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    Se questo è un uomo

    Enzo Bianchi


    S
    iamo entrati nella settimana che i cristiani chiamano “santa” perché è la settimana che esprime la fede dei seguaci di Gesù, questo galileo che con le parole e la vita ha voluto raccontarci Dio e ci ha consegnato un messaggio umanissimo. In vari modi (riti, preghiere…) i cristiani fanno memoria soprattutto degli ultimi giorni di Gesù, della sua passione e morte, e affermano che l’amore vissuto da quest’uomo ha vinto la morte. Vorrei, se ne sarò capace, cercare di esprimere che significato può avere per tutti, anche per i non cristiani, questa memoria di eventi accaduti circa duemila anni fa.

    Secondo il Quarto vangelo, Pilato, il procuratore romano, durante il processo presenta Gesù torturato alla folla che ne vuole la morte con le parole: “Ecco l’uomo!”, un uomo debole e colpito con violenza dai soldati, un uomo deriso, disprezzato e sfigurato, quell’uomo che è sempre presente nella storia e che noi dobbiamo vedere nel povero, nell’oppresso, nella vittima del potere, in chi non conta nulla in questo mondo. Quello spettacolo della vigilia di Pasqua nel pretorio è lo spettacolo di cui noi siamo ancora spettatori nel nostro oggi. Non si tratta di nutrire visioni doloristiche, ma semplicemente di essere consapevoli che quella passione, quella vicenda di ingiustizia e di violenza mortifera continua anche oggi, e che ciascuno di noi deve dire: “Ecco l’uomo!”. Ecco l’umanità! E anche pensare: “Se questo è un uomo…”, in quella condizione disumana che vorremmo non vedere o vedere con rassegnazione. Questa è anche l’epifania di cosa significa essere nella disumanità, essere nel profondo dell’alienazione, essere uno scarto in questa corsa che il mondo fa senza interrogarsi sulla violenza, il sopruso, la guerra e l’ingiustizia di cui è capace. Nei secoli passati la cristianità, proprio per non assumersi la responsabilità della violenza da lei perpetrata sugli uomini, ha inventato il deicidio attribuendolo agli ebrei, impedendo così di vedere in quella di Gesù nient’altro che la passione di un innocente perseguitato.
    Rileggere, meditare la passione di Gesù non ci porta a concludere che noi siamo al riparo dalla sofferenza, ma ci rivela che ci può essere una fiducia che non viene meno neanche in chi soffre, che ci può essere un vivere l’amore che si dà e che si riceve anche quando si è colpiti dalla potenza dell’odio, che si può nutrire la speranza anche nell’apparente fallimento. E dobbiamo riconoscere che anche altri umani, uomini e donne come Gesù, hanno saputo vivere così la loro “passione”. Sì, Gesù è stato condannato dal potere religioso innanzitutto perché liberava l’uomo da perverse immagini di Dio ed è stato ucciso dal potere imperiale totalitario perché “pericoloso” e, dobbiamo riconoscerlo, come tanti altri ancora oggi! Ma per tutte queste vittime della storia è nostro dovere fare memoria che sui cammini di sofferenza può risplendere la capacità dell’umanità di amare, di sperare, di perdonare per spezzare il cerchio infernale dell’odio e della violenza. Il racconto della passione di Gesù si conclude con le parole “iniziavano a splendere le luci del sabato”, un nuovo giorno nella storia dell’umanità.
    Auguri a tutti voi lettori: buona Pasqua!

    La Repubblica - 29 marzo 2021


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