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    Dio preferisce quelli

    che gli uomini scartano

    XXVII domenica del tempo Ordinario A


    Enzo Bianchi

    In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
    (testo dell'evangeliario di Bose)
    Mt 21,33-43

    Siamo sempre nel tempio di Gerusalemme, dove Gesù rivolge ai sommi sacerdoti e gli anziani del popolo una seconda parabola, dopo quella dei due figli, ascoltata domenica scorsa.
    Un padrone di casa «pianta una vigna, la circonda con una siepe, vi scava un frantoio e vi costruisce una torre» (cf. Is 5,2). Sono parole tratte dal «cantico della vigna» del profeta Isaia, ben conosciuto dagli ascoltatori di Gesù: questa pagina esprime in modo mirabile la storia dell’amore di Dio per la sua vigna, ossia il popolo di Israele (cf. Is 5,7; Sal 80), ma anche la chiesa e l’umanità tutta. È il Signore che crea, custodisce e colma di doni la sua vigna, instaura con lei quella relazione che è fonte di fecondità: occorre però che gli uomini accolgano tale amore, perché Dio ha bisogno di partners che credano al suo amore e vi rispondano con un amore capace di portare frutti abbondanti.
    Dopo aver iniziato l’opera, il proprietario affida la vigna a degli agricoltori e parte in viaggio. Al momento del raccolto egli invia alcuni servi a ritirare l’uva, ma ecco accadere l’impensabile: «i vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono»; e lo stesso avviene una seconda volta, quando il padrone manda servi più numerosi dei precedenti. Più egli si prende cura della sua vigna, più cresce l’ostilità di coloro che dovrebbero semplicemente collaborare con lui alla raccolta dei frutti. Eppure il padrone non si scoraggia ma continua a perseverare in una logica di folle gratuità, fino a inviare addirittura il proprio figlio, dicendo: «Avranno rispetto almeno di mio figlio!». Alla vista di quest’ultimo l’odio dei vignaioli giunge al culmine. Essi prima tramano contro di lui certi che, una volta eliminato l’erede, l’eredità passerà a loro. Poi passano all’azione: «Presolo, lo cacciarono fuori della vigna e lo uccisero». Questa affermazione è fondamentale per decodificare la parabola e, di conseguenza, fare luce sull’autocoscienza di Gesù: è lui il Figlio che sarà crocifisso fuori dalle mura di Gerusalemme (cf. Mt 27,31-33); è lui che «patì fuori della porta della città» (Eb 13,12). E allora appare chiaro che i servi inviati in precedenza sono i profeti, donati con premura da Dio eppure sempre osteggiati dal popolo, in particolare dalle sue guide religiose: si pensi solo alle persecuzioni subite da Geremia ad opera dei sacerdoti del tempio…
    Gesù ha di fronte a sé proprio alcuni capi religiosi, ma significativamente non emette alcun giudizio; si limita a porre una domanda, lasciando che siano loro stessi a prendere coscienza della propria situazione: «Quando verrà il padrone che farà a quei vignaioli?». Essi rispondono senza esitare: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri che gli consegneranno i frutti a suo tempo»; pensano probabilmente che il duro verdetto non li tocchi direttamente ma riguardi altri… Ecco perché Gesù li rimanda ancora una volta all’autorità delle Scritture: «Ma non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile ai nostri occhi” (Sal 118,22-23)?». Certo, essi avevano letto il Salmo, così come conoscevano il passo di Isaia, ma non avevano compreso in profondità la Parola contenuta nelle Scritture: non potevano accettare la logica paradossale di Dio, il suo operare meraviglie attraverso ciò che è disprezzato dagli uomini (cf. 1Cor 1,28), il suo salvare il mondo attraverso lo scandalo di un Messia impotente e crocifisso (cf. 1Cor 1,17-25)! A questo punto, finalmente, gli interlocutori di Gesù capiscono che egli sta parlando di loro e cercano di catturarlo (cf. Mt 21,45-46): questa volta non ci riescono, ma per Gesù la fine si avvicina…
    Prima di concludere questo difficile dialogo Gesù afferma: «Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a chi lo farà fruttificare». Queste parole non riguardano solo i suoi interlocutori storici ma sono rivolte anche a noi, sempre tentati di pensare che il giudizio non ci tocchi, né personalmente né come chiesa. Esse sollecitano la nostra responsabilità a lasciare che Dio regni su di noi. Come? Facendo di Gesù la Roccia su cui fondare la nostra vita (cf. 1Pt 2,4-5), non «una pietra d’inciampo, di scandalo» (cf. 1Pt 2,8). Confidando cioè sulla sua promessa: «Beato chi non si scandalizza di me» (Mt 11,6).


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