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    Solo chi si perde

    per gli altri

    sarà salvato

    XXII domenica Tempo Ordinario A

    Enzo Bianchi

    In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
    Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, smetta di affermare se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».
    (testo dell'evangeliario di Bose)
    Mt 16,21-27

    Siamo sempre a Cesarea, dove Pietro ha confessato Gesù quale Cristo, Messia (cf. Mt 16,16). Ma che tipo di Messia è Gesù? E cosa comporta essere suoi discepoli? È lui stesso a rivelarcelo.
    Gesù, udite le parole di Pietro, comanda ai discepoli di non dire a nessuno che egli è il Messia (cf. Mt 16,20), perché questo titolo potrebbe essere frainteso. E proprio «da allora», segno di una svolta importante nel cammino di Gesù e della sua comunità, «cominciò a mostrare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme, soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, venire ucciso e risuscitare il terzo giorno» (cf. anche Mt 17,22-23; 20,17-19). Ma cosa significa che Gesù «deve» vivere tutto questo? Ciò non indica affatto un destino crudele impostogli da Dio, bensì innanzitutto una necessità umana, perché in un mondo ingiusto il giusto può solo essere osteggiato, fino ad essere ucciso (cf. Sap 2). Ebbene, se Gesù, il Giusto, affronta questa situazione senza rispondere ai suoi aguzzini con la violenza, ma restando fedele a Dio, allora la necessità umana può anche essere letta come necessità divina: nel senso che la libera obbedienza alla volontà di Dio, che chiede di vivere l’amore fino all’estremo, esige una vita di amore, anche a costo della morte violenta. Così Gesù ha vissuto, avendo compreso la propria vocazione messianica alla luce delle Scritture, con particolare riferimento al misterioso Servo sofferente descritto da Isaia (cf. Is 52,13-53,12).
    Pietro però, da fedele credente ebreo, non può accettare che questa sia la sorte del Messia, del Re di Israele. Perciò, con una reazione impulsiva e umanissima, trae in disparte Gesù e si mette a rimproverarlo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai!». Il discepolo, senza sapere quello che dice, pretende di rimproverare il Maestro… Gesù, in risposta, gli riserva parole durissime: «Va’ dietro a me, satana», cioè torna al posto che ti spetta; «tu mi sei di scandalo, di inciampo, perché non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini», in modo mondano. Il passo tra la beatitudine rivolta da Gesù al discepolo (cf. Mt 16,17) e il sentirsi chiamare «satana» è brevissimo: lo compiamo ogni volta che presumiamo di uscire dalla sequela di gesù per metterci davanti a lui, ostacolando così il cammino da lui stabilito per il suo piccolo gregge.
    «Allora» Gesù chiarisce a scanso di equivoci quale sia il comportamento richiesto a quanti vivono alla sua sequela. Egli non fa che ribadire in maniera più esplicita la stretta comunione tra la propria sorte e quella dei discepoli, a proposito della quale aveva già detto: «un discepolo non è da più del Maestro» (Mt 10,24). Gesù afferma innanzitutto: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Ciò significa smettere di considerare la propria persona come misura di ogni cosa e «rinnegare l’idolatrica appartenenza a se stessi» (Bruno Maggioni); chi rinuncia a questo comportamento cessa di autogiustificarsi e, per amore di Cristo, accetta anche di caricarsi del peso della croce, lo strumento della propria condanna a morte. Questo modo di vivere è pienamente illuminato dalla successiva parola di Gesù, un detto paradossale che nei vangeli risuona più volte sulle sue labbra: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà». Ecco il vero guadagno, la vera salvezza che possiamo conoscere giorno dopo giorno: perdere la nostra vita per Cristo, donarla come egli ha fatto e ci ha insegnato a fare, fino a non distinguere più la nostra vita dalla vita di Cristo in noi…
    Infine Gesù, tornando a parlare di sé alla terza persona, dice: «Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo il suo agire». Il legame con quanto precede indica che il giudizio comincia per noi qui e ora, e il suo metro è la concreta sequela di Gesù Cristo, segno di una fede confessata con la vita: la vita di chi, per amore suo, desidera «seguirlo ovunque vada» (cf. Ap 14,4).


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