nella domanda di chi si rivolge a lui per essere aiutato nel cammino verso una scelta dello stato di vita coerente con un cammino d’autentica maturità. Potremmo a lungo ragionare e riflettere sul problema se sia giusto cercare una sicurezza nel farsi accompagnare.
    La risposta potrebbe essere affermativa, se per sicurezza si intende quel tipo di certezza legata al discernimento spirituale, che comporta sempre il fattore rischio e, pertanto, apre alla speranza e all'affidamento motivato e, pertanto, non fideista. È di certo negativa, se per sicurezza si intendono le coperture, gli avalli e le garanzie di tipo autoritario, oppure le protezioni di tipo affettivo e a buon mercato, che dispensano il giovane dall'assumersi responsabilità e lo inducono ad addossarle alla guida. Sarebbe allora, evidentemente, un cattivo e inesperto educatore colui che facilitasse questa deresponsabilizzazione e fuga del giovane, togliendogli l'ansia e assecondandolo nel voler evitare di affrontare ogni rischio. Potremmo affermare che può essere bene cercare sicurezza attraverso l’accompagnamento, ma non nell’accompagnamento: la speranza, la fiducia e l'abbandono totale sono da riporsi in Dio solo e solamente in Dio.

    * Educare la domanda. Quando si accorgesse che la domanda nasconde delle deficienze, l’accompagnatore dovrà darsi da fare per correggerla prima di rifiutarla o di rilevarne esplicitamente l’errore. Al giovane ricco che domanda «Maestro buono, che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?», Gesù non replica rimproverandolo immediatamente di essere preoccupato più delle cose (=che cosa) che delle persone (=chi), più del «dovere» e della legge da osservare che dell’amare, più del «fare» che dell’«essere» e più dell’«ottenere/avere/possedere» che dell’entrare in un dinamismo. Gli corregge il tiro con una significativa domanda, non già con un precetto che lo avrebbe confermato nella sua dinamica legalista o struttura statica di rapportarsi alla sua realizzazione: «Perché mi interroghi su ciò che è buono; uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita ….» [5]. Il «buono» che ti realizza non è una «cosa», ma una persona, e una persona unica: «uno solo»; la propria realizzazione non è oggetto di conquista o di possesso, ma un cammino da percorrere su questa terra e nel quale occorre essere aiutati a addentrarsi.

    b) Scopo della ricerca

    Generalmente chi si rivolge ad una persona impegnata nella vita di fede per essere accompagnato, sostenuto e aiutato nel cammino di un progetto di crescita verso la maturità, soprattutto nella scelta dello stato di vita, dà per scontato che vuole fare la volontà di Dio, ma si trova in difficoltà circa il modo di attuarla e, ancor prima, di conoscerla. Purtroppo generalmente capita che anche l’accompagnatore dia per scontato che il significato di «fare-la-volontà-di-Dio» sia un dato rettamente inteso e acquisito dal giovane che gli si pone davanti. Anzi, forse, egli stesso per primo non ha mai riflettuto sul senso da dare a questa espressione, pensando che sia ovvio e da tutti inteso in modo univoco. Credo che prima di cimentarsi nell’arte difficile di accompagnare un giovane verso la maturità, aiutandolo ad abbracciare un progetto di crescita personale e a percorrere un cammino limpido verso una decisione responsabile dello stato di vita, l’accompagnatore debba chiarificare a se stesso, per poterlo rendere chiaro al giovane che si affida a lui, che cosa presupponga l’atteggiamento retto di fronte al «fare-la-volontà-di-Dio». Senza ripetere le riflessioni che in altra sede ho già esposto [6] e alle quali rinvio, vorrei sottolineare come sia decisivo non solo il rischio della libertà, ma anche avere uno spirito di donazione d’amore e la ricerca del «meglio» o di ciò che è «migliore» piuttosto che dell’«ottimo» e del «perfetto», del «magis» piuttosto che del «maxime», del comparativo piuttosto che del superlativo e, quindi, la necessità di entrare nell’ottica dinamica di chi, di fronte alle scelte da operare, si domanda «com’è meglio fare?» piuttosto che in quella perfezionista, che paradossalmente finisce per essere statica, legalista e minimalista, di chi si chiede «che male c’è?». Per intraprendere seriamente il cammino verso la scelta dello stato di vita, il giovane deve convertirsi dalla seconda alla prima dinamica. Gesù propone al giovane ricco il salto verso un nuovo stile di vita impostato sulla sua sequela a partire dalla povertà e dal distacco solo dopo che il giovane si è reso conto che c’era un qualcosa di più da attuare («che cosa mi manca ancora?»), dopo aveva verificato con il Maestro di aver sempre osservato perfettamente la legge («tutte queste cose le ho fatte dalla mia giovinezza») [7].

    c) Spirito con cui cercare

    Soprattutto, però, è decisivo e assolutamente necessario che, prima di intraprendere il cammino di ricerca e di discernimento della volontà di Dio, il giovane, proprio attraverso le riflessioni e gli aiuti ricevuti dalla guida per penetrare il significato di «fare-la-volontà-di-Dio», acquisisca un forte senso del mistero e colga soprattutto se stesso come mistero. È, infatti, il senso del mistero della persona e dell’intera realtà umana che ci aiuta a trovare la giusta posizione di fronte al «farela- volontà-di-Dio». Questo rimarrà sempre qualcosa di misterioso perché correlato non solo con Dio (la volontà di Dio in Dio è Dio stesso, che è mistero!), ma anche con il mistero che è la persona umana. Essa non può mai essere pienamente oggettivata e colta nella sua interezza, ma in lei ci si può solo entrare con rispetto, con discrezione, con umiltà, e con senso della misura e del mistero. È il senso del mistero della persona e della realtà che aiuta ad accostarsi alla ricerca della volontà di Dio, circa la scelta del proprio stato di vita, con lo spirito del retto discernimento, che comporta sempre un distinguere per unire, un non lasciare separati e divisi poli opposti della propria persona e della realtà per evitare riduzionismi pericolosi. Il «fare-la-volontà-di-Dio» si pone in quel punto d’incontro - mobile all'infinito, anche se sempre concreto nella storia - nel quale l'appello all'«aldilà» si coniuga con la fedeltà alla storia; nel quale il piano salvifico universale di Dio viene interiorizzato e fatto proprio dall'uomo; nel quale la libertà dell'uomo è divinizzata e dilatata all'infinito, ma nel tempo stesso determinata e attuata entro limiti ben definiti; nel quale la Parola eterna di Dio sotto l’azione dello Spirito diventa parola di Dio a mequi- ora, parola che mi chiama e m’indica una missione definitiva e immutabile.
    Questo punto d’incontro, scolpito all’interno nel cuore dell’uomo, potrà essere raggiunto solamente dalla persona che si coglie e si accetta come mistero. Essa sola, infatti, saprà stare al confine e sullo spartiacque tra storia ed eternità, tra passato e futuro, tra il finito e l'infinito, tra il suo mondo interno e la realtà esterna, tra lo spirituale e il corporeo, tra l'invisibile e il visibile, tra l'universale e il particolare concreto, tra l'unità e la molteplicità-pluralità, tra l'identità e la differenza, tra il senso della persona e il senso della comunità, tra il valore e la circostanza storica, tra la necessità e la contingenza, tra il tutto e la parte, tra il naturale e il soprannaturale, tra la Parola e lo Spirito, tra la Scrittura, la Tradizione e il Magistero, ecc... Solo la persona che si coglie e si accetta come mistero riuscirà ad evitare la tentazione di scaricare il peso della tensione tra i due poli, sbilanciandosi e determinandosi per uno solo dei due a scapito dell'altro.

    d) Intreccio di oggettività e soggettività

    Oltre al desiderio di scegliere lo stato di vita secondo la volontà di Dio, si esige anche una particolare chiarificazione del quadro oggettivo del piano di Dio. Per fare la volontà di Dio, infatti, bisogna conoscerla nel profondo del nostro cuore. Dio ha fatto conoscere la sua volontà attraverso una via oggettiva universale: è la via dei comandamenti, della parola scritta, della voce e dell’insegnamento del magistero della chiesa. Questa è una via necessaria, sicura e chiara; ma proprio perché valida per tutti, non può soddisfare l’intimo del cuore del giovane che si vuole lasciare conquistare da Dio anche nelle pieghe più recondite della sua persona e che, pertanto, s’interroga sulla volontà di Dio qui e ora nelle sue concrete circostanze particolari. Dio ha un piano personale e comunitario; educa il suo popolo come un tutto e educa ciascuno di noi: la sua educazione è, ad un tempo, personale e comunitaria [8]. La parola di Dio, che risuona nel cuore del giovane e gli manifesta la volontà del Creatore circa la scelta del concreto stato di vita, non è “altra” da quella che risuona al piano oggettivo e universale nella Scrittura, nel Magistero della Chiesa e nella retta ragione: ne è un approfondimento e incarnazione. Il quadro o piano oggettivo della volontà di Dio è proposto alla libertà dell’uomo perché lo conosca, lo accetti e lo incarni nella sua vita. Per arrivare alla vocazione specifica e concreta del proprio io nella chiesa e nel mondo, si deve passare attraverso le scelte della vocazione all’esistenza da parte di Dio Creatore, della vocazione al battesimo che ci configura a Cristo e di quella al cattolicesimo che ci fa vivere da membri della Chiesa [9]. In concreto bisogna aver scelto Dio, Cristo e la Chiesa.
    Tuttavia quello che Dio dice a tutti gli uomini è insufficiente ancorché necessario per scegliere lo stato di vita; è un po’ come i paracarri e il guardrail di un’autostrada: se vado al di là di loro sono fuori strada; ma dove in concreto il Signore mi vuole? In quale corsia? Dove è il meglio per me? A questo posso rispondere seguendo la via del discernimento spirituale.
    La via del discernimento spirituale presuppone il trovarsi all’interno del piano di Dio e, quindi, la conoscenza di esso. Tuttavia, sotto l’azione dello Spirito che ci ricorda tutto quello che Gesù ci ha detto, chi cerca il proprio stato di vita attraverso il discernimento spirituale porta avanti e precisa sempre meglio la volontà di Dio su di sé. Il Signore, infatti, comunica con noi uomini attraverso segni particolari, propri per ciascuno di noi, non solo con segni che sono comuni per tutti gli uomini o anche solo per tutti i cristiani. Ci sono segni esterni: fatti e segni dei tempi; e ci sono segni interni o interiori: mozioni, pensieri e affetti. Tutti questi segni sono come voci, come parole espresse in un linguaggio particolare: il linguaggio di Dio al cuore del singolo uomo. Dio non ci parla in italiano o in inglese, in linguaggio cifrato o in geroglifici egiziani, in alfabeto greco o in segni cinesi. Le consonanti e le vocali di questo particolare linguaggio di Dio sono appunto questi segni esterni e interni, la sua azione su di noi e nella nostra storia attorno a noi; la grammatica e la sintassi di questo linguaggio sono date dal collegamento e ordine tra questi fatti e azioni medesime per mezzo dei quali arriviamo ad interpretare quello che Dio ci vuol dire.

    e) Scelta di vita e scelte quotidiane

    Se la scelta concreta dello stato di vita presuppone, come abbiamo detto, una molteplicità di scelte e di chiamate, essa stessa, a sua volta, è presupposta per le scelte quotidiane: scegliere uno stato di vita significa porlo come stabile fondamento per tutte le scelte pratiche, come criterio per l’integrazione di ciascuna nell’unità della persona e, quindi, per un autentico processo di maturazione e cammino verso la maturità. Ciò in quanto lo stato di vita è Vocazione, cioè in quanto voce di Dio più sintetica che dà forma complessiva alla nostra vita, in rapporto alla quale solamente prendono significato le vocazioni o chiamate più particolari e concrete di ogni istante della propria esistenza.
    Questo ci aiuta a capire meglio come, fin dall’inizio, la guida deve aiutare il giovane a chiarificarsi bene il valore della fedeltà all’impegno perpetuo e definitivo assunto con il matrimonio, con il sacramento dell’Ordine o con la professione religiosa. Un tempo, forse, la perpetuità dell’impegno era data per scontata: la testimonianza di fedeltà dei cristiani, dei sacerdoti e dei religiosi era quasi univoca, certamente sufficiente per trasmettere un messaggio chiaro e inconfutabile. Oggi, in un clima di esasperato relativismo e storicismo, non è più così: c’è bisogno di molteplici e ripetuti richiami verbali, attraverso i quali non ci si dovrebbe accontentare di un’accettazione volontaristica della fedeltà da parte del giovane come di una legge-conditio sine qua non per accedere allo stato di vita scelto perché voluto da Dio, ma si dovrebbe favorire in lui il coinvolgimento affettivo nei riguardi della fedeltà come dono-partecipazione della stessa fedeltà di Dio che chiama e come aiuto nel cammino verso la maturità umana e spirituale.
    Si potrebbero citare molte altre chiarificazioni iniziali. Qui abbiamo voluto ricordare quelle che l’esperienza ci ha indicato e ci indica come le più urgenti e necessarie nell’inizio dell’accompagnamento. Il discorso non é evidentemente esaustivo, ma provocatorio nei riguardi del lettore, perché cerchi di esplicitare altri dati attingendo alla propria esperienza, non solo a vantaggio della propria opera educativa, ma anche di quella di chi come lui si pone come formatore di giovani.

    Atteggiamenti da favorire

    Oltre a chiarificazioni di vario tipo, l’accompagnamento verso la maturità del giovane in cammino verso la scelta dello stato di vita comporta anche atteggiamenti da favorire sia in lui, prima di tutto, che nel formatore.

    a) Nel giovane

    Alcuni di essi si possono facilmente reperire negli studi, lezioni o conferenze riguardanti la pastorale giovanile, oppure sono già inevitabilmente affiorati nelle pagine precedenti trattando delle necessarie chiarificazioni. Mi sembra però utile ricordarne alcuni, senza tuttavia attardarci ad esplicitarne il valore e il significato, sia perché chiari o facilmente intuibili in se stessi, sia perché, come già sopra a proposito delle chiarificazioni, vogliamo suggerire solamente alcuni spunti, richiamando l’attenzione soprattutto su quegli atteggiamenti che l’esperienza ci fa apparire più disattesi e trascurati, nonostante la rilevanza che possono avere in un cammino di crescita personale. Mi riferisco soprattutto alla fiducia attiva e responsabile nella guida, ai sentimenti interiori dell’eunuco funzionario della regina Candace di Etiopia incontrato da Filippo sulla strada che da Gerusalemme scende a Gaza [10]; al senso del mistero sia di Dio sia dell’uomo; alla priorità da accordare all’intervento libero e gratuito di Dio che chiama, con il conseguente senso di gratitudine per il dono che si riceve; alla disponibilità ad entrare in un cammino di crescita nel quale non sarà assente la lotta non solo contro se stessi, ma anche contro Dio; alla generosità e al desiderio di procedere non in uno spirito di timore, che pone su posizioni difensive e minimaliste, ma piuttosto in quello spirito di amore, che spinge a desiderare quello che è meglio scegliere; ecc. …

    * Bellezza e sublimità della vocazione. Per impostare un progetto di crescita personale nel cammino verso la maturità il giovane non può oggi disattendere una cura speciale per sviluppare nella profondità del proprio cuore un vivo senso della bellezza e della sublimità dello stato di vita al quale Dio lo chiama [11]. Nei documenti del Magistero della Chiesa la sottolineatura della bellezza e della sublimità della vocazione è presente soprattutto in Vita Consacrata [12]. È vero che questo documento riguarda solo la vocazione alla vita consacrata, ma per analogia può essere applicato anche alle altre vocazioni. Il sapersi lasciare prendere dal fascino di Cristo e colpire dalla bellezza della vocazione permetterà al giovane di coinvolgersi per intero nell’avventura della ricerca di ciò che è più gradito a Dio, non solo con l’intelligenza e con la volontà, ma anche con l’affettività, ben sapendo che la scelta dello stato di vita secondo i desideri del Signore non è solo una questione di ortodossia o di ortoprassi, ma anche di ortopatia. Il senso della sublimità dello stato di vita al quale si sente chiamato, in particolare, sarà per lui criterio di autenticità della strada che sta percorrendo, perché segno di autenticità dello sviluppo del senso del mistero che lo spinge ad andare oltre in un movimento di donazione sempre «più totale» [13]. La cultura d’oggi non favorisce di certo questa attenzione verso la bellezza e la sublimità della vocazione, ma piuttosto sposta il tiro sulla sua problematicità e la riflessione su di essa si porta più facilmente su ciò che rispetto a questo nucleo centrale della vocazione è periferico: le discussioni sui divieti, requisiti, difficoltà, opportunità, efficienza storica, incidenza sociale ecc… Nella Chiesa, in specie, non è ancora superato il sospetto nei riguardi del livello dell’affettività, sempre giudicato unilateralmente come pericoloso senza coglierne le valenze per quella pienezza di donazione oggi non solo richiesta, ma indispensabile per una risposta adeguata alla chiamata di Dio, che si incarni e si esprimi nel tessuto della storia.
    Molto efficacemente Manenti sottolinea che, quando la sublimità della vocazione non è ben messa a fuoco (con tutto quello che essa comporta di senso della trascendenza, di senso di mistero, di valorizzazione dell’affettività, di amore) e scompare in seconda linea dietro a quei dati che dovrebbero essere suoi derivati, già in partenza si imposta male la propria vocazione: rimangono blocchi a livello affettivo, intellettivo e volitivo che fanno slittare sempre più la decisione rinviandola all’infinito oppure, quando si richiedesse un’urgenza di decisione, questa verrebbe presa con ansia e senza entusiasmo. Non c’è allora da stupirsi se, dopo l’ingresso nello stato di vita, alle prime difficoltà sui modi di attuare la propria vocazione perpetua, non si riesce a risolverle perché mancano i criteri per risolverle, essendosi giocati non sull’essenziale della vocazione, ma sul periferico delle modalità di applicazione, e perché si è confuso l’essenziale immutabile con le variabili temporanee [14].
    In questa luce si può comprendere una volta di più quanto sia essenziale che il giovane sappia lasciarsi affascinare dalla persona di Gesù. L’affetto e l’amore vengono giocati su un TU; non sono sufficienti i valori. Per questo egli deve entrare in un’ottica di relazione interpersonale con Cristo per potersene rendere famigliare e, in ultima analisi, seguirLo in totalità. Non intendo, tuttavia, sviluppare questo aspetto, perché già spesso e altrove molto bene trattato e richiamato all’attenzione del formatore e dei giovani.

    * Esercizio di libertà. Mi sembra importante richiamare l’attenzione sull’aspetto che spesso l’attuale Pontefice, Giovanni Paolo II (soprattutto nella Pastores dabo vobis a proposito della vocazione al sacerdozio ministeriale [15]) sottolinea precisamente in connessione con l’impostazione dialogale e personalistica della maturazione della vocazione. Alludo all’importanza, nell’accompagnamento verso la maturità dei giovani in ricerca del proprio stato di vita, dell’appello alla loro libertà.
    Se «prioritario, anzi preveniente e decisivo è l’intervento libero e gratuito di Dio che chiama» [16], non rimane meno vero che «grazia e libertà non si oppongono tra loro» e che «neppure si può attentare all’estrema serietà con la quale l’uomo è sfidato nella sua libertà» [17]. «La libertà, dunque, è essenziale alla vocazione» [18]. Si tratta, tuttavia, di una libertà che - oltre che animata e sostenuta dalla grazia e mai, quindi, in opposizione o in alternativa ad essa – è partecipazione viva della stessa libertà di Cristo, con il quale chi è in cammino verso la scelta definitiva dello stato di vita è necessario che si configuri attraverso un dialogo orante [19].
    Non si può negare che anche quest’attenzione possa essere facilmente disattesa dai giovani d’oggi, perché questa libertà mette in gioco la loro responsabilità e la loro capacità di rischiare la vita su una persona, Gesù Cristo, che come Dio è assoluto e totalmente imprevedibile. La mentalità assicurazionistica d’oggi, già sopra richiamata, rende loro difficile sbilanciarsi, rischiare ed esporsi fuori di sé, e fa loro preferire lasciare ogni responsabilità alla decisione della guida e dell’educatore.
    Piuttosto che correre il pericolo di dover decidere liberamente, ci si nasconde dietro il dovere della legge universale o del dictamen di un altro, rinunciando ad ogni discernimento spirituale. L’accompagnatore che stesse al gioco, anche se non se ne rende conto, di fatto mette nei giovani le premesse di un modo di condurre in futuro una vita da prigionieri perché mai scelta positivamente e responsabilmente, oppure di abbandoni della via abbracciata, ancorché irreversibile perché perpetua, con l’illusione di potersi giustificare, di fronte alle impreviste difficoltà, attraverso il dubbio della stessa validità degli atti conclusivi che lo hanno posto definitivamente in un preciso stato di vita (matrimonio, ordinazione sacerdotale o professione religiosa perpetua). Questo dubbio, per lo meno, infiacchisce l’incandescenza e il fervore di un’esistenza che dovrebbe essere pienamente donata.

    * Interiorità come luogo del dialogo. Perché queste attenzioni si concretizzino nell’esperienza, l’accompagnamento dovrebbe coerentemente promuovere un sano processo di interiorizzazione e, soprattutto, una capacità radicale ad attuarlo. Spesso, oggi, purtroppo, l’interiorizzazione viene vissuta come un processo di ripiegamento su di sé, come una ricerca narcisistica di quello che è particolare e singolare della persona che lo distingue dagli altri per affermare se stesso, piuttosto che come un cammino verso il cuore inteso come il luogo della comunicazione dei diversi [20], per essere di maggiore aiuto e per servire più compiutamente e appropriatamente gli altri. È questa la via privilegiata per il dialogo con il Diverso per eccellenza, con l’Altro, con Dio nella preghiera, ma anche per il dialogo con gli altri, tra i quali non certo secondario è lo stesso accompagnatore.
    Entrare in una dinamica di interiorizzazione comporta, tuttavia, un clima adatto e particolare che non è così facile da trovare e da creare nel mondo del giovane «navigator» d’oggi, «computerizzato» e «internetizzato», che è marcato dal rumore e dall’esteriorità, perché condizionato da un sovraccarico di stimolazioni che ne frammentano i desideri, la conoscenza e la volontà, da una maturazione precoce dell’aspetto cognitivo a scapito della maturità affettiva e vocazionale, dall’aiuto di tanti mezzi che lo imprigionano nell’effimero e da una visione positiva della sessualità che, però, per reagire a quella negativa di alcuni decenni or sono, ha finito per favorire una società «erotizzata» che rende ancora più difficile la donazione totale di amore che, più di ogni altra realtà, favorisce l’autentica maturità umana e spirituale della persona. Per questo l’accompagnamento verso la maturità dovrà offrire aiuti e spunti per favorire nel giovane il senso del silenzio e del raccoglimento, la capacità di saper vivere la solitudine senza avere la preoccupazione e la frenesia di «stare alla finestra», il desiderio di appartarsi senza volere essere sempre al centro di tutto o in mezzo alla massa, il senso della misura nel raccogliere e cercare le informazioni, insieme al senso della bellezza dell’amore che si dona.

    b) Nel formatore

    Questo impegnativo lavoro da parte dell’accompagnatore nel cercare di favorire le sopradescritte attenzioni nel giovane che è chiamato ad aiutare, a sua volta va preceduto, evidentemente, da altrettante importanti e, forse, addirittura più gravose attenzione rispetto al necessario lavoro su se stesso.

    * Competenza di vita oltre che di tecniche. Se nel cammino verso la maturità il giovane deve rivestirsi degli atteggiamenti e dei sentimenti interiori dell’eunuco funzionario della regina d’Etiopia, all’opposto questo non dovrebbe verificarsi nell’accompagnatore e nell’educatore. Egli, infatti, non può porsi di fronte a chi deve aiutare a scegliere come uno che anche solo pensi: «Come potrei capire quello che sto leggendo se nessuno me lo spiega?» [21]. Chi è cieco non può condurre e aiutare un altro cieco: ci sarà il pericolo che tutti e due finiscano nel pozzo! [22].
    L’accompagnatore vocazionale di giovani alla scelta dello stato di vita è prima di tutto un testimone. Di qui si evidenzia anche la necessità non solo di una preparazione specifica e tecnica al delicato compito di guida di giovani, ma anche e soprattutto una sua preparazione spirituale e umana, nella quale cioè esperienze di natura spirituale e percorsi di analisi psicologica si coniughino per la formazione di quello strumento che a sua volta dovrà aiutare i giovani a impostare la scelta dello stato di vita come un cammino spirituale che è al tempo stesso crescita personale verso la maturità. Mai la migliore tecnica o i migliori contenuti potranno sopperire alle carenze interiori: al massimo le potranno sul momento nascondere e occultare, ma alla lunga una minore attenzione alla cura della propria persona produrrà minori, se non addirittura funesti, frutti nei destinatari della sua azione apostolica.

    * Vicinanza attiva ed efficace. Nel trattare e riflettere sulle attenzioni che l’accompagnatore deve avere circa se stesso e la propria azione, spesso si sottolinea l’attenzione alle persone e la cura per l’accoglienza e l’ascolto della loro vita e delle loro esperienze. Certamente è questo un punto molto delicato, perché, dietro la sottolineatura di questi valori, si possono nascondere errori pericolosi. L’educatore deve coinvolgersi e provare empatia per coloro che deve accompagnare, ma questo non significa che possa tranquillamente dimenticare la giusta distanza nell’accompagnamento; la comprensione per i ritmi e per il cammino di ciascuno non comporta necessariamente un atteggiamento di semplice vicinanza e assistenza da testimone silenzioso e incapace di orientare verso un fine; ascolto rispettoso, accoglienza neutrale, attesa passiva e non-interferenza se non significano condanna, non sono nemmeno sinonimi di permissivismo; attenzione antropologica al soggetto da conoscere nella sua irripetibilità non significa trascuratezza delle dinamiche psichiche universali e comuni a tutti e, tanto meno, diritto ad ignorare la componente teologica che assegna una meta precisa da additare alla persona e contenuti precisi oggettivi da trasmettere. Questi, in ultima analisi, vanno attinti alla pedagogia di Dio paradigmaticamente descritta nella S. Scrittura e da Lui attuata lungo tutta la storia, che è storia della salvezza. Nella guida del suo popolo e dei singoli membri Dio non si pone semplicemente come un accompagnatore che si fa vicino e si mette al passo dell'uomo senza esercitare alcun intervento efficace, quasi fosse un semplice testimone che attesta e avvalla l'operato libero dell'uomo e si preoccupa di non interferire sulla creatività dell'uomo per non pregiudicarne la libertà. Per lo meno ci si dovrebbe interrogare se in una tale visione non si annidi una figura di un rapporto Dio-uomo concorrenziale e un’immagine di un Dio avversario dell'uomo, ben lontana da quella del Dio dell'Alleanza.
    Dio, con buona pace di Rogers e del permissivismo di molti suoi discepoli, è davvero direttore, fino al punto addirittura di essere il fondamento stesso della libertà dell'uomo e della stessa creatività attraverso la sua azione salvifica. Cura della persona, accoglienza, ascolto, da una parte, e direttività, dall’altra, non si contraddicono necessariamente. Il saper dosare e soprattutto integrare la passività connessa con l’accoglienza e l’ascolto del giovane con l’esercizio attivo di una certa direttività nei suoi riguardi è senza dubbio uno dei compiti più difficili che l’accompagnatore ha da affrontare. Personalmente ritengo che egli potrà trovare la soluzione solo «attraverso» e «in» uno stile sciolto di autentico discernimento spirituale, maturato nell’esperienza dell’incontro personale con Gesù Cristo in una preghiera gravida di quella fede che è risposta attiva e libera alla parola e all’azione di Dio ricevuta nel profondo del cuore, al di là dell’esclusivo impiego di tecniche strettamente psicologiche per altro preziose e necessarie anche se non sufficienti.

    * Consapevolezza dei propri ostacoli. Una particolare attenzione, infine, dovrà essere riservato dall’accompagnatore agli ostacoli che si frappongono nel cammino verso la maturazione dei giovani oggi. Si tratta di quelle forze negative di vario tipo (fisiche, sociologiche, psicologiche, morali, spirituali) presenti non solo nei giovani impegnati nella scelta dello stato di vita o che essi possono incontrare in questo delicato momento di discernimento come provenienti dall’esterno, ma anche nello stesso accompagnatore: esse ne rendono meno efficace, quando anche – Dio non voglia – dannosa, la sua ricerca di aiuto nella sua azione di guida e di accompagnatore. Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis ricorda che si danno ostacoli che possono bloccare o spegnere la risposta libera dell'uomo: non soltanto i beni materiali possono chiudere il cuore umano ai valori dello spirito e alle radicali esigenze del Regno di Dio, ma anche alcune condizioni sociali e culturali del nostro tempo possono presentare non poche minacce e imporre visioni distorte e false circa la vera natura della vocazione, rendendone difficili, se non impossibili, l'accoglienza e la stessa comprensione [23].
    Già sopra abbiamo ricordato alcuni di questi ostacoli parlando dei giovani e che sono esplicitati dal Papa nel medesimo paragrafo della sua esortazione postsinodale (visione errata di Dio, idee distorte sull’uomo, concezione falsa dell’autonomia della libertà umana che non può essere mai assoluta, modo di vedere intimistico e individualistico il rapporto dell’uomo con Dio, la mentalità secolarizzata della società d’oggi, ecc…). Non dobbiamo essere così ingenui e ottimisti da pensare che essi non attentino anche allo spirito dell’accompagnatore. Mai in modo sufficiente si raccomanderà una vigilante attenzione ai pericoli, consci tuttavia che non si esaurisce in essa il lavoro spirituale che egli deve compiere su se stesso.
    In un prossimo articolo completeremo il nostro studio, analizzando alcune attenzioni di metodo che ci sembrano doversi privilegiare e, soprattutto, la cura che si deve avere perché siano ben impostate le diverse relazioni che il giovane incontra nel suo cammino di scelta dello stato di vita in modo che risultino per lui efficaci aiuti verso una maturità sempre più piena.

    NOTE

    1 Parlando di uomo intendiamo riferirci anche alla donna; sia riguardo a questo termine, come pure riguardo ad altri che facilmente il lettore saprà individuare (per esempio ragazzo/a, formatore/formatrice, accompagnatore/accompagnatrice, direttore/direttrice, educatore/educatrice, ecc…); ci avvaliamo del linguaggio inclusivo unicamente per non rendere pesante e gravosa la lettura dell’articolo.
    2 Il progetto di vita non deve essere confuso, come avremo anche modo di meglio specificare più avanti, con un semplice programma che scandisce in modo ordinato e regolare l’impiego dei mezzi di cui avvalersi per raggiungere gli obiettivi prefissi, o con una «tabella di attività» o un «trattato di norme giuridiche» che, proprio senza il progetto di vita, potrebbero risultare come l’insieme di fredde leggi da eseguire e strumenti che frenano l’assunzione del rischio legato ad ogni itinerario di conversione, e, soprattutto, potrebbero spegnere lo Spirito che invita ad entrare in un cammino e in un dinamismo di vita.
    3 Usiamo per il momento questo termine con un significato generico come guida e educatore, piuttosto che nel senso specifico che il termine assume, come vedremo, nel cammino di maturazione della scelta di stato di vita.
    4 Cf Rom 8.
    5 Mt 19,17.
    6 Cf M. COSTA, «Fare-la-volontà-di-Dio» e senso del mistero, in F. IMODA (ed.), Antropologia interdisciplinare e formazione, EDB, Bologna 1997, pp. 353-369 (trad. inglese: «Doing Good’s Will» and sense of mystery, in F. IMODA (Ed.), Peteers, Leuven 2000, pp. 266-278).
    7 Mt 19,20-21.
    8 Cf C. M. MARTINI, Dio educa il suo popolo, Lettera pastorale per l’anno 1986-87, pp. 25-26.
    9 La vocazione va intesa come Parola di Dio. Per i vari sensi di «Parola di Dio» e a quale livello si collochi la ricerca della volontà di Dio attraverso di essa, Cf C. M. MARTINI, La Parola di Dio e gli Esercizi Spirituali, conferenza pubblicata in varie opere, per esempio in AA.VV, In ascolto della Parola di Dio negli Esercizi, a cura della FIES, LDC, Torino-Leumann 1973, pp. 25-38, oppure in C. M. MARTINI, Parola di Dio e Vita dell'uomo, Ed. Comunità di Vita Cristiana - Roma, pp. 113- 123. ID., In religioso ascolto della Parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, in Per una santità del popolo, EDB, Bologna 1986, pp. 607-624.
    10 At 8, 26-39.
    11 Cf A. MANENTI, Il perché di una formazione specifica del formatore, in «Seminarium», 40 (2000), pp. 726-729.
    12 VC 16b. 19c. 20a. 20b. 24. 27c. 28a. 64c.
    13 Dal punto di vista linguistico, «più totale» è un’espressione errata, ma, dal punto di vista teologico e spirituale, esprime bene come la totalità di donazione alla quale il giovane si sente chiamato non è qualcosa di statico e che possa essere definitivo su questa terra, ma per la sua autenticità richiede un continuo superamento e un’ininterrotta crescita.
    14 Cf A. MANENTI, Il perché di una formazione specifica del formatore, cit., pp. 728-729.
    11 Cf A. MANENTI, Il perché di una formazione specifica del formatore, in «Seminarium», 40 (2000), pp. 726-729.
    12 VC 16b. 19c. 20a. 20b. 24. 27c. 28a. 64c.
    13 Dal punto di vista linguistico, «più totale» è un’espressione errata, ma, dal punto di vista teologico e spirituale, esprime bene come la totalità di donazione alla quale il giovane si sente chiamato non è qualcosa di statico e che possa essere definitivo su questa terra, ma per la sua autenticità richiede un continuo superamento e un’ininterrotta crescita.
    14 Cf A. MANENTI, Il perché di una formazione specifica del formatore, cit., pp. 728-729.
    15 PDV 36.
    16 PDV 36c (la sottolineatura è nel testo stesso del documento).
    17 PDV 36f.
    18 PDV 36g (Le sottolineature sono nel testo del documento).
    19 «l’oblazione libera, che costituisce il nucleo più intimo e più prezioso della risposta dell’uomo a Dio che chiama, trova il suo incomparabile modello, anzi la sua radice viva, nell’oblazione liberissima di Gesù Cristo, il primo dei chiamati, alla volontà del Padre» (PDV 36h).
    20 C. M. MARTINI, Il predicatore allo specchio, Milano 1986, p.103.
    21 At 8,31.
    22 Mt 15,14.
    23 PDV 37a.


    ATTENZIONI DI METODO E RELAZIONI DA FAVORIRE

    (Tredimensioni 1(2004) 3, 235-252)

    Nell'articolo precedente (e qui sopra riportato) apparso sulla Rivista "Tredimensioni" [1] abbiamo trattato dell’accompagnamento verso la maturità di un giovane [2] alla ricerca della volontà di Dio circa lo stato di vita definitivo. Dopo avere trattato alcune chiarificazioni necessarie soprattutto all’inizio del cammino e alcuni atteggiamenti da favorire sia nel giovane che nell’accompagnatore, in questa secondo articolo vorremmo esplicitare alcuni criteri per una retta impostazione di un progetto di crescita personale raggruppandoli attorno a due altri poli o “parole-chiave”: attenzioni privilegiate di metodo e relazioni. Vale a dire ci proponiamo di analizzare alcune attenzioni di metodo che ci sembrano doversi privilegiare e, soprattutto, la cura che si deve avere perché siano ben impostate le diverse relazioni che il giovane incontra nel suo cammino di scelta dello stato di vita in modo che risultino per lui aiuti verso una maturità sempre più piena.

    Attenzioni privilegiate di metodo

    Nell’accompagnare il giovane in ricerca dello stato definitivo di vita, per una sua proficua maturazione umana e spirituale, la guida non è esente da un paziente e attento lavoro interiore su se stesso. Ne fa parte anche la cura per alcune attenzioni particolari di metodo da tenere costantemente a fuoco e ben presenti nell’esercizio del suo compito. Questo è tanto più vero se si ricorda che l’accompagnatore non deve limitare la propria azione alla semplice trasmissione di contenuti, soprattutto se veicolati attraverso la via didattica propria del docente.

    a) Educazione, non istruzione

    L’accompagnare non è né solo né principalmente un ministerium Verbi o anche un semplice indottrinamento di verità. E' vero che, in occasione del colloquio si potrà richiedere alla guida anche una comunicazione di verità e un annuncio della Parola, ma propriamente l’accompagnatore non riflette Cristo Maestro e la sua azione non si colloca solo nel filone dell'attività magisteriale.
    Nella formazione della coscienza, fondamentale in un processo di maturazione umana e spirituale soprattutto in un momento così delicato quale quello del processo di scelta dello stato di vita, la comunicazione oggettiva della Parola o, comunque, delle verità è decisiva; bisogna, tuttavia, fare attenzione che la sottolineatura della comunicazione della Parola e delle verità attraverso la comunicazione verbale non porti l'accompagnatore a sentirsi e a diventare un professore, un istruttore, un insegnante (di dogma, di morale, di psicologia, di antropologia, o anche di "temi spirituali"), piuttosto che un educatore e un suscitatore di esperienze spirituali. Ci sarebbe il pericolo di cadere in un'impostazione pedagogica di stampo razionalistico che facilmente, da una parte, indurrebbe il giovane a preoccuparsi unicamente della comprensione di quanto recepito attraverso la comunicazione verbale, in altre parole delle idee, dei principi e dei concetti, da applicarsi quasi automaticamente alla realtà con un impegno puramente volontaristico, senza un’assunzione responsabile delle proprie decisioni nella luce della fede e senza un coinvolgimento anche affettivo della propria persona; e, dall’altra, la guida sarebbe indotta a preoccuparsi soprattutto, per non dire unicamente, dell'autenticità dell’intervento alla partenza più che all'arrivo, della sua comunicazione più che dell'ascolto da parte dell'accompagnato. Il cammino verso la maturità sarebbe un percorso solamente logico più che esperienziale e vitale.

    b) Pedagogia personalistica, dialogica ed esperienziale

    Proprio perché convinto che la sua azione nei riguardi del giovane sarà tanto più promotrice di maturità e gli sarà tanto più d’aiuto quanto più sarà riflesso, segno, anzi direi sacramento, dell’azione stessa di Dio pedagogo amante dell’uomo, che per primo avrà sperimentato e riconosciuto nella propria esistenza, l’accompagnatore si preoccuperà di impostare la sua relazione con la persona da accompagnare secondo una pedagogia personalistica, dialogica ed esperienziale.
    L’attenzione alla persona piuttosto che al comportamento, l’instaurazione di un dialogo d’amore, nel quale la chiamata, animata dal suo amore, non solo rispetta la libertà del giovane, ma addirittura è capace di suscitarne una risposta pienamente libera, e l’interesse per l’esperienza e per il vissuto del giovane, quale “luogo” privilegiato nel quale cogliere e discernere la Parola di Dio sempre più compiutamente e “mezzo attraverso” il quale stimolare nel giovane il proprio processo di crescita, sono altrettanti punti qualificanti la pedagogia dell’accompagnatore. Il magistero del Card. Martini soprattutto nella lettera Dio educa il suo popolo e quello di Giovanni Paolo II, soprattutto nel capitolo IV della Pastores dabo vobis, offre all’accompagnatore pagine mirabili di meditazione per entrare sempre meglio in una pedagogia della fede e nella fede, quale si richiede per aiutare i giovani nella scelta decisiva dello stato di vita e nel cammino personale verso una sempre più piena maturità di tutta la loro persona concreta.
    L’attenzione privilegiata per questa pedagogia personalistica, dialogica ed esperienziale aiuterà l’accompagnatore ad evitare alcuni errori nei quali egli potrebbe facilmente cadere, soprattutto oggi sotto la pressione di una cultura “debole” e superficiale, dell’effimero e del look, preoccupata più dell’apparire che dell’essere.
    Prima di tutto, infatti, l’attenzione privilegiata per questo tipo di pedagogia aiuta a non accontentarsi di una semplice lettura della situazione. Essa è necessaria e va stimolata dalla guida, ma non è sufficiente e non può essere decisiva. “Educare attraverso l’esperienza” non significa lasciarsi determinare e schiavizzare dal dato storico, altrimenti si verificherebbe una perniciosa contrapposizione alla dimensione personalistica e dialogica dello stesso processo formativo che comporta il coinvolgimento dell’interiorità e della libertà della persona. “Educare attraverso l’esperienza” non significa solo educare alla percezione dei dati storici particolari e mutevoli che andranno coniugati con i dati universali e immutabili della fede e della ragione. Per aiutare la maturazione di una decisione libera e responsabile nella maggiore misura possibile, si renderà necessario quel dialogo interpersonale nel quale l’accompagnatore inviterà il giovane ad appropriarsi correttamente di questi dati della ragione e della fede, e gli offrirà aiuti per attuare interiormente quel clima costante di preghiera e d’ascolto dello Spirito necessario per la retta integrazione tra i diversi dati da tenersi presenti in tutto il processo di scelta. Non per niente si parla di “educare attraverso l’esperienza” e non di “educare al senso dell’esperienza”: il termine dell’azione dell’educatore è la maturità della persona, non l’esperienza; questa rimane un mezzo dell’educazione e non deve esserne considerata un fine!

    c) Dal comportamento all’interiorità

    Altri errori che l’educazione personalistica, dialogica ed esperienziale permetterà all’accompagnatore di evitare più facilmente sono il comportamentalismo e il tecnicismo/legalismo. Proprio perché si tratta di un’educazione che pone al suo orizzonte la persona intera a partire dall’esperienza, l’accompagnamento della guida non si può accontentare di un semplice comportamento esteriore anche se ineccepibilmente corretto. Senza un’attenzione all’interiorità della persona, al suo modo di intendere e “sentire” i problemi e le loro soluzioni, senza un coinvolgimento dell’affettività oltre che dell’intelletto che offre valide motivazioni all’agire esterno, è facile che, qualunque sia la decisione presa, essa sia sostenuta da un volontarismo a punta di spillo. Difficilmente nel concreto della vita, col passare degli anni, l’uso rigido della volontà a sostegno del proprio comportamento può essere a lungo mantenuto ed esercitato.
    Non è, evidentemente, difficile capire come quest’impostazione esteriore, nel caso di una scelta immutabile qual è quella dello stato di vita, apra la porta a quelle che impropriamente sono dette “tristi sorprese”, come per esempio l’abbandono della vita sacerdotale o religiosa, oppure del coniuge. Che siano “tristi” tutti lo riconoscono; che siano “sorprese”, lo può dire solo chi si è illuso di aver compiuto (o di aver visto compiere da parte del giovane) una maturazione umana solo per il fatto di aver mostrato un’immagine di sé forse anche ortodossa, ma terribilmente superficiale, e di aver osservato un retto comportamento esteriore.
    L’accompagnatore che sa evitare per sé l’errore del comportamentismo, sarà in grado di difendersi meglio, nella sua azione educativa, dalla tentazione di cedere al tecnicismo, che, come il compor-tamentismo, spesso spalanca le porte al legalismo e ad una fedeltà statica. Talvolta si pensa di ricorrere alla tecnica per sopprimere le proprie mancanze e i propri difetti interiori sia spirituali, sia umani. Di fatto, però, non si fa che nasconderli. Questo costituisce non una soluzione, bensì un pericolo in più. La vocazione non è l’esecuzione di una legge, fosse anche legge divina. Il rispondere alla chiamata di Dio, il “fare la volontà di Dio”, non può essere ridotto ad un’esecuzione di un progetto impersonale e freddo di Dio nel quale non fosse coinvolto l’uomo intero con tutte le sue energie, i suoi desideri, le sue aspirazioni.
    Impedire che sia messo il silenziatore alle risorse più interiori della persona, facendo invece proprio appello a loro, è una delle attenzioni sulle quali l’accompagnatore dovrebbe principalmente vigilare e che al tempo stesso dovrebbe soprattutto promuovere nel giovane.

    d) Tre movimenti del discernere

    Queste considerazioni ancora una volta ci riportano a dover sottolineare l’importanza di vivere il cammino verso la maturità, soprattutto quando si tratta ed è in gioco la scelta definitiva dello stato di vita, come un processo di discernimento continuo nel quale il giovane deve progressivamente entrare con un’attenzione sempre più affinata all’azione dello Spirito e con una docilità alla sua azione interiore sempre più precisa. Questo comporta ripercorrere, quasi con un movimento a spirale ascendente verso una trasparenza sempre maggiore della volontà di Dio, le diverse tappe in cui è scandito il cammino della ricerca di ciò che a Dio è più gradito nelle concrete circostanze della propria esistenza. “Sentire – Giudicare – Scegliere”, “Raccogliere i dati – Discernere – Deliberare” “Accorgersi/annotare – Comprendere/Vagliare – Integrare”: ecco alcune triadi di verbi che scandiscono le tre tappe fondamentali di un processo di discernimento. Essi hanno come oggetto particolare i dati (universali e particolari, di ragione e di fede, mutevoli e immutabili, di natura e di grazia, ecc…) di tutta l’esperienza umana da cui si parte (=prima tappa), per giungere, attraverso la riflessione (=seconda tappa), a conoscere, amare e ad abbracciare con libera scelta la Parola di Cristo che risuona nel cuore e chiama, nel nostro caso concreto contemplato, a seguirlo in un particolare e specifico stato di vita. Queste tre tappe potrebbero essere rispettivamente attribuite, come a principi che danno origine alle diverse operazioni che le caratterizzano, alle facoltà della memoria, intesa soprattutto come facoltà che porta al presente del processo di discernimento in atto il passato delle esperienze vissute; alla facoltà dell’intelletto che non solo giudica, distingue e separa, ma che, prima ancora, comprende, fa conoscere e legge la realtà nella sua interiorità; e alla facoltà della volontà/libertà in forza della quale si opera la scelta della volontà di Dio conosciuta e amata.
    Le indicazioni metodologiche per condurre un discernimento spirituale autentico, insieme alle Regole del discernimento degli Spiriti, che si sono andate accumulando nella sapienza della chiesa e dell’umanità lungo i secoli a partire dalla secolare esperienza della Tradizione viva della Chiesa, sono aiuti che non dispensano per niente dal dono del discernimento che Dio distribuisce nella misura da lui voluta, ma che l’uomo può più o meno sviluppare attraverso la messa in atto d’opportune azioni, iniziative, accorgimenti e, soprattutto, esercizi ed esperienze spirituali. Nulla potrà mai sostituire questo lavorio personale del giovane per crescere nella capacità di discernere, per sviluppare il dono del discernimento che come un seme – anche se piccolissimo – il Signore probabilmente gli ha già comunicato con il Battesimo.
    Guai all’accompagnatore e, di riflesso, anche al giovane, se al metodo del discernimento danno tale peso da dimenticare che esso è soprattutto un’arte e, prima ancora, un dono dall’Alto di Dio piuttosto che una conquista dell’uomo dal basso: ci sarebbe il pericolo di cadere in un sottile e spietato fariseismo e legalismo che allontanerebbe in maniera diametralmente opposta dalla libertà e dalla verità, e impedirebbe di cogliere la scelta e la decisione come vocazione di Dio oppure, ancor più facilmente, impedirebbe di arrivare a fare un’autentica scelta. Questo fatto finirebbe per rendere il giovane prigioniero della situazione o schiavo della legge del “si fa così” proprio della moda, proprio tutto il contrario di quello che il discernimento vuol essere, cioè una pedagogia spirituale della e alla vera libertà del figlio di Dio.

    e) Cammino graduale a partire dal concreto…

    La legge della gradualità, che deve marcare il movimento del discernimento in ordine alla scelta dello stato di vita, non è solo un’esigenza che riguarda lo sviluppo dell’attuazione del metodo, ma anche la presentazione dei contenuti che l’accompagnatore saggio saprà offrire al giovane che si rivolge a lui per essere aiutato nella ricerca della volontà di Dio circa lo stato di vita da scegliere per la propria esistenza.
    Prima di addentrarsi nel lavorio diretto ed esplicito della ricerca, il giovane ha da preparare scrupolosamente il terreno. Non solo per percepire i dati, ma anche per discernere e scegliere in modo autenticamente spirituale, c’è l’esigenza e la necessità di identificare bene, con esattezza, dove concretamente egli si trovi. Il cammino della ricerca della volontà di Dio è un percorso pedagogico nel quale Dio, il gran pedagogo, per portare l’uomo a conoscere e ad abbracciare la propria vocazione, lo va a cogliere là dove questi si trova: nella situazione di peccato e di debolezza come ha fatto con il popolo d’Israele. Di qui l’importanza di cogliere non solo il proprio io ideale, ma prima di tutto il proprio io attuale. Certamente questa conoscenza ingenera tensione, perché nessuno vorrebbe cogliersi diverso da quello che concretamente vorrebbe essere. La coscienza della distanza tra i due poli e del proprio peccato richiama, inoltre, la necessità di una conversione e di una purificazione del cuore. Quest’ultima è richiesta anche per altri due motivi: 1° per discernere bisogna avere occhi puri: vede il vero chi è nel vero; 2° per acquisire in modo vitale, proprio attraverso la meditazione sui propri peccati, i grandi criteri di giudizio di Dio, come in altre parole Dio giudichi il peccato e il peccatore, e insieme per cogliere la differenza tra giudizio di persona e giudizio di verità, e acquisire il senso vero e l’esperienza vitale della misericordia di Dio e dell’Amore che discende dall’Alto e propriamente fa discernere.
    L’esigenza di concretezza che spinge ad andare oltre la legge, come dovrebbe essere nel desiderio di chi si mette alla ricerca dello stato di vita come Vocazione dall’Alto di Dio, oltre alla conversione dal peccato allo stato di grazia, comporta anche un passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, dal regime della legge al regime della libertà del figlio di Dio e dello Spirito, da un’impostazione della vita rigidamente morale ad un’impostazione spirituale e quindi personalizzata, senza, però, cadere nel relativismo o nel soggettivismo morale.
    Si tratta di passare da una visione “terreno-centrica” ad una cristo-centrica, al rapporto interpersonale con Cristo, all’imitazione di Lui e, quindi, a conoscerlo, ad amarlo internamente e a seguirlo sempre di più. Anche nell’esercizio di preghiera, che deve accompagnare il processo di ricerca della volontà di Dio e il cammino verso la maturità umana e spirituale, s’impone al giovane di essere educato dall’accompagnatore a passare alla contemplazione evangelica, dopo aver percorso i passi della via purificativa e di una preghiera più discorsiva poggiata soprattutto sull’impiego della memoria, dell’intelletto e della volontà. Senza contemplazione della persona di Gesù, senza la dimensione contemplativa della vita, non si può dare discernimento spirituale. Si rimane facilmente imprigionati nel “fare” e nell’“apparire”, e difficilmente si arriva a cogliere il proprio essere nella luce di Dio e della fede.

    f) …e per scelte successive

    Per giungere alla scelta dello stato di vita definitivo, si deve dare, pertanto, una gradualità anche nelle scelte da operare. Alla scelta dello stato di vita si arriva passando attraverso varie scelte gerarchicamente e ordinate secondo una chiara successione. Personalmente ritengo che il rispetto della gerarchizzazione delle scelte costituisca una delle grandi difficoltà che i giovani oggi incontrano nella scelta del proprio stato di vita e sulla quale purtroppo si arenano tanti processi di discernimento che non arrivano a compimento, lasciandoli nell’incertezza e costretti a far slittare la decisione finale fino a quando essa non si ponga come dura necessità esistenziale. In tal modo, però, la decisione finirà per essere più subita che effettivamente scelta e amata in modo libero e responsabile. Si danno tre scelte fondamentali da salvaguardare in un ordine preciso e costante:

    La scelta di Cristo: è la scelta del CHI. Si tratta della scelta di seguire Cristo, di servirlo e di diventare suo discepolo e collaboratore, assumendo fino in fondo le esigenze del battesimo.

    La scelta dello stile di Cristo: è scelta del COME. Si tratta di scegliere lo stile proprio di Cristo, quello evangelico a noi noto attraverso le Scritture. Oggi si vuol seguire Cristo: ma qual è il Cristo che io seguo o voglio seguire? Quante persone pensano di essere discepole di Cristo, ma, di fatto, seguono un Cristo che è proiezione della propria cultura o della propria visione di vita costruita prima di incontrare Cristo in verità. In tal modo, in pratica, finiscono per seguire se stessi illudendosi di seguire Cristo: qual è il vero Cristo? Questo è il vero problema d’oggi.
    Non lo si può eludere, se non vogliamo cadere anche noi in un cristianesimo marxista, o borghese, o antiborghese, persino ebraico e ateo, oppure nel più comune “Cristo sì, Chiesa no!” di tanti nostri contemporanei.

    La scelta dello stato di vita: è la scelta del CHE COSA in concreto fare per Cristo e il Suo Regno nel mondo a servizio della Chiesa. Si tratta di conoscere, per poi amare e abbracciare, quello stato di vita nella Chiesa e nella società nel quale possano rendersi testimoni di un particolare aspetto o dimensione della vita del Salvatore e della Sua missione, che continua ancora oggi nel mondo.
    CHI – COME – CHE COSA: l’ultima scelta concreta ed esistenziale, quella del “che cosa fare qui e oggi?”, la scelta dello stato di vita, deve essere vista come un’incarnazione, direi come un sacramento, della scelta del “come” e, prima ancora, del “chi”. Tante volte il Signore non fa capire il “che cosa”, perché non si è ancora scelto con decisione il “come”. La spiritualità sta dalla parte dell’avverbio piuttosto che dalla parte del verbo o del sostantivo: non importa tanto quello che si fa, quanto piuttosto come si fa. La spiritualità è una questione di stile! Analogamente è impossibile un vero “come” evangelico senza la scelta fondamentale del “chi”, della persona che si ama e da cui si è amati, se non partendo dalla persona di Cristo, se non – in ultima analisi – in un contesto d’amore e relazione interpersonale.
    Pertanto, se non si è innamorati di Cristo, ogni altro amore – fosse quello per la chiesa o per un ragazzo o una ragazza, per un’impresa, per i poveri, per gli ammalati, per gli emarginati ecc… - non è salvifico o, almeno, non può essere vissuto come vocazione e, soprattutto, non può conseguentemente essere scelto come un qualcosa d’immutabile e di perpetuo in pienezza di libertà e di responsabilità.

    Relazioni fondamentali

    Nel cammino verso la maturità umana e cristiana, insieme alle chiarificazioni, agli atteggiamenti da favorire e alle attenzioni privilegiate di metodo, deve essere attribuito un ruolo decisivo e importante anche alle relazioni tra le persone che entrano in gioco. Fondamentalmente si tratta, come abbiamo visto e possiamo facilmente intuire, di un cammino di discernimento. Diamo per scontato che esso abbia, pertanto, nello Spirito Santo il suo principale attore e protagonista e che, dunque, per l’accompagnatore e il giovane le relazioni con Lui siano prioritarie rispetto a qualunque altra relazione. Qui vogliamo, tuttavia, limitare la nostra considerazione prevalentemente ad alcune altre relazioni fondamentali nella costruzione di un cammino di maturità pienamente autentico, senza le quali la più scrupolosa attenzione alle procedure tecniche e la più concentrata fedeltà alle tappe previste del cammino di crescita inutilmente ne potrebbero garantire un successo e un esito positivo.

    a) Relazione con la Chiesa

    Il giovane, che sceglie lo stato di vita secondo la volontà di Dio e il bene profondo della sua stessa persona, non è il solo destinatario della vocazione del Signore. Essa «è anche un dono per l’intera chiesa, un bene per la sua vita e la sua missione» [3].
    Questo dato pone sia l’accompagnatore sia il giovane in una necessaria relazione di comunione con la Chiesa. È vero che ogni vocazione viene da Dio ed è dono di Dio; ma è anche vero che questo non si attua al di fuori e indipendentemente dalla Chiesa. Essa è, prima di tutto e di tutti, la «generatrice e educatrice di vocazioni. Lo è nel suo essere di “sacramento”, in quanto “segno” e “strumento” in cui risuona e si compie la vocazione di ogni cristiano; e lo è nel suo operare, ossia nello svolgimento del suo ministero di annuncio della Parola, di celebrazione dei Sacramenti e di servizio e testimonianza della carità» [4].
    Pertanto, è importante che la guida sviluppi in se stesso una coscienza sempre più acuta del senso ecclesiale della propria attività. Essa deve essere condotta in modo che appaia sempre di più come parte di un impegno corale di tutta la Chiesa e, pertanto, come collaborazione ad un servizio comune che vede coinvolti con la loro attività anche altri soggetti ecclesiali [5]. L’accompagnatore è chiamato ad espletare la sua azione con la convinzione che la vocazione alla quale è chiamato il giovane non solo deriva dalla Chiesa, ma si realizzerà nella Chiesa e a vantaggio della Chiesa stessa. Per questo deve sentirsi sempre più strumento di Dio e della Chiesa, cercando di assicurare in se stesso, per primo, quella positiva inclinazione affettiva verso la Chiesa considerata concretamente com’è, senza indebiti tagli alla sua dimensione istituzionale o dissimulazioni circa i suoi limiti e difetti.
    A questa stessa coscienza e al “sentire cum Ecclesia et in Ecclesia” è molto importante e decisivo che progressivamente sia educato il giovane affidato alle sue cure. Questo non potrà non favorire in entrambi quella fiducia nell’azione formatrice di Dio attraverso lo Spirito e nel Magistero della Chiesa. Sarà proprio questa fiducia che, nel dare respiro e serenità alla loro azione e a tutto il loro spirito, permetterà loro di gustare internamente la gioia di sentirsi umile servitore e di restare in comunicazione costante con gli altri formatori e educatori.
    Proprio questo “sensus Ecclesiae”, infatti, aiuterà l’accompagnatore a percepire e a vivere che il cammino di maturazione verso la libertà e maturità umana ha come protagonisti e soggetti attivi non solo lo Spirito Santo, primo di tutti in assoluto, il giovane, primo tra i soggetti umani, e se stesso, ma anche altre persone con le quali non può non fare i conti e con le quali necessariamente, anche se in maniera più o meno esplicita, dovrà entrare in relazione. Penso al futuro coniuge, alle rispettive famiglie d’origine, ai parenti, amici e conoscenti vari per chi è in cammino verso il matrimonio; penso alla diocesi, al Vescovo, al presbiterio e ai compagni candidati al sacerdozio per chi è orientato alla vita presbiterale; oppure penso all’Istituto o Congregazione religiosa, ai Superiori Maggiori, ai singoli membri concreti dell’Istituto nel quale vuole entrare per chi pensa di abbracciare lo stato di Vita Consacrata. La guida che ignorasse le relazioni di sé con queste molteplici persone e realtà e, soprattutto, non introducesse il giovane alla ricerca dello stato di vita in quest’ampio campo di relazioni, oltre a non offrire gli aiuti necessari, porrebbe uno scarso fondamento al cammino di maturazione umana e spirituale, compromettendone l’esito corretto.

    b) Relazione fra direttore spirituale e accompagnatore

    Tra le particolari relazioni che all’interno della chiesa l’accompagnatore e il giovane vengono ad imbattersi e che possono talora fare problema o aprire interrogativi ad entrambi, vorrei fare almeno un breve cenno a quelle che sorgono dalla distinzione tra direttore (o padre) spirituale e accompagnatore [6]. Questo ci permette di precisare meglio il termine “accompagnatore”, finora usato unicamente in maniera approssimativa e non specifica.

    * Problematica. L’esperienza insegna – e contro il fatto non c’è che il matto – che talora accompagnamento alla scelta dello stato di vita e direzione spirituale per il giovane in cammino strettamente vocazionale non hanno come punto di riferimento la stessa persona. Forse a più di uno dei lettori si sarà presentato il caso di accompagnare nella scelta dello stato di vita un ragazzo che già era aiutato e seguito da un direttore spirituale; oppure, viceversa, di essere chiamato ad instaurare una relazione di direzione spirituale con un giovane a lui indirizzato proprio dall’accompagnatore vocazionale che si sentiva a buon ragione inadatto ad espletare il compito e la missione di direttore spirituale. Spesso con troppa semplicità e superficialità si è voluto sostituire la figura di direttore o di direttrice spirituale con quella dell’accompagnatore o accompagnatrice vocazionale. Non è solo per l’influsso di certe teorie filosofico-psicologiche più recenti maturate soprattutto negli ambienti dei seguaci e discepoli di Karl Rogers che si è fatta strada l’idea di sostituire il termine “direzione spirituale” con quello di “accompagnamento psicologico”. Ad essa hanno contribuito anche psicologi d’altre scuole e, soprattutto, gli operatori della pastorale della vocazionale, che hanno finito per trasmettere un’interpretazione riduttiva della direzione spirituale. Ponendo, infatti, il “princeps analogatum” della direzione spirituale in quella esercitata durante il periodo della ricerca dello stato di vita, facendo quasi della scelta di esso il culmine di tutto il lavorio e del cammino del giovane con la sua guida, anche la direzione spirituale, non diversamente dall’accompagnamento psicologico o psicoterapeutico, veniva ad essere un’esperienza temporanea. Come conseguenza si verificava lo spostamento dell’obiettivo principale della direzione spirituale dalla crescita nella capacità di discernimento spirituale - che rimane sempre suscettibile di una continua maturazione fino alla morte, sia perché l’uomo rimane sempre in cammino per ulteriori progressi nella storia attraverso nuove esperienze, sia perché lo Spirito Santo sempre più e sempre meglio fino all’ultimo può aprire all’individuo orizzonti nuovi e presentarsi con un volto, per discernere il quale per ogni uomo può facilmente essere necessario l’aiuto di una guida – alla scelta particolare e definitiva dello stato di vita. L’interpretare, poi, la natura della direzione spirituale a partire dalla direzione spirituale vissuta nel tempo della ricerca e della maturazione della scelta del proprio stato di vita, proprio in opposizione ai desideri dei fautori di tale posizione, ha fatto cadere nell’inconveniente di una maggiore direttività nell’offerta di aiuto da parte di molti giovani sacerdoti, soprattutto, ma anche di religiosi e religiose, a causa di un comprensibile processo proiettivo della direzione spirituale ricevuta durante la loro formazione considerata come la forma di direzione spirituale più genuina e autentica, ma necessariamente carica di aspetti più istituzionali proprio in ragione della maggiore ufficialità della loro persona nella chiesa.
    Oltre a questi motivi, altri di carattere più strettamente pastorali mi sembrano che raccomandino dal punto di vista teorico, ma talora possano raccomandare anche da un punto di vista più strettamente pratico e pastorale, la distinzione tra direzione spirituale e accompagnamento. Anche i più recenti documenti del Magistero della Chiesa sembrano affermarlo [7]. Non sembra per niente opportuno che la necessità della presenza di una persona (= accompagnatore in senso specifico) che accompagni il giovane al noviziato o al seminario [8], venga a cancellare o a rendere meno opportuno il prosieguo del cammino con chi (= direttore spirituale) fino ad allora, cioè fino al momento in cui si impone più esplicitamente lo specifico discernimento circa lo stato di vita, lo aveva aiutato nell’itinerario di fede verso una maturità umana e spirituale sempre più completa.

    * Diversità di funzioni. La distinzione delle funzioni del direttore spirituale e dell’accompagnatore, inteso ora in senso specifico, si è andata abbastanza chiarificando nella chiesa, anche per l’influsso dell’insegnamento magisteriale di Giovanni Paolo II, solamente nell’ultimo decennio. Mentre alla figura del direttore spirituale viene riservato tutto il campo del cosiddetto foro interno non sacramentale, o meglio l’ambito della coscienza nella sua interezza [9], a quella dell’accompagnatore è affidato in modo specifico e proprio quello delle informazioni e delle conoscenze relative al carisma dell’Istituto o della Congregazione o della Diocesi verso cui il giovane è orientato, e l’iniziazione a quelle esperienze che possono offrirgli i dati necessari per il discernimento che egli è chiamato a compiere in ordine alla scelta dello stato di vita.
    Non si può pretendere che il direttore spirituale, per prestare il suo aiuto efficacemente, abbia sempre, in tutti i casi, una conoscenza sufficiente dell’Istituto o della diocesi verso cui il giovane gli sembra essere chiamato. Quand’anche poi egli possedesse una conoscenza profonda dell’Istituto o della diocesi, pur non essendo membro né della Congregazione, né, qualora fosse sacerdote, del corpo presbiterale dei sacerdoti incardinati [10], gli mancherebbe sempre quella conoscenza sapienziale che nasce dalla connaturalità con quel dono della vocazione specifica che il Signore sembra aver rivolto al giovane, e dalla partecipazione ad esso. In concreto potrebbe verificarsi il caso di un sacerdote direttore spirituale di una ragazza chiamata ad un Istituto di Vita consacrata femminile; oppure, il caso di un sacerdote diocesano direttore di un ragazzo chiamato ad una Congregazione religiosa; oppure anche, alla rovescia, il caso di una suora direttrice spirituale di un giovane chiamato al sacerdozio o alla vita religiosa sia come sacerdote, sia come fratello. In tutti questi casi ben venga la presenza di un membro della Congregazione o del corpo presbiterale dei sacerdoti incardinati che affianchi l’azione del direttore o della direttrice spirituale nel discernimento del/della giovane che lo/la porterà alla scelta di entrare in Seminario o in Noviziato come primo passo verso una precisa e definitiva scelta dello stato di vita. Nel cammino di maturazione della scelta che segue, nella formazione iniziale, la chiesa solamente nel caso del candidato al sacerdozio esprime, in modo esplicito e chiaro, la sua volontà che sia insignito dell’Ordine sacro colui che l’accompagna spiritualmente [11]. Per analogia verrebbe spontaneo ritenere che la stessa norma pedagogico-spirituale dell’identità carismatica tra direttore e diretto dovrebbe pure valere anche nei Noviziati e nelle case di formazione delle diverse Congregazioni, quelle femminili comprese.
    Vediamo, però, purtroppo, che questo è ampiamente disatteso, soprattutto negli Istituti di Vita Consacrata femminili. Il pregiudizio che la guida spirituale debba essere un prete è ancora fortemente radicata in molte parti del mondo. Non sembra sufficiente la giustificazione, talora adotta, della necessità o forte convenienza di identità di persona tra il direttore spirituale e il confessore, che sarà sempre un sacerdote, perché spesso più o meno coscientemente essa è invocata quale espediente per nascondere spinte clericali o addirittura maschiliste. Constatiamo, però, che questo pregiudizio di fatto produce il danno ancora maggiore di scatenare reazioni di stampo femminista tendenti ad affermare il sacerdozio per le donne o, almeno, la possibilità, quando non anche la convenienza o addirittura la necessità, che i seminaristi siano guidati spiritualmente da donne, consacrate o buone mamme di famiglia.

    * Unità d’indirizzo. L’esperienza mostra che in alcuni casi, da parte del direttore stesso unitamente alla persona diretta, è richiesto l’aiuto di un accompagnatore, non, però, come nei casi finora contemplati, cioè per una messa a punto più precisa degli aspetti specifici della vocazione che riguardano più propriamente la dimensione carismatica dell’appartenenza ad un Istituto di Vita Consacrata o dell’incardinazione in una determinata chiesa particolare, bensì come semplice verificatore del processo di discernimento condotto da entrambi insieme, dal direttore spirituale e dal giovane.
    Anche se si tratta di un caso molto raro, credo che valga la spesa segnarlo per confermare come le funzioni di direttore spirituale e di accompagnatore possono essere talmente distinte da presentarsi talora come addirittura separate. Certamente è questa una soluzione di ripiego, perché ci si augurerebbe che il direttore spirituale dovrebbe già essere capace, in quanto tale, di controllare e regolare il discernimento del diretto, senza bisogno di ricorrere ad una terza persona. Tuttavia questa soluzione potrebbe anche essere vista con occhi positivi, perché potrebbe essere dettata da una atteggiamento di umiltà autentica propria di chi, sentendosi ancora giovane e ai primi passi nel ministero della direzione spirituale, giudica necessaria una supervisione del proprio operato da parte di una persona esterna competente e di maggiore esperienza.
    Analogo discorso potrebbe essere fatto a proposito del ricorso all’aiuto dello psicologo o dello psicoterapeuta. Esso potrebbe rendersi necessario o sommamente conveniente, non perché ci si trovi davanti a casi patologici, ma semplicemente perché la guida spirituale umilmente riconosce di non sentirsi sufficientemente preparato e competente in questa materia che, d’altra parte, giustamente ritiene almeno utile per un aiuto più preciso ed efficace da offrire al giovane.
    In questi ultimi casi la figura dell’accompagnatore si pone come aiuto più esterno rispetto a quello offerto dal direttore spirituale, anche se, limitatamente ad alcuni aspetti della vita del giovane, non si può dire che egli si mantenga ad un livello di solo foro esterno e nemmeno si può dire che sia secondario o meno importante. E’ semplicemente diverso! Questa diversità deve essere, però, gestita sapientemente, per non indebolire l’unità di vita del giovane. Perché possa camminare efficacemente verso la maturità, si richiede un’autentica integrazione tra gli apporti dei diversi soggetti attivi nel lavorio di ricerca della scelta dello stato di vita definitivo. Direttore spirituale e accompagnatore, come del resto direttore spirituale (o accompagnatore) e psicologo (o psicoterapeuta), non solo non devono ostacolarsi offrendo aiuti che il giovane, percependo come contraddittori, sarà costretto a scegliere in modo alternativo, ma positivamente devono anzi rafforzarsi vicendevolmente. Questo sarà tanto più possibile e agevole per lo stesso interessato, al quale in ultima analisi spetta di operare nel profondo del proprio cuore l’integrazione tra i diversi aiuti ricevuti, se direttore e accompagnatore, oltre a salvaguardare le proprie competenze specifiche e a rispettare quelle altrui con fiducia piena, saranno liberati dal giovane dai segreti ai quali saranno tenuti in forza della conoscenza dei dati interiori o saranno stati a loro confidati come tali in modo esplicito. Un lavoro concordato insieme tra direttore e accompagnatore secondo gli auspici dello stesso giovane si rivelerà fecondo di bene ed efficace per il suo cammino di maturazione e di scelta, analogamente a quanto capita nel caso di un consulto tra medici di fronte al malato bisognoso di cure specialistiche differenziate.
    Molte altre considerazioni potrebbero essere esplicitate a proposito delle relazioni tra il Direttore spirituale, l’accompagnatore, lo psicologo o lo psicoterapeuta in un modo più dettagliato e particolare. Ci difende dalla tentazione di addentrarci in questo ampio campo di ricerca, abusando ulteriormente dello spazio concesso dalla Rivista, non solo la coscienza del pericolo di cadere nel genericismo o di ripetere dati ormai triti e scontati, ma soprattutto la certezza, oltre che l’augurio, che il tema di queste relazioni saranno oggetto di riflessioni e contributi di altri autori sulle pagine di questa Rivista.
    Similmente potrebbero essere pure richiamati il ruolo e la responsabilità di molti altri soggetti attivi nel cammino del giovane verso la maturità, in particolare quelli della famiglia d’origine, e dei gruppi, movimenti e associazioni in seno alle quali può prendere corpo e maturare la scelta dello stato di vita definitivo. Queste realtà si rivelano spesso campi particolarmente fertili per la vocazione e luoghi appropriati e privilegiati di proposta e di crescita verso la maturità [12]. Le relazioni, che non solo il giovane ma lo stesso direttore o accompagnatore spirituale può instaurare con queste realtà comunitarie, aprono il campo a numerosi problemi che ancora una volta, secondo i limiti che ci siamo imposti, ci accontentiamo solo di indicare e segnalare, senza voler minimamente affrontare, anche se riconosciamo che pure esse possono offrire un notevole contributo per la crescita personale del giovane.
    Infine, per lo stesso principio dei limiti che ci siamo dati, in particolare di attenerci ai criteri generali per impostare un progetto di crescita personale piuttosto che descrivere un programma dettagliato di norme o di azioni da attuare, non affrontiamo nemmeno il discorso circa i requisiti minimi per l’entrata in Seminario o in Noviziato, e circa i contenuti e i mezzi più particolari [13] di una sana pastorale vocazionale, che aiuti efficacemente la maturazione della libertà della persona attraverso la scelta specifica dello stato di vita definitivo.
    Ci basti solo aver attirato l’attenzione del lettore su temi che questa Rivista gli permetterà di approfondire con tranquillità e pace.
    Penso che l’analisi sopra condotta possa rendere ancora una volta più convinto il lettore come, nell’accompagnamento verso la maturità, le realtà interiori della persona che svolge il ruolo attivo di aiuto nei riguardi del giovane siano di maggiore importanza che le idee o i contenuti trasmessi. Per questo l’accompagnatore dovrà avere cura di formarsi, dentro di sé, una sintesi umano-spirituale personale e al tempo stesso ben radicata nell’oggettività per essere efficacemente comunicabile alla persona accompagnata, insieme con la capacità di riuscire a non trasferire le proprie difficoltà su di essa, intralciandone il normale sviluppo verso un’autentica maturità umana e cristiana. In particolare tanto più sarà efficace la sua azione a vantaggio del giovane, quanto più in maniera esistenziale e non solo nozionistica avrà saputo sfruttare al meglio gli apporti delle scienze antropologiche, della psicologia soprattutto, attraverso la mediazione della filosofia, e, soprattutto integrarli in una vita di fede fervorosa, vivendoli come complementari e mai come opposti a quelli offerti dalla Scrittura, dal Magistero, dalla riflessione teologica e dalle più interiori mozioni dello Spirito colte e interpretate attraverso un attento discernimento spirituale maturato nella preghiera.

    NOTE

    1 M. COSTA, Accompagnare nella scelta dello stato di vita (I): chiarificazioni iniziali e atteggiamenti da favorire, in «Tredimensioni», 1(2004), 122-141.
    2 Parlando di “un giovane” intendiamo riferirci anche alla ragazza o signorina, sia riguardo a questo termine, come pure riguardo ad altri che facilmente il lettore saprà individuare (per esempio ragazzo/a, formatore/formatrice, educatore/educatrice, accompagnatore/accompagnatrice, direttore/direttrice spirituale, ecc…); ciò per non rendere pesante e gravosa la lettura dell’articolo.
    3 PDV 41.
    4 PDV 35d.
    5 VC 64d.
    6 Più che mai, circa questo caso della distinzione tra direttore spirituale e accompagnatore si tenga presente quanto detto sopra nella nota 2.
    7 Cf I. PLATOVNJAK, La Direzione Spirituale oggi. Lo sviluppo della sua dottrina dal Vaticano II a Vita Consacrata (1962-1996), Roma 2001, soprattutto pp. 424-429.
    8 Questa necessità è spesso dettata dall’identità carismatica e della più esatta e concreta conoscenza dell’accompagna-tore rispetto a quella del direttore spirituale circa il carisma e il volto concreto della Congregazione o della diocesi nella quale il giovane vuole entrare.
    9 Non necessariamente al direttore spirituale compete il foro interno sacramentale: la sua funzione è distinta da quella del confessore, anche se più di un motivo sembrano raccomandare, soprattutto per i candidati agli ordini sacri e alla professione religiosa e ai sacerdoti e ai professi perpetui degli Istituti di Vita Consacrata, l’identificazione delle due funzioni nella stessa persona concreta.
    10 Non dico “del presbiterio”, perché ad esso appartengono anche se a diverso titolo i sacerdoti religiosi presenti sul territorio della diocesi.
    11 Cf per esempio, CIC, can 239, 2.
    12 Cf PDV 41e.g..h.
    13 Cf per esempio, PI 31. 33-41; PDV 38-40; VC 64.


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