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    Dio e l'uomo alle origini della sua storia (cap. 1 di: Dio e l'uomo)


    Mario Cimosa, DIO E L'UOMO: LA STORIA DI UN INCONTRO, Elledici 1997



    I primi undici capitoli della Genesi ci presentano un affresco stupendo della storia di Dio e dell'uomo alle sue origini. Li possiamo considerare un trittico: un quadro in tre parti complementari.
    L'immagine centrale descrive il mondo come è uscito dalle mani di Dio, e quindi l'uomo nella sua felicità iniziale (Gn 1,1-2,4a, della tradizione sacerdotale).
    Un'immagine laterale descrive la creazione dell'uomo e della donna e la loro colpa iniziale, il peccato delle origini (Gn 2,4b-3,24), cui fa seguito la descrizione della punizione dell'uomo e della corruzione progressiva dell'umanità (diversi testi di Gn 4-11, della tradizione iahvista): essa cerca il motivo della presenza del male, del peccato, del dolore, della sofferenza nel mondo e lo trova nella colpa originale e nella corruzione progressiva dell'umanità.
    L'altra immagine laterale descrive la storia dell'amore e della misericordia di Dio fin dalle origini dell'umanità con la prospettiva della futura salvezza (diversi testi di Gn 4-11).
    Questa è in effetti la struttura letteraria, i tre temi teologici e il genere letterario dei primi undici capitoli della Genesi [1].

    Dio ha fatto il mondo "molto bello" (Gn 1,1-2,4a)

    È il quadro centrale del trittico, è la pagina più conosciuta dell’AT e ci presenta una stupenda liturgia cosmica. È un Inno a Dio creatore, una stupenda testimonianza del primato di Dio su tutto e della dipendenza di tutto da Lui. La maniera migliore di leggere questa pagina è di leggerla come una preghiera, come un inno di lode e di adorazione. Gli astronauti dell'Apollo XI la lessero nello spazio: l'uomo che metteva piede sulla luna, ormai demitizzata, adorava Dio, Signore dell'universo.
    Questi i tre temi principali:
    - 1,1-10 : creazione dell'universo
    - 1,11-25: creazione degli esseri viventi
    - 1,26-31: creazione dell'uomo.
    Andrebbe letto assieme ad almeno altri quattro testi della Bibbia che ne sono il commento più bello: il Sal 104, il Sal 8, Prv 8,22-29 e Ez 37.
    L'attività creatrice di Dio è presentata nel quadro simbolico di una settimana:
    * sei giorni di lavoro e un giorno di riposo;
    * otto opere create distribuite in sei giorni;
    * le otto opere sono distribuite in due serie di quattro, racchiuse ognuna in tre giorni;
    * la creazione avviene in due momenti: uno di distinzione [del giorno dalla notte (primo giorno), dell'acqua di sopra dall'acqua di sotto (secondo giorno), dell'acqua del mare dalla terra asciutta (terzo giorno)]; e uno di ornamento [lampada grande (sole), e lampada piccola (luna), le stelle (quarto giorno), uccelli, pesci e mostri marini (quinto giorno), bestie e uomo (sesto giorno)].
    Appare subito chiaro che non si tratta dello schema scientifico di formazione dell'universo, il che presenterebbe evidenti contraddizioni, ma di uno schema spontaneo, naturale, che tutti constatiamo. La settimana è un’unità, elementare, inclusa nel numero sette. Esso comunque ci mostra la verità di fondo: tutte le cose che ci circondano sono state create da Dio. E Dio appare, come in realtà è, fuori del tempo e creatore anche del tempo.

    La cornice narrativa

    I tre temi sono inquadrati da una breve introduzione (vv.1-2), un breve riassunto dell'opera creatrice e da una conclusione (2,1-4a). Le leggiamo[2]:

    In principio
    Dio creò il cielo e la terra.
    Il mondo era vuoto e deserto,
    le tenebre coprivano gli abissi
    e un vento impetuoso soffiava
    su tutte le acque.

    Gli elementi più importanti di questa introduzione sono le tenebre, la terra, l'acqua e lo Spirito di Dio. Qualche lettore si meraviglierà di quel "vento impetuoso" della traduzione che abbiamo dato. Tutti abbiamo nelle orecchie una traduzione più letterale: "lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque". Una interpretazione teologica posteriore ha voluto identificare "lo spirito di Dio" con "lo Spirito Santo". Ma non è certamente questo il senso originario della Genesi. È il respiro di Dio, il suo alito portatore di vita. Dio che vivifica, che crea con la sua Parola. È interessante comunque questo rapporto tra la ruah (spirito), come si dice in ebraico, e il dabar (parola) che troviamo spesso anche altrove nella Bibbia. Lo Spirito si identifica con la Parola: se esce da Dio gli esseri vengono all'esistenza perché lui stesso diventa "forza" creatrice. Un'energia usata da Dio nella creazione ed espressa nell'idea del vento impetuoso. Potremmo rileggere molti testi biblici (come Sap 9,1; Sir 42,15; Gdt 16,14) dove la Parola è vista come espressione della potenza di Dio che crea. La relazione tra Spirito e Parola è molto stretta. Per mezzo della Parola e dello Spirito Dio nell'AT opera e realizza i suoi progetti: crea e dà la vita, castiga e salva. La "tua Parola dona la vita" dice il Sal 118. Potremmo arrivare fino al NT dove si dice che la Parola di Dio si è fatta carne ma non fa niente senza lo Spirito.
    Il brano di Genesi termina con una conclusione che si riferisce al "santissimo" giorno settimo e che segna varie cose: il compimento dell'opera creativa, la cessazione del lavoro, la benedizione e la consacrazione del sabato.
    È chiara la preoccupazione liturgica dell'autore: al sabato Israele si riposa come Dio che al termine della settimana si è riposato. La settimana dell'uomo è modellata su quella di Dio.

    Una meditazione sulla creazione

    ° Un’immensa liturgia cosmica
    Il primo capitolo della Genesi presenta la creazione con due immagini suggestive: il mondo come un cantiere in cui Dio lavora, e il mondo come un tempio. A un comando di Dio il mondo si organizza in una magnifica processione: la luce, il cielo, le acque e la terra. Poi le due lampade, la grande e la piccola (per ragioni di prudenza teologica non vengono chiamate sole e luna, perché in Babilonia, dove sono nati questi racconti, essi erano due divinità!). Il mondo creato è come un immenso tempio, il santuario di Dio. Tutte le creature della terra sono come i celebranti di un'immensa liturgia cosmica. Al centro c'è il sommo sacerdote della creazione: l'uomo. Egli manifesta nel mondo la presenza di Dio, collabora nel fare del mondo un immenso santuario dove viene celebrato il culto in onore del Creatore.
    In questa processione, alla fine, l'ultimo a entrare in questo meraviglioso tempio della creazione è il sacerdote di questo culto: l'uomo. La creazione dell'uomo si differenzia profondamente da quella degli animali.

    Dio disse:
    "Facciamo l'uomo:
    sia simile a noi, sia la nostra immagine...
    Dio creò l'uomo simile a sé,
    lo creò a immagine di Dio,
    maschio e femmina li creò (v.27).
    Li benedisse con queste parole:
    "Siate fecondi, diventate numerosi,
    popolate la terra.
    Governatela e dominate sui pesci del mare,
    sugli uccelli del cielo
    e su tutti gli animali
    che si muovono sulla terra".

    I due sessi sono creati direttamente da Dio. Tutti e due sono 'adam: immagine a Dio somigliantissima. In questi versetti l'uomo è considerato nelle sue relazioni fondamentali:
    * 'adam è immagine di Dio: è quindi in relazione con Dio;
    * 'adam domina sul cosmo: è in relazione con il cosmo;
    * 'adam è distinto in maschio e femmina: ha una relazione interpersonale;
    * maschio e femmina sono benedetti: sono in relazione con la storia e con la cultura.
    Questo è l'uomo, secondo la tradizione sacerdotale. Fa parte di un mondo armonioso e ordinato.

    ° “Ogni cosa era molto bella”
    Dio vide quanto aveva fatto,
    ed ecco, era cosa molto bella (buona).

    Per sei volte nel testo ricorre l'aggettivo "bello" e, infine, "molto bello". Il numero sette è simbolo della completezza e della perfezione: ciò vuol dire che il mondo è perfettamente bello, armonioso, meravigliosamente ordinato. In genere le Bibbie italiane usano "buona, buono, molto buono". Ma la nostra traduzione non cambia solo per il gusto di cambiare. Per contrapporre all'orrore del caos primordiale la bellezza del creato ben ordinato, l'aggettivo "bello" sembra più opportuno che "buono". Il termine ebraico tob può certo essere tradotto anche con "buono": in questo caso si fa forza sul fatto che le cose create sono utili, mentre la traduzione "bello" esprime la gioia procurata dalla creazione.

    ° Le altre narrazioni contemporanee della creazione
    Siamo a Babilonia durante l'esilio babilonese. Sono conosciute da tutti le storie di cosmogonie tramandate da quindici secoli di tradizione. Il tema più comune è quello della lotta del Dio Marduk con la dea Tiamat che, sconfitta, viene aperta come un'ostrica per fare di una parte la volta del cielo e dell'altra la terra.
    La mentalità pessimistica degli abitanti della Mesopotamia, che si credono alla mercè degli dèi irascibili che sfogano la loro ira sugli uomini, produce questo racconto. L'universo fa loro paura, le inondazioni del Tigri e dell'Eufrate sono dei veri "diluvi". Per tenerseli buoni gli uomini offrono sacrifici al Dio Sole e alla Dea Luna. Privi di un loro culto pensano che sia il mondo intero a rendere culto a Dio.
    Se confrontiamo il racconto biblico con le letterature contemporanee ci accorgiamo anche che lo schema cosiddetto cosmologico è comune a tutti i popoli antichi: cielo-terra; due oceani: uno al disopra del cielo e uno al di sotto della terra; il firmamento come volta solida. È il modo normale e spontaneo di concepire l'universo.
    Gli autori dei capitoli 1-11 del libro biblico della Genesi hanno ripreso alcune tradizioni antiche del loro popolo o degli altri popoli vicini e le hanno ritoccate per esprimere la loro fede in Dio creatore del mondo e dell’uomo.
    Concludendo, questo primo capitolo della Bibbia ci presenta un quadro ideale o meglio idealizzato della prima fase dell'umanità trasmesso dalla tradizione sacerdotale.
    L'autore, usando alcuni artifici letterari (il numero sette e il numero tre, una prosa artistica, la schematicità, la sistematicità, l'universalità), ci offre una stupenda meditazione sulla creazione.
    Tutto l'insegnamento religioso di questa pagina ruota attorno ad alcuni temi: Dio Creatore, la concezione ottimistica dell'universo, la dignità divina dell'uomo.

    Nei Poemi Babilonesi della Creazione: Enuma Elish e Gilgamesh leggiamo:
    Quando in alto il cielo non era nominato, e in basso la terra non aveva nome...;
    quando i giuncheti non erano ancora fitti
    né i canneti visibili;
    quando nessun dio era ancora apparso
    né aveva ricevuto alcun nome,
    né subito alcun destino... (Enuma Elish)
    * * *
    La santa casa degli dèi non era costruita in luogo santo,
    la canna non era spuntata, l'albero non era creato...
    L'insieme dei paesi era mare,
    la sorgente del centro del mare era un tubo zampillante...
    Marduk sulla superficie delle acque congegnò una zattera,
    egli creò la polvere e con la zattera l'ammonticchiò.
    Per sistemare gli dèi in una dimora soddisfacente,
    egli creò l'umanità.
    La dea Aruru creò con lui la razza degli uomini.
    Egli creò sulla terra deserta
    delle mandrie selvatiche dotate di vita.
    Creò e mise a posto il Tigri e l'Eufrate...,
    creò l'erba e le giuncaie, le canne e le piante,
    creò la vegetazione della steppa,
    la terraferma, le paludi e i canneti,
    la vacca e il suo piccolo, il vitello,
    la pecora e il suo piccolo,
    i giardini e anche le foreste (Epopea di Gilgamesh).


    L'uomo e la donna nel piano divino (2,4b-25)

    Passiamo al secondo quadro di quel meraviglioso affresco che sono i primi undici capitoli della Genesi. La prima parte ci presenta la scena della terra ('adamah) dove sono presenti due protagonisti: l'uomo e la donna. Viene detto che cosa essi sono e qual è il loro destino. (La seconda parte sarà il racconto del peccato delle origini).

    La creazione dell'uomo (Gn 2,4b-7)

    Il racconto della creazione dell'uomo è preceduto da quello della creazione della terra secondo una moda letteraria comune nel medio oriente antico, come si può vedere nel racconto babilonese citato, che consisteva nell'iniziare in forma negativa e dicendo che cosa ancora non c'era alle origini. La descrizione è conforme all'idea che della terra aveva un contadino palestinese: un suolo secco e arido che aveva (ha) bisogno dell'acqua. Senza l'acqua e senza il braccio dell'uomo la terra resta incolta. La scena prepara perciò la necessità dell'uomo che secondo questo racconto è al centro dell'universo:

    Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo
    e soffiò nelle sue narici un alito di vita
    e l'uomo divenne un essere vivente.

    In questo versetto troviamo una sintesi dell'antropologia biblica. Dio viene rappresentato, come spesso nel mondo biblico ed extrabiblico, come un vasaio seduto alla ruota che modella il corpo dell'uomo dalla polvere, la parte più sottile della terra ('adamah). L'uomo, tratto dalla terra, resta unito alla terra, è debole, fragile ed è destinato alla terra ma dipende da Dio che lo ha creato. Il nome Adamo ricorda continuamente all'uomo la sua origine, la terra.
    Su una costruzione senza vita il Signore si piegò e alitò nelle sue narici "un alito di vita" e "l'uomo divenne un essere vivente". Il soffio di Dio e la materia fanno dell'uomo un "essere vivente".
    L'autore in questo testo non è preoccupato di dirci come l'uomo ha avuto origine ma che cosa egli è: una materia che appartiene alla terra a cui Dio ha infuso un alito di vita. Dio ha preso parte attiva nella creazione dell'uomo.

    Il dono del paradiso (Gn 2,8-17)

    Nell'immensa e arida steppa (eden) Dio pianta un giardino (paradeisos in greco, una parola di origine persiana) meraviglioso, ricco di acqua e di piante, una vera oasi. Per un orientale è il massimo della felicità. Nel Medio Oriente un giardino così lussureggiante circondato dal fuoco e custodito dai cherubini è la dimora degli dèi. Anche nel racconto biblico è presentato come la villa di Dio dove, da signore orientale, vi passeggia e si prende la brezza della sera. In questo giardino meraviglioso Dio invita l'uomo, appena creato, lo tratta come un amico, come un figlio.
    È interessante notare quello che dice il v.15: «Dio il Signore prese l'uomo e lo mise nel giardino dell'Eden per coltivare la terra e custodirla».
    L'uomo è chiamato ad essere custode e giardiniere di questa villa del Signore. Dio stabilisce con l'uomo una relazione di amicizia e di familiarità.
    È un giardino simbolico pieno di alberi simbolici. Di due il simbolismo è affermato chiaramente: l'albero della vita e l'albero della conoscenza del bene e del male. Dio fa con l'uomo un patto implicito di alleanza. Le parole scelte dall'autore fanno pensare a un suo tentativo di riproiettare alle origini dell'umanità lo schema dell'alleanza sinaitica che egli ben conosceva.
    Nel suo amore premuroso Dio "ha preso" l'uomo e lo "ha tratto fuori" dall'Egitto, lo "ha condotto" nella terra promessa, gli ha "procurato una dimora". Dio ha fatto così anche con i primi uomini: per un amore che umanamente non trova spiegazione ha "preso" l'uomo e lo ha "trasferito" nel giardino-paradiso. "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino", vuol dire che l'uomo ha un'ampia libertà di agire. "Ma quello dell'albero che infonde la conoscenza di tutto, Se ne mangerai sarai destinato a morire" (v.17). La "vita eterna" dipende dall'osservanza di questa clausola dell'alleanza. La disobbedienza a questa clausola, come dirà il c. 3, costituirà il cosiddetto "peccato originale", o meglio, "delle origini". L'autore iahvista che viveva l'esperienza dell'alleanza ha immaginato e pensato il peccato dei progenitori con le stesse categorie.

    La formazione della donna (Gn 2,18-25)

    Il racconto della formazione della donna in tutto simile all'uomo è preparato dal dono di altri esseri: "Non è bene che l'uomo sia solo!" (v.18). Ed ecco la scena della creazione degli animali e dell'uomo che dà loro un nome. L'uomo esercita un dominio sugli animali e mostra la sua superiorità su di loro, ma ha una perfetta uguaglianza con la donna, come è detto più avanti.
    Dio non ha fatto l'uomo per vivere in solitudine ma in comunione. Tra i beni creati Dio vuole trovare qualcosa che possa condividere la vita dell'uomo, se stiamo al testo originale, la sua “controfigura”, qualcosa che gli corrisponda viso a viso, che lo completi e lo faccia felice. Dio, mentre l'uomo e gli animali li ha tratti dalla 'adamah-terra, la donna l'ha tratta da una sela' (tradotto generalmente con "costola") dell'uomo. Come interpretare questo termine ebraico? Secondo gli Ebrei il petto, il torace, è la parte più nobile dell'uomo perché nel petto c'è il cuore (leb) che per gli antichi era il centro del pensiero e degli affetti. Quindi la donna sarebbe stata tratta dalla parte più nobile dell'uomo.
    Al suo risveglio Adamo si trova di fronte quella creatura sublime ed esplode in un grido di gioia:

    Questa volta essa
    è carne della mia carne
    e osso dalle mie ossa.
    Questa si chiamerà donna ('ishshah)
    perché dall'uomo ('ish) è stata tolta, questa.
    Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre
    e si unirà a sua moglie e i due saranno una cosa sola.

    È l'intimità tra i due sessi espressa con quella frase proverbiale: "tu sei mia carne e mio osso" (Gn 29,14). Con questa descrizione dell'amore coniugale che sfocia poi nel figlio nel quale l'uomo e la donna sono una sola cosa, il testo biblico vuole mostrare che il primo uomo, la prima coppia, è una misura ideale per l'uomo di sempre, per la coppia di sempre.
    L'integrazione dei sessi nel matrimonio è stabilita da Dio. Dopo la formazione della donna da parte di Dio, Adamo le dà il nome: "si chiamerà 'ishshah perché è stata tolta da 'ish". Sarebbe come dire: si chiamerà "uoma" perché proviene dall'"uomo".
    L'uomo da solo non può vivere. È incompleto. Per completarsi ha bisogno della donna ( sua “controfigura”), l'unica che può stargli di fronte.
    Ricordiamo che nella concezione che della donna avevano gli Ebrei e gli orientali in genere, essa era considerata inferiore all'uomo, anzi suo possesso. Tutti conoscono quella preghiera ebraica: "Ti ringrazio, o Signore, perché non sono nato donna!". Il testo della Genesi è una reazione a questa mentalità. Genesi 1 rileva l'uguaglianza dei due sessi, entrambi sono immagine di Dio. Genesi 2 mostra la superiorità della donna sugli animali e la perfetta corrispondenza alla natura dell'uomo. Solo lei può rompere la sua solitudine. Soltanto dopo il peccato originale (Gn 3,16) si parlerà di un "dominio" dell'uomo sulla donna.

    Una risposta al problema del male: il peccato delle origini (3,1-24)

    Al racconto della creazione segue la descrizione della prima colpa commessa dai progenitori, la punizione e le conseguenze per la sua discendenza.
    L'autore iahvista sentì forte il problema del male come lo sentivano gli uomini del suo tempo, e qui offre la sua risposta e la presenta come una piccola colpa come se fosse un sassolino all'inizio di una potente valanga ingrandita dai peccati dei discendenti che travolge tutto quello che incontra.

    La tentazione (3,1-4)

    È un vero capolavoro di psicologia. Colui che tenta è satana, il nemico di Dio. Viene presentato con il simbolo del serpente. In tutto l'oriente antico il serpente era venerato come simbolo della fertilità e della vita. È rappresentato su recipienti e sigilli come divinità che dona vita e salute. L'autore lo presenta come “astuto”. Nel colloquio con la donna comincia alla larga. La donna cade in un tranello: poter ottenere la sapienza, poter conoscere tutto, avere un'autonomia etica, farsi regola da sé come lo stesso Dio. L'astuto serpente inganna la donna:

    Dio sa che qualora ne mangiaste,
    si aprirebbero gli occhi vostri
    e diventereste come Dio,
    acquistando la conoscenza del bene e del male.
    Dopo che ebbero mangiato il frutto, il Signore parlò loro:
    Ecco! L'uomo è diventato come uno di noi,
    avendo la conoscenza del bene e del male.

    In una creazione che l'autore sacerdotale nel primo capitolo ha chiamato ripetutamente buona e bella compare il serpente, simbolo del male. Perché?
    L'autore iahvista lo ha preso dalla letteratura circostante e gli ha impresso il sigillo della sua concezione dandogli il ruolo di una divinità ostile a Dio che tenta l'uomo e che viene solennemente maledetto. L'intervento del serpente serve all'autore iahvista a scagionare Dio da ogni responsabilità. Dio non poteva tentare l'uomo, creato in un ordine buono. Dio non ha alcuna responsabilità nella caduta dell'uomo.

    La caduta (3,5-7)

    Quel che è male oggettivo per l'umanità sembra buono da mangiare, bello da vedere, desiderabile per crescere, sembra un bene. Anche per l’autore iahvista l'allontanamento dal suo Dio per seguire divinità straniere sembra un bene. La sua esperienza e quella degli uomini del suo tempo viene proiettata alle origini e applicata ai nostri progenitori. L'autore trasporta la lotta che c'era al suo tempo tra la fede iahvista e il culto a Baal. Ecco il significato del racconto: credere bene il male e allontanarsi da Dio rifiutando la comunione con Lui e l'osservanza di alcune clausole dell'alleanza. Mangiare dell'albero che stabilisce quel che è bene e quel che è male. L'albero è presentato come esclusivo di Dio, il simbolo delle sue prerogative. Proibire di mangiarne i frutti significa proibire di voler essere come Dio. Se si viene meno a questo dovere non solo non si diventa come Dio ma si sperimenta il contrario, la non-divinità radicale, cioè la morte. L'ha detto Dio stesso: "Morirete!". Sarete cioè condannati a sperimentare la morte. Non potrete più disporre dell'albero della vita (cioè di una vita piena, senza limitazioni di dolore e di morte) data da Dio.

    Il confronto con Dio (3,8-13)

    Il risultato e il primo effetto del peccato è che l'uomo invece di diventare come Dio scopre la sua più profonda miseria. È "nudo", cioè degradato. L'uomo non ha raggiunto quanto pensava. Fugge da Dio e vigliaccamente scarica sugli altri la propria responsabilità.
    Ma Dio non fugge, resta nel giardino e chiama i responsabili del peccato al rendiconto. L'uomo cerca un capro espiatorio: "la donna che tu hai messo accanto a me". L'uomo e la donna si accusano a vicenda perché il male divide, non unisce. La colpa è degli altri, è di Dio.

    Le conseguenze (3,14-24)

    E comincia il giudizio di condanna.
    Il serpente-satana è maledetto e sarà sempre in una guerra guerreggiata sconfitto dal bene e condannato a una futura definitiva sconfitta. Alla fine l'umanità sarà vincente perché gli schiaccerà il capo. È il primo annuncio di salvezza, il cosiddetto Protovangelo (3,15). Cristo ha realizzato questa vittoria.
    La donna è castigata come sposa (attratta dal marito ma da lui dominata) e come madre (partorisce con dolore, con rischio). Dio vuole la donna simile all'uomo, è l'uomo che invece l'ha ridotta in schiavitù.
    L'uomo da giardiniere, custode del paradiso, viene trasformato in contadino che con dura fatica deve lavorare la terra. La compagna dell'uomo non sarà più 'ishshah/"uoma" ma hawwah/"madre dei viventi". Il cambio del nome significa cambio del compito, considerata nelle sue funzioni di sposa-madre. Ma l'amore di Dio è più grande del peccato dell'uomo e all'uomo nudo Dio confeziona un vestito di pelli di animali. L'uomo viene però cacciato dal giardino e costretto a percorrere le strade polverose dell''adamah. Il giardino è chiuso e difeso, ma Dio è sempre pronto a riaprirlo e a ricondurre l'uomo a casa dove viveva felice.

    Peccato e misericordia (Gn 4-11)

    E siamo al terzo quadro di cui dicevamo all’inizio.
    Parecchi testi biblici indicano la violenza come la radice di ogni male. Circa 600 brani della Bibbia parlano di qualcuno che si scaglia con violenza contro qualche altro.
    C'è in effetti un clima di violenza che sembra attraversare tutto l'AT. È chiaro che l'autore biblico sotto l'ispirazione di Dio cerca di capire da dove viene la violenza e perché essa regna nel cuore dell'uomo. È per questo che nei primi capitoli della Genesi si cerca una risposta a questo grande problema.
    Nella linea della tradizione iahvista il quadro che presenta l'inizio del male e la punizione dell'uomo descrive anche la corruzione progressiva dell'umanità, con alcuni episodi tra i più conosciuti: Caino e Abele, il diluvio, la costruzione della torre di Babele.
    Ma anche la storia dell'amore e della misericordia di Dio fin dalle origini dell'umanità: soprattutto con l’episodio della promessa a Noè.
    Ripercorriamo alcuni di questi momenti: il male dilaga nel mondo ma nello stesso tempo fin dal principio è presente l'amore e la misericordia di Dio. Si evidenzia così l'aspetto paradigmatico di questa storia che ne fa la storia dell'uomo di tutti i tempi.

    Il trionfo della violenza e del male

    ° Caino e Abele (4,1-16)
    I due fratelli rappresentano l'umanità. Ogni uomo è Caino e Abele, violento o vittima della violenza. L'autore sacro vuole dirci che solo mettendo in pratica la parola di Dio e sottoponendosi al giudizio di Dio si può diventare capaci di vincere la violenza che come un demonio è sempre in agguato alla porta del nostro cuore. Nel racconto del Targum palestinese vi è un grazioso commento dell'episodio di Caino e Abele, come veniva letto nella sinagoga:

    Caino disse ad Abele suo fratello: 'Vieni e andiamo tutt'e due nei campi'. E quando furono ambedue in campagna, Caino prese la parola e disse ad Abele: 'Io so che il mondo non è stato creato per amore, che non è governato secondo il frutto delle buone opere e che si fa differenza di persone nel giudizio. Perché la mia offerta non è stata accettata con favore?'. Abele rispose a Caino: 'Io so che il mondo è stato creato per amore e che esso è governato secondo il frutto delle buone opere. Poiché le mie opere erano migliori delle tue, la mia offerta è stata accolta con favore, mentre la tua offerta non è stata accolta con favore'. E Caino: 'Non c'è giudizio, non c'è giudice, non c'è un altro mondo. Non c'è né ricompensa per i giusti né castigo per i malvagi'. Abele replicò a Caino: 'C'è un giudizio, un giudice e un altro mondo. C'è una ricompensa per i giusti e un castigo per i malvagi, nel mondo a venire'. E discutevano fra loro su questi argomenti, mentre erano in campagna. E Caino si scagliò contro suo fratello Abele e lo uccise.

    Ma chi uccide viene maledetto, e tutti gli uomini possono uccidere. La radice è nel cuore dell’uomo. Solo ascoltando quello che Dio dice, solo ubbidendo a Dio si può trovare la forza di superare la violenza. Dio ama l'uomo, anche assassino, perché Lui solo è garante della vita.
    Caino è segnato da Dio, come ogni uomo porta la sua impronta, è la sua immagine.
    Originariamente questo racconto era probabilmente una unità narrativa autonoma. Lo scrittore iahvista l'ha inserita nel suo racconto per il suo significato teologico: il collegamento tra la rottura con Dio, il peccato d’origine, e la rottura tra fratelli come violazione della fratellanza. Chi uccide il fratello pecca contro Dio.

    ° Il diluvio, o la giustizia di Dio (6,5-8,19)
    Dopo l'esplosione della bomba atomica a Hiroshima o, più recentemente, l'esplosione di Chernobil abbiamo capito meglio il pericolo di una minaccia universale. Terremoti, alluvioni, catastrofi di ogni genere in alcune parti del mondo evidenziano l'incapacità dell'uomo di un dominio sicuro sul creato. Il peccato ha rotto anche l'equilibrio tra l'uomo e la natura.
    Nell'antichità esistevano molti racconti mitologici che narravano l'esperienza di una distruzione universale. L'archeologia ha mostrato che grandi civiltà sono state distrutte da catastrofi naturali. Il racconto biblico del diluvio ci riporta a questi scontri tra l'uomo e la forza scatenata della natura e mostra la fede dell'autore in un giudizio di Dio sul mondo violento e corrotto.

    Il Signore vide che nel mondo gli uomini erano sempre più malvagi e i loro pensieri erano di continuo rivolti al male. Si pentì di aver fatto l'uomo e fu tanto addolorato che disse: 'Sterminerò dalla terra quest'uomo da me creato, e insieme con lui anche il bestiame, i rettili e gli uccelli del cielo (6,5-7).

    Il racconto del diluvio non va letto dunque come cronaca di un fatto ma come la descrizione di un'esperienza umana universale. Il peccato ha avuto anche riflessi cosmici.
    Letterariamente si tratta di due racconti fusi assieme: uno di tradizione iahvista e uno sacerdotale.
    Si parte da un fatto storico: una delle tante alluvioni catastrofiche che in epoca preistorica sommersero la Mesopotamia. Forse la più tremenda di cui si conservò il ricordo per secoli distinguendo la storia in due epoche: prima del Diluvio e dopo il Diluvio. L'"Epopea di Gilgamesh" ne parla nella tavoletta II. Anche gli Ebrei ne conservano il ricordo in due tradizioni diverse ma sostanzialmente identiche.
    Abbiamo nel Diluvio l'affermazione dell'onnipotenza di Dio: le acque vanno e vengono al comando di Dio. Il Diluvio è anche segno della giustizia di Dio verso l'umanità tanto depravata. Ma trionfa qui anche la misericordia di Dio: non distruggerà più l'umanità. Questo fatto storico viene idealizzato e universalizzato dall'autore biblico per offrire questi insegnamenti religiosi. Tutti peccano, ma Dio è giusto e misericordioso e tutti hanno bisogno di redenzione. Prima che con Abramo e con Mosè Dio ha concluso un'alleanza con tutti gli uomini per preparare l'alleanza universale preparata da Cristo.

    ° La Torre di Babele: il peccato originale sociale (11,1-9)
    Il redattore, pur partendo da due tradizioni precedenti, vede come soggetto di questo racconto l'umanità intera. Come sempre in questi capitoli il punto di riferimento è l'uomo in quanto tale.
    La prima tradizione aveva come centro di interesse la costruzione di una grande città, simbolo dell'associarsi degli uomini in una vita politica. Una città che si chiama Bab-ilu (porta del dio) il cui nome somiglia tanto alla radice ebraica balal ("confondere") perché là fu confusa la lingua dell'umanità.
    L'altra tradizione si riferisce alla costruzione di una grande torre, sul tipo delle grandi torri templari (Ziqqurat) della pianura babilonese. La Ziqqurat era un santuario, la casa del legame tra cielo e terra sulla cui cima c'era la statua della divinità.
    Potremmo chiederci: dov'è la colpa degli uomini? Forse nella pretesa di costruirsi una religiosità che parte dal basso, nella pretesa di avvicinare la divinità e di esercitare su di essa un potere con il rito delle nozze sacre.
    Il redattore intende mostrare ancora un passo avanti nel progresso del male: il peccato della società. L'unità del linguaggio, ottima cosa, diventa principio di forza che rende l'uomo superbo; lo sviluppo della civiltà (la costruzione di una città) è messo al servizio dell'orgoglio umano: "facciamoci un nome!", per una autoesaltazione.
    Ecco il peccato: lo sforzo umano per costruire la famiglia in unica comunità politica ("la città"), in unica religione inventata dagli uomini ("la torre"), in unica cultura ("la lingua"). Ma una unità a partire dal basso, voluta dall'uomo come sua autoesaltazione e non quell'unità voluta da Dio che rispetti il pluralismo delle culture e sia accettata come dono di Dio.

    La misericordia di Dio e la prospettiva della futura salvezza

    ° Set e i suoi discendenti (4,25-5,32)
    Il genere letterario della "genealogia" era comune nell'Oriente antico per affermare che la benedizione di Dio da Adamo si trasmise fino a Noè e poi ad Abramo. Queste genealogie appartengono tutte alla tradizione sacerdotale, e ricordano la benedizione di Dio che rende feconda l'umanità che si moltiplica sulla faccia della terra.
    In una umanità sempre più depravata Dio sceglie un uomo Set da cui discenderà Noè per preparare la salvezza.
    I nomi di questi personaggi sono simbolici anche se non sempre è facile individuarne il significato. È certo che Dio si è interessato della storia degli uomini, li conosce perciò per nome.
    Anche le età molto lunghe sono un modo di esprimersi degli antichi per indicare che l'umanità man mano che si allontana da Dio perde la sua forza, la sua vitalità.

    ° L'alleanza con Noè (9,1-17)
    È la prima alleanza di cui si parli esplicitamente nella Bibbia.
    L'arcobaleno è il segno e il simbolo di questa alleanza promessa da Dio. Un arco-ponte che unisce cielo-terra, Dio e gli esseri viventi.
    È una promessa-impegno di Dio di non distruggere più il mondo e gli uomini. Di questa promessa l'arcobaleno è un annuncio profetico rivolto a tutti gli uomini, promessa scritta nel cielo e quasi un promemoria che Dio tiene accanto a sé per ricordare.
    Cristo sarà poi segno della nuova ed eterna alleanza tra Dio e ogni carne che è sulla terra.

    ° La Tavola delle Genti (10,1-32)
    È l'elenco dei popoli conosciuti in quel tempo da Israele. Dio aveva ripetuto a Noè; "siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra" (9,1). Un'umanità nuova nata dalla misericordia di Dio.
    Esistevano già antiche liste di popoli che avevano questo significato: il nostro popolo è al centro di tutti, è un popolo divino. Israele invece con questa lista vuol dire: tutti i popoli appartengono a Dio, la sua creazione raggiunge tutti i popoli.
    Il nome di ogni popolo risuona come un inno a Dio.
    La diversità dei popoli appare come un aspetto della bellezza della creazione.
    Tutti sono messi sullo stesso piano. Il privilegio di Israele è frutto di una decisione storica di Dio in vista del bene di tutti i popoli.
    La diversità è all'interno di una unità sostanziale: tutti provengono da Noè. Anche il destino umano è unico, uguale per tutti i popoli, universale.

    ° "Questa è la discendenza di Sem..." (11,30-32)
    Si apre così la storia d'Israele. Ma l'unificazione di tutti gli uomini avverrà attorno al Dio vivente riconosciuto da tutti gli uomini.
    Il profeta Isaia vedrà un pellegrinaggio di tutti i popoli verso Gerusalemme, centro del mondo, antitesi di Babilonia. Sarà Dio stesso a rifondare nel futuro l'unità umana: "Io vengo per radunare tutte le nazioni e le lingue; esse verranno e vedranno la mia gloria" (Is 66,18).
    L'inizio della rifondazione avviene nel giorno di Pentecoste visto da Luca negli Atti degli Apostoli e dai Padri della Chiesa come l'anti-Babele (At 2,1-11). E Giovanni ne vede la realizzazione piena nel mondo futuro quando dice nell'Apocalisse che attorno all'Agnello si radunerà "una folla immensa di ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7,9-12).

    Le ambivalenze di sempre: tra vita e morte

    Perché leggiamo ancora oggi e con tanto interesse questi primi capitoli della Genesi? Noi oggi viviamo grossi problemi che hanno vissuto già gli uomini di allora e che vivono gli uomini di sempre.
    Confrontarci con la Parola di Dio su questi problemi ci aiuta a vedere la soluzione data e a intravedere dimensioni di problemi che forse ci sfuggono.
    Confrontarci con la Parola di Dio significa convincerci che le nostre domande o, se si vuole, la nostra domanda, quella che è all'origine di tutte le altre, la domanda sull'esistenza, non avrà risposta se non si compie un'opzione fondamentale o un atto di fede profonda: all'inizio di tutto c'è Dio.
    La Bibbia constata e rivela il male sia nella vita sociale che in quella personale e familiare.

    Nella vita sociale:
    - dominio della vendetta e della violenza. La violenza è così grande da essere diventata una piaga sociale. L'unico mezzo per difendersi sembra essere soltanto la repressione o la stessa violenza.
    - dominio universale della divisione e della separazione. Ciascuno vive senza rapporti con gli altri, anche a motivo delle distanze chilometriche e dei diversi linguaggi. Il mondo offre inoltre uno spettacolo di confusione e di dispersione. Ma quel che provoca in modo particolare la divisione è la volontà di dominio dell'uno sull'altro;
    - asservimento totale dell'uomo alla scienza e alla tecnica, sfociato in uno spietato consumismo che porta a misurare il livello di benessere fisico e spirituale con il livello raggiunto dai consumi pubblici e privati e quindi a far dipendere l'"essere" dell'uomo dal suo "avere".

    Nella vita personale e familiare:
    - ambivalenza dell'amore umano. L'amore si trasforma in una ricerca egoistica del proprio interesse, del piacere fisico e di un godimento emozionale che rifiuta ogni sacrificio, o la capacità di entrare in un’autentica relazione personale;
    - ambivalenza della propria vita: la stessa vita è diventata ambivalente. Tutto nell'uomo dice: "Voglio vivere!", ma intanto la morte lo aspetta inevitabilmente. Nessuno le sfugge e proietta il velo del lutto su tutte le gioie;
    - ambivalenza della maternità: la generazione dei nuovi figli che perpetua la vita aumentando la gioia tra gli uomini avviene con i dolori del parto. Per la donna che è madre si avvicina la morte là dove per gli altri ha origine la vita;
    - ambivalenza della terra: la terra destinata a produrre frutti e cibo per gli uomini, oppone resistenza al lavoro degli uomini e richiede sofferenza.
    - ambivalenza del lavoro: il lavoro, elemento necessario alla vita umana e mezzo per provvedere alla propria sussistenza è in realtà causa di sofferenza e stanchezza. Il giardino (la natura) non produce più spontaneamente, ma è affidato all'uomo, alle sue capacità e alla sua diligenza;
    - ambivalenza degli animali e ostilità della natura;
    - ambivalenza della stessa religione: stare con Dio dovrebbe essere percepito come bene supremo. In realtà la sua presenza mette paura. L'uomo si nasconde e fugge.

    L'autore iahvista riflettendo sulla storia plurisecolare di Israele conclude che non è Dio all'origine del male, ma l'uomo che abusa della libertà creando rapporti caotici nei confronti dell'uomo, della donna, della vita, della natura, di Dio.
    Come Dio è all'origine della storia d'Israele, così Dio è all'origine della vita di tutti i popoli e di tutti gli esseri.
    Come Dio salva Israele ogni volta che questi segue con fedeltà la sua Parola, così salva ogni uomo che ubbidisce alla sua legge.
    Nasce così Genesi 1-11, come una postfazione, aggiunta come “Introduzione al Pentateuco” e a tutta la “Bibbia” che noi troviamo ancora così attuale.


    NOTE

    [1] Per un approfondimento ulteriore di questi capitoli della Genesi rimandiamo a M.CIMOSA, Genesi 1-11. Alle origini dell'uomo, Queriniana, Brescia 19955 (di indirizzo più esegetico-teologico) e a G.RAVASI, Il Libro della Genesi (1-11), Città Nuova, Roma 1990 (di indirizzo più teologico-spirituale).
    [2] Seguiamo, in questo volume, per la sua scorrevolezza, ma con una certa libertà, la versione dai testi originali, Parola del Signore. La Bibbia in Lingua Corrente, LDC-ABU, Torino 1985.

     


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