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    Voglia di trasformare o cambiare (seconda parte di: «Agire innovativo nella pastorale»)




    II. VOGLIA DI TRASFORMARE O CAMBIARE

    Mutare non è un'opzione, una scelta, bensì una spontanea necessità. Avviene nell'ordine delle cose umane il mutamento, per esigenze intrinseche. Lo abbiamo già richiamato più volte.
    Eppure l'uomo possiede una sua peculiare capacità: tende ad investire di volontà trasformatrice la mutabile realtà, ha voglia di trasformare o cambiare. Capace di intenzionalità, può orientare, guidare, gestire il cambiamento. Gli sono date fondamentalmente tre modalità di agire:
    - intervenire sulla realtà delle COSE per trasformarle secondo le sue intenzionalità, provocando "trasformazioni produttive": è tutto il vasto mondo soprattutto della tecnica;
    - intervenire sulla realtà soggettiva delle PERSONE per promuoverne la crescita, tenendo conto che si ha a che fare con delle libertà: si tratta di "educare, formare";
    - intervenire sulla realtà socio-politica delle ISTITUZIONI per seguire mutamenti sociali o per provocare riforme istituzionali, facendo riferimento a concezioni di vita e a progetti: è il "cambiamento socio-culturale".
    Queste modalità, da considerare interdipendenti e non isolate, hanno una comune finalità: "gestire" il mutamento del reale secondo un progetto intenzionale. E così è.
    Al di là della voglia di sopravvivenza individuale che si soddisfa con la fruizione di risorse disponibili, ciascuno di noi come singolo e come soggetto sociale deve confrontarsi con tre esigenze di base della sua esperienza umana: il bisogno di crearsi un ambiente di vita soddisfacente, la necessità di disporre delle indispensabili condizioni nell'organizzazione sociale e l'esigenza di fare riferimento ad un sistema culturale che esplichi bisogni e domande, convincimenti e ideali.
    Si tratta in sintesi della voglia di trasformare l'ambiente circostante (è l'agire teleologico) che si rifa alla scienza e alla tecnologia per l'utilizzazione delle risorse; dell'esigenza di intervenire nell'evoluzione storica con cambiamenti sociali ispirati a giustizia (è l'agire etico, regolato da norme) che considera tutti gli uomini soggetti di diritti e di doveri per poter vivere umanamente insieme; e del bisogno di far crescere le persone mediante l'educazione e la formazione (è l'agire comunicativo) che pone alla base il riconoscimento dell'altro come soggetto in mutuo scambio.
    Certo, tale voglia di cambiamento rappresenta l'interpretazione in linea esigenziale della condizione umana. Cionondimeno anche quando essa trova remore o resistenze, suscita però sempre un dinamismo che merita di essere conosciuto a fondo.

    1. I differenti volti del cambiamento

    Spesso si ritiene che il cambiamento si produca per accadimenti: un incidente o un trauma, un successo o una emozione provocano a mutare. Ma se è vero che attraverso ogni tipo di evento o azione può verificarsi una trasformazione, è ancor più reale che vincoli stabili, intenzionalità perseguite, condizioni durature incidono a fondo sui processi di cambiamento degli individui.
    E' ciò che ciascuno di noi provoca, quando investe la realtà di progetti: crea vincoli, indica obiettivi, pone condizioni. Un piano d'azione ha alla base una sua "filosofia" del cambiamento: le differenti modalità utilizzate costituiscono tipici stili di intervento e rivelano proprie logiche di mutamento.
    Passiamo in rassegna le principali tra le teorie del cambiamento intenzionale , ad approfondimento della questione.

    * Il cambiamento per prescrizione è uno dei modi più diffusi di concepire il mutamento: alla base sta la convinzione che l'uomo è un soggetto da adattare alla cultura che la società
    esprime. Le norme e i valori sono dettati dal consenso
    sociale. Si agisce, si forma e si educa per "prescrizione": ossia si persegue un modello di vita ideale, che viene considerato la regola sociale valida per tutti. Lo scolaro impara eseguendo programmi; il lavoratore acquista professionalità facendo proprie le direttive aziendali; il cittadino è tale quando non trasgredisce le leggi e si inserisce nella cultura dominante. In tal caso la persona muta in un clima di estrema sicurezza secondo i programmi prestabiliti. La comunità sociale avanza adattando e integrando tutte le risorse individuali, e controllando le devianze e trasgressioni. Un simile modello di cambiamento trova evidentemente ostacoli: non sempre i soggetti da cambiare sono docili alle prescrizioni sociali e non è facile, oggi in particolare, trovare consenso unanime su valori e ideali da prescrivere.
    Ogni epoca produce individui o gruppi sociali che si sottraggono alla cultura dominante con sommosse di ribellione e vere pressioni di massa, oppure anche con fenomeni di indifferenza, di demotivazione: sono reazioni di rifiuto e meccanismi di difesa o protezione che, pur nell'ambiguità o nell'ambivalenza, prendono posizione nei confronti di una certa maniera di concepire la convivenza umana e il progresso sociale.
    Così a ogni svolta culturale emerge la precarietà dei valori: non ci si sente più tanto certi nel prescrivere norme e regole, e tanto meno valori e ideali. E se è pur vero che una qualche prescrizione di largo consenso su questioni incontestabili esiste sempre, è però altrettanto certo che ciò non condiziona né modifica la situazione reale.
    In una società caratterizzata dalla molteplicità dei messaggi e da pluralità di proposte di vita, non è per nulla agevole pensare di procedere con disposizioni e comandi.
    Il cambiamento per prescrizione presuppone perciò che ci sia consenso unanime sui valori da proporre e che la gente li segua in soggezione.

    * Il cambiamento per punizione si fonda sulla convinzione che l'espiazione è un'opportunità per mutare condotta. Le trasgressioni alle norme sociali devono essere punite non per semplice ritorsione, quanto per favorire la revisione, la conversione. In questo la pena assume una valenza rieducativa: le condizioni di vita in cui si viene immersi sono pensate come sistema di recupero e di riadattamento al vivere sociale. Il mutamento viene forzato nell'intento di provocare un reale cambiamento. Ma in questo percorso giocano molteplici variabili. Si dà per scontato che le regole punitive rimangano nell'ambito del ragionevole e dell'utile. Non sempre però si avvera questo. Così si reputa che la sottomissione obbligata abbia poi effetto anche come adattamento nella convivenza sociale.
    La fiducia nella funzione della paura come agente di cambiamento sta alla base di tale logica: la sovrastante minaccia di punizione opera da deterrente, anche se non in ogni situazione.
    Ma a nessuno sfugge l'ambiguità di una simile concezione di cambiamento. Nei fatti appare irrisolto il problema del reinserimento nel contesto d'origine e ancor meno la paura può essere considerata una seria motivazione che sostenga nel
    tempo un comportamento sensato.

    * Il cambiamento può essere prodotto anche per "simpatia". Una vasta corrente di pensiero odierna assegna alla comprensione incondizionata, al sostegno affettivo, alla considerazione positiva una forte valenza di cambiamento. L'amore materno può essere l'emblema. In sostanza l'uomo viene giudicato buono per natura: i suoi sbagli possono essere appianati solo con una cura d'affetto. Investendo la propria "energia" (eros) sull'altro si ottengono effetti trasformativi.
    Ma la realtà non è così lineare. Alle spinte positive si riscontrano nell'essere umano forze distruttive: vi è una compresenza di energia di vita e di morte, di costruttività e distruttività.
    Ciò che chiamiamo "amore", è, a seconda dei casi, passione, altruismo, possessività, comprensione, ossessione... Esso è costruttivo, quando rispetta la diversità in modo assoluto sino a giungere al radicale riconoscimento dell'altro. Ma arriva anche ad essere possessione e dominazione, impedendo così la legittima emancipazione e la necessaria autonomia della personalità matura. In un processo di crescita sono egualmente indispensabili la vicinanza e la distanza. L'autonomia personale e il mutuo scambio, anche se giocati su piani diversi a seconda degli individui, sono da coniugare nel dinamismo del cambiamento.
    L'empatia, ossia il giocarsi nell'altro, può portare ad esiti incerti, se non nefasti. Certo la vicinanza è una grande fonte di cambiamento. Comprensione e solidarietà fungono da leve nella crescita e nel mutamento. Ma per essere veri sino in fondo, non possono che essere personalizzati e individuali. A poco servono dichiarazioni universali o ideologiche. E' la pratica interpersonale della "simpatia" che possiede forza di cambiamento.

    * Il cambiamento per testimonianza è un'ulteriore maniera di concepire quanto muta nell'uomo. Numerosi maestri antichi e moderni scommettono sul principio della testimonianza il loro impegno a cambiare. L'approccio è utilizzato sia nel campo religioso come in quello professionale, anche oggi. Chi si propone come colui che induce il cambiamento viene considerato un saggio, un sapiente, un leader carismatico; chi invece inizia si pone nel ruolo di novizio, di allievo.
    Il dovere del maestro è quello di essere autenticamente se stesso e di manifestarsi come tale; l'obbligo del novizio invece consiste nell'avere ammirazione, sottomissione e fedeltà verso il maestro. Qui il soggetto non cambia perché è amato, ma perché ama: il cambiamento vero consiste nel diventare progressivamente simile al modello, al leader. La diversità diventa in questa situazione una trasgressione e il cammino di emancipazione deve essere percorso a lungo e con pazienza.
    L'esemplarità può indurre il cambiamento, anche decisivo, allorché si verifica sintonia profonda tra discepolo e maestro. La eccezionalità del maestro e la disponibilità obbediente del discepolo sono due fattori indispensabili in simile sistema di cambiamento.

    * Il cambiamento per illuminazione è un altro modo pre indurre a mutare. In gran parte dei gruppi espressivi oltre a proporsi di comunicare, si prefiggono pure l'impegno della catarsi. Gli
    psicodrammi di Moreno sono nel campo terapeutico davvero
    emblematici. Indurre cambiamenti catartici è quanto ci si propone. Molte tecniche espressive e terapeutiche attribuiscono all'illuminazione, all'intelligenza del vissuto, una forte valenza di cambiamento. Vedere dentro il problema, la situazione, è quanto si persegue, poiché esso è l'inizio del processo.
    La consapevolezza è la spinta al mutamento e la fiducia vicendevole ne è la condizione. Ma la fase catartica non produce di per sé un'effettiva trasformazione; c'è bisogno di una fase "costruttiva". L'illuminazione fa penetrare, scopre i veli, stimola la de-costruzione. La ricostruzione cognitivo-emotiva può richiedere ulteriori passi progressivi in cui si superano difese e resistenze, di cui è produttore ogni mutamento. Il cambiamento per illuminazione dà vita al momento catartico, senza di cui la fase costruttiva potrebbe essere una semplice sovrapposizione o aggiustamento.

    * Infine c'è il cambiamento per contratto, che si fonda su un patto bilaterale. I soggetti cambiano quando si impegnano in un patto di cooperazione responsabile e al contempo si stimolano vicendevolmente a mutare e a crescere. In questo è fondamentale lo scambio pattuito sulla base della comune corresponsabilità nel cambiamento.
    E non si tratta evidentemente di contratti precostituiti o istituiti, ma di patti che hanno confini decisi dalle parti in vista del raggiungimento di progetti condivisi. Ciò suppone che i soggetti siano coinvolti nella definizione dei progetti di cambiamento e che venga loro riconosciuta l'effettiva possibilità di condecidere.
    In questa visione il soggetto in cambiamento non è un contenitore vuoto da riempire, ma un protagonista con bisogni e domande; e neppure è una biblioteca che possiede tutte le risposte, ma una persona in ricerca della migliore risposta. Non esistono insomma categorie dicotomiche di persone: le une piene di sapere, di fascino, di potere, di abilità; e le altre votate alla sottomissione, sequela, recezione e così via. La relazione di scambio non è sbilanciata tra chi ha tutto e chi non possiede nulla, causa di un rapporto oscillante tra vissuti che sanno di persecuzione o di depressione. La situazione negoziale si fonda invece su una relazione paritaria di diritti e di doveri, di responsabilità, anche se non misconosce le asimmetrie, le disuguaglianze di partenza, i livelli di distanza. Si cerca insomma la complementarietà degli apporti e la corresponsabilità delle funzioni.
    Questo sistema richiede che entrambe le parti o le più parti accettino di mettersi in cambiamento. Una relazione pattuita adulta è tale solo se tutti si sentono e operano come protagonisti di trasformazione. Ciò può suonare utopico e lo è in parte.
    Un regime di vita, fondato permanentemente sul patto, è senza dubbio praticamente impossibile. E non tanto perché si sia incapaci di contrattualità costruttiva, quanto piuttosto perché i gruppi sociali faticano nella negozialità permanente. Del resto le norme non sono un problema per uomini liberi e maturi. E' la mancanza della loro ragionevolezza e la evidente estraneità agli interessati a costituire il vero problema. Il patto consensuale però sembra garantire un reale cambiamento poiché coinvolge attivamente ogni soggetto e lo rende
    protagonista.

    2. Un iter progressivo nel cambiamento

    Ogni esigenza o appello a cambiare suscita reazioni. Anche se il mutare fa parte della vita, non per questo resta un fenomeno da considerare scevro da travaglio.
    Trasformare e cambiare richiedono un investimento di energie da parte dell'uomo. Prendere posizione è d'obbligo, o consapevolmente o nell'inconscio. Sia il cambiamento interiore che la sfida a trasformare suscitano inevitabilmente reazioni, o meglio una sequenza di reazioni: l'inedito o il rinnovo non lasciano impassibili, anzi spesso scandiscono la progressione del nostro evolverci e del mutamento sociale.
    Nei processi di cambiamento verifichiamo un procedere graduale nell'affrontare le sfide. Descrivere i vari tipi di cambiamento, mette in evidenza l'aspetto sincronico del fenomeno. E tuttavia, come in ogni fatto sociale, ha grossa rilevanza anche la sua dimensione diacronica. Occorre leggere la realtà nel suo farsi, nel suo svolgersi.
    Ad emblema descriviamo un possibile iter scandito nel vissuto del cambiamento.
    Un primo momento può essere il disorientamento. Di fronte a mutazioni sociali o a svolte culturali, oppure anche semplicemente a cambiamenti puntuali e quotidiane, la prima reazione è di non darsi pienamente conto, di non capire quanto sta accadendo. Scaturisce di qui un certo senso di confusione, di disorientamento. Al di sotto di mutazioni, trasformazioni, cambiamenti sta un modo rinnovato di pensare la vita e le sue esigenze, di concepire i rapporti interpersonali e la convivenza sociale, di affrontare questioni personali e politiche. Ciò può creare conflitti, dissonanze; di certo provoca sospensione o perplessità.
    E anche se talvolta la reazione prima è di euforia, dettata da una percezione idilliaca di un facile rinnovamento delle situazioni, rimane pur sempre di breve durata, lasciando poi dietro di sé un certo senso di vuoto e di mancanza di orientamento.
    A questo primo momento ne subentra di solito un successivo, caratterizzato da una reazione attiva. Si prende posizione, consciamente o no, con un agire manifesto. Si avanza verso un adattamento congiunturale e formale, oppure ci si abbandona ad un'apprensione carica di dubbi e di ansie, o infine si avverte il peso dell'impotenza di fronte ai problemi.
    L'adattamento esteriore è il più facile: basta assumere qualche comportamento formale o compiacersi di taluni gesti di apparenza. Ci si illude così, e spesso anche senza darsene totalmente conto, che la realtà è mutata. Strutture e funzioni sono cambiate sulla carta, ma ben diversamente procede la prassi. Sono trasformazioni di aspetti pur importanti, che però non incidono sul senso dell'identità personale e della appartenenza sociale.
    Aggiornamenti e formazione hanno proceduto nella linea della sostituzione di un modello "recente" a quello "passato", senza toccare i dinamismi del cambiamento e mettere in atto dei processi.
    L'apprensione carica di ansie invece risulta naturale di fronte al mutamento. Non essendo di solito provocata in prima istanza da inconsistenze interne, bensì soprattutto da
    improvvise e rapide trasformazioni sociali e culturali, si fatica a dominarla: l'ignoto fa paura, il diverso suscita apprensione. Del resto con ragione, poiché ogni trapasso riapre il discorso sui valori e sui convincimenti, mette in crisi modelli consolidati e sistemi comprovati.
    Peraltro può sopraggiungere un senso di impotenza. La complessità del vivere sociale odierno e soprattutto la imperiosità delle sfide pesano enormemente sulle possibilità di cambiare. Si rimane così bloccati sulla irruenza dei numerosi mutamenti da instaurare e sulla corposità e vastità dei processi da promuovere. L'istanza impietosa del "tutto e subito" non fa che conseguire una seria inibizione dell'azione, una impotenza al cambiamento.
    Il terzo momento nell'iter di cambiamento comprende due scansioni che si richiamano a vicenda: l'integrazione personale del cambiare e la corrispettiva integrazione istituzionale nel consenso sociale.
    Nel progressivo incedere del cambiamento si coglie sempre meglio quanto sia indispensabile che il singolo ne assuma o ne colga l'esigenza. Una proposta di cambiamento personale richiede una revisione del proprio progetto di vita. L'inevitabilità del mutamento si coniuga con la necessità di un impegno individuale. Non bastano a questo punto semplici strategie che mutano segmenti di vita, ma occorre intervenire sull'insieme del progetto, sulla prospettiva globale: e ciò rimanda inevitabilmente al singolo. Si parla sì di rifondazioni a livello politico, eppure si comprende sempre più l'insistenza sulla "formazione permanente" in tutti i campi. La persona è chiamata in appello, e non per cambiare semplicemente, ma per imparare a cambiare (formazione al cambiamento).
    Il fenomeno degli opposti schieramenti fluisce dalla incapacità a integrare le più diverse istanze in un cammino progressivo. Progressisti o conservatori, spiritualisti o attivisti, comunitari o carismatici sono schieramenti vissuti o interpretati in maniera conflittuale, che testimoniano tuttavia dei tentativi di soluzione personali della questione "cambiamento".
    La sintesi viene operata solo a livello di individuo, provocando spesso aggregazioni di schieramento e addentrandosi in logiche riduttive. E tuttavia una tale situazione pone le condizioni per il crescere di persone libere nella mente e nel cuore di fronte ai nuovi problemi.
    Sono leaders emergenti, capaci di intuire linee di marcia, prospettive di futuro, che suscitano speranza.
    Queste persone sono spesso espressione di sensibilità comuni, di esigenze corali, che propongono il coraggio di intraprendere insieme un cammino nuovo o rinnovato. Questa scansione si colloca decisamente in una concezione di sviluppo comunitario del progetto di cambiamento e di un suo procedere in modo organico.
    Sono i soggetti sociali che si fanno carico, sempre più insieme, del cambiamento. Gli organismi istituzionali non sono guardati con distacco o esclusione, ma vengono considerati come indispensabili punti di riferimento per garantire ricerca e continuità nel rinnovamento.
    Non si tratta di una ingenua coscienza di possedere il modello risolutore; c'è piuttosto la consapevolezza della giusta direzione del cammino. Non si è paghi di sintesi compiute e
    neppure di soluzioni già pronte. Al contrario ci si mette
    insieme in ricerca avendo l'orizzonte davanti e al contempo si opera progettando e perseguendo sempre nuovi traguardi. Il cambiamento diviene così parte della vita, incide nell'insieme, procede nell'integrazione istituzionale delle novità sempre emergenti e delle evidenze convergenti.

    3. La resistenza al cambiamento

    Ogni autentico cambiamento coinvolge in profondità la persona. Spesso viene messa in gioco la percezione di sé. E' pertanto comprensibile che, al di là delle momentanee reazioni di protezione o prevenzione, si instaurino anche dei veri e propri fenomeni di resistenza, costituendo dei meccanismi di difesa.
    Nei processi di cambiamento del resto sono richieste tali energie emotive e cognitive che non è possibile pensare di improvvisare.
    Cionondimeno i soggetti possono assumere forme di difesa che si radicalizzano in atteggiamenti di fondo, i quali resistono ad ogni mutamento. Tali meccanismi impediscono la crescita armonica della persona e lo sviluppo organico dei processi, e pertanto meritano attenzione.
    Un primo meccanismo può essere identificato nell'attendismo paralizzante. Oggi non si posseggono troppe certezze: siamo in tempo di ricerca, di pluralismo, di ambiguità. E' meglio aspettare tempi migliori, o che altri prendano l'iniziativa. Non si corre così il pericolo di sbagliare.
    E tuttavia in questo modo di ragionare è insito un grosso rischio: di non muoversi mai. In nome della "prudenza" si rifiuta la responsabilità della propria esistenza. Mettersi in attesa significa solitamente stare alla finestra a guardare la vita scorrere senza affrontarla.
    I cambiamenti avvengono, ma senza l'apporto di chi è attendista, anzi con la pratica resistenza allo spontaneo e storico evolversi delle situazioni.
    Un'altra resistenza consiste nella negazione del cambiamento. Per non porsi il problema di cambiare, lo si nega. E' un rifiuto che non si collega semplicemente al desiderio di mantenersi fedeli alla tradizione, o meglio alle tradizioni, quanto piuttosto al diniego della necessità di mutare. Il mondo è in stasi, si intenderebbe fermare il tempo, e ciò che più conta si vuol rimanere sordi agli appelli e ciechi di fronte alle sfide. Il consueto è sempre la soluzione migliore, poiché non esistono problemi nuovi, o perlomeno sono considerati come inconsistenti e fatui. In fondo le questioni vitali dell'esistenza e della convivenza risultano essere quelli di sempre.
    Così emerge un altro atteggiamento di difesa: lo strategismo moralista. Se le cose vanno male o non sono adatte ai tempi, è causa in definitiva di mancanza di chiari riferimenti valoriali e ideali. Non si tratta però - come è giusto - di valutare i fenomeni di declino della coscienza etica in una visione prospettica della realtà, quanto di affermare che basta richiamare con forza i cosiddetti valori di sempre per trovare soluzioni a problemi nuovi.

    Ma l'invocare unicamente i valori rischia di essere riduttivo, se non si recepiscono con chiarezza situazioni storiche e sensibilità culturali. In fondo non esistono valori e ideali in teoria, essi sono sempre rivestiti della loro condizione storica e dello stile etico del tempo. Per il rinnovamento servono valori inculturati e ideali raggiungibili, altrimenti si naviga nel vuoto. Per promuovere processi di cambiamento il moralismo non serve, anzi è spesso causa di rifiuto al rinnovamento nella prassi per privilegiare le semplici disquisizioni teoriche e inconcludenti. Nel rinnovamento ricerca teorica e incidenza pratica vanno coniugate.
    Infine un'ultima resistenza impedisce il cambiamento: è il riflusso pragmatico. La constatazione di crescenti difficoltà, la paura di avanzare sino alle ultime conseguenze, la fatica di continuare il cammino sono sintomi che possono rivelare un male oscuro, la resa. Di fronte alle difficoltà vengono meno coraggio e fantasia. Il riflusso nella prassi precedente è a un passo. Le esperienze di rinnovamento hanno avuto sì il loro corso, ma il processo ora è concluso. Occorre dunque perseguire con fedeltà il cambiamento.
    Tutti questi meccanismi di difesa rivelano la loro forza rinunciataria. Invece di camminare in avanti, pur con saggezza, ci si ferma, come se il mondo, la storia, l'esistenza fossero una "stasi". In realtà si manifesta paura della vita, della libertà e responsabilità.

    4. Due logiche di cambiamento

    Qualsiasi mutamento ha alla base una sua logica. Trasformare la realtà circostante, investendola di bisogni e di desideri, significa mettere in atto un certo modo di concepire la vita e la storia, e la loro evoluzione. Così se si interviene a cambiare il tessuto sociale, la convivenza comune, lo sviluppo personale, si opera inesorabilmente secondo una certa mentalità.
    La logica che sottosta agli interventi o ai fenomeni di mutamento guida necessariamente il cambiamento.
    Due sono i modi fondamentali di concepire il cambiamento. Essi appaiono contrapposti, e, anche se nella realtà non esistono allo stato puro, sono tuttavia chiarificatori ed emblematici dei dinamismi.

    Un modo tipico di affrontare la questione del mutamento si rifa ad una logica che denominiamo "trasformativa". Fondandosi sulla capacità umana di anticipare gli eventi e sulla possibilità di intervenire sugli uomini e le cose, tale logica prospetta un cambiamento predeterminato: da una situazione constatata si passa ad uno stato finale previsto. Esiste un ambiente reale in cui ci si trova, ma è giocoforza in simile logica prospettare un ambiente idealtipico cui conformarsi, anche se gradualmente.

    Così si attiva in sostanza una concezione di mutamento lineare e unidirezionale che dalla realtà va verso l'idealità. Ovviamente ciò provoca tipici meccanismi.
    Non tutti i partecipanti alle evoluzioni in atto possono essere infatti nella condizione di predisporre un progetto sociale di cambiamento. Nella prassi avverrà una separazione tra chi è chiamato a trasformare la realtà applicando il progetto previsto e chi elabora e valuta le trasformazioni secondo un corrispondente sistema di comunicazione e controllo.
    Si crea così una disuguaglianza di potere decisionale, sino a giungere anche alla deprivazione di ogni diritto.
    Il grado di libertà degli uni è sostanzialmente assai ristretto, mentre per gli altri si va al massimo. Nella logica trasformativa viene praticamente esclusa per principio una possibile scelta diversa: se si deve arrivare in modo idealista alle mete prestabilite, non si dà molta scelta di reale corresponsabilità sociale nello stabilire il proprio progetto. La creatività e responsabilità divengono appannaggio di pochi e i più rimangono nella condizione di deprivazione decisionale. Spesso una tale situazione può essere spontaneamente accettata, ma è elemento di oscuramento della coscienza e responsabilità.
    La tendenza poi di una simile logica è di instaurare un meccanismo di automazione delle scelte, ingenerando ripetitività di atti ed escludendo con facilità l'immaginario e il sogno dalla propria esistenza.
    La strategia di formazione che sostiene la logica trasformativa consiste nel far conoscere semplicemente i criteri di valutazione, sacralizzando la trasmissione dei valori sociali e delle norme istituzionali, che divengono intoccabili. In un simile sistema eteronomo ciò che attiva o respinge sono i premi o i castighi e non la significatività dei valori o delle norme.
    La realtà è vista prevalentemente come oggetto da trasformare. E nel modello regna la separazione degli ambiti, con la conseguente alienazione dei soggetti. Chi deve operare, si dedica alla prassi esecutiva, esorcizzando le sue possibilità progettuali. Il rapporto sociale si caratterizza come dominante o adattativo alla cultura d'ambiente.
    Chi progetta invece valuta e decide secondo i suoi criteri il nuovo che avanza: è lui che ipotizza nuovi modelli di sviluppo e di progresso.
    In definitiva la logica della trasformazione si sclerotizza in meccanismi ripetitivi per i più, i processi attivati sono solo lineari e unidirezionali, le reti comunicative e formative vengono automatizzate, poiché non coinvolgono seriamente nelle dinamiche sociali la consapevolezza e la responsabilità di persone e gruppi.

    A questa logica trasformativa si contrappone la logica della libera espressione. Sempre leggendo le dinamiche dei mutamenti in termini di modelli teoretici al limite, si può ipotizzare una logica della spontaneità alternativa come istanza di cambiamento, dando largo spazio alla creatività e progettualità, anche all'interno dell'istituzione.
    E' la reazione speculare ai meccanismi di tipo eterodiretto e ripetitivo, con la convinzione che la formula possa essere risolutiva del problema del cambiamento. La libertà di progettazione è pensata come l'antidoto del mutamento. Ma ad una lettura attenta dei dinamismi provocati in un sistema dalla spontaneità, non si coglie che la riproposizione, in veste differente, della linearità trasformativa il cui traguardo è precodificato senza appelli. E' una specie di ideologia del cambiamento a tutti i costi: la libera evoluzione ed espressione del mutamento è la nuova istanza insindacabile.
    Su piano razionale ciò appare del tutto paradossale e contraddittorio, dal momento che quanto non è spontaneo viene escluso a priori. Con la legge della libera espressione si rende impossibile la riformulazione o la rifondazione di valori e di norme che non siano previste. Si instaura così un meccanismo che elimina l'inedito come dimensione stabile dei processi di cambiamento, negando validità a qualsiasi istanza che non rientri nella norma della spontaneità. Ogni segnale difforme viene espulso da qualsiasi considerazione e progettazione.
    Eliminando ogni vincolo dal reale, come condizionante o alienante, prendono inevitabilmente vita fantasie onnipotenti che illudono sul "tutto è possibile".
    Al confronto con il reale si sostituisce l'utopico per se stesso, che diviene illusorio, se non addirittura allucinatorio.
    Questa logica privilegia la prassi come momento di esperienza autonoma: i confini tra bisogni e desideri, realtà e fantasia si riducono a vantaggio di una scissione tra la realtà quotidiana come condizionante e l'esperienza vitale quale legge assoluta. Ma l'esplosione dell'emozionale, anche se offre opportunità catartiche, provoca purtuttavia l'attenuazione di una gestione orientata della vita. Del resto una realtà che muta in qualsiasi maniera e nelle più diverse direzioni, è una realtà che risulta impoverita, poiché depauperata della sua valenza storica e critica.
    Le due logiche contrapposte descritte lasciano spazio a una molteplicità di posizioni pratiche. Tuttavia il cambiamento non è una questione di posizioni più moderate o di mediazione tra le istanze estreme. Presenta una sua peculiare dinamica da cogliere.
    Rimane perciò aperta la ricerca di una soluzione che sia commisurata e rispondente.

    5. Cambiamento e innovazione

    Il cambiamento appare decisamente come un problema di intenzionalità e di intenzionalità educativa. Perché corrisponda alle esigenze e domande dei singoli e dei soggetti sociali, la tensione a modificare e ad agire nel cambiamento necessita di orientamento e di formazione.
    La volontà di investire e gestire energia vitale impegna infatti a convogliare le proprie forze nel senso della vita e della vita piena per tutti, ossia nella direzione del pieno sviluppo della dignità dell'uomo e della promozione integrale di ogni persona.
    Sotto il profilo del metodo occorre pertanto perseguire una composizione organica tra la dimensione razionale e quella emotiva, una integrazione consapevole della possibilità creativa con la percezione del reale.
    La realtà psichica umana si manifesta in un continuum tra due poli: il conscio e l'inconscio. Ciascuno ha una vita intessuta da un complesso intreccio di esperienze che variano quanto a consapevolezza del soggetto. Eppure i singoli aspetti mantengono una loro propria dinamica.
    L'inconscio si esprime fondamentalmente in due processi: la generalizzazione, per cui si percepisce chiaramente l'insieme senza sfumature individualizzanti, e la simmetria secondo cui
    ogni cosa è sentita come identica a sé senza troppe
    diversificazioni. E' il modo "alogico" di conoscere, che si esprime in un linguaggio simbolico fatto di indifferenziazione e di non contraddizione.
    Il polo consapevole invece traduce in pensiero logico le percezioni della realtà: è il modo di conoscere che analizza e scompone, pur tendendo successivamente alla ricomposizione. A fondamento sta la relazione asimmetrica, e quindi che individualizza e differenzia.
    Il conscio e l'inconscio, come l'emozionale e il cognitivo, sono due manifestazioni di una medesima realtà psichica che si estrinseca perciò in due direzioni: quella simmetrica, e perciò aspaziale e atemporale (astorica) che tende a generalizzare e omogeneizzare; e quella asimmetrica, spazio-temporale e storica, che persegue la differenziazione e l'individuazione. Certo la mente umana elabora la realtà come un insieme indivisibile e omogeneo, e quindi statico e uguale, ma pure come un'unità divisibile, composta di parti, e quindi dinamica e differenziabile.
    Così la vita dell'uomo si configura come permanente sforzo di relazione con il mondo dell'emozione mediante la cognizione, con quanto è indivisibile attraverso ciò che differenzia.
    In questa prospettiva la storia del pensiero umano può essere considerata come l'interazione tra queste due istanze fondamentali, come un processo di traduzione cognitiva dell'emozionale.

    Un'ulteriore modo di estrinsecarsi dell'uomo si rifa alla dinamica del "bisogno" e del "desiderio", compresenti nella vita umana.
    Il desiderio dice immaginazione, creatività, utopia, idealità. Ciascuno di noi fa esperienza di "andare verso", di desiderare, come spinta o motore di progresso. E al di fuori del tempo e dello spazio tutto può essere desiderabile e possibile.
    Per la mente umana il desiderio non ha confini, spazia nel tempo ed evade dallo spazio.
    Perché possa diventare realizzabile il desiderio deve calarsi nel reale che dice confronto con il limite, la gradualità, la processualità.

    Il bisogno è la traduzione realistica di un desiderio, che richiede soddisfazione mediante reazioni gratificanti o frustranti, persistenti e possessive.
    Il bisogno tende alla saturazione, il desiderio apre a orizzonti sempre nuovi. Ma solo quando il desiderio si fa possibile, diventa spinta all'azione; solo quando il bisogno si colloca nell'orizzonte più vasto del sogno diviene propulsione a superarsi.
    Un reale cambiamento che non rischi logiche distruttive per la persona, deve saper comporre organicamente l'aspetto cognitivo con quello emotivo, e integrare in consapevolezza il desiderio con il bisogno, l'utopico con il realistico.
    Un nuovo approccio al cambiamento richiede dunque di procedere in strategia esplorativa. Non è sufficiente far leva sull'investimento volontaristico della realtà per raggiungerne un reale cambiamento. Occorre invece gestire consapevolmente sia l'energia dell'immaginario in continuo raffronto con il reale, che la capacità cognitiva nell'interpretare quanto è vitale, se si intende intervenire con efficacia nell'innovare: è saper progettare in continua interazione tra ricerca e azione, teoria e prassi.
    La condizione di base indispensabile per poter realizzare questo è il rifiuto precostituito di usare categorie dicotomiche nel valutare gli eventi, in modo da poter spaziare in apertura plurisignificativa nella interpretazione dei fenomeni. Le divisioni manichee non permettono una continua ristrutturazione e approfondimento cognitivi dell'evento. All'interno del confronto tra immaginario e realistico trova posto il cambiamento perché segue i dinamismi vitali dell'esistenza.
    L'approccio esplorativo alla realtà non assume come finalità la risoluzione definitiva e assoluta della contraddizione e ambiguità; ha piuttosto il compito di interpretare le ambivalenze per orientare la gestione del cambiamento verso traguardi di progressi, anche se mirati. Ciò rende dinamica la vita sociale, impedisce di fossilizzare i quadri di valore, facilita la promozione vitale della comunicazione e delle relazioni interpersonali, fa emergere quanto di significativo c'è nel cuore dell'uomo. E' partecipare alla crescita, coinvolgere nello sviluppo e corresponsabilizzare nella solidarietà.
    La strategia esplorativa attiva la ricerca-azione creativa e corale, che non è convivenza funzionale o strumentale, nella tolleranza reciproca basata sulla divisione del potere. Essa significa piuttosto un percorso che sa cogliere le istanze innovative emergenti senza scadere nell'automatismo e nella ripetitività, che legge a fondo la problematicità e l'inedito della realtà.
    L'obiettivo non consiste perciò nel proporsi di raggiungere uno stato finale prestabilito, bensì nel rendersi consapevoli esistenzialmente e storicamente di tutte le possibilità e potenzialità dell'uomo nel suo divenire, nel cogliere che l'innovazione si attua in una progressiva ristrutturazione cognitiva degli eventi e fenomeni, e infine nel constatare la necessità di reiterati interventi nella realtà sociale, se si vuol camminare nel senso della vita e della sua pienezza.

    In definitiva ciò che conta non è tanto cambiare o non cambiare, dal momento che il mutamento avviene anche se non provocato. Il punto nodale sta nel dilemma "se" l'uomo intende lasciarsi trasformare o guidare il cambiamento, e "come" vuole rinnovare e rinnovarsi.
    In campo educativo cambiare significa oggi "innovare", ossia attivare un'operazione convergente, progettata e scandita, il cui fine è di instaurare condizioni nuove perché si realizzi la promozione integrale dell'uomo.
    L'innovazione educativa punta eminentemente sul cambiamento di atteggiamenti e sul rinnovamento delle relazioni interpersonali, come anche sulla rivisitazione organizzativa che permetta le corresponsabilità e il protagonismo di tutti.
    Essa non si ferma con preminenza sull'aggiornamento di strumenti o di metodiche, o anche di condizionamenti ambientali. Senza sottovalutare nulla l'innovazione punta in primo luogo sulla comunicazione di messaggi e di valori, sui piani d'azione promozionali, sui metodi che consentono una attiva partecipazione sociale. Strumentazioni e contenuti vengono finalizzati alla crescita della persona.
    Per questo l'innovazione si fonda principalmente sul coinvolgimento degli individui e dei soggetti sociali. Certo, a seconda del grado di impegno richiesto, si possono riscontrare maggiori o minori difficoltà. Del resto la possibilità di riuscita dell'innovazione sta in stretta relazione non tanto con l'effettivo miglioramento proposto, quanto piuttosto con le percezioni e gli atteggiamenti di chi è coinvolto e con le condizioni istituzionali in cui avviene l'innovazione.
    Talvolta l'innovazione richiede semplici variazioni di modalità di trasmissione, ma assai più spesso esige un reale cambiamento di atteggiamenti con conseguente modifica degli stili di vita.
    Per cui la ricca dinamica dell'ambiente sociale e la duttilità delle norme organizzative faciliteranno la modificazione delle percezioni personali e il rinnovamento delle relazioni interpersonali. Così la flessibilità degli atteggiamenti e la disponibilità alla rivisitazione dei sistemi relazionali divengono condizioni indispensabili e favorevoli, affinché possa avere successo l'innovazione a livello organizzativo e sociale.
    L'innovazione educativa, dunque, coinvolge la persona e i suoi valori, stimola processi di cambiamento nella comunicazione interpersonale e nelle relazioni sociali, facilita le dinamiche dei sistemi organizzativi e istituzionali in vista della piena promozione umana.
    Essa si basa sull'abilità nell'interpretare e sulla capacità di scegliere perché l'uomo divenga responsabile di sé e degli altri, del mondo e della sua storia.

    6. Direttrici di marcia del rinnovamento.

    I Vescovi d'Italia riconoscono con audacia il momento attuale come opportuno per il rinnovamento. E' vero.
    "Il cambiamento sociale in atto può essere occasione di diserzione o di profezia. Può diventare tempo di appiattimento oppure di testimonianze mature e forti. In altre parole: o si cede alla tentazione dell'estraneazione, o ci si impegna a ripensare l'azione pastorale a partire dal cambiamento in atto...
    Questo cambiamento si propone all'attenzione nei termini con cui li abbiamo esaminati sino ad ora. Non è possibile ne' augurabile rimanere alla finestra. I mutamenti avvengono e il cambiamento deve essere governato se si vuole che sia per l'uomo. Esso è certamente una provocazione, ma lo si avverte senza dubbio come un problema vitale da non evitare. Ed anche se di fronte al cambiamento si prevedono resistenze, occorre puntare sui suoi dinamismi perché esso avvenga in profondità, nell'interiorità di un'autentica conversione. E tuttavia si è consci che un cambiamento interiore debba essere accompagnato, per durare nel tempo, da rivisitazioni culturali. L'uomo è un essere sociale per cui non si può sottrarre all'impegno di creare cultura, come espressione integrale del suo esistere nel mondo insieme agli altri. Sarebbe davvero precario un cambiamento che si limitasse nella sfera intima dell'individuo: esso, se è autentico, contagia e deve necessariamente diffondersi e provocare mutamenti sociali e culturali, deve instaurare nuovi stili di vita nella convivenza umana. A tale scopo non si può non discriminare tra i vari possibili modelli di cambiamento: essi condizionano o sviluppano la crescita della persona e l'armonia delle sue relazioni. Bisogna ricercare un modello che sia rispettoso delle dinamiche sociali e attento alla dignità della persona umana.
    Ci è interdetto di pensare che un qualsiasi tipo di cambiamento sia irrilevante per la comunità cristiana, quando è confortato da buone intenzioni.
    La proposta deve essere culturalmente corretta, sensibile quindi alle novità come attenta all'esperienza accumulata, aperta all'integralità del mutamento e che non si proietti nell'utopismo o non rimanga nelle secche del semplice pragmatismo.
    Occorre perseguire un progressivo iter nel cambiare che fa evitare l'illusorio "tutto e subito", ma che pure non mortifichi lo slancio del procedere con determinazione. Tra le logiche della infausta trasformazione o della paradossale spontaneità, si fa avanti la logica dell'innovazione delle nostre comunità. Ciò dice valorizzazione di tutti gli aspetti della esperienza umana, senza demonizzarne o esaltarne alcuno, e loro promozione in vista della maturazione della persona e della crescita della comunità. Il cambiamento delle comunità cristiane deve essere giocato come opportunità di comunione su valori condivisi e creazione di profezia che prefigura l'avvento del Regno.

    A ragione la Chiesa del Concilio si è posta sulla strada del rinnovamento. A ragione la Chiesa italiana continua a riproporre la "novità" dell'evangelo per creare una nuova società in Italia: ne indica pure la strada.
    Il Convegno ecclesiale di Palermo, come quello di Loreto, ha riproposto ancora una volta il metodo del discernimento, che sollecita la riflessione collettiva e personale di tutti i soggetti ecclesiali ed esige una progressione di ricerca per produrre la "novità" dell'evangelo. Il nuovo progetto culturale non potrà che delinearsi e crescere in questo modo: nel discernere.
    Discernimento dunque è la parola chiave. Dice ricerca, confronto, scelte.
    Sullo sfondo sta il tema dell'ambiguità e ambivalenza dell'esistenza umana. I grandi principi sono chiari anche oggi; tuttavia si fatica a identificare che cosa significhino nelle scelte concrete della prassi. Si richiede un lavoro di attenzione alla complessità del quotidiano, una capacità di lettura e di interpretazione delle interpellanze e sfide. Non è evitabile la faticosa intelligenza delle situazioni: occorre penetrare a fondo la realtà nella sincerità e nel dialogo.
    Il termine "discernimento" richiama anche la responsabilità personale, con una particolare risonanza di fronte alla propria esistenza.
    L'attuale crisi delle ideologie, che è scadimento di quelle visioni onnicomprensive da cui si deduce ogni interpretazione e soluzione, lasciando ai soggetti semplici compiti attuativi, crea un vuoto. Quelli che tendono a rifugiarsi nelle certezze ideologiche, sfuggono alla responsabilità della ricerca, del discernimento. Il coinvolgimento nella responsabilità diviene così determinante per recuperare la propria soggettività e costruirsi un significativo progetto di vita.
    Ciò richiede di penetrare il senso degli avvenimenti che costituiscono la storia umana, per poter coglierne le linee di tendenza e le direttrici di marcia. I dati analitici sono materia per costruire il mosaico della realtà in continuo mutamento, tale però da presentare sempre un'immagine significativa e sensata, e dunque degna di essere comunicata e vissuta.
    Ma se il discernimento è intelligenza delle situazioni e dice coinvolgimento del cuore, manca, in prospettiva pastorale, lo sguardo della fede sulla realtà. Il discernimento perciò, come fatica di affinare lo sguardo e di coinvolgere il cuore, affonda le sue radici là dove l'uomo investe la sua libertà e impegna la sua responsabilità, e come discernimento evangelico si colloca in una visione teologica e in un vissuto teologale che penetra la cultura, il sociale, la politica. Dall'esperienza di fede la mente e il cuore ricevono orizzonti nuovi, energie inedite nei quali collocarsi saldamente per operare mediazioni culturali ed educative. In tal modo lo sguardo di fede diviene significativo per la prassi, per le scelte concrete: è un investimento di fede sulla "mente rinnovata" per cercare linee di marcia tra i segni dei tempi e per operare opportunamente scelte adeguate. Ma quando si arriva alle soglie del vivere sociale, è del tutto indispensabile investire il massimo delle risorse umane per elaborare una traduzione e progettazione storica dei valori e degli ideali, in modo che siano concretamente proponibili e fruibili. Insomma bisogna saper passare dalla cultura dei fini alla cultura dei mezzi, "da puro supplemento d'anima di una società efficientistica a sfida e strategia per una nuova qualità sociale dell'esistenza" (n. 30).
    In forse non sono messe le grandi ispirazioni del Vangelo, ma certamente le mediazioni storiche e i progetti culturali del tempo che viviamo. Al credente è richiesto uno sforzo di fantasia che gli faccia immaginare il futuro storico disegnato da Dio per noi. E questo lo si attua senza alcun dubbio ponendosi in ginocchio, ma inevitabilmente rimboccandoci le maniche dell'intelligenza e della responsabilità. Si tratta di prefigurare il volto della novità e di mediare le intuizioni in scelte concrete.
    Alla luce quindi delle grandi orme evangeliche e dei riconoscibili segni dei tempi emerge, nella ricerca e nella riflessione, un nuovo modo di concepirsi oggi come uomini credenti e come comunità cristiane. Su questa scia individuiamo talune istanze emergenti per il rinnovamento del tessuto umano e cristiano . Le proponiamo come punti di riferimento per la ricerca comune e quali sollecitazione a progredire nel cambiamento.
    Una prima istanza la identifichiamo in una concezione della vita cristiana come modello di perfezione morale che va modificata verso un modello che si ritiene più coerente e attuale, e che chiamiamo di "disponibilità spirituale".
    Ogni esistenza si fonda su esigenze etiche. Senza di esse non è possibile alcuna convivenza sociale. La pace, la giustizia, la solidarietà, il rispetto della natura, la mondialità funzionano da criteri orientativi della vita personale e sociale.
    Quando però questi si tramutano in principi formali senza un'anima, un'ispirazione antropologica, si giunge con facilità allo svilimento di tali valori. Se non vengono inseriti in un quadro significativo dell'esistenza, possono diventare degli idoli, per cui la pace diviene irenismo, l'ecologia è difesa acritica dell'ambiente, la giustizia si trasforma in assoluto asettico senza amore, la mondialità rischia i percorsi dell'egualitarismo nel disconoscimento delle differenze e delle diverse culture.
    Senza una spinta ideale, mistica, il criterio etico, invece di funzionare come istanza propulsiva, può scadere in un principio formale, in un idealismo parossistico, in una ossessione difensiva. Urge allora recuperare con forza un modello di vita cristiana che si fonda su una spiritualità. L'impegno ascetico trova il suo senso vero nell'orizzonte ispiratore della vita. E' la mistica del dono, nella disponibilità dell'accoglienza e del rispetto. Prima di essere compito e impegno, la vita secondo l'evangelo è dono e disponibilità. Anzi, appunto la consapevolezza di essere dono ingaggia ancor più a buttarsi nell'impegno. La ricerca di interiorità sta a fondamento di qualsiasi compito o vincolo etico. Questo atteggiamento di fondo rende inattuale la concezione di una vita cristiana elitaria o aristocratica: la dinamica del donare è infatti l'essere di tutti e per tutti. Non si tratta di concedere qualcosa a qualcuno, ma di condividere nella solidarietà un evento di salvezza che viene da Dio.
    La vita cristiana non nasce primariamente dal desiderio di realizzare un ideale morale o un cammino di riscatto personale; così non proviene dalla volontà di essere fedeli alla sublime dottrina del Vangelo come via sicura di perfezione morale. Essa si rifa piuttosto e in primo luogo a un evento decisivo della storia: Gesù di Nazareth, che ci rivela l'inedito amore di Dio per l'uomo e ci chiama a seguirlo nel comandamento dell'amore. Siamo nel solco della gratuità e disponibilità. Il volto di Dio è il volto del Padre che per primo ama le sue creature come amore gratuito. Il modello della disponibilità spirituale della vita cristiana segue questa logica evangelica: "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10, 8).
    Una seconda istanza di rinnovamento consiste nel proporre di passare dal sentirsi "maestri in Israele" ad essere "pellegrini nella fede".
    Al cristiano non è dato di pensarsi uomo superiore agli altri, non gli è concesso di avere risposte sicure per tutti i problemi umani. Non gli viene sottratta la fatica del cammino e la comune ricerca. Anche per lui è valido, pur con la certezza del Risorto nel cuore, l'atteggiamento del viandante che assume la vita come un continuo pellegrinare di giorno e di notte, un cammino scontato o esposto a sorprese. Nella fede discerne i segni dei tempi, si pone in dialogo con tutti, accettando di percorrere "la prima e fondamentale via della Chiesa" (RH 14), ossia l'uomo con tutte le sue vicende, con aspirazioni e contraddizioni, la sua cultura e la ricerca di senso. Il credente non è colui che ha sempre e solo da dare o insegnare, e non ha mai niente da ricevere o imparare: oggi si è forse più richiesti nel ricevere che nel dare, nell'ascoltare che nel proclamare. Così non è colui che manifesta sufficienze nella sapienza delle cose, peraltro anche della fede.
    E' piuttosto uno che è attento alle sollecitazioni divine negli eventi e sensibile alle manifestazioni del Dio che opera nella storia.
    L'uomo cristiano è chiamato oggi più che mai a una conversione: la compagnia e la prossimità. Egli non deve
    costruirsi un'oasi ben protetta dalle perturbazioni terrene, bensì precedere nell'aprire nuove strade per il bene di tutti. Più che preoccuparsi di preservare la propria integrità, volge la sua attenzione alle sfide dell'uomo odierno per cogliere i fermenti di novità, che sono segni della presenza dello Spirito. Ciò comporta una visione del mondo che sia universale, cattolica, che non si perda in un facile manicheismo di comodo, una visione che coglie la realtà umana come luogo teologico in cui discernere l'azione di Dio e come ambito teologale della propria esperienza religiosa. E' un operare nell'attesa dell'adempiersi della promessa di Dio, senza appropriarsene in anticipo nel desiderio e nel sogno (Bonhoeffer).

    La voglia di rinnovamento suggerisce inoltre un'altra istanza: il cristiano deve migrare per essere tale, dal profilo clericale a un profilo carismatico.
    Nelle comunità cristiane funzioni e compiti rischiano oggi di prendere il sopravvento. Certo essi sono visti come un servizio alla comunità, ma corrono cionondimeno il pericolo di sostituirsi ai carismi che sono dati dallo Spirito a tutti i credenti.
    Il dinamismo vitale della comunità è affidato alla ricchezza dei doni disseminati dallo Spirito, i ministeri devono servire alla loro crescita e sviluppo. Non per nulla la ChL mette sull'avviso circa una visione clericale della Chiesa: ogni battezzato al contrario è soggetto nella comunità cristiana, portatore di un dono, singolare del Signore. Per la causa del Regno di Dio servono soprattutto testimoni, uomini di Dio, maestri di vita interiore, profeti di sapienza. La comunità cristiana deve quindi essere pensata più che scuola di servizi come una "scuola di santificazione". Il livellamento e la pianificazione non sono per la Chiesa: essa è una, ma nella varietà molteplice dei carismi; è comunione profonda, ma di doni diversi. Un laico cristiano che assumesse un profilo cultuale e clericale, non sarebbe veramente tale. A ciascuno, come ai soggetti ecclesiali, è dato un carisma, dono originale di Dio per servire la comunità degli uomini. Ognuno è chiamato e inviato dal Signore, perché tutti abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
    Infine un ultima istanza di ricerca viene proposta: convertirsi da una comunità cultuale a una comunità missionaria. Oggi la Chiesa diventa sempre più consapevole di doversi mettere in stato di missione. L'evangelizzazione è un compito corale.
    L'impegno apostolico non può essere demandato solo ad alcuni fedeli, esso è invece una dimensione essenziale della vita cristiana. Ogni discepolo di Gesù è un inviato, come il maestro. La missione diviene per la comunità chiave interpretativa e fonte ispiratrice della sua azione.
    Da qui sorge una nuova immagine di comunità cristiana, soggetto responsabile della missione tra gli uomini. Se è vero che la comunità vive i suoi momenti dello "stare con" il Signore, è però altrettanto reale che questo stare con Lui è in vista di un "essere mandati per" fare discepoli i popoli.
    Tale apertura verso la missione dà respiro alla comunione con Dio, e al contempo questa agisce come sorgente e orizzonte delle proposte di salvezza. L'attivismo non sostiene di fatto la vitalità di una comunità, come non la giustifica l'intimismo. L'orizzonte della missione e la fonte della comunione si coniugano insieme per costruire una comunità che sia veramente tale, ossia una comunione missionaria.

    Le quattro istanze ora descritte indicano le direzioni di marcia di un progressivo rinnovamento, di un passaggio pasquale che rigenera. Sono punti di riferimento che ne tracciano il percorso.
    Le comunità sono invitate:
    - a ripensarsi sulla propria esperienza nello Spirito (spiritualità) per rimotivare l'impegno etico;
    - a percepirsi in cammino di fede nel cogliere le orme di Dio che opera nella storia e in questo si fa prossima e compagna del cammino dell'umanità;
    - a non si formalizza in funzioni, ma essere in ascolto e accoglienza dei doni dello Spirito e gioisce della ricchezza e varietà dei suoi carismi;
    - a non rinchiudersi in un culto sterile e non ripiegarsi su se stesse, bensì ad aprirsi al servizio della comunità degli uomini, per dare un apporto originale e fecondo di Vangelo.
    Una comunità cristiana che percorre simili processi di cambiamento non solo si rinnova evangelicamente al suo interno, ma si trasforma anche culturalmente e socialmente. Immette dinamiche innovative nel suo farsi comunità che si traducono in stili di vita e relazioni umane rinnovate. Cambia volto nel suo proporsi nella comunità degli uomini, divenendo segno concreto per la crescita di tutta la società.
    Sottoposta a tutti i meccanismi umani, si lascia guidare nel suo cammino dall'ispirazione evangelica, ma interpreta e media nella fede il suo volto visibile perché sia segno di salvezza per tutti.


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