Giovani e Beatitudini /1
Coloro che sono poveri
Luis A. Gallo
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3)
Il discorso della montagna, quello in cui l'evangelista Matteo condensa il proclama lanciato da Gesù di Nazaret, inizia con queste parole: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli" (Mt 5,3). A questa prima beatitudine seguono poi altre otto, che ne esplicitano il senso.
Luca nel suo vangelo ne riporta un'altra versione, più sintetica e concisa. Dice semplicemente, rivolgendosi - in seconda persona e non in terza, come nel testo di Matteo - a coloro che lo ascoltano: "Beati voi, poveri, perché vostro è il regno dei cieli" (Lc 6,20). Basandosi su rigorose ricerche esegetiche, autorevoli studiosi sostengono che questa sia la formulazione originale, quella che uscì dalla bocca di Gesù. Matteo l'avrebbe poi riformulata posteriormente, tenendo presenti i suoi propri lettori.
Comunque sia, tutte e due le versioni contengono un grande annuncio di felicità pronunciato da Gesù, e meritano di essere raccolte e fatte oggetto di riflessione da chi vuole seguire le sue tracce.
La versione di Luca mette più chiaramente in evidenza un dato indiscutibile dei vangeli: agendo in vista del regno di Dio, Gesù privilegiò nella sua attenzione e nella sua sollecitudine coloro che erano più lontani dal vedere appagato quel desiderio radicale che ogni essere umano si porta nel cuore, il desiderio di vivere, e di vivere in pienezza. E, indubbiamente, tra questi si trovavano i poveri del suo popolo, che poi erano la maggioranza di coloro che ne facevano parte.
La loro condizione economica era molto precaria, a differenza da quella in cui vivevano i pochi privilegiati che, per il fatto di far parte della corte del re Erode Antipa o delle famiglie sacerdotali che gestivano il tempio, o ancora per il fatto di essere padroni delle terre produttive o di gestire il grande commercio o la riscossione delle tasse, vivevano lautamente e perfino nello sfarzo. Alla precarietà economica della maggioranza del popolo si univano l'insicurezza nei confronti del futuro, l'emarginazione religiosa e politica, e non poche volte un senso profondo di colpa e di debito nei confronti di Dio per via delle loro innumerevoli violazioni della sua legge.
Ad essi si rivolgeva principalmente Gesù, con una parola che ha del paradossale: li dichiarava "beati". Certo, se non è ben capita questa parola può suonare a ironia o a cinismo. O, tutt'al più, a frase consolatoria che promette un premio futuro alla pazienza nel sopportare la pesante situazione del presente. Più di una volta questa prima beatitudine evangelica è stata intesa in tale senso. Perciò qualcuno l'ha perfino accusata di favorire l'alienazione. Se invece si tiene conto del quadro di riferimento in cui essa si colloca, acquista un senso molto diverso.
Infatti, alla proclamazione della beatitudine dei poveri Gesù aggiunge la ragione: "Perché vostro è il regno di Dio". È all'interno della sua motivazione di fondo e del modo concreto in cui la portava avanti che la parola da lui rivolta ai poveri va capita. Egli voleva ribaltare la loro triste condizione nel nome del Dio della vita. Ed è questa sua volontà che si esprime nella prima delle beatitudini. È come se egli dicesse loro: "Guardate, non è vero che Dio non vi vuole bene, che non pensa a voi; anzi, voi, proprio perché siete poveri, emarginati ed esclusi, proprio perché vi fanno sentire dei vermi e alle volte vi sentite tali, siete come la pupilla dei suoi occhi. Egli ha deciso di cambiare la vostra sorte. Beati voi per questo! Ecco, ciò che Dio vuole fare in vostro favore lo sta già realizzando per mezzo mio. Il suo regno è soprattutto e in primo luogo per voi".
Intesa così, la prima beatitudine è più una constatazione che un augurio. O, se si vuole, è tutte e due le cose: è constatazione di ciò che sta avvenendo e annuncio di ciò, ancora più grande, che avverrà.
In questo senso, essa è di un'attualità sorprendente. Gesù di Nazaret continua oggi a dire la stessa cosa a tutti quelli che sono i più poveri, i più deboli, gli ultimi tra gli uomini. Egli sa che di essi principalmente si occupa Dio, perché sono precisamente essi quelli che stanno al centro delle sua sollecitudine di Padre. Tanto più che, attualmente, questa situazione di "essere ultimi" ha acquistato delle dimensioni planetarie, in cui tre quarti degli abitanti di questo mondo sono sommersi da una povertà umiliante quando non da miseria estrema.
Ma perché questa parola annunciatrice di beatitudine ai poveri concreti venga detta loro senza cinismo, è indispensabile che sia accompagnata dai segni del regno di vita che poneva Gesù nel suo tempo. In questo senso, la versione di Luca si ricollega strettamente a quella di Matteo.
Nella redazione di quest'ultimo, infatti, al termine "poveri" viene aggiunta la specificazione "in spirito". Come si può facilmente capire, l'espressione non accenna ad una particolare condizione socio-economica di coloro nei confronti dei quali viene pronunciata, come quella di Luca, bensì ad una loro condizione "spirituale".
Questi poveri sono, anzitutto, coloro che, appartenenti alla corrente biblica degli anawïm o "poveri di JHWH", nutrono nel loro cuore una totale fiducia in Dio, anche in mezzo alle più tragiche e assurde circostanze della vita. Essi non si appoggiano né sulle loro ricchezze né sulle loro capacità né su cosa alcuna al mondo, ma soltanto su Dio e sul suo amore fedele e indefettibile. Esempi eminenti di tale povertà sono Gesù stesso, che visse in modo intensissimo lungo tutta la sua vita una fiducia filiale sconfinata nei riguardi di Dio, e la mantenne anche sulla croce (Lc 23,46), e Maria, sua Madre che ne seguì da vicino le orme.
Ma "poveri in spirito" sono, inoltre, quelli che ascoltando la proposta di Gesù decidono di accoglierla. Essi abbandonano qualunque altro progetto globale di vita per abbracciare quello del regno di Dio da lui proposto.
L'episodio del giovane ricco (Mt 19,16-26) è molto illuminante al riguardo. Egli chiede a Gesù cosa deva fare per avere la vita "eterna", ossia una vita piena, senza ritagli, e Gesù gli propone di condividere con i poveri ciò che ha e di seguirlo. Al che egli se ne va triste, poiché - chiarisce l'evangelista - "aveva molte ricchezze". E Gesù commenta: "In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli" (Mt 19,23-24).
Queste parole non si riferiscono, come spesso si sente dire, alla difficoltà che trovano i ricchi di andare in cielo, di "salvarsi l'anima"; si riferiscono invece alla loro enorme difficoltà di fare proprie le mire di Gesù, e quindi di mettersi dalla parte del cambio che egli prospetta affinché ci sia "vita abbondante" per tutti, a cominciare da quelli che ne hanno di meno. Chi è ricco è portato quasi istintivamente a voler mantenere la sua condizione e, se non è aiutato in maniera del tutto particolare da Dio (v.26), non riesce ad uscire dall'orizzonte dei suoi propri interessi, a condividere ciò che ha con coloro che sono poveri perché essi possano stare meglio. In una parola, a "farsi povero perché altri diventino ricchi per mezzo della sua povertà", come dice S.Paolo di Gesù stesso nella seconda lettera ai Corinzi (2Cor 8,9).
La beatitudine di Matteo si rivolge quindi ai poveri "in spirito". A coloro cioè che, affascinati dalla proposta di Gesù, sono disposti, mettendo tutta la loro fiducia in Dio, a portarla avanti. La loro decisione non è qualcosa di vago e impreciso, ma si traduce in fatti: essi pongono, nella misura delle loro concrete possibilità, i segni concreti del regno, quelli stessi che pose Gesù. E trovano in ciò la loro felicità. Realizzano quell'altra parola di Gesù riportata del vangelo di Giovanni: "In verità vi dico: se il chicco di frumento non cade nella terra e non muore, rimane da solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12,24). È in questo morire al proprio egoismo che si radica la possibilità di quella beatitudine che consiste nel "produrre molto frutto", nel "dare vita".
Agendo in questo modo essi conferiscono realismo alla parola di beatitudine detta da Gesù ai poveri reali, a quelli che "stanno male". Come lui, anch'essi dicono, più con i loro fatti che con le loro parole, ai poveri: "Beati voi, perché Dio vi ama, perché Egli sta cambiando la vostra sorte. Ne è la dimostrazione ciò che noi stiamo facendo con voi e per voi".
PER IL LAVORO PERSONALE E DI GRUPPO
Probabilmente tu non sei di quei poveri che oggi, come ai tempi di Gesù, stanno veramente male perché mancano dei beni fondamentali della vita. A te è rivolta piuttosto la beatitudine della "povertà in spirito". Allora, cerca di chiederti queste due cose:
1) Cerco realmente di avere una fiducia radicale in Dio, nel suo amore fedele e indefettibile, anche quando mi trovo in mezzo alle difficoltà, piccole o grosse, della vita?
2) Dico, come Gesù, più con i fatti che con le parole, ai poveri: "Beati voi perché vostro è il regno di Dio"?, ossia: "Beati voi perché Dio, per mezzo mio, sta cambiando la vostra sorte"?
Preghiera
O Gesù,
tu sei vissuto da povero e hai avuto predilezione per i poveri,
proprio perché amavi appassionatamente la vita di tutti.
Aiutami a meritare la beatitudine della povertà
che tu hai proclamato:
che la mia fiducia in Dio sia senza limiti,
che la mia passione per la vita di tutti,
a cominciare da quelli che ne hanno di meno,
e ce ne sia per le cose se non per condividerle e donarle,
occupi tutt'intero lo spazio del mio cuore!
Amen.