Sabato Santo - 8 aprile 2023
Morte non più morte
fratel GianMarco
In quel tempo 62il giorno dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i capi dei sacerdoti e i farisei, 63dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore, mentre era vivo, disse: «Dopo tre giorni risorgerò». 64Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: «È risorto dai morti». Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». 65Pilato disse loro: «Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete». 66Essi andarono e, per rendere sicura la tomba, sigillarono la pietra e vi lasciarono le guardie.
“La morte di Gesù è per me una tortura!
Preferisco la sua vita alla sua morte…
Mentre era in vita, fece rivivere e risorgere tre morti,
ora, grazie alla sua morte, i morti, tornati in vita,
mi calpestano alle porte degli inferi”.
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 27,62-66 (Lezionario di Bose)
Queste parole che Efrem il Siro mette in bocca alla morte stessa esprimono bene il timore che inquieta sacerdoti e farisei il giorno dopo la Parasceve: “Quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima”. Anch’essi, nel momento stesso in cui credono di essersi definitivamente sbarazzati di Gesù, avvertono quanto egli possa essere più pericoloso da morto che da vivo. Senza rendersene conto, questi strenui difensori della tradizione sono i primi a sperimentare la dirompente novità imposta da questo morto alla morte.
Essa viene privata della capacità di zittire le sue vittime facendole sprofondare nella “terra dell’oblio” (Sal 88,13). Nell’in-principio, solo Dio poteva udire la voce del sangue sparso di Abele (Gen 4,10), ora invece proprio quelli che per tutta la sua vita hanno trascurato o travisato le sue parole sentono la voce del nuovo Adamo. “Ci siamo ricordati – dicono – che quell’impostore, mentre era vivo, disse: ‘Dopo tre giorni risorgerò’”. Quella parola che Gesù aveva sempre formulato alla terza persona e non aveva mai rivolto direttamente a loro ma solo ai suoi discepoli, ora essi la sentono risuonare in sé stessi come una minaccia: “Dopo tre giorni risorgerò”.
La morte dunque non è più il regno del silenzio e della dimenticanza. Con la sua morte, Gesù ha restituito ai morti la parola, li ha resi capaci di parlare ancora alla nostra memoria, di dialogare con noi nella stanza segreta della nostra interiorità.
Ma questo non è ancora abbastanza: Gesù non ha tolto alla morte solo il potere del silenzio ma anche il privilegio dell’ultima parola. Con il grimaldello del dubbio, il Signore ha forzato la sua inappellabile definitività e l’ha aperta all’attesa di una novità.
Con quale trepidazione sacerdoti e farisei avranno atteso il terzo giorno! Forse più delle guardie al sepolcro, essi avranno vegliato in quella notte, tormentati dal dubbio assurdo che ha strappato alla morte l’ultima parola: e se risorgesse davvero? Impossibile! Eppure quel dubbio inconfessabile non li lascia dormire. No, non sarebbe bastato trafugarne il corpo per far credere alla folla che quell’uomo era risorto. Con quale coraggio quella ciurma di pescatori avrebbe presentato come unica prova della resurrezione una tomba vuota? Con quale ingenuità la gente che aveva visto Lazzaro uscire dal sepolcro alla voce di Gesù si sarebbe lasciata ora convincere dal vano segno offerto dai suoi discepoli? Lo capiscono bene sacerdoti e farisei. Non possono ammetterlo, ma dietro la loro richiesta di sorvegliare la tomba del Nazareno si cela ben altro: quell’esile dubbio capace di scalfire l’onnipotenza della morte. Non è ancora fede, ben che meno speranza, ma è sufficiente perché la morte non possa più essere la stessa. Non è più la porta sbattuta sull’abisso, ma l’uscio socchiuso alla novità di colui che è resurrezione e vita (Gv 11,25).