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    Vivere la nuova alleanza

    Da Geremia a Gesù 

    Esercizi spirituali del clero di Roma

    Francesco Rossi De Gasperis 

     

    Prima meditazione 

    E' utile renderci conto di quanto questo termine “Esercizi Spirituali” sia stato saccheggiato nella Chiesa. Se io penso che, a volte, a Gerusalemme ho dato mesi di esercizi a una sola persona! Gli esercizi spirituali non sono semplicemente delle conferenze.

    Noi siamo dei ministri del Signore. Una cosa certamente molto difficile è spogliarsi delle preoccupazioni del ministero per pensare al ministro. La spiritualità propria del prete diocesano è quella di santificarsi personalmente attraverso il ministero e quindi di santificare la sua opera personale con la sua santità personale, ma di far servire anche la sua opera pastorale alla santificazione propria.

    Mi è capitato recentemente di incontrare un sacerdote che è un esempio di grande efficienza, di donazione totale alla sua parrocchia, che a un certo punto ha voluto parlare di sé e sono venute fuori delle cose su cui ancora ripenso con meraviglia. Come mai non erano mai venute fuori prima? Come mai il fatto di farsi prendere dal suo ministero gli ha fatto dimenticare in modo anche abbastanza serio la sua vita personale e i suoi contatti con gli altri, cancellati da questa dedizione e da questo generoso dono di sé che ha fatto e che continua a fare nel suo ministero? Ciò che mi ha impressionato è la cancellazione psicologica, come dire: c'era questo nella tua vita; non ci hai mai pensato?

    Gli esercizi spirituali dovrebbero essere del tutto spogli dalla preoccupazione del ministero per toccare l'io. Dove sto io nel discorso della fede che faccio agli altri. Vi consiglierei di tornare proprio all'origine, che se fossimo stati battezzati da adulti dovrebbe essere l'origine del nostro Battesimo, ma questa non è l'esperienza di molti di noi e dunque l'origine della vocazione, ma prima di entrare in seminario, prima di entrare in noviziato. Cioè riuscire a fare memoria di che cosa mi è successo. Nei confronti del mondo di oggi noi siamo delle persone strane, non siamo gente normale: ce lo fanno sentire in tutti i modi! Basterebbe pensare solo al fatto che noi non ci sposiamo!

    Se Gesù non fosse il Messia, non fosse l'ultimo, io non avrei nessuna ragione di vivere! Siamo molti nel mondo che vivono una vita e da secoli che hanno come ultima ragione esplicativa che Gesù è venuto e che noi aspettiamo che torni. Ci interessiamo di tutto quello che avviene, cerchiamo di lavorare per un mondo migliore, ma la cosa che ci tiene in piedi è l'attesa della venuta del Signore. Non l'avvento del Natale, ma l'avvento del Signore che venga. Questo è un fatto che non possiamo negare. C'è un'umanità che cammina nella storia, apparentemente come tutti gli altri e certamente diversa proprio per questo fatto che l'ultimo motivo della sua esistenza, che è anche il primo, è la fede nel Messia che è venuto.

    Vi consiglierei di tornare all'origine; non che cosa mi hanno insegnato in seminario, ma che cosa mi ha fatto uscire di casa per andare in seminario? Che cosa è successo a me personalmente? Mi può essere successo prima di entrare, mi può essere successo anche in seminario e allora: che cosa mi ha fatto restare in seminario? Penso che se oggi siamo ancora qui a parlare di queste cose, ciascuno di voi ha dato la sua risposta alla scelta che il Signore ha fatto di lui. Insomma: che cosa mi è successo quando io sono diventato credente? Cristiani non si nasce! Che cosa è successo in me quando io ho incominciato a credere e mi sono compromesso con questa fede fino a giocarmi la mia vita? L'esercizio spirituale dovrebbe essere un miglioramento della rimessa in moto di ciò che muove me, la mia coscienza, come persona, come credente, non come sacerdote incaricato di altri, come pastore. Queste sono tutte cose che vengono dopo e che suppongono che prima sia successo qualche cosa nella mia coscienza.

    Ritornare al principio mio, non solo della mia creazione, perché quello non è dipeso da me; io non ho deciso di venire al mondo, ma io mi sono trovato messo al mondo. Ciascuno di noi è gettato nel mondo! Io non ho preso parte a questo fatto di esserci; nessuno mi ha consultato! Invece si tratta di essere credente e non; non è automatico e nemmeno è un'iniziativa mia, una scelta mia. La fede non è una scelta nostra. Chi è credente sa che risponde di una scelta fatta dal Signore a una chiamata e ci possono essere dei momenti un po' come quando Gesù dice a Pietro o agli altri: Volete andarvene anche voi? Forse pensiamo: non sarebbe mica male andarsene, ma non è possibile! Tu solo hai parole di vita eterna. Oppure come diceva Tommaso Didimo, quando Gesù voleva andare a vedere Lazzaro perché era morto: Signore, volevano ucciderti adesso anche a te e ritorniamo là? E Gesù insiste nel voler andare; alla fine Tommaso dice: Beh, andiamo, moriamo anche noi con lui!

    Dove andiamo al di fuori di Gesù? Io non troverei proprio nessuna ragione di vivere. Ognuno lo può sentire nelle sue tonalità del momento, della storia, dell'età, ma dobbiamo ritornare a questa radice che è il dono che Dio ci ha fatto della fede e la risposta che ha trovato spazio in noi, perché in questo principio c'è una promessa, una prospettiva… ciascuno di noi se l'è fatta a sua immagine, un'immagine puerile, infantile, artificiale… la vocazione non è mai un'immagine che noi ci facciamo! La vocazione è una cosa che viene da Dio. E' come il nome con cui il Signore ci chiama, ma che non è il nome che ci siamo dati noi, e tuttavia c'è una dinamica che ci porta dal nostro nome al nome che lui ci dà. C'è un progetto di vita che poi si è andato svolgendo e che oggi ci trova al nostro posto. Ma qualunque sia il punto a cui noi siamo arrivati, ci dobbiamo domandare: e io chi sono in questo posto, che cosa sono diventato? Io, come uomo, come credente, come persona, come io che precede tutte le ordinazioni sacerdotali, titoli che mi danno… io come essere davanti al Signore. Questo si può fare da soli, ma gli esercizi spirituali sono un'occasione per rimettere in evidenza questo.

    Ho scelto di proporvi una meditazione su “entrare nella nuova alleanza”, entrare e vivere nella nuova alleanza.

    Noi siamo sacerdoti secondo l'ordine di Melchisedek, ma soprattutto siamo sacerdoti di Gesù Cristo, sacerdoti della nuova alleanza, della seconda alleanza; questa alleanza non è un'altra alleanza o un secondo ordine di cose, è in continuità. Tanto in continuità che la lettera agli Ebrei si è preso il grattacapo di cercare di mostrare come dall'ordine di Aronne si arriva all'ordine di Melchisedek. Ha ripreso Melchisedek, che è ancora più vecchio di Aronne. Viene pure prima di Abramo, perché a lui Abramo ha offerto le decime. In questa operazione tipica dell'autore della lettera agli Ebrei, lui ha trovato un modo di dire: guardate il sacerdozio di Gesù, non è sacerdozio di Levi, perché Gesù era della tribù di Giuda e non della tribù di Levi e quindi il culto del tempio ormai si è compiuto in un altro modo, però quello che ha fatto Gesù non è l'ultima cosa nuova che lui ha aggiunto. No! Addirittura lui ha ripreso Melchisedek che veniva prima. Questa è un'operazione tipicamente ebraica in cui non si rinuncia mai a dire che il nuovo era più antico di prima, che non c'è niente che venga di nuovo senza essere preparato e senza appartenere all'unica intenzione del disegno del Signore nella storia umana. La spiritualità ebraica è sempre protesa verso il futuro, correggendo il presente attraverso la speranza di qualche cosa di meglio, di più perfetto, di un avvento di qualche cosa che deve venire, ma sempre fondato nella memoria del passato, perché Dio è uno e il Dio di ieri non può essere altro che il Dio di domani, che è il Dio di oggi e quindi l'alleanza è una sola. L'alleanza è l'amore che Dio mostra verso il suo popolo e verso l'umanità, ma si sviluppa, si evolve in tanti momenti, per cui Paolo può anche dire che il popolo di Israele è il popolo cui appartengono le alleanze (Rm 9), ma queste alleanze non sono altro che tappe differenti della stessa alleanza. Però resta il fatto che Gesù è sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek e non secondo l'ordine di Aronne e noi siamo stati ordinati sacerdoti nel sacerdozio di Cristo; anzi, noi siamo sacerdoti per un sacramento dell'ordine, ma il sacramento è il segno di una realtà diversa, del sacerdozio di Cristo, perché il vero sacerdote è uno solo, è Gesù. E il sacerdozio di Gesù è il sacerdozio della nuova alleanza, di quest'ultima tappa dell'evoluzione dell'alleanza, che noi chiamiamo “nuova”, purché questo “nuova” non voglia dire un'altra, una seconda, ma quella di Levi portata al suo compimento in Gesù e allora mi è sembrato utile, forse proficuo applicarci un pochino a questa meditazione.

    Come è nata la nuova alleanza? Quali sono i connotati? Perché non solo il nostro sacerdozio è il sacerdozio della nuova alleanza, ma anche noi siamo gli apostoli della nuova alleanza.

    Naturalmente questo suppone una conoscenza della situazione storica in cui i profeti a un certo punto hanno parlato di alleanza nuova.

    Ci applicheremo a capire se l'inaugurazione della nuova alleanza avviene nel sacrificio di Cristo, se Geremia parla di una cosa che si deve realizzare sei secoli dopo o se invece il sacrificio di Cristo è il primo compimento, di cui noi aspettiamo il compimento finale con la seconda venuta del Signore, in modo da entrare già in questa alleanza dall'inizio, quando appunto Geremia ne parla e allora di riconoscere già in questo inizio quei connotati che Gesù porterà a compimento, di cui aspettiamo ancora il vero e definitivo compimento nell'avvento, che è l'atteggiamento fondamentale del cristiano che aspetta il mondo che deve venire e che però già è cominciato con una prima chiamata alla situazione escatologica, a cui in qualche modo noi pure partecipiamo con il nostro celibato.

     

    Seconda meditazione 

    I ministri del Signore durante gli esercizi spirituali devono dimenticare il ministero per ricordarsi del ministro. Provvedete a che non manchi nella vostra giornata una preghiera personale. Non si tratta solo di ascoltare delle conferenze, ma dopo quello che possiamo dire qui è necessario soprattutto la mattina prevedere un tempo per la preghiera personale. L'importante è che io preghi, riprendendo certe cose che si sono viste insieme, ma anche altre cose che il Signore può dettare a ciascuno e quindi un'atmosfera di silenzio, non per dovere, ma per interesse. Sfuggire alla chiacchiera che spesso nella vita ordinaria ci consuma dal mattino alla sera.

    Stando al tema che abbiamo scelto: siamo invitati a vivere nella nuova alleanza, siamo sacerdoti della nuova alleanza e apostoli della nuova alleanza verso il popolo di Dio. Cercare di capire di più che cos'è questa nuova alleanza e come si passa nella nuova alleanza. Per cui la prima questione potrebbe essere: nasciamo o siamo battezzati automaticamente nella nuova alleanza? La nuova alleanza è qualcosa di già bell'e fatto in cui entriamo o è una conversione progressiva del nostro essere e poi del nostro ministero? E allora vi invito a ripercorrere attraverso la Bibbia quando e come nasce la nuova alleanza e da che cosa nasce? Perché “nuova” vuol dire sempre qualcosa in relazione a qualcosa di precedente. Presumo che in un primo momento alcuni si trovino un po' smarriti, perché vi propongo di pregare sulla storia biblica, sulla Parola di Dio nella Bibbia e nella storia e questo non è qualcosa a cui siamo normalmente abituati. La Parola di Dio per noi è una parola, molto meno una storia. E allora una prima questione che vi propongo: che cosa vogliamo dire quando dopo aver letto qualunque pagina della Bibbia, qualunque pagina che ci propone la liturgia… ad esempio dopo aver letto la pagina del peccato di Davide con Betsabea, cosa vogliamo dire quando diciamo: Parola di Dio? Come parla Dio? Come si deve capire questo “megafono” con cui Dio qualche volta parla? “Parola”, in ebraico si dice dabar, ma dabar non è prima di tutto parola, è fatto, cosa… Dio parla facendo, producendo storia nella storia degli uomini. Noi facciamo storia! Ciascuno di noi, in qualche modo, sta scrivendo una storia, con le sue azioni, intenzioni, parole, ma facendo fatti e Dio fa i suoi fatti nei nostri fatti. Solo lui è capace di fare i suoi fatti nei nostri… Qualunque cosa noi facciamo – questo è il mistero della libertà e della grazia – Dio trova il modo di fare la sua storia in ciò che noi facciamo. Fosse la grazia o fosse il peccato, Dio sa passare in mezzo ai nostri tornanti; un po' come fa il Giordano, che viene giù dall'Ermon con delle cascate formidabili, violente, impressionanti e poi arriva al Mar Morto con la lingua di fuori, si potrebbe dire. Il tracciato del Giordano in linea d'area sarebbe di cento chilometri, in realtà sono trecento i chilometri della linea del fiume, perché passa attraverso infiniti tornanti, il fango, i sassi, la discesa del territorio ne rallenta la corsa, ma poi arriva alla fine, al Mar Morto. Un po' così è la Parola di Dio! Forse i nostri fatti possono rallentare i suoi, questo è possibile, perché il Signore accetta di farsi rallentare da noi, ma non di farsi arrestare: trova sempre il modo di passare.

    Quindi, quando diciamo “Parola di Dio” non pensiamo subito al suono della voce, pensiamo a ciò che avviene nella storia. Il segretario di Giovanni XXIII raccontava che quando il Papa andò a S. Paolo fuori le Mura e lì indisse il Concilio Vaticano II, poi, ritornando a casa, domandò al segretario: e adesso che cosa facciamo? Certamente lui non immaginava che cosa sarebbe venuto fuori dal Concilio Vaticano II! Lui pensava ad un aggiornamento e il Signore è passato dentro questo, non al di fuori. Il Signore fa storia dentro la storia degli uomini. Così ho pensato: Papa Ratzinger ha parlato a Ratisbona e ha suscitato un pandemonio nel mondo islamico. Leggendo la sua lezione come lezione accademica è una cosa perfetta, ma è un po' strano che il Papa, a un certo punto, diventi un professore in cattedra; ma sono sicuro che il Signore si è servito di questo forse per suscitare un pandemonio che il Papa stesso non prevedeva. Ma certo quella lettera che gli hanno scritto dopo 38 teologi islamici è una lettera che pone dei problemi molto seri sia agli islamici sia ai cristiani e in un modo o in altro anche il Papa dovrà cercare di formulare delle risposte a tutte quelle questioni che sono abbondanti e ben documentate. Può darsi che attraverso questo il Signore faccia passare una sua parola che tocchi a noi e che tocchi loro. Quello che è importante è questo: che il Signore parla facendo storia, facendoci fare la sua storia senza saperlo. Una volta che certi fatti si sono prodotti, poi bisogna capire che cosa vogliono dire, bisogna interpretare questi fatti. Il giorno della prima pentecoste gli apostoli parlavano e la gente, pur provenendo da lingue differenti capivano quello che dicevano, questo è un fatto di cui immediatamente si cercavano delle interpretazioni. La prima interpretazione che poteva venire fuori: questi sono ubriachi! E allora Pietro: sì, noi siamo ubriachi, non di vino, ma di Spirito santo! Ecco: allora viene una parola esplicitata, una parola formulata, un discorso che vuole interpretare il fatto già avvenuto. Il fatto precede la parola detta e questa è la Bibbia. La Bibbia non è un libro di storia, ma è storia interpretata dal profeta, dall'agiografo, per conto di Dio. Questa formulazione può avvenire in tanti modi. Tutto passa attraverso la coscienza del popolo d'Israele che racconta questa storia. Un po' come quando ciascuno di noi può dire: quel giorno il Signore mi ha chiamato al sacerdozio! Sono io che mi rendo conto di qualche cosa che mi è successo e che io interpreto finalmente come chiamata. C'è sempre l'interpretazione umana e questa interpretazione conosce diverse formulazioni. Si può dire: Dio disse…, c'è il sogno di Giuseppe, ci sono le teofanie del Sinai, ci sono i diversi modi espressivi secondo la letteratura, secondo la storia, secondo il genere letterario, secondo il tempo… ma quello che è certo: c'è un fatto di cui il Signore in qualche modo attraverso l'autore umano della Bibbia me ne dà il senso.

    Venendo a noi: qual è il fatto da cui comincia la nuova alleanza? E sembra chiaro che questo fatto sia la persona, la vita e la morte del re Giosia. Forse non abbiamo mai pensato di pregare sul re Giosia, invece è un personaggio fondamentale della storia della Bibbia. Per renderci conto di questa coscienza che il popolo ha di questa storia sono importanti soprattutto alcuni libri che sono libri di meditazione riflessiva su questa storia. Prendiamo il Siracide al cap. 49. C'è una rilettura del popolo d'Israele dal punto di vista spirituale (dal cap. 44). E lui dice al cap. 49,44 ss.:

    “Se si eccettuano Davide, Ezechia e Giosia, tutti commisero peccati, poiché avevano abbandonato la legge dell’Altissimo, i re di Giuda scomparvero. Lasciarono infatti la loro potenza ad altri, la loro gloria a una nazione straniera. I nemici incendiarono l’eletta città del santuario, resero deserte le sue strade, secondo la parola di Geremia, che essi maltrattarono benché fosse stato consacrato profeta nel seno materno, per estirpare, distruggere e mandare in rovina, ma anche per costruire e piantare”.

    E' Geremia il primo che parla della nuova alleanza. La nuova alleanza nasce proprio da questo fatto: da una distruzione totale, da cui nascono delle piante nuove, cioè da un evento pasquale di morte e risurrezione.

    Giosia è uno dei pochissimi re santi d'Israele che segna un po' il tornante tra la distruzione della monarchia. Con Giosia e i suoi figli finisce la monarchia di Giuda e viene il tempo dell'esilio babilonese. Ciò rappresenta uno sfacelo totale, non solo da un punto di vista nazionale, politico, ma dal punto di vista teologico e religioso, perché questo vuol dire che è finita la dinastia davidica e la dinastia davidica si reggeva sulla promessa di Dio fatta a Davide. La crisi più grave della storia d'Israele è questa fine della promessa di Dio davanti a cui il popolo è rimasto sbalordito, il momento in cui perde la sua terra, l'indipendenza, ma soprattutto perde la fiducia, la fede in Dio che ha promesso che sul trono di Davide regnerebbe sempre un suo discendente e il trono di Davide non c'è più. Guardate cosa dice nei versetti precedenti su Giosia:

    “Il ricordo di Giosia è una mistura di incenso, preparata dall’arte del profumiere. In ogni bocca è dolce come il miele, come musica in un banchetto. Egli si dedicò alla riforma del popolo e sradicò i segni abominevoli dell’empietà. Diresse il suo cuore verso il Signore, in un’epoca di iniqui riaffermò la pietà” (Sir 49,1-3).

    Ci aveva detto: anche Davide è uno dei re nominati, ma anche lui ha peccato; di Giosia invece non viene raccontato nessun peccato. Giosia è veramente il re santo. Quando Geremia parlerà al figlio di Giosia (i figli di Giosia non assomigliano per niente al padre, infatti conducono il popolo alla sventura, alla distruzione del tempio di Gerusalemme e di tutto), quando Geremia parlerà contro Ioiakim (Ger 22) e accusa questo re di approfittare del fatto che il re per farsi potente, per costruirsi i palazzi reali, per farsi le case sempre più belle e più grandi, dice: “Forse tu agisci da re perché ostenti passione per il cedro? Forse tuo padre (Giosia) non mangiava e bevevo? Anche tuo padre viveva bene! Ma egli praticava il diritto e la giustizia e tutto andava bene. Egli tutelava la causa del povero e del misero e tutto andava bene;questo non significa infatti conoscermi? (Ger 22, 15-16).

    Cioè, tuo padre mi conosceva, dice il Signore. Era ricco, era potente, era il re, però difendeva la giustizia e il diritto, tutelava la causa del povero e del misero, tutto andava bene e questo vuol dire “conoscere il Signore”. Conoscere il Signore vuol dire essere in comunione con lui. Quindi Giosia è il re santo, uno dei pochissimi, e soprattutto uno degli ultimi. Che nella coscienza del popolo d'Israele lui rappresenti un punto cruciale l'abbiamo da una bella storia che si riporta all'inizio della monarchia. Dopo la morte di Salomone i due regni si separano e comincia il regno del nord con Geroboamo, al quale il Signore sembra dare un appoggio. In che senso? E' anche giusto che i due regni si separino, perché uno è del nord e uno del sud; ci sono culture e tradizioni diverse. Il Signore approva la divisione dei due regni, lo scisma politico e addirittura dice a Geroboamo: Io sarò con te come sono stato con Davide! Questo è molto importante per renderci conto come la cultura poi incide sulla fede, ma quando poi questo scisma diventa scisma religioso, perché Geroboamo per non far andare i pellegrini a Gerusalemme costruisce i suoi templi con due vitelli d'oro a Dan e a Betel. Allora il Signore dice: questo no! Questo è uno scisma spirituale; non è più un fatto solo culturale! E sapete come questo è il peccato di Geroboamo che viene ripetuto per tutti i regni del nord (Samaria e Israele). Questo è il peccato di Geroboamo, di aver diviso il popolo religiosamente. Un'immagine di quello che poi è successo nelle storie delle chiese. Noi ancora a Gerusalemme non possiamo recitare il Padre nostro con i greci ortodossi! Spesso la cultura coinvolge in certo qual modo anche la fede e il culto. Ma allora subito nel cap. 13 del primo libro dei Re abbiamo una storia quanto mai simpatica. “Un uomo di Dio, per comando del Signore, si portò da Giuda a Betel (dove appunto Geroboamo voleva costruire il suo tempio) e si presenta all'altare del re, l'altare scismatico, Altare, altare, così dice il Signore: Ecco nascerà un figlio nella casa di Davide, chiamato Giosia, (qui siamo quattro secoli prima che nasca questo figlio) il quale immolerà su di te i sacerdoti delle alture che hanno offerto incenso su di te, e brucerà su di te ossa umane”(1Re 13, 1-2). Cioè, verrà un re che si chiama Giosia, che distruggerà il culto scismatico di Betel. Ci sono due profeti in questo capitolo che alla fine, uno viene divorato dal leone e dall'asino, in modo che il leone e l'asino è più sacro anche dei profeti. Ma questo per mostrarvi come la Bibbia conserva la coscienza che su quest'uomo Giosia si è giocato un capitolo fondamentale della storia del popolo di Dio. Infatti quest'uomo che tra l'altro è il figlio di Amon, che è il figlio di Manasse, che è il figlio di Ezechia. Immediatamente discende da un padre e da un nonno che sono i re più empi di Gerusalemme. Hanno fatto entrare il culto assiro nel tempio del Signore e quindi hanno contaminato tutto e Manasse è stato re per 52 anni, quindi ha avuto tempo di contaminare completamente, tanto che il peccato di Manasse è quello che provocherà la fine del regno di Gerusalemme. Però è il pronipote di Ezechia che è l'altro re santo, che ha cominciato la riforma religiosa ed è il re della profezia di Isaia, della vergine, dell'Emmanuele che concepisce. Questi sono i re per bene della grande dinastia sia di Davide sia di Geroboamo, in cui si fatica molto a trovare chi sia stato fedele alla legge del Signore. Giosia diventa re a otto anni, un bambino, educato bene dai tutori, dalla madre, siamo nel 640 a. C. e regna per 31 anni. Fa riparare il tempio devastato dal nonno Manasse, fa purificare gli altari, fa distruggere l'altare di Betel, ristabilisce l'osservanza del sabato, la celebrazione della Pasqua, fa celebrare la Pasqua molto solennemente, riconquista una parte del paese che era invasa dagli Assiri, perché gli Assiri stanno tramontando; sorgono invece i Babilonesi e quindi lui approfitta di questa situazione per riconquistare una parte del regno del nord; infatti morirà a Meghiddo che appartiene alla Galilea. Quindi vuol dire che il re di Gerusalemme ha riconquistato una buona parte della Samaria e della Galilea, fa distruggere tutti gli idoletti che sono stati poi trovati a Gerusalemme negli scavi della città di Davide. Sono stati trovati molti idoli della fecondità che fanno parte della riforma di Giosia. Fa una grande riforma religiosa. Facendo questi lavori nel tempio di Gerusalemme si scopre un libro, il libro della legge, che poi sarà una buona parte del Deuteronomio. Il re se lo fa leggere e piange, quando sente che cosa si sarebbe dovuto fare e invece non si è fatto, che cosa il Signore desidera che sia il suo popolo e invece è stato dimenticato, fa consultare la profetessa Culda, che dirà: il peccato di Manasse è talmente grave che tu morirai nella pace e ti unirai ai tuoi avi, ma il regno finirà, perché è impossibile rimettere in piedi un popolo così. E' il re ideale che viene a restituire a Gerusalemme il suo splendore religioso: questi sono i fatti di Giosia. Però, che cosa succede? Succede che l'impero assiro sta tramontando e allora il faraone d'Egitto Necao II vuole approfittare di questo per affermare il suo potere specialmente sulla via maris, dove gli Egiziani hanno sempre avuto un grande dominio perché è la via che mette in comunicazione l'Egitto con l'Oriente, con l'India, con Babilonia. E quindi ufficialmente vuole dare aiuto agli Assiri contro i Babilonesi, non tanto perché gli interessano gli Assiri, ma gli interessa di mettere le mani su questa parte del paese in modo ancora più forte di come non ce l'abbia e con un forte esercito sale dall'Egitto lungo il mare, lungo la costa filistea, Gaza, e poi per andare verso il luogo dove gli Assiri stanno difendendosi dai Babilonesi, deve passare per la Galilea. E dice a Giosia: io devo passare di là, sboccare nella valle di Esdrelon per andare verso il nord; non ho niente contro di te, ti chiedo solo il permesso di farmi passare con il mio esercito! Giosia capisce subito che se si mette con il faraone, se lo fa passare, evidentemente si mette contro i Babilonesi e siccome i Babilonesi stanno venendo in primo piano nella politica mediorientale insieme ai Medi, Giosia nega al faraone il permesso di passare. Il faraone risale la strada che va da Cesarea verso la Galilea, verso Nazareth e sfocia nella valle di Esdrelon, proprio dove c'è la fortezza di Meghiddo. Anche oggi è uno degli scavi più importanti e più interessanti. C'è una prima battaglia e Giosia viene ucciso subito da una freccia egiziana. Siamo nel 609 a. C. Mediante il suo carro viene portato a Gerusalemme e là muore. Il faraone passa, quattro anni dopo, viene sconfitto terribilmente dai Babilonesi, insieme agli Assiri e quindi viene su il potere di Nabucodonosor, che poi sarà il re dell'esilio e della distruzione di Gerusalemme. Perché i figli di Giosia non sono così santi e intelligenti come il padre, ma si fanno corrompere dal partito pro-egiziano, i quali dicono: dobbiamo contare sull'Egitto contro i Babilonesi.. loro non sanno decidersi a prendere decisione e l'unico profeta che allora parla è Geremia. Geremia era un amico di Giosia, che è stato tutore dei suoi figli, amico della regina madre vedova, amico ascoltato da questi re, ma non seguito nei suoi consigli, chiamato di notte per farsi dire che cosa il Signore veramente ci dice, ma poi nessuno ha dato retta a Geremia. E Geremia è l'unico profeta che dice il vero, un vero che è piuttosto pesante, perché lui dice: arrendetevi ai Babilonesi e salverete la città, il regno, il tempio, la dinastia davidica. Vi ricordate che Isaia un secolo e mezzo prima aveva detto invece agli Assiri il contrario. Si può essere profeta di Dio dicendo una cosa e si può essere profeta di Dio dicendone un'altra dopo un secolo e mezzo, perché Dio parla attraverso i fatti della storia, non attraverso le tesi astratte. Questa morte di Giosia è raccontata due volte: nel 2Re, alla fine del cap. 23, mentre nel 2Cr è raccontato alla fine del cap. 35.

    “Gli arcieri tirarono sul re Giosia. Il re diede ordine ai suoi ufficiali:”Portatemi via, perché sono ferito gravemente”. I suoi ufficiali lo tolsero dal suo carro, lo misero in un altro carro e lo riportarono in Gerusalemme, ove morì. Fu sepolto nel sepolcro dei suoi padri. Tutti quelli di Giuda e di Gerusalemme fecero lutto per Giosia Geremia compose un lamento su Giosia;tutti i cantori e le cantanti lo ripetono ancora nei lamenti su Giosia; è diventata una tradizione in Israele (2Cr 35, 23-26).

    Giosia è morto a Meghiddo, a pochi chilometri da Nazaret. Io mi sono sempre domandato se questo fa parte delle canzoni di Israele, se Gesù ha conosciuto questo canto… Non lo so, ma certamente da Nazaret si vede bene Meghiddo e da Nazareth Gesù ha visto bene tutta la pianura di Esdrelon e Maria e Giuseppe gli hanno raccontato la storia di Israele, la pianura dove anche Saul è stato trafitto dai Filistei, la pianura di Gedeone, la pianura dove si è svolta mezza storia di Israele, dove è scorso tanto sangue.

    Quella morte di Giosia è stata una tragedia teologica, perché fino allora la teologia dominante del popolo era: se le cose ti vanno bene, tu sei santo, tu sei buono; se le cose ti vanno male, vuol dire che tu sei un peccatore! Sono i discorsi che poi faranno gli amici di Giobbe, proprio riprendendo queste tematiche a livello di interpretazione sapienziale. Ma qui c'è un fatto: il re più santo di Gerusalemme, quello che ha ristabilito il culto, ha purificato il tempio, ha combattuto l'idolatria, questo viene ucciso in battaglia abbandonato dal Signore! Quando questo problema si è ampliato fino al 598, i successori di Giosia, i suoi figli e anche il suo fratello fanno una politica insipiente, tanto che allora Gerusalemme viene distrutta e il tempio viene incendiato e Geremia, l'unico profeta è respinto da tutti. Allora lì succede un evento teologale molto importante: ma il Signore sta con i giusti o sta con i peccatori? Come può permettere il Signore una cosa simile? Una volta che finalmente è venuto un re giusto, santo, intelligente, che regna 31 anni e poi un giorno tutto è travolto, tanto che tutto il popolo si trova travolto nell'esilio babilonese!? Questo è il fatto, il fatto è la catastrofe, segnata da un'apparente infedeltà del Signore al patto fatto con Davide. Lì il Signore ha detto: un tuo discendente regnerà sempre sul tuo trono (2Sam 7) e adesso non c'è più né trono, né discendente. L'ultimo re davidico muore in esilio in Babilonia, l'altro che era l'ultimo, Sedecia, quello che resta, addirittura gli vengono uccisi i due figli davanti agli occhi e poi subito dopo Nabucodonosor lo fa accecare, in modo che gli resti questo colpo della uccisione dei figli. Il popolo si trova buttato fuori dal paese, perde l'indipendenza nazionale; da allora il regno di Giuda è finito, non c'è più stato un discendente di Davide sul trono. Al tempo di Gesù c'era Erode, ma Erode non era della casa di Davide; non era nemmeno un giudeo, perché era un idumeo. Quindi il regno di Israele è finito. La monarchia che è durata 4 secoli… la monarchia di Davide, i salmi dell'ascensione, tutto quello che cantiamo: il regno, il regno… dove sta più? In questa situazione Geremia che è quello che continuamente ha detto: guardate, accogliete i Babilonesi, arrendetevi… non è stato seguito da nessuno; tutto il popolo lo ha abbandonato… Quando la catastrofe viene, Geremia esce da Gerusalemme, e va a ricevere un campo in eredità da suo cugino, perché è il parente più prossimo. Cioè Geremia compra un campo… Chi è che compra un campo quando il mondo sta finendo? Questa è la fine del mondo per il regno di Giuda! Dal fondo di questa catastrofe, ecco la profezia di Geremia:

    “Ecco verranno giorni – dice il Signore – nei quali renderò feconda la casa di Israele e la casa di Giuda (addirittura con la casa di Israele, cioè con il regno del nord che è già morto e sepolto da un secolo e mezzo!) io concluderò un’alleanza nuova. L’unico versetto della Bibbia dove si parla di alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, un’alleanza che essi hanno violato benché fossi il loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger, 31, 31-34).

    Questo è il momento più pasquale della storia dell'A.T. Come ha fatto quest'uomo, che ha portato lui stesso il segno di questa catastrofe? Il profeta non è soltanto quello che ripete le parole del Signore, ma è quello che le vive nella sua carne. A Osea il Signore ha detto: Va' e spòsati una prostituta! Perché così si vedrà come il popolo riceve me! Isaia è andato girando nudo per tre anni per mostrare come il Signore ridurrà i regni dei Filistei. E Geremia ha vissuto la catastrofe di Giosia nella sua carne, perché essendo il vero profeta nessuno gli ha dato retta. E' stato addirittura rigettato, minacciato di morte, gliene hanno fatto di tutti i colori proprio perché era pessimista. Egli invece diceva la verità! Proprio lui, un uomo certamente fragile, perché non era come Isaia; già da ragazzo vive da appartato, da solitario. Geremia è un uomo molto introflesso, ripiegato su se stesso, un po' come Paolo: tutti e due infatti vengono dalla tribù di Beniamino, una tribù forte ma segnata da grandi tragedie. E proprio da lui spunta questa nuova pianta, che è l'alleanza nuova. Questo è un fatto documentato. L'alleanza nuova non è il N.T. Nel N.T. ci sarà un compimento dell'alleanza nuova, ma qui si parla dell'A.T. e si parla del tempo di Geremia e il profeta non è un indovino, che dice ciò che avverrà tra sei secoli, ma quello che succederà in questa generazione. Comincia una nuova conoscenza del Signore e quindi comincia un nuovo culto; comincia un nuovo modo di rapportarsi al Signore, un nuovo modo con cui “Dio è il vostro Dio e voi siete il mio popolo” e la formula è la stessa: “Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo”. E' la formula classica dell'alleanza, ma questo avviene in un modo completamente nuovo e diverso da come era avvenuto fino a quel momento. Allora c'era il tempio, c'era il regno, c'era il re, c'erano gli eserciti, i nemici erano sempre sconfitti e questo era segno che il nostro Dio è con noi, adesso invece sono i Babilonesi che ci hanno vinto, che questo sia il segno che il loro Dio sia il vero Dio più del nostro? In questa situazione Geremia scopre, vede l'alleanza nuova.

    Dobbiamo vedere bene cos'è questa alleanza nuova, come si vive, come ci si aggiorna in questa nuova conoscenza del Signore, perché noi siamo sacerdoti della nuova alleanza. La nostra chiesa è la chiesa della nuova alleanza. Dobbiamo essere consapevoli di questo, consapevoli che in questa nuova alleanza non si vive più alla vecchia maniera della prima, ma si vive in modo nuovo. In che cosa consiste questa novità? Chiediamo al Signore che ce ne dia una qualche intelligenza per trovarci bene nei nostri vestiti, in quello che il Signore ci fa vivere, per riconoscerci nella sua volontà su di noi, per non sbagliare stile.

     

    Terza meditazione 

    Dobbiamo renderci conto di come è nata questa nuova alleanza, di cui noi siamo i sacerdoti. Noi celebriamo il sacrificio della nuova alleanza, noi siamo stati iniziati e iniziamo il popolo di Dio alla nuova alleanza. La chiesa è la chiesa della nuova alleanza e questa nuova alleanza è l'ultima edizione dell'alleanza di Dio con il suo popolo e con l'umanità, che è cominciata con Abramo; è diventata fatto popolare al Sinai e con Gesù è giunta a un suo primo compimento, di cui aspettiamo ancora la consumazione al termine dell'avvento della nostra vita, della vita del mondo, non soltanto la vita spirituale. Aspettiamo la venuta del regno! E' importante renderci conto perché la chiesa è nata dal tempo della nuova alleanza, quando la nuova alleanza è cominciata nella storia del popolo di Dio. Tutto questo è avvenuto verso l'inizio del secolo VI a. C. per l'opera e il genio profetico, ma non è soltanto un genio umano, è una grazia di Dio e dello Spirito santo, attraverso il profeta Geremia che è il profeta della nuova alleanza, perché è il primo che ne ha parlato in modo molto chiaro. Ne ha parlato in un momento di declino totale della prima alleanza, in un momento di disastro totale, perché è il momento dell'esilio babilonese, della fine di un mondo. La nuova alleanza nasce dall'esperienza della fine del mondo, come la risurrezione di un mondo nuovo, in cui continua la fedeltà del medesimo Dio con il suo popolo. Certo, da un punto di vista umano sarebbe interessante studiare com'è stato possibile che Geremia abbia intravisto qualcosa di simile, lui che come psicologia era portato piuttosto allo scoraggiamento, alla introspezione, alla nostalgia, lui che non aveva la solidità psicologica di un Isaia, che dice: Chi manderà il Signore? Manda me, risponde! Geremia dice: tu, Signore, mi hai sedotto, mi hai compromesso di fronte a tutti gli altri; lui che è stato rigettato da tutti, proprio come il profeta inutile da far sparire, perché è un pessimista, un disfattista, un collaboratore con i Babilonesi, che sono nemici, dunque una figura da mettere alla gogna, infatti così è stato trattato e proprio di là invece viene la voce della speranza e della risurrezione. Un profeta totalmente pasquale, un profeta che più da vicino annuncia Gesù. Il colpo di fulmine iniziale è stata la morte di Giosia a Meghiddo. Cioè la morte del giusto, che non è poi soltanto un fatto individuale, ma è un fatto di tutto il suo popolo. Il re da Davide in poi era lo sposo del popolo e quindi questa tragedia per cui il re santo muore trafitto, abbandonato apparentemente da Dio è stato un colpo da cui è nata tutta un'evoluzione teologica e spirituale, di cui noi siamo ancora oggi gli eredi. Certamente non si ferma tutto alla morte di Giosia, ma dopo la morte di Giosia i suoi figli sono degeneri e conducono rapidamente, in dieci anni, Gerusalemme alla rovina. La prima deportazione del popolo a Babilonia con il suo re, senza che ci sia stata ancora la distruzione della città che avviene nel 598, cioè 10 anni dopo la morte di Giosia e la distruzione finale di Gerusalemme sempre sotto un re che era il figlio di Giosia, avviene nel 587, cioè 20 anni dopo. Nel frattempo c'è questa misteriosa sorte di Geremia che continua a dire quello che il Signore fa sapere al suo popolo, cioè che si arrenda ai Babilonesi, così salveranno il tempio, la città, il popolo, soprattutto l'alleanza con Davide, la monarchia, la discendenza davidica e anche questo è un fallimento. Nel cap. 7 di Geremia, il profeta parla sotto il regno di Ioiakim, che è il figlio di Giosia, e si mette sulla porta del tempio.

    Inutile che dite: tempio del Signore! Tempio del Signore! Perché se non riformate i vostri costumi, se non smettete l'ingiustizia, se non smettete di opprimere l'orfano, lo straniero, la vedova, se non smettete di spargere sangue innocente, il vostro culto non serve a niente e io ridurrò questo tempio come l'arca di Ciro, dove non c'è più niente. Immaginate che qualcuno si metta a piazza S. Pietro a gridare questo! E non soltanto rivolto verso Roma, ma anche verso la Città del Vaticano. E' chiara la reazione dell'ordine costituito, che dice: questo va soppresso! Geremia ha questa coscienza: non appoggiamoci al tempio! Pratichiamo la giustizia nella nostra coscienza, cominciamo da noi! Gli esercizi sono non tanto un richiamo al nostro ministero, ma al ministro che siamo noi. In questo periodo in cui sembra finire completamente l'alleanza del Signore con Davide, perché finisce la casa di Davide. L'ultimo re davidico muore in esilio a Babilonia e quello che regnava a Gerusalemme muore in prigione, accecato da Nabucodonosor. Nel tempo dopo l'esilio si parla sempre più di Davide. Un esempio, il cap. 23 di Geremia.

    “Ecco, verranno giorni – dice il Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele sarà sicuro nella sua dimora; questo sarà il nome con cui lo chiameranno: Signore-nostra-giustizia (Ger 23,5-6). C'è un gioco di parole: il Signore è nostra giustizia, mentre il re di Gerusalemme si chiamava Sedecia, che vuol dire Signore-mia-giustizia. La giustizia del Signore non si incarna più nel re, ma in tutto il popolo, a cui è promesso questo nome. Israele si chiamerà Signore-nostra-giustizia. Quante volte i salmi dopo l'esilio ne parlano, il profeta Zaccaria, Ezechiele, che viene subito dopo Geremia, parlano di Davide, il nuovo Davide. Ne parla anche il salmo 89, che dice: ho trovato Davide, mio servo; con il mio santo olio l’ho consacrato. La mia mano è il suo sostegno, il mio braccio la sua forza… Tutta la seconda metà del salmo 89 è un'esaltazione di Davide e siamo nel tempo in cui tramonta la dinastia davidica. Vedete come il Signore, che segue la giustizia della creazione, sembra poi avere un gusto particolare nel dire: più c'è morte, più io vi annunzio la vita! Più ci sono segni di morte, più io vi incito alla speranza di vita. E' famoso il cap. 37 di Ezechiele: le ossa aride. In questo campo di ossa aride a un certo punto queste ossa si rimescolano, si rimontano, diventano un esercito in marcia, e come finisce questo capitolo?

    “In quella terra su cui abitarono i loro padri, abiteranno essi, i loro figli e i figli dei loro figli, attraverso i secoli; Davide mio servo sarà loro re per sempre. Ma Davide è morto da quattro secoli! Farò con loro un’alleanza di pace, che sarà con loro un’alleanza eterna” (Ez 37,25-26).

    Questi sono gli altri nomi dell'alleanza nuova: alleanza di pace, alleanza eterna. Ci rendiamo conto come la chiesa ha fuso insieme questi nomi: la nuova ed eterna alleanza. Non c'è nessun testo biblico che parla della nuova ed eterna alleanza, ma c'era l'alleanza nuova, l'alleanza eterna, l'alleanza di pace. E' la stessa cosa! E se ne parla adesso, nel momento in cui il popolo va a finire in esilio in Babilonia. Infatti succede che una volta che la disobbedienza del re di Gerusalemme a Nabucodonosor giunge all'estremo, Nabucodonosor viene, distrugge la città e incendia il tempio e porta il resto del popolo, soprattutto le classi bene, abbienti e più colte a Babilonia. Comincia l'esilio babilonese. E' finita la consistenza nazionale di Israele. E siamo allora nella più grande catastrofe nazionale, perché dalla morte di Giosia, alla sorte di Geremia, siamo arrivati all'umiliazione totale del popolo. Avete tutti i salmi dell'esilio: i pagani sono entrati nella tua eredità, hanno ridotto Gerusalemme in rovina, come possiamo cantare i canti del Signore in terra straniera?… Fu allora che Geremia scrive il suo libro della consolazione (Ger capp. 30-33). Meditiamo soprattutto il capitolo della nuova alleanza (cap. 31) per vedere che cosa il profeta dice concretamente.

    “Ecco verranno giorni – dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò un’alleanza nuova”. Con la casa di Israele e con la casa di Giuda, cioè con il regno del nord e con il regno del sud, con tutto Israele; l'alleanza nuova va a ricuperare persino le 10 tribù del nord che sono portate in esilio dagli Assiri e che non si sa che fine abbiano fatto e poi due tribù del sud, di Beniamino e di Giuda, che sono esuli a Babilonia. E che sarà quest'alleanza nuova? Un'alleanza nuova che ha gli stessi destinatari, la casa di Israele. Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Quest'alleanza nuova non sarà più come l'alleanza del Sinai, quella fatta attraverso Mosè portandoli fuori dal paese d'Egitto, e che essi hanno violato e non io. Non è Dio che rompe la sua alleanza! Per cui l'alleanza dalla parte di Dio rimane sempre la stessa. Nonostante che io fossi il loro Signore: questa espressione si può anche tradurre “nonostante io fossi il loro sposo”. Forse andrebbe tradotto così! Hanno tradito un'alleanza sponsale, che già Osea aveva proclamato. Questa sarà l'alleanza che concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, questa è l'alleanza nuova! Io porrò la mia thorà nel loro animo, la scriverò sul loro cuore, allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Ho letto thora piuttosto che “Legge”, perché “legge” non è una buona traduzione di thora. La thora è insegnamento, è la partecipazione della sapienza di Dio al suo popolo; è più che una legge. Per noi in italiano “legge” vuol dire qualcosa di normativo, giuridico; qui si tratta di un insegnamento riservato proprio al popolo mio, perchè sia partecipe della mia sapienza. La mia thora, non un'altra, quella del Sinai, io la scriverò sul loro cuore. Al Sinai l'ho data loro su due tavole di pietra, adesso la scriverò sul cuore e la conclusione di questa alleanza sarà sempre la stessa: io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Voi capite bene che se la thora scritta su tavole di pietra è messa nel cuore, questo vuol dire una modificazione della thora. Non si può mettere una pietra nel cuore e anche una modificazione del cuore. Qui siamo nel dono dello Spirito. La mia thora, la stessa che ho dato a Mosè, adesso gliela metto nel cuore, ma questo suppone una trasformazione del cuore e una trasformazione della thora. Bisogna ricordare questo quando leggiamo il discorso della montagna di Matteo. L'insegnamento che do al mio popolo non è più al di fuori di loro, ma è dentro di loro. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore. Questo non abolisce il ministero dei profeti, tant'è vero che Geremia continua a profetare; però, attenzione, questo è fondamentale nella nuova alleanza. L'insegnamento esteriore è sempre preceduto dall'insegnamento interiore. Per cui l'autorità del popolo deve sempre cercare di incontrare il maestro interiore che la precede presso ogni credente. S. Agostino ha sviluppato molto la dottrina del maestro interiore che ciascuno porta in noi, per cui la parola di Dio non viene mai dall'esterno soltanto, ma viene dall'interno e incontra una parola interiore che deve, che devono accordarsi. Trovo ancora parecchi casi di persone che dicono: il padre spirituale mi ha detto: la volontà di Dio su di te è questa! Devi fare questo! Quando si fa così siamo ancora al Sinai; non è l'alleanza nuova. Chi ha l'autorità di dirmi che cosa Dio vuole da me? Che ne sai tu di che cosa Dio vuole da me? Dovrò cercarlo io e tu devi aiutarmi in questo, ma allora c'è una ricerca! La ricerca di una consonanza tra quello che Dio dice a me e quello che Dio dice a te su di me. Questo è il modo di esercitare l'autorità nella nuova alleanza. S. Ignazio ha insistito molto che negli esercizi spirituali noi cerchiamo e troviamo la volontà di Dio su di noi nella disposizione della nostra vita. E questo lo fa fare nella preghiera, ma mai andando a domandare a colui che dà gli esercizi che cosa Dio vuole da me. Io lo devo cercare nella mia anima, perché sta scritto dentro di me quello che Dio vuole da me. E poi caso mai, una volta che l'ho trovato, mi andrò a consultare, a consigliare; certamente c'è tutto lo spazio per l'aiuto e la ricerca fraterna e anche nel caso limite (noi parliamo del voto di obbedienza) in cui sia il superiore a dirmi devi fare questo, ma questa è un'autorità che io gli do, facendo il voto di obbedienza. L'obbedienza suprema è frutto della mia libertà. La mossa fondamentale viene dalla mia coscienza. Sono io davanti al Signore che mi impegno domani a volere quello che tu mi ordini. Ma senza questa volontà, questa spontaneità, questa precedenza della mia coscienza sulla tua parola non c'è nuova alleanza; si è ancora nel regno della servitù, che è l'alleanza del Sinai. Questa è la volontà di Dio scritta sulla pietra, imparala e falla. L'alleanza nuova fa nascere una comunione tra l'insegnamento esteriore e quello interiore e insegna a rispettare quello esteriore. Questo è il fondamento teologico della libertà di coscienza. Per noi cristiani rispettare la coscienza non vuol dire rispettare la soggettività dell'uomo, ma rispettare quello che Dio gli sta insegnando. Perché Dio è presente nella coscienza degli uomini prima che arriviamo noi. Quindi non è il rispetto del processo psicologico della persona, questo avrà anche il suo valore, ma il rispetto della dimensione teologale del dono dello Spirito che scrive la legge del Signore nel cuore degli uomini. Nessuno può fare il padrone delle coscienze altrui. Non è che c'è un'attività davanti ad una passività. Ci sono due attività e il superiore deve cercare anche lui nella sua coscienza che cosa il Signore gli dice nei riguardi dell'altro. Non dovranno più istruirsi non vuol dire che non ci sarà più il ministero profetico, magisteriale. Questo è chiaro che c'è! Ma questo avviene in un popolo in cui tutti riconoscono ciò che il Signore sta facendo in loro, dal più piccolo al più grande. E poi l'ultima clausola della nuova alleanza: perché perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato. Voi ricordate come l'alleanza del Sinai seguiva un po' questo schema: Io sono il Signore Dio tuo, io ti ho liberato dalla casa d’Egitto; dunque io sono il tuo Dio e tu sei il mio popolo. Di conseguenza, farai questo e non farai questo! Chiamo a testimonio il cielo e la terra o gli altri popoli e le nazioni per questa alleanza e se obbedirai, sarai benedetto e se disobbedirai, incontrerai le maledizioni. Questa era sempre la conclusione! Come leggiamo per esempio nel Levitico al cap. 26. Adesso c'è una cosa nuova: guardati, se sarai infedele, io ti perdonerò! Cioè: tu hai rotto la prima alleanza, io con il mio perdono ti rendo impossibile di rompere la tua. A questo punto viene subito in mente il grande capitolo di Ezechiele 16, il capitolo che è un capolavoro anche letterario di una litigata formidabile tra il Signore e Gerusalemme. Una litigata in cui il Signore gliene dice di cotte e di crude a Gerusalemme. Le traduzioni italiane non traducono veramente tutto quello che dice il testo ebraico, lo addolciscono. E come finisce questa litigata?

    “Anch’io mi ricorderò dell’alleanza conclusa con te al tempo della tua giovinezza e stabilirò con te un’alleanza eterna. Allora ti ricorderai della tua condotta e ne sarai confusa, quando riceverai le tue sorelle maggiori insieme a quelle più piccole e io le darò a te per figlie, ma non in forza della tua alleanza; io ratificherò la mia alleanza con te e tu saprai che io sono il Signore (ti farò vedere chi sono!) perché te ne ricordi e ti vergogni e nella tua confusione, tu non apra più bocca, quando ti avrò perdonato tutto quello che hai fatto” (Ez 16, 60-63).

    Ecco questa è la profezia di Geremia riferita da Ezechiele, che è un suo discepolo. Cioè: tu continua a tradirmi, tu continua ad andare con il babilonese, con l'assiro e con l'arabo, tu che sei assetata come una cavalla nel deserto e vai con il primo che passa. Tu continua ad offendermi e io continuo a perdonarti e vediamo chi avrà l'ultima parola! Questa è l'alleanza nuova! Questa è la parabola del figlio prodigo; questo è Gesù che dice: il tuo fratello ti offende, tu perdonalo 490 volte. Non c'è limite al perdono di Dio! Quante volte si sente dire: sì, Dio è paziente! Poi però a un certo punto, basta, perché c'è l'abuso della grazia e non c'è più perdono! Questa è un'invenzione ideologica. Il Signore perdona sempre, anzi non punisce mai! Siamo noi che ci puniamo con i nostri peccati e con le nostre mancanze; non è il Signore che aggiunge del male al male che già ci siamo fatti! Certo la punizione c'è! E' la mia parola, che rimbalza su di te, perché la parola di Dio non si può buttar fuori dalla finestra; rientra dalla porta; perché è di Dio la parola! Ma non è perché il Signore si arrabbia e ti fa del male. Il Signore perdona! Da parte sua il Signore dà i vestiti a coloro che si sono ritrovati nudi dopo il peccato; mette il segno della misericordia sulla fronte di Caino, perché nessuno lo uccida.

    Guardiamo come si presenta la nuova alleanza. Intanto è un'alleanza con lo stesso popolo; non è un'altra alleanza. E' la thora del Sinai, però questa volta è scritta sul vostro cuore e se voi non reggete la fedeltà, da parte mia, io perdono sempre, in modo che nessuno più romperà questa alleanza, perché il Signore perdona. Questa idea era già entrata con Osea, un secolo e mezzo prima, nel regno del nord, quando Osea aveva formulato le cose in questi termini: il popolo è la sposa del Signore; il popolo è diventato la sposa adultera, ma lo sposo non rinuncia alla sua sposa, non rinuncia al primo amore. Allora, introducendo questa immagine del rapporto sponsale, cambia anche l'immagine dello sposo, cioè lo sposo non rinuncia mai alla sposa e cerca di riportarla nel deserto, di ricuperarla, per riportarla al primo amore. Dio non rinuncia al primo amore! Non ha due amori, non ha due parole, non ha due thora, ma c'è un progresso nella comunione tra lui e il suo popolo. Questo è ricuperato ancora di più da Ezechiele. Sapete che Ezechiele era un sacerdote, anche Geremia era di classe sacerdotale, ma non legittimata, che è stato quello che è andato con gli esuli a Babilonia ed è stato un po' il cappellano degli esiliati, di cui Geremia è rimasto il padre spirituale con il suo insegnamento, ma non è mai andato con gli esiliati a Babilonia. E' morto addirittura portato in Egitto dal partito opposto, ma Ezechiele è stato discepolo di Geremia che ha formato tutta una classe di sacerdoti, che accompagnassero gli esiliati a Babilonia e che ne risuscitassero lo spirito religioso, per cui il disastro più grande dal punto di vista anche spirituale è diventata invece l'occasione di una rinascita spirituale di prima grandezza, che è la spiritualità dopo l'esilio. Ezechiele dice a un certo punto, al cap. 36, qualcosa di più forte di quello che ha detto Geremia:

    “Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”.

    E' chiaro: se la legge è messa nel cuore, il cuore deve essere di carne e la legge anche diventa di carne, non diventa più la legge di pietra. Porrò il mio spirito dentro di voi. Non soltanto scriverò la mia thora sul vostro cuore, ma porrò lo spirito mio dentro il vostro cuore. Questa è la Pentecoste! Che poi è lo Spirito del Figlio, perché altrimenti non potremo ricevere lo Spirito del Padre, se non fosse lo Spirito del Figlio. Nessuno di noi può diventare padre, possiamo diventare figli di Dio! E' soltanto nel Figlio che diventiamo figli! Questa è la nuova alleanza! Questa è l'alleanza di cui si parla nel capitolo seguente con le ossa aride che marciano insieme come un nuovo popolo. E da allora in poi c'è questa possibilità di entrare nella nuova alleanza, come un processo in divenire. Vedete la grande importanza del pellegrinaggio di Giovanni Paolo II nell'anno giubilare. Lui ha voluto proprio mostrare partendo da Ur dei Caldei, che ha celebrato in Vaticano, e poi è andato al Sinai. E' stato il primo papa che è andato al Sinai! Per mostrare che di lì si parte per crescere e andare a finire al monte delle beatitudini. Ma perché è la prima alleanza che diventa la seconda, in questo progresso della conoscenza del Signore. Ma questa è un'opportunità, un'offerta, è un'iniziativa da parte di Dio, ma poi evidentemente va ricevuta e accolta.

    Come pregare su questo? Siamo entrati nella nuova alleanza? Ci stiamo con tutti e due i piedi o con un piede solo? Mi disse un religioso una volta: Padre. io dico l'ufficio in comune con la mia comunità; quindi mai l'Ufficio delle letture. Dico Lodi e Vespri e basta! Vorrei sapere se dopo il Vaticano II c'è ancora l'obbligo di dire ogni ora, compieta?… E io gli risposi: Vorrei sapere se dopo il Vaticano II ci sono ancora questioni di questo genere? Perché questo deve essere una convinzione nostra; non è che io dico l'ufficio perché c'è l'obbligo! Io lo voglio celebrare! Io credo che dopo il Vaticano II, veramente dopo Gesù Cristo, non bisogna fare nulla per obbligo. Perché Gesù ha detto: Padre, se è possibile, passi da me questo calice, ma se è la tua volontà, io la voglio fare! Nel tempo della nuova alleanza noi abbiamo la legge del Signore scritta nel cuore e quindi se devo fare qualche cosa, prima di farla, la voglio fare. Il Signore non vuole più l'offerta di animali, vuole l'offerta del cuore, vuole i sì del figlio. Ce l'hai il maestro nel cuore, fai quello che ti dice! Si può vivere oggi proprio ignorando totalmente la nuova alleanza. Quando metto la mia coscienza in contrasto con la parola di Dio, non conosco la pace e la gioia dell'alleanza nuova. Vediamo dove stiamo noi, dove sto io, perché è vero che tante volte nella fretta, nell'urgenza delle cose, forse non abbiamo il tempo di volere noi quello che Dio vuole da noi. C'è una preghiera nella liturgia che dice:

    Signore, dacci di volere quello che tu vuoi e di desiderare quello che tu prometti.

    Che non ci sia più contrasto tra quello che io desidero e quello che tu mi dici di fare. La nuova alleanza non è qualcosa in cui si sta e di addormentarsi, ma è una invenzione di comunione. Se ne può anche uscire! Certo, se uno perde questo spirito filiale, ma allora dobbiamo ritornarci dentro, dobbiamo riprendere, perché adesso siamo in una situazione di popolo di Dio, in cui questo è offerto a tutti. Ma è un'offerta che va accolta. E' un sì a cui bisogna dire “amen” per entrarci e per viverci nella pace e nella gioia. La nuova alleanza non è un mondo di cose da fare, ma un modo di essere. Quello che conta è essere e non fare. E se dobbiamo fare e se dobbiamo dire, questo fare e questo dire ci aiuti a essere; cominci e finisca con l'essere, perché è solo questo che ci porta al Signore. Il Signore ha fatto il cielo e la terra… ma l'unica cosa che il Signore ci chiede è la nostra coscienza e il nostro amore.

    Così è cominciata l'alleanza nuova al tempo di Geremia e di Ezechiele. E' cominciata, perché sarebbe sbagliato e semplicistico dire: Geremia ed Ezechiele annunciavano quello che si sarebbe poi realizzato al tempo di Gesù. No! I profeti parlavano del loro tempo! Parlavano del ritorno dall'esilio. Geremia dice: Ecco verranno giorni.. in cui la popolazione ritornerà, ci sarà un'abbondanza di greggi, di figli… Sta parlando del ritorno dall'esilio. Quindi l'alleanza nuova è cominciata nel secolo VI a. C. E quando Gesù ha celebrato la cena: questo è il sangue della nuova alleanza, cioè questa è la nuova alleanza di cui parlava Geremia e che io porto a compimento nella mia persona; quindi un primo compimento di quell'alleanza che è già cominciata sei secoli fa, perché è nato quello che poi noi chiamiamo il giudaismo che è un fatto spirituale. Non è più il popolo del Sinai, ma il popolo della preghiera, del digiuno, dell'elemosina, della sinagoga… è il popolo dove quello che conta prima di tutto è l'atteggiamento spirituale. E da questo viene fuori Maria presentata al tempio. Maria presentata al tempio è una figlia della nuova alleanza di Geremia, come Zaccaria ed Elisabetta. Come Giuseppe, come i pastori, come Anna, come Simeone. E' di lì che vengono. Questo è il popolo della nuova alleanza. Sono già sei secoli che in Israele si può vivere secondo questa nuova alleanza. Non è automatico, ma c'è già il popolo dei poveri di Dio che sono introdotti a questo. C'è Ester che vive secondo la thora, anche facendo la sposa del re in esilio. C'è Tobia. C'è tutto il popolo del ritorno dall'esilio; c'è il profeta Zaccaria… E' da lì che noi veniamo, è di lì che nasce la chiesa!

     

    Quarta meditazione 

    Si può dire che all'inizio del secolo VI a. C. si leva dal popolo di Dio, Israele, in esilio, come una canzone nuova che attraversa parecchi decenni e che rimarrà poi il canto finale di questo popolo che ancora noi cantiamo nelle Lodi, nei Vespri e nella Compieta di ogni giorno.

    Il cantico di Zaccaria, il cantico di Maria e il cantico di Simeone sono il risultato di questa grande canzone che si leva dai luoghi dell'esilio, da Babilonia, ma anche dalla parte opposta, dall'Egitto, dove Geremia è stato trasportato dal partito filo-egiziano; da situazioni di abbandono, di distruzione vi è questa speranza nuova, intonata da Geremia e da Ezechiele, ma poi soprattutto documentata in un grande poema del secondo Isaia (capp. 40-55) e poi in tanti Salmi, per esempio il salmo 50 e 51, il miserere. Dal profeta Baruc e poi per tutta una serie di altri scritti che compongono la letteratura biblica dall'esilio in poi, fino al N.T. Insieme con voi vorrei meditare alcuni aspetti di questa alleanza nuova che viene celebrata e che tocca direttamente anche noi, perché noi siamo in questa linea. La chiesa è nata molto più dall'esilio che dalla sinagoga, che dal tempio; come le strutture della nuova alleanza si delineano in questi testi che rappresentano veramente la seconda parte dell'A.T. Non diciamo che la nuova alleanza appartiene all'A.T., appartiene alla seconda parte dell'A.T. E l'alleanza del Sinai non si estende a tutto l'A.T., ma soltanto a una prima parte, perché poi viene l'annuncio di Geremia e la realizzazione di questa alleanza già nel ritorno dall'esilio.

    Ora un primo aspetto su cui vi invito a meditare può essere questo: che tipo di culto nuovo nasce in questa situazione? Sappiamo bene per esperienza personale che c'è sempre una tensione molto forte tra il culto sacramentale e il culto esistenziale, tra il culto dei segni e il culto delle persone e del cuore. Questo è già presente in Isaia, nei profeti del secolo VII, Amos, Osea, ma questo si fa ancora più acuto nel primo periodo di Geremia, dove a un certo punto egli parla apertamente della circoncisione del cuore. Il cap. 4 di Geremia, in uno dei passi più belli che appartiene a quei testi dell'alleanza in cui il popolo viene trasformato nella sposa del Signore, dai capp. 2 a 4. Il profeta dice:

    “Circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore, uomini di Giuda e abitanti di Gerusalemme perché la mia ira non divampi come fuoco e non lo bruci senza che alcuno lo possa spegnere, a causa delle vostre azioni perverse” (Ger 4,4).

    La circoncisione del cuore. Ancora oggi in Israele, quando nasce un bambino, la prima cosa che la famiglia prepara è la celebrazione della circoncisione, l'ottavo giorno. Allora si prepara tutto il cerimoniale, si prepara anche un banchetto, una festa, si invitano gli amici; è la prima cosa a cui pensare in un certo senso, un po' come da noi si pensa al battesimo. E chi pensa alla circoncisione del cuore di coloro che preparano questo? Questo problema c'è anche da noi: il padrino chi è? Forse un divorziato… Ma non è questa la prima cosa che salta in mente ai genitori! Si pensa subito al culto sacramentale, al culto dei segni. Geremia dirà:

    “Ecco, giorni verranno – oracolo del Signore – nei quali punirò tutti i circoncisi che rimangono non circoncisi: l’Egitto, Giuda, Edom, gli Ammoniti e i Moabiti e tutti coloro che si tagliano i capelli alle estremità delle tempie, i quali abitano nel deserto, perché tutte queste nazioni e tutta la casa di Israele sono incirconcisi nel cuore” (Ger 9, 24-25).

    Il profeta mette insieme coloro che praticano la circoncisione come una ragione igienica e quelli che sono circoncisi nel popolo di Dio che dovrebbero esserlo per la circoncisione del cuore e dice: è inutile che vi presentate come circoncisi! Non siete affatto circoncisi, siete incirconcisi come i pagani!

    E' meglio dirsi cattolico o esserlo senza dirlo? E' meglio essere battezzati, iscritti nel libro dei battesimi o essere prima di tutto credenti nella fede, nel cuore? Geremia parla anche di un'altra circoncisione, quella delle orecchie.

    “A chi parlerò e chi scongiurerò perché mi ascoltino? Ecco, il loro orecchio non è circonciso, sono incapaci di prestare attenzione. Ecco, la parola del Signore è per loro oggetto di scherno; non la gustano!”(Ger 6,10).

    Parlano della parola del Signore, ascoltano, ma essa non incide; non taglia l'impurità del loro cuore, l'impurità del loro ascolto; si sono abituati a questa parola. La circoncisione è il segno della prima alleanza, della fede di Abramo ed è veramente un sacramento della prima alleanza, che deve significare evidentemente quello che poi il profeta mette in primo piano. E allora sempre già dai secoli precedenti si pone il problema: che cosa viene prima: il culto sacramentale o il culto esistenziale? Bisogna rendersi puri, nel senso del Levitico, per essere accetti al Signore o ci si può presentare al Signore così come si è peccatori, sporchi, impuri ed è lui che ci purifica e ci rende atti al culto? Questo è un discorso tipicamente sacerdotale, che viene fuori ogni volta che ci poniamo il problema: mi devo confessare per andare a celebrare l'Eucaristia o posso confessarmi dopo? Appena siamo in una religione di segni, e certamente l'ebraismo e il cristianesimo sono delle religioni di segni, perché sono fondamentalmente delle religioni di incarnazione, si pone questo problema. Perché il sacerdote e il levita che incontrano l'uomo aggredito dai briganti non l'aiutano, mentre il buon samaritano l'aiuta? Perché probabilmente sono a Gerusalemme e in quella settimana dovevano rendere culto nel tempio, non possono contaminarsi con le ferite e con il sangue di qualcuno che è stato aggredito dai briganti e quindi dicono che a soccorrere quel malcapitato ci penserà qualcun altro.

    I profeti di Israele normalmente sono molto chiari: prima viene il cuore e poi viene il segno della carne. Che cosa porta di nuovo la nuova alleanza? Molto semplice: il tempio è distrutto, non c'è più! Non ci sono più i sacrifici, non ci sono più i segni, il popolo è portato in esilio. Immaginate le nostre chiese completamente distrutte, immaginate che siamo portati in Iraq, dove non c'è più niente; i preti non hanno più nulla da fare, perché non ci sono più i sacrifici da offrire e non per niente Geremia ed Ezechiele sono sacerdoti, sacerdoti che non hanno mai esercitato l'ufficio sacerdotale, proprio perché sono in situazioni o di estromissione dalle classi sacerdotali oppure in esilio, sui fiumi di Babilonia. Il Signore a un certo punto ha risolto in problema in modo radicale; non c'è più niente, c'è nel cuore questo profondo sconforto e questo dubbio della fede. Il Signore ha mancato alla sua alleanza. Finché il regno del nord o di Israele è stato distrutto dagli Assiri (721 a. C.) e la gente è stata portata in esilio a Ninive, quello era un regno scismatico, erano fratelli separati… qualcuno avrà pure detto: se lo sono meritato! Ma noi eravamo il regno di Davide, la città santa di Gerusalemme, l'ortodossia vivente; adesso è finito tutto, è finito il mondo! Dio non ha mantenuto la sua promessa o forse c'è un dio più potente di lui, quello dei Babilonesi che si chiama Marduk o forse Dio non c'è e allora è meglio che ognuno si faccia gli affari propri! Questa è la situazione dell'esilio di Babilonia. In questa situazione Geremia, Ezechiele, il secondo Isaia, nasce questa canzone in mezzo al popolo di Israele, ma ci siamo noi! Cioè: la circoncisione, i lavaggi rituali, le purificazioni ripetute… tutto questo alla fine è un lusso, che ci rimane? Ci rimango io! E allora ci si rende conto che il luogo del culto non è il segno sacramentale, ma è l'essere stesso dell'uomo e della donna, cioè l'essere umano. Allora si scopre quello che ancora si trova in questi testi, per esempio nei salmi 50 e 51, il sacrificio delle labbra, che è l'atto di fede; il sacrificio delle labbra che confessa nel tuo nome – dirà la lettera agli Ebrei – proprio riprendendo questa tradizione. La professione di fede sono io! E si scopre che tutti i discorsi che si possono fare sulla nostra vocazione, ma alla fine la mia vocazione sono io, posto dal Signore con la proposta che mi fa della sua alleanza di diventare quello che gli dica di sì. Io sono chiamato non a essere francescano, gesuita, sacerdote…io sono chiamato a essere me stesso come partner di Dio. Mi si può anche togliere tutto, ma io ci sono; c'è il mio corpo. La scoperta del corpo è essenziale nel culto di Dio, e non perché è pulito, lavato con gli unguenti o coi profumi, ma perché è il segno della mia fede. Da qui nasce il sacerdozio di Gesù, perché Gesù si è trovato esattamente in una situazione di esilio. Lo dice la lettera agli Ebrei: Gesù non era sacerdote e nemmeno poteva esserlo, perché apparteneva alla tribù di Giuda; poteva essere un re deposto, caduto in miseria; Giuseppe lo era, era infatti un artigiano, non un miserabile certamente e suo figlio era un artigiano, forse un falegname o un fabbro. Quindi un re decaduto, ma certamente non un sacerdote. Gesù non è mai entrato nell'atrio del sacerdote nel tempio di Gerusalemme; non ha mai offerto un sacrificio nel tempio di Gerusalemme. Forse ha portato degli animali, dei piccioni con i genitori o con i discepoli, ma certamente non ha mai esercitato l'ufficio sacerdotale nel suo tempio! Perché? Gesù che cosa ha voluto dire? Ce lo dice la lettera agli Ebrei al capitolo decimo!

    “Per mezzo di quei sacrifici che si rinnovano di anno in anno il ricordo dei peccati, poiché è impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato” (Ebr 10,4-5). E cita il salmo 40, che è appunto un salmo di nuova alleanza. “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: vengo io – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro per fare, o Dio, la tua volontà” (Ebr 10, 5-7).

    Dovremmo apprezzare veramente e profondamente questa lezione, perché a che cosa pensiamo quando pensiamo a Gesù, Sommo Sacerdote? Certo l'Apocalisse ce ne ha ridato un'icona tipicamente sacerdotale e legale insieme, il grande vestito, la cintura d'oro… ma la lettera agli Ebrei ci dice:

    “Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono,essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek” (Ebr 5,7-10).

    “Reso perfetto (teleiothèis)” = questo è il verbo che nell'A.T. serve per la consacrazione sacerdotale. L'ordinazione sacerdotale di Gesù è quando imparò l'obbedienza dalle cose che patì. Il giorno dell'ordinazione sacerdotale di Gesù non è la Cena, ma sulla croce, nudo sulla croce: lì è stato reso perfetto! Lì è stato consacrato sacerdote!

    Questo è anche il nostro sacerdozio! Ricordo bene una trasmissione della radio della comunità ebraica di Roma, molti anni fa, era la festa dei tabernacoli. E nella festa dei tabernacoli, il giudeo osservate deve portare in mano una palma, un cedro, della mirra. C'era la preghiera di uno nei campi di concentramento che dice: Signore, oggi è la festa dei tabernacoli; dovrei portarti questi frutti, ma non ho niente. Sì, ho qualche cosa, c'è la mia spina dorsale; questa è la palma! C'ho il mio fegato; questo è il cedro! C'ho il mio cuore; qui ti porto la mirra. Ecco, vengo io! Questo è esattamente il sacerdozio di Gesù. Quel giudeo pregava perfettamente nella linea della nuova alleanza! Non c'è più tempio, non c'è più luogo, non c'è più altare, non c'è più sacrificio, non ci sono più gli animali, non ci sono più vesti sacerdotali, non c'è incenso, non c'è organo, non c'è niente! Ci sono io! Cosa è stato necessario per scoprire la realtà? Che spariscano tutti questi segni esterni, anche se santi; spariscano le immagini, perché l'uomo si è ridotto alla sua nudità davanti a Dio. Così si riscopre la radice del culto, si riscopre che si può essere membra del popolo di Dio anche fuori di Gerusalemme, anche senza il tempio, anche senza il sacerdozio. Si riscopre il culto esistenziale che è assolutamente primario, proprio perché viene dal mio corpo. Ora voi capite da dove Paolo tira fuori quell'esortazione della lettera ai Romani, che noi leggiamo in tutte le Lodi delle feste dei santi e delle sante.

    “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom 12,1-2).

    “Offrire, presentare”, “Sacrifico vivente, santo e gradito a Dio”: questi sono aggettivi e sostantivi propri del culto del tempio di Gerusalemme. “E' questo il vostro culto spirituale” (Loghikèn latrèian imòn) = Questo e il culto “logico”, non spirituale, se no sarebbe “pneumatiche”. Questo è il culto secondo la Parola, vivere secondo parola di Dio, questo è dare culto a Dio; certo poi sarà lo Spirito che ci rende capaci di questo. “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo”: ecco la circoncisione, “ma trasformatevi rinnovando la vostra mente…” (metamorfouste) da “metamorfosis” che vuol dire trasfigurazione. “Buono, gradito e perfetto” sono aggettivi del culto del tempio di Gerusalemme. Le vittime devono essere maschio, intero, senza difetti, come dice Malachia. Il coltello che uccide queste vittime è il discernimento spirituale tra ciò che è mondano e ciò che è secondo la parola di Dio. Questa è la santità cristiana. La chiesa non ha trovato un testo migliore di questo per metterlo nelle Lodi dei santi e delle sante! Vuol dire che riconosce in esso l'essenza della santità cristiana. Il culto secondo la vita, secondo la parola di Dio, che non sia però una lectio divina fatta così all'assemblea, ma sia una lectio che produce un discernimento, la circoncisione del cuore, la circoncisione delle orecchie, il sacrificio delle labbra, la lode di Dio e soprattutto il rimuovere tutto ciò che è mondano per conformarsi alla volontà di Dio.

    Ma questo viene dall'esilio, questa è l'applicazione di quello che abbiamo letto di Gesù nella lettera agli Ebrei, e quello che sta scritto nella lettera agli Ebrei viene dal salmo 40, dalla spiritualità dell'esilio; questa è la nostra liturgia! Allora vedete che la liturgia, la morale, la teologia sono una cosa sola se si va all'osso. La liturgia è l'esistenza umana secondo la Parola di Dio. Che poi questo si faccia rivestendosi di paramenti o quando uno è messo nudo davanti al forno crematorio, come Edith Stein. Quella nudità di Auschwitz è una profezia! Questo è il culto di Dio: vengo io!

    Questa è la nuova alleanza! La nuova alleanza non è iscrizione a un registro; è chi vive questo, vive nella nuova alleanza, anche se non è battezzato; vuol dire che ha la fede e la fede viene prima del battesimo. Mentre si può essere battezzati cento volte, ma se uno non ha la fede, non ha proprio niente! Questa è la prima caratteristica essenziale della nuova alleanza, dove il Signore forza il suo popolo a questo. Il Signore è capace di questo: ci può anche togliere tutto perché noi riscopriamo che cosa c'è nel fondo di noi. E allora non pensiamo soltanto come si fa un po' troppo alla difesa della vita di qui. Noi siamo preoccupati delle cellule staminali, dell'aborto, dell'embrione, dell'eutanasia, della difesa della vita, dove la vita è soltanto la vita qui su questa terra. Sembra che questa sia oggi la grande battaglia della chiesa, ma la vita è ben altro; continua oltre più in là della morte. La vita è Dio; è Dio il vivente! E' nella pagina della prima creazione, al quinto giorno, quando Dio crea le piante, gli animali e altri viventi, allora dice: E Dio li benedisse! E così entra la benedizione nella creazione! E la benedizione è ciò che dà il Benedetto, cioè il Signore. Difendiamo la vita, ma allora confessiamo veramente qual è la vita che portiamo in noi e a quale vita siamo destinati nella pienezza della rivelazione della parola, altrimenti non viviamo secondo la parola di Dio, ma secondo le prescrizioni dei medici! E chi può parlare al mondo di questa pienezza di vita se non la chiesa? Perché la chiesa ce l'ha dal Cristo risorto: è lui il vivente! E' lui la misura della nostra vitalità! E' lui la promessa della nostra longevità! Ma senza la risurrezione di Gesù, non si saprebbe niente della nostra vita, qual è la stazione finale della nostra esistenza. C'è una preghiera nel libro di Daniele. Il libro di Daniele è scritto nel tempo della persecuzione di Antioco IV (2° sec. a. C.), ma come spesso si fa, anche nelle opere liriche, si rappresenta una situazione presente ricordando una situazione passata, allora Daniele fa una preghiera dopo il cantico di Azaria nella fornace e poi ci illustra questa situazione del popolo dell'esilio. Celebra le benedizioni del Signore, di Israele, tutto quello che hai fatto per noi, per i nostri padri, e poi:

    “Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, ora siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia. Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato,(ecco il culto: il cuore contrito e lo spirito umiliato) come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito,perché non c’è confusione per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto. Fa’ con noi secondo la tua clemenza, trattaci secondo la tua benevolenza, secondo la grandezza della tua misericordia. Salvaci con i tuoi prodigi, dà gloria, Signore, al tuo nome”(Dan 3,37-43).

    Questa è la nuova alleanza. Per carità, dopo l'esilio si ritorna. Neemia comincerà a ricostruire l'altare, ci sarà il tempio ricostruito. Zorobabele e il sacerdote Giosuè stabiliranno i sacrifici; questo è giusto, si deve tornare al culto dei segni, ma provenendo dal culto dell'esistenza. Deve essere chiaro che prima di tutto ci vuole l'io e poi ci vorranno le vesti, l'incenso, le musiche, i segni, le benedizioni… E' stata una rieducazione di Dio al suo popolo; è stata una grande lezione per riscoprire che cosa viene prima e che cosa viene dopo, che cosa è essenziale, senza del quale tutto il resto è vano oppure invece che cosa è accessorio, anche se sommamente conveniente, perché il popolo esprima il suo culto pubblicamente.

    Il miserere:

    “Crea in me un cuore pure, rinnova in me uno spirito saldo! Apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode! Poiché non gradisci il sacrificio e se offro olocausti non li accetti; uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato tu, o Dio, non disprezzi”.

    Il timore del Signore è il sacrificio vero!

    “Nel tuo amore fa’ grazia a Sion; rialza le mura di Gerusalemme; allora gradirai i sacrifici prescritti, l’olocausto e l’intera oblazione, allora immoleranno vittime sopra il tuo altare”.

    Ricostruiamo la città, il tempio, forse più modestamente di quello di Salomone; allora ti saranno graditi i sacrifici. Il profeta non è contro il sacerdote, è lui stesso il sacerdote. Il profeta è contro il culto vuoto dei segni senza sostanza, dei sacramenti senza fede, speranza e carità e questo è il nostro sacerdozio, non quello di Aronne e dei leviti e in questo essere sacerdote che è essere un uomo devoto del Signore. Questo è il sacerdozio radicale, il sacerdozio dei fedeli che viene prima del sacerdozio ministeriale. Il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio dei fedeli, che è il sacerdozio del popolo di Dio e il sacerdote-ministro non è dispensato dall'essere sacerdote nella sua esistenza, nel suo corpo.

    Per questo: gli esercizi spirituali sono prima di tutto del ministro poi verrà anche il ministero. La dedizione, la presentazione al tempio, l'Amen dentro il sì che Dio ci dice: questo è il punto essenziale che riannoda la relazione tra l'uomo e Dio.

     

    Quinta meditazione 

    Stiamo cercando di cogliere i caratteri essenziali di questa nuova alleanza, proclamata da Geremia, da Ezechiele e dal secondo Isaia. Ci interessano questi caratteri essenziali, perché ci condizionano nella prosecuzione di questa economia che è affidata anche alle nostre mani, alla chiesa del N.T. Rimane affidata certamente a Israele, primo popolo di Dio, ma noi siamo aggiunti a quest'economia, siamo diventati pienamente partecipi di questa economia che, anzi, attraverso il Messia di Israele che noi riconosciamo come il nostro Messia, ci è affidato un compimento che già portiamo in noi, anche se in modo iniziale. Per cui, in un certo senso, nella fede neotestamentaria ci è dato di capire questa parola rivolta ad Israele forse ancora di più di quello che i giudei possono capire oggi. Questo lo dobbiamo dire a bassa voce per ragioni di cortesia e di dialogo con gli Ebrei, ma certamente la fede di Gesù ci rende capaci di leggere queste scritture, come lui ha fatto con i due di Emmaus in un modo più comprensivo di quanto non lo possano fare i rabbini odierni, i quali partono bene ma non sono ancora arrivati a quella rivelazione che a noi è stata data, non per nostro merito, ma perché fa parte della nostra vocazione.

    Fino ad ora abbiamo parlato della interiorizzazione del culto, dalla dimensione rituale o sacramentale alla dimensione esistenziale. Ora presentiamo un altro aspetto altrettanto fondamentale, e che è anche molto pertinente alla nostra situazione presente. Voi capite subito che trasportare il culto dalla dimensione rituale alla dimensione esistenziale vuol dire mettere in primo piano il laico, il laòs= il popolo di Dio. Perché se il sacerdozio è l'esistenza umana, questa riguarda ogni uomo e ogni donna ed è questo il dono di Gesù, che promuove l'esistenza dell'essere umano a un'esistenza sacerdotale. Essere uomo, compresa la donna, vuol dire essere il liturgo di Dio. Quindi l'interiorizzazione del culto vuol dire mettere in primo piano il popolo sacerdotale. Il sacerdozio diventa comune per tutti, una vocazione! Non pensate mai a qualcosa di bell'e fatto, questa è la vocazione con cui Dio ci invita a realizzarla poi. Tutte le cose di Dio sono una proposta alla nostra libertà. Dopo la creazione tutto il resto non è mai un dato di fatto già sistemato, è un ruolo da svolgere, un compito da attuare; ma questo vuol dire che il popolo (laòs) diventa il primo soggetto del culto del Signore. E dunque il sacerdozio non è più il fatto di una classe. Nel sacerdozio di Aronne, sacerdoti si nasce, basta essere figli di un altro sacerdote e si appartiene alla classe sacerdotale. Questo è rimasto anche oggi, anche se non c'è il tempio, c'è la tradizione di famiglie sacerdotali. Nelle feste ebraiche ancora oggi tre o quattro volte l'anno c'è lo spazio per la benedizione dei sacerdoti e l'unica cosa che fanno i sacerdoti in alcune feste, danno la benedizione sacerdotale, quelli appunto che sono di classe sacerdotale; è l'unica cosa che rimane perché non c'è il tempio e quindi non c'è nessun esercizio del sacerdozio. Non c'è da offrire vittime; tutto il resto diventa un culto laicale, cioè del popolo che compie questo ufficio sacerdotale nella lode del Signore. E allora è in questo tempo, con la nuova alleanza, che nasce la sinagoga. La sinagoga non è il tempio, vuol dire “convocazione”, assemblea ed è un'assemblea laicale. Che cosa si può fare a Babilonia dove non c'è più Gerusalemme, non c'è più il tempio, dove Giosia aveva centralizzato il culto da tutti i vari santuari del paese? Ecco, questo è interessante da un punto di vista storico: gli Assiri sono stati un impero veramente distruttivo di tutte le altre identità; gli Assiri non permettevano nemmeno che le comunità degli esuli stessero insieme, infatti le 10 tribù del nord sono sparite! Ci sarà tutta una letteratura di come si va a ricercare chi sono questi dispersi delle 10 tribù del regno d'Israele. Invece i Babilonesi sono stati molto più rispettosi delle identità nazionali, per cui anzi all'interno dell'impero babilonese si sono formate delle comunità molto solide e Babilonia è rimasta il centro principale del giudaismo fino al decimo secolo dopo Cristo. E' a Babilonia che è stato fatto il talmud babilonese, il grande talmud, che è l'opera dei giudei di Babilonia. I Babilonesi hanno favorito le comunità giudaiche, per questo Ezechiele e i suoi sacerdoti hanno potuto svolgere un'azione pastorale molto proficua. I reduci dall'esilio erano dei giudei molto più ferventi di quelli che sono partiti, proprio per quest'azione pastorale nella diaspora, nella dispersione. E dunque è nata la sinagoga, perché siamo in esilio, che cosa ci resta da fare? Non abbiamo sacerdoti in funzione, non abbiamo sacrifici da offrire, ma ti vengo a chiamare, mettiamoci insieme e preghiamo il Signore. E allora viene la sinagoga, in cui bisogna essere almeno 10. Se siamo 9, bisogna andare a cercare il decimo per incominciare a pregare. Si prega con la parola, la thorà, che è l'unica cosa che è rimasta. Il capo della sinagoga è un rabbi; il rabbi è uno che ha studiato e sa le cose meglio degli altri, ma è un laico, assolutamente un laico. E' un'assemblea totalmente laicale, che è destinata a essere la convocazione di tutto il popolo di Dio. E quindi nasce il culto sinagogale come culto laicale; è quello a cui Gesù ha partecipato. Nella sinagoga poi sempre si invita qualcuno che è venuto da fuori per parlare. Per questo abbiamo il discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret o quando Paolo andava con Barnaba o altri nelle sinagoghe; in questa maniera hanno annunciato l'evangelo nelle sinagoghe. E' così che è nato il cristianesimo! Cosa molto importante da capire. Nasce qui il giudaismo come religione. Non si può dire che Abramo fosse giudeo o che Davide fosse giudeo. Giudaismo è una parola che è riservata al culto e alla religione di Israele dopo l'esilio. Cioè la religione di Israele si costituisce proprio come religione giudaica. Perché Giuda? Perché è la tribù dell'esilio di Babilonia evidentemente. E nasce il giudaismo come religione, perché cosa era la religione di Israele prima dell'esilio? E' nata nel deserto, al Sinai, poi con il tempo dei giudici, poi con il tempo dei re, della monarchia, ma la religione consisteva praticamente nelle feste liturgiche. Basta leggere l'Esodo, i Numeri, il Deuteronomio… sono queste feste grosse, soprattutto tre: la Pasqua, la Pentecoste e i Tabernacoli, in cui si facevano pellegrinaggi a Gerusalemme oppure in altri santuari, ma Giosia aveva riunito tutti gli altri santuari, proprio per evitare culti ambigui e mezzo idolatrici che erano sparsi nel paese. Tutti dovete venire al tempio di Gerusalemme, per cui poi una volta distrutto il tempio non c'è stato più santuario. E fino a un certo punto, non tanto preciso, il culto del sabato. Ma l'osservanza sabbatica è cominciata soprattutto dopo l'esilio, proprio con la sinagoga. Il re era il rappresentante di Dio, quindi bastava essere un buon cittadino e compiere queste funzioni di culto esterno soprattutto per essere nella religione di Israele. Una volta che la religione è affidata a tutti e poi non c'è più un centro religioso, si sente un bisogno fondamentale, quello di creare una tradizione orale. Questo è molto importante quando noi oggi parliamo degli Ebrei. Gli Ebrei non contano solo sulla Scrittura. La Scrittura è la thora scritta e si chiama la “thorà del libro”, ma poi c'è la “thorà della bocca”, che è la tradizione orale e mai troverete un ebreo che parte solo dalla Scrittura! I libri della Scrittura per Israele sono il testo della Bibbia al centro e tutto intorno la tradizione orale, cioè che cosa ci hanno insegnato i nostri padri, i maestri principali?… Questo si ritrova nella chiesa ortodossa, perché i monaci greci ortodossi non diranno mai che si parte dalla Bibbia, ma si parte dalla Bibbia con il commento di Basilio, di Gregorio Nisseno e di Crisostomo. Si legge il testo nella tradizione. E questo è molto cattolico, perché noi diciamo sempre che non c'è la “sola Scriptura”, ma c'è la tradizione. Questa tradizione da dove nasce, dove si sviluppa, come si evolve? Qui, nell'esilio babilonese, nasce tutto un sistema di religiosità che è sostenuto dalla parola scritta, attualizzata, interpretata secondo le varie tradizioni del popolo che si trova nella storia, disseminato in mezzo alle genti. Questa tradizione orale si articola intorno alle tre dimensioni fondamentali della Bibbia e cioè il rapporto con Dio, il rapporto con gli altri uomini e il rapporto con la terra. Questa è già la grande struttura della creazione. L'uomo è creato da Dio, quindi sopra di lui c'è il Signore e sotto di lui c'è la terra e a fianco a lui c'è la donna. Questa è la struttura della creazione; i primi due racconti della creazione in modo diverso presentano questa realtà e tutti i peccati umani sono o peccati contro Dio o peccati contro il fratello e la sorella o peccati contro la terra. Abbiamo il peccato del giardino, dell'uomo e della donna, il peccato di Caino e il peccato dei costruttori della torre di Babele. E quando questi peccati confluiscono in una situazione collettiva abbiamo il diluvio di Noè. Tutta la storia di Israele si deve studiare e pregare secondo quest'ordine: il rapporto con Dio, il rapporto con il prossimo, il rapporto con la terra. Però capite subito che quando questo diventa una religione, si comincia a vedere come ci si rapporta con il Signore… si crea tutto un sistema molto ricco di precetti, di canoni. In fondo i canoni del Diritto Canonico ripetono questa struttura. La morale si organizza in questo modo. In modo molto più ricco che al tempo della monarchia, dove bastava andare in pellegrinaggio presso certi santuari e celebrare certe feste liturgiche! Perché in questa situazione di sacerdozio laicale diventa, per esempio, molto importante la vita di famiglia. Non si va più al tempio, non c'è più! Bisogna che la casa familiare diventi un tempio e quindi la celebrazione del sabato che è proprio una liturgia domestica. La donna che accende le candele, si prepara la cena…il pranzo freddo del sabato perché non si cucina, tutte le regole più minuziose che gli uomini sono capaci di inventare quando creano loro qualche cosa! Si determinano i giorni di digiuno, i modi di pregare. Quante volte al giorno si prega; si costituisce l'ufficio della preghiera (l'ordo), le feste liturgiche si arricchiscono di tante prescrizioni, nasce per esempio la cena pasquale.

    La casa diventa anche il luogo della catechesi, perché non c'è il tempio dove si fanno le lezioni. I sacerdoti non insegnano più, sono i genitori che insegnano ai bambini la fede. Come per esempio la struttura della cena pasquale: il più piccolo che domanda al papà: perché oggi si mangia questo e non quell'altro? Perché abbiamo queste erbe…? E il papà spiega! La scuola di catechismo diventa la famiglia e poi ci sono infinite prescrizioni di come si assistono gli anziani, di come si seppelliscono i morti… Tutto questo nasce nell'esilio, perché il popolo deve diventare lui il conduttore del culto del Signore e vedete come nascono queste figure poi della seconda parte dell'A.T. come Tobia.

    Tobia è a Ninive portato dagli Assiri, ma va seppellendo i cadaveri che trova per la strada, insegna al figlio di come andarsi a cercare la moglie e come pregare. Il libro di Tobia è un libro meraviglioso di religione familiare, di gente che non ha più il tempio, ha la nostalgia di Gerusalemme; ma alla fine stiamo in esilio e dobbiamo essere il popolo del Signore.

    Ester è una ragazza che fa parte dell'harem di Assuero; sta in una situazione – come dice nella sua preghiera – che gli pesa; dice: io non posso vedere il letto dei pagani! Però tu mi hai messo in questa situazione e io ti prego, Signore, perché ho soltanto te come mio sostegno! Cioè si può vivere di fede, di speranza e di carità anche in esilio. Questo è un fatto completamente nuovo da un punto di vista religioso. Alla fede, alla speranza e alla carità si aggiungono queste tre dimensioni, che si concretizzano nella preghiera, nella elemosina e nel digiuno. La fede ha bisogno di essere pregata per essere viva; la carità ha bisogno di diventare elemosina; e il rapporto con la terra si esprime con i digiuni per mostrare che la terra è importante, bisogna mangiare, bisogna alimentarsi, però non bisogna lasciarsi prendere da quell'ubriacatura della torre di Babele, in cui avendo scoperto come si costruiscono i mattoni, allora l'umanità si è ubriacata e vuole costruire una torre che tocchi il cielo. Questo ci invita a una grossa riflessione perché la religione è necessaria alla fede. Senza la struttura della nostra vita religiosa non si vive di fede, di speranza e di carità; bisogna concretizzarla anche in certe pratiche. Poi nella vita religiosa della chiesa è venuta fuori la povertà, la castità e l'obbedienza, ma sono ancora tre nomi delle stesse dimensioni: perché l'obbedienza è il rapporto con Dio, la povertà è il rapporto con la terra, la castità è il rapporto con i fratelli e le sorelle. Sono tutti nomi che si possono cambiare… questo vuol dire che la religione è mobile! Sono strutture che poi ciascuno arricchisce con le sue devozioni, con le su scelte, con le sue preferenze. Pensate cos'è nelle nostre chiese la devozione a Maria? La devozione a Maria conosce varietà infinite che sono tutte più o meno legittime. Generalmente teniamo di più alle cose create da noi che alle cose che vengono da Dio, ci parlano di più. Ricordo che da bambino andavo con mia madre nella chiesa del Gesù, era una messa squallida! Era tutto buio, in latino, e nessuno capiva niente, il sacerdote aveva le spalle rivolte verso il popolo. Finita la messa, s'accendeva improvvisamente tutta la chiesa e suonava l'organo potentemente perché c'era la benedizione eucaristica. Perché quello era l'unico momento in cui il popolo cantava in italiano. La religione diventa allora più importante del sacramento della fede. Questo è un aspetto molto importante della nuova alleanza, perché da una parte questo creare un vocabolario, delle pratiche, delle tradizioni umane è necessario per sostenere la fede, la speranza e la carità; ma dall'altra parte c'è un grande pericolo: che la religione diventi più importante della fede e prenda il posto della fede. E questo è il problema che si trova davanti Gesù quando dice: Voi avete messo le vostre tradizioni di uomini davanti alla parola di Dio. Ma questo succede in tutte le generazioni. Anche perché la religione si crea a forza anche di cultura. Non basta solo la parola di Dio; si arricchisce la parola di Dio di tradizioni di uomini che vivono in una certa cultura. Certamente la nostra religione delle chiese latine risente dell'impero romano; basta vedere il culto che abbiamo del Papa e dell'imperatore. Il culto delle chiese bizantine risente dell'impero bizantino; il culto delle chiese russe risente della Russia degli zar. La lingua, i costumi, il modo di costruire le chiese, l'architettura, l'arte, l'iconografia. Tutto questo è nutrito dalla cultura del popolo in mezzo a cui viviamo, anche non cristiano. Che poi a un certo punto la nostra religiosità diventa irriconoscibile da parte degli ortodossi, perché sono colpiti più da certi effetti culturali nostri che dalla nostra fede, che è la stessa. Se io vado nella chiesa del santo Sepolcro e davanti all'altare della croce, greco, io mi faccio il segno della croce come facciamo noi, probabilmente ci sarà una vecchietta molto devota che mi verrà a dire che questo è eretico. Questo modo di farsi il segno della croce diventa più importante della fede! Ma questo purtroppo è comune ed è la tentazione della tradizione orale. Se la tradizione orale diventa più importante della tradizione scritta, e allora le tradizioni di uomini diventano più importanti della parola di Dio. E questo è nato prima di tutto nel momento dell'esilio. E' nato prima di tutto in un senso positivo; perché veramente anche se oggi sono passati parecchi secoli dal VI secolo a. C. però se voi entrate in una famiglia ebraica come anche in una famiglia cristiana ben formata, voi avete una testimonianza di fede, di carità, di apertura ai poveri, che è estremamente edificante. Quindi, questa fede sostenuta dalla religione è una cosa sacrosanta ed è quello in cui dobbiamo impegnarci, pur mantenendo ciò che è di Dio e ciò che è degli uomini e quindi essendo pronti a cambiare, anche ad evolversi, come è avvenuto nelle chiese più o meno lentamente, più o meno rapidamente. Ma guai al lato negativo. Se per qualcuno il Concilio di Trento diventa più importante del N.T., allora abbiamo il caso di Lefevre, con le conseguenze che conosciamo; se qualcuno dice: meno male che la Scrittura è stata scritta in greco, perché il greco è più preciso dell'ebraico! Così abbiamo messo a posto certe cose definitivamente, attenzione, bisogna vedere. Perché se Dio ha parlato in ebraico, ha cominciato a parlare in un certo modo. La manomissione di ciò che è di Dio da parte degli uomini, magari fatta con le migliori intenzioni! Il rischio è che le nostre prescrizioni diventano più importanti del respirare davanti al Signore.

    Perché sto facendo questi libri “sentieri di vita”? Perché non ne posso più degli esercizi ignaziani! Perché S. Ignazio non era ignaziano. A un certo punto la costruzione ignaziana degli esercizi è diventato un prefabbricato che si ripete continuamente e in cui dentro si utilizza la Sacra Scrittura. Non si può utilizzare la Sacra Scrittura in funzione di una creazione di un uomo. Allora, apprezziamo la dinamica ignaziana, ma cominciamo dalla parola di Dio. Quello che è importante è la parola di Dio. Però Ignazio mi rivela – e questo è il suo dono nella chiesa – una maniera di leggere la parola di Dio che non sia lo studio accademico, perché questo è l'altro estremo. La Scrittura diventa uno studio accademico riservato agli iniziati che poi non vogliono più parlare. Diversi esegeti vi diranno: a me la Bibbia interessa come libro e come letteratura, ma non voglio entrare nella teologia, perché la Bibbia è parola di Dio e la teologia è parola di uomini; non mi ritrovo nella teologia! Ma la parola di Dio deve servire al popolo di Dio per vivere di fede, non per fare discorsi accademici. Allora, partiamo dalla parola e Ignazio ci ha rivelato che si legge la parola per convertirsi alla parola, non per studiare la parola, per fare conferenze semplicemente; che la Bibbia è un corso di esercizi spirituali che Dio fa fare al suo popolo e allora è preziosa la dinamica ignaziana. Il fatto di dire che questa parola che tu hai capito va pregata e poi ti devi convertire ad essa. Soltanto allora capirai la parola di domani! Però diamo a Dio quello che è di Dio e a Ignazio quello che è di Ignazio e non forziamo la parola di Dio dentro un discorso umano che è tra l'altro un discorso del „500 e quindi non può essere automaticamente il nostro modo di parlare di oggi. E' ignaziano questo? Secondo me sì, ma certamente non è quello che molti miei confratelli fanno, invece essendo assolutamente rigidi nelle settimane ignaziane, dove si fa la meditazione, dove si fa la riflessione… Guai se tutte le nostre spiritualità, le regole religiose… diventano più importanti del N.T.

    Quando l'umano viene prima, la religione prende il posto della fede. Ma questo è il problema della nuova alleanza, perché da una parte, questo dà una solidità alla vita religiosa che certamente non c'è senza di questo, ma d'altra parte questo può diventare addirittura un sostituto della vita di fede. Quando dire il rosario diventa più importante che fare un atto di carità… Il grande problema del giudaismo oggi è quello che dopo la seconda distruzione del tempio, da parte dei Romani, i Giudei si sono ritrovati in una situazione simile a quella del VI secolo e si è ripresentata la stessa esigenza di rinforzare. Ormai il popolo ebraico era sparso nella diaspora; non c'era più nemmeno la terra propria, e allora hanno deciso di mettere per iscritto la tradizione orale ed è nato il talmud. E questa continuano a chiamarla la tradizione orale, ma è in realtà la quantità di libri. E se voi mettete per iscritto la tradizione orale, siete ingessati! Noi non abbiamo messo per iscritto la tradizione. La tradizione orale deve rimanere orale per poter cambiare, per poter progredire, per poter adattarsi alle situazioni storiche.

    La religione deve sostenere la vita teologale, che è essenziale! Senza sacramenti si può vivere, ma non senza fede, speranza e carità. Ci sono dei santi che non hanno potuto celebrare l'Eucaristia nel campo di concentramento, né altri sacramenti, ma sono diventati santi per un aumento di fede, speranza e carità. E la fede precede anche il battesimo, che è il segno della fede. Però senza sacramenti, senza vita religiosa, senza una prassi religiosa non si può vivere finalmente di fede; la fede non è un nome astratto, bisogna metterlo in pratica, bisogna viverlo. Ciascuno lo vivrà nella sua cultura, nella sua lingua, secondo le sue tradizioni, ispirandosi al modo di pregare orientale, occidentale… E questo problema è un problema di nuova alleanza; è un problema che ce lo portiamo appresso nelle varie età… Se io ricordo la pietà a cui siamo stati educati nel noviziato nel 1944, non lo riconosco certamente nei novizi che incontro oggi. Certo ci ha educato a qualche cosa che siamo invitati a rivivere nelle situazioni di oggi, non ripetendo le stesse forme, ma incarnandole in un altro modo di essere. Però è un impegno; ciascuno è responsabile.

    Che cosa è diventata la mia pietà, la mia preghiera, la mia elemosina, il mio digiuno? E non è detto che allora bisogna ritornare a mangiare il pesce tutti i venerdì; no, bisogna ritrovare un modo serio di digiunare che corrisponda al significato che il digiuno ha nell'educazione che Dio dà al suo popolo.

    Chiediamo il Signore che illumini ciascuno e anche ciascuna comunità, perché in queste cose ci si sostiene anche insieme. Perché se quello vicino a me, invece di pregare sta con la radio accesa e un altro sente la musica, la mia preghiera diventa non solo disturbata, ma mi sento solo, abbandonato… Questo è un problema di nuova alleanza.

     

    Sesta meditazione 

    La Parola di Dio è prima di tutto storia. Sono i fatti che il Signore produce nella nostra storia umana e di cui soltanto più tardi egli propone un'interpretazione che permette di discernere tra le tante altre interpretazioni che si potrebbero proporre. Adesso siamo giunti a un punto cruciale della nuova alleanza perché una serie di fatti si producono attraverso gli anni nel popolo di Israele e soltanto verso la fine dell'esilio comincia a delinearsi un'interpretazione nuova, in un certo senso una nuova teologia di tutta questa serie di sciagure, che è caduta sul popolo di Dio. Abbiamo ricordato prima di tutto la morte del re Giosia, che è stata un colpo tremendo perché non era soltanto la sorte di un individuo particolare, ma era il re, lo sposo del popolo, il rappresentante del suo popolo e il re più santo. Almeno così è riconosciuto dalla tradizione della monarchia di Israele. Poi è venuta la sorte di Geremia, l'unico profeta che parlava in nome del Signore e che nessuno ha seguito e che anzi tutti hanno perseguitato, perché accusato di essere disfattista e collaborazionista con il nemico, traditore, un uomo da buttar via, un uomo – lo si vede anche dalle dispute che ha avuto con i sacerdoti – da far sparire! Se Geremia ha salvato la pelle fino alla distruzione di Gerusalemme, lo ha dovuto proprio ai figli di Giosia, i quali senza seguirne le esortazioni, per paura del partito favorevole all'Egitto, però Sedecia lo chiamava di notte e gli diceva: Dimmi che cosa ti dice il Signore, che cosa succederà? E Geremia dice: Io te lo dico, ma poi tu non fai niente! E quindi è tutto inutile! E poi va bene che te lo dico, ma non dire a nessuno quello che mi hai detto, che ti ho chiamato, perché altrimenti mi fanno fuori, dice il re. Un uomo che è gettato nella fossa, nel fango, che si mette un giogo sulle spalle per mostrare appunto che il Signore è rigettato dal suo popolo. Poi viene l'esilio, la distruzione del tempio, l'incendio di Gerusalemme, il popolo portato in esilio, la terra abbandonata. C'è stato un calo economico nel paese tremendo perché la classe dirigente è stata portata in esilio. Sono venuti i Babilonesi che hanno costituito una specie di governo fantoccio con Godolìa, che era anche un amico di Geremia; il paese ha abbandonato la terra occupata dall'impero babilonese. Godolìa, questo governatore che cercava di salvare il salvabile, e poi il popolo in esilio… una serie di sventure a cui non erano certamente preparati. Sì, lo confessano; i peccati di Manasse per 52 anni sono stati tremendi, i peccati di Amon, però questo è troppo! E questo è il popolo di Dio! Allora in questa situazione nasce verso la fine dell'esilio la teologia del servo. La teologia dominante di allora era poi quella che domina anche in mezzo a noi. Che, se le cose ti vanno bene, vuol dire che sei bravo; se le cose ti vanno male, vuol dire che sei cattivo! Sì, domina in mezzo a noi, perché anche noi ragioniamo così, specialmente quando le cose toccano noi. Se toccano un altro diciamo: è il Signore che ti prova; se toccano noi, che ho fatto di male? Poi magari canonizziamo dopo che è morto il santo che è stato calunniato. Facciamo cardinali le persone che prima sono state rigettate! Quanti teologi estromessi durante il Vaticano II o prima, e poi sono stati creati cardinali! Von Balthasar, De Lubac, Congar, Danielou… La teologia del servo è una cosa nuova che si infiltra nella tradizione spirituale di Israele, per cui è vero che se tu ti comporti male, poi incontri la punizione e quindi, se tu stai nei guai, è meglio che fai l'esame di coscienza per vedere cosa hai fatto di male. Però non è tutto qui, perché può darsi che tu sei l'uomo più fedele al Signore, l'amico intimo di Dio, il servo. “Servo” non vuol dire “schiavo”, ma essere servo del Signore è un titolo di onore. Giuseppe in Egitto era il servo del faraone, cioè plenipotenziario. Tu sei uguale a me – dice il faraone – tranne il fatto che io sono io. Quindi, si può essere il popolo scelto, il più vicino al Signore e apparire come abbandonato da lui e conoscere una passione radicale che può condurre anche alla morte. Così viene fuori questo destino misterioso a cui tutta la teologia di Israele non era preparata. La teologia precedente è ben rappresentata dalla teologia degli amici di Giobbe. E il libro di Giobbe è stato scritto due o tre secoli dopo il servo, ma è il frutto della teologia del servo. Anzi è la problematica dell'esilio posta in tragedia in 5 atti. E' l'interpretazione della teologia del servo, che finalmente offre la parola del Signore, riproiettandolo sul grande schermo della tradizione religiosa di Israele. Questo è un processo che nella Bibbia ritorna diverse volte. Ci sono degli eventi piccoli che cominciano in un certo modo e che poi piano piano, lungo i secoli, diventano dei manifesti grandiosi che hanno un avvenire escatologico, come per esempio il concetto del regno, l'Emmanuele, il servo…Il servo sofferente, il servo ingiustamente sofferente; non si tratta soltanto di sofferenza, ma della sofferenza ingiusta, non meritata e gratuita. Non è un rovesciamento di tutta la teologia, non è che da allora in poi si dice: peggio ti vanno le cose e meglio è! Continua a essere vera la teologia della creazione, si potrebbe dire l'economia della creazione, cioè che se hai molti figli, vuol dire che il Signore ti benedice; se hai molte greggi, vuol dire che il Signore ti benedice… No! Se poi perdi tutto, e chissà… forse sei l'amico più intimo del Signore! E allora viene questa teologia come riflessione, interpretazione di quello che è successo mezzo secolo prima. Questo è dovuto soprattutto a quello che noi chiamiamo il secondo Isaia. Si chiama così perché ha più o meno lo stesso stile del primo Isaia, ma è completamente diverso; viene un secolo e mezzo dopo! Diventa il libro della consolazione di Israele con la storia di tutte queste sventure che sono capitate al popolo. Chi è il servo? E' il popolo di Israele. Il secondo Isaia parla di Israele mio servo. “Ma tu, Israele mio servo, tu Giacobbe, che ho scelto, discendente di Abramo, mio amico, sei tu che io ho preso dall’estremità della terra e ho chiamato dalle regioni più lontane e ti ho detto: “Mio servo tu sei, ti ho scelto non ti ho rigettato”. Non temere, perché io sono con te; non smarrirti perché sono il tuo Dio” (Is 48,8-10).

    Tu sei il mio Dio e poi mi lasci in queste condizioni? Tutto il secondo Isaia è la canzone del servo, cioè di questo destino che è una promessa di prosperità, di gloria, di liberazione. C'è un nuovo esodo, questa volta non viene da occidente, ma da oriente; non viene dall'Egitto, ma dalla Mesopotamia, però il deserto rifiorisce, ci sono i torrenti d'acqua nel deserto; e questo in mezzo a una rovina totale. Ciò continua nel terzo Isaia, che è ancora posteriore, dopo che il popolo è ritornato e si è ricostruita Gerusalemme, ma dove si cantano le glorie di Gerusalemme (Is 60-62), davanti alle rovine di Gerusalemme. Gerusalemme è ancora distrutta; Neemia non ha ancora ricostruito le mura e poi si dice: tu sei una splendida corona, un gioiello nella mano del Signore, che ti tiene nel palmo della sua mano. Sembra un discorso di schizofrenici, perché le apparenze sono del tutto contrarie a quello che si proclama. Lì c'è già la teologia pasquale! La teologia della morte e della risurrezione come l'arma segreta del Signore, dell'economia dell'alleanza, perché la creazione procede secondo la logica. Il successore del padre è il figlio maggiore, quello più grande; la prosperità è segno della benedizione; però poi c'è un'altra economia dentro questa creazione che invece è molto più misteriosa, per cui i peccati di tutti sono portati dal popolo di Israele, e i peccati del popolo di Israele sono portati da qualcuno, perché anche all'interno del popolo c'è un servo che ne porta le iniquità. L'esegesi tedesca ha riconosciuto quelli che noi chiamiamo i quattro canti del servo, che sono stati isolati da alcuni esegeti e che invece bisogna leggere dentro tutto il contesto del libro e che poi noi cantiamo nella settimana santa. Però ci siamo forse abituati male perché li abbiamo estratti dal contesto. Un libro invece va letto un capitolo dopo l'altro. E quindi c'è anche questa partecipazione del popolo alla vicenda personale di questo misterioso servo che porta le iniquità di tutti. E da questo viene fuori tutta una leggenda che forse conoscete e che è stata illustrata in tanti modi. Una leggenda mistica ebraica dice che tutto il fetore del mondo è portato da 36 giusti, i quali sono diventati delle scariche di immondizie che vengono riversate su di loro e che permettono al mondo di non morire di asfissia, perché sono loro i giusti che portano il peso di tutti. Perché 36? Questo viene da un certo numero fatto con l'alfabeto ebraico, per cui quando Isaia dice: su di lui il Signore ha posto… questo “su di lui” diventa un “lo” nella lingua ebraica, così viene fuori il numero 36, perché “lo” vuol dire 36. Se uno di questi 36 muore, bisogna subito che sia sostituito da un altro, altrimenti crolla tutto. Questa leggenda mistica fa vedere poi come questo è entrato nella coscienza della tradizione ebraica. E non solo è entrato, ma è diventato un caposaldo della teologia. E' l'autolimitazione di Dio, cioè Dio dimostra la sua potenza, non soltanto nell'affermarsi, nel fare delle cose, ma anche nel ritirarsi. Già la creazione è un ritirarsi di Dio per dare spazio a noi! E il Signore usa anche questa economia, per cui abbiamo, per esempio, che nella storia di Giuseppe in Egitto. Giuseppe dice ai due carcerati, che poi vengono uno condannato e uno rimesso in libertà dal faraone, dice a quello che è salvato: ricordati di me e parla al faraone perché io sto qui in prigione senza nessuna colpa per la moglie di Putifar. Il panettiere se ne dimentica, non parla di Giuseppe e Giuseppe restò in prigione per due anni. Nel versetto seguente si dice che il Signore era con Giuseppe, dove? In prigione! Il Signore non si era dimenticato di Giuseppe, ma per due anni è andato in prigione con lui. Si capisce l'importanza di questo. Dove stava Dio ad Auschwitz ? Stava in quel bambino impiccato che non riusciva a morire, lì c'era Dio! E' entrata la teologia della passione di Dio. Dio si ritira, tace. Lo dice anche ad Abramo: i tuoi discendenti staranno 400 anni in Egitto! E questo sarebbe il popolo di Dio? Sì, questo è il popolo di Dio! Per cui si arriva a fare una teologia in cui si ammette che le sofferenze del servo non sono altro che l'incarnazione delle sofferenze di Dio. Questo quadra molto con la vocazione del profeta, perché al profeta non solo è affidata la parola di Dio, ma è affidato il compito di rappresentare quasi teatralmente che cosa succede al Signore. Per cui a Osea dice: va' e sposa la prostituta! La vita di quest'uomo è devastata da questo fatto, perché? Perché il mio popolo è diventato una prostituta e tu sei deputato a rappresentarli nella tua carne. A Ezechiele muore la moglie e il Signore dice: questa è la delizia dei tuoi occhi, non fare il lutto! Perché sei deputato a rappresentare che cosa succede tra me e Israele. Così fa' un buco nel muro ed esci dalla casa; la gente che ti dice: ma dove vai? Io rappresento che cosa è costretto a fare il Signore che se ne va; se ne deve andare perché voi lo cacciate via. Quindi, la sorte del popolo di Dio diventa sofferenza, passione, morte, persecuzione, abbandono, perché il Signore è trattato così dal suo popolo e dall'umanità. Qui si manifesta la potenza di Dio, perché Dio è potente nell'affermarsi e nel ritirarsi. Per voi la ritirata è una sconfitta, per Dio è una vittoria. Vacci a capire qualche cosa! Ma questo viene dall'esilio, proprio per questo fatto incredibile: ma come si fa a dire che questo è il popolo di Dio, se poi finisce in questo modo?! Che cosa diranno le nazioni che erano i testimoni dell'alleanza? Che cosa hanno fatto le nazioni? Tutte le nazioni circostanti hanno approfittato di questo esilio, perché gli Idumei hanno invaso il sud del paese, i Moabiti sono venuti a saccheggiare le case abbandonate dagli esuli; le nazioni hanno preso in giro la pretesa di Israele di essere il popolo eletto, perché… meno male che il Signore non ha scelto noi! Questo sarebbe il modo con cui vi tratta il vostro Dio? Per noi va' bene!

    Questa teologia del servo ha offerto collegamento a tanti altri fatti che si leggono nella Scrittura: l'uccisione di Abele da parte di Caino, il sacrificio di Isacco, la storia di Giuseppe in Egitto, che è stata messa per iscritto proprio dopo l'esilio. Cioè il fratello sapiente e innocente che viene gettato via dai fratelli, venduto in Egitto, dato per divorato dalle belve e che invece diventa l'ancora di salvezza della sua famiglia, di tutto l'Egitto, e di tutti i paesi circostanti. Io credo molto che la storia di Giuseppe la possiamo leggere noi, più che gli Ebrei stessi, capendone il senso. Per gli Ebrei Giuseppe è rimasto una figura ambigua, anche perché ha sposato un'egiziana. In fondo ha fatto uscire la sua famiglia dalla terra promessa e questo nella tradizione ebraica è sempre una cosa vista male. Ma con la chiave della passione di Gesù noi possiamo leggere la storia di Giuseppe in un senso molto più profondo e più vero, anzi rappresenta quasi la parabola della salvezza, quando tutto il mondo è sfamato dal patriarca di Israele e intorno a lui tutte le nazioni trovano il pane. Ma poi ci sono molti altri: Giacobbe che deve scappare dalla terra promessa perché, pur essendo il figlio minore scelto, secondo una sapienza diversa dalla creazione, poi è quello che vive sempre all'estero, mentre invece Esaù è quello che sta nella terra promessa. E la lotta di Giacobbe con Dio. Questa lotta in cui Dio gli cambia il nome. E David che fugge dall'ira di Saul, fuggiasco, un bandito nel deserto lontano dalla terra del Signore. Stare fuori della terra del Signore è essere come un morto, in esilio. E poi Giobbe e Zaccaria, il quale addirittura nei capp. 12-13-14 che rappresentano il Deutero-Zaccaria, molto più tardi, perché è uno dei testi profetici più recenti, ci dà quasi un film dell'ultima battaglia intorno a Gerusalemme di tutte le nazioni. “Ecco, io farò di Gerusalemme come una coppa che dà le vertigini e tutti i popoli vicini e anche Giuda sarà in angoscia nell’assedio contro Gerusalemme. In quel giorno io farò di Gerusalemme come una pietra da carico per tutti i popoli; quanti vorranno sollevarla ne resteranno sgraffiati; contro di essa si raduneranno tutte le genti della terra. In quel giorno – parola del Signore – colpirò di terrore tutti i cavalli e i loro cavalieri di pazzia…”(Zacc 12, 2-4)

    In tutto questo macello che succede, solo Gerusalemme resterà al suo posto. Però anche Gerusalemme sarà devastata, un terzo della città sarà devastata, le donne violate. In questo testo leggiamo un versetto un po' misterioso (Zacc 12,10): “Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a colui che hanno trafitto”. Ritorna sempre David, oramai siamo nel 400 a.C. David è morto da sei secoli, però si parla ancora di David! “Guarderanno a colui che hanno trafitto”: in ebraico si legge “guarderanno a me”, che hanno trafitto. Addirittura vuol dire che c'è qualcuno che viene trafitto, nel quale il Signore stesso viene trafitto. “Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito. In quel giorno grande sarà il lamento di Gerusalemme simile al lamento di Adad-Rimmòn nella pianura di Meghiddo” (Zacc 12,10-11). Ritorna fuori Meghiddo, che è il luogo dove Giosia è morto trafitto! Cioè: c'è una linea che ci riporta subito al punto di partenza della nuova alleanza. Addirittura l'Apocalisse di Giovanni riprende abbondantemente sia la profezia di Zaccaria, sia quella di Daniele. E' tutto un linguaggio che riprendono soprattutto i profeti apocalittici e quindi immagina addirittura la fine dei tempi, la fine della storia, come un'alleanza di tutte le nazioni contro Gerusalemme. …E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Armaghedon (= monte di Meghiddo) (Apoc 16,16). Che cosa significa questo modo di parlare certamente evocativo, un modo che non è quello della logica greca? Sembra voler dire: Guardate che alla fine il crocevia della storia deve passare attraverso il mistero pasquale. Cioè, questa sofferenza del giusto diventa una specie di esame finale dell'umanità e delle coscienze umane, per cui dall'atteggiamento che si prende di fronte a questo mistero, di rifiuto o di accoglienza dipende la salvezza. Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio dice una cosa molto importante anche per quanto riguarda il discorso missionario; fa vedere che secondo noi la chiesa ha rinunciato a pensare che tutte le nazioni si convertiranno al nostro cattolicesimo latino. Dice che questo non è possibile, perché tante persone non hanno nemmeno la possibilità di conoscere la fede cristiana, di immaginare che cosa portiamo noi e allora la salvezza passa sempre attraverso Gesù Cristo e la sua croce, ma non perché la chiesa farà a tempo ad annunciarla a tutti gli uomini, ma perché Dio nella sua potenza è capace di far passare ogni coscienza umana per il mistero pasquale di Gesù (cfr. RM 10).

    Come? Con lo tsunami asiatico, con i terremoti dell'Anatolia, con la politica dei potenti… ma finalmente la coscienza di ogni uomo e di ogni donna conoscerà il mistero pasquale di Dio e lì ognuno si gioca la sua salvezza. Meghiddo è il luogo geografico segnato dalla croce! Ci sono anche altri testi: il salmo 22: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato. E' un salmo fondamentale, è il servo. Va completamente insieme a Isaia 53. Il salmo 118: La pietra scartata dai costruttori è quella che Dio ha scelto! Dio è come un barbone. Lui non va a cercare le pietre per costruire i palazzi imperiali; va a cercare i rifiuti, l'immondezza della città; va' a scegliere le cose scartate per farle diventare la pietra angolare. Abbiamo certamente un Dio originale; ma tutto questo viene illuminato dall'esilio, dalla nuova alleanza, che è nutrita di questo. E allora non pensiamo solo al sacrificio di Gesù, No! Qui c'è tutta una storia e infatti quando Gesù rilegge le Scritture ai due discepoli di Emmaus, rilegge tutte le Scritture, cominciando da Mosè, dai profeti e dai salmi. E certamente non parla solo di Isaia 53, ma parla di tutta questa vicenda che la teologia del servo ha quasi saldato insieme per mostrare che la storia di Israele è attraversata da un filo rosso che non diventa mai dominante. E questo non solo in Israele, ma anche nella chiesa. Noi mettiamo il crocifisso fuori, lo portiamo al collo, lo mettiamo d'oro… ma poi: che lui stia lì e io sto qua! Però può avvenire a un certo punto di conoscere una passione radicale e di dire: questa è la visita di Dio che arriva a me, al suo popolo. Paolo che ha ben conosciuto queste cose, dice nella 1Cor 2:

    “Io sono venuto in mezzo a voi, conoscendo soltanto Gesù Cristo e questi crocifisso. Non so altro se non Gesù Cristo crocifisso! E la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza. Poi ci ripensa: Sì, di sapienza, certo!, ma di sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina misteriosa che è rimasta nascosta e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (cfr. 1Cor 2, 2-8).

    Questo è il versetto “più bestemmia” che si possa pensare per le orecchie di un ebreo. Il Signore della gloria, crocifisso! Ma siete matti!? Allora voi capite subito che cosa è successo quando Gesù ha conosciuto la passione, è stato messo in croce ed è morto sulla croce. La prima cosa che è successa è lo scoraggiamento generale, la fuga generale; ma quando è risorto e si sono accorti che è il Vivente, allora la prima cristologia che si è formata, parla del “servo Gesù” (capp. 2-4 degli Atti).

    Primo nome che è stato attribuito a Gesù, Gesù è “il servo”; poi è diventato “Gesù Cristo”, ma certamente il primo è che Gesù è il servo, nel senso che compie tutta questa storia che c'è stata prima di lui. Non è che si sostituisce a questa storia; no! Il compimento non è mai la sostituzione a quello che è successo prima, è il compimento, cioè tirare fuori tutto il significato. Come nella trasfigurazione si vede il compimento di Gesù, di Mosè e di Elia, qual è il senso vero delle loro persone nella storia di Dio; ma è chiaro: la teologia del servo ha illuminato tutta la memoria della passione, per cui è diventato addirittura difficile per noi distinguere: Gesù ha sofferto queste cose come erano state dette o queste cose sono illuminate da come Gesù ha sofferto? La rilettura del servo nei vangeli della passione è una delle cose più interessanti e appassionanti, per vedere come le due cose si sono fuse insieme, per cui la passione è raccontata in modo che ci si riconosca la passione del servo. E questo ha svegliato la chiesa del N.T.

    Pietro e Giovanni se ne uscirono contenti dal sinedrio, perché avevano sofferto per il Nome. E' cambiato tutto! Nella conversione di Paolo c'è stato proprio questo: accorgersi che lui stava perseguitando il Signore della gloria e non è un'accusa di deicidio; non c'entra niente, la sapienza è nascosta, il Signore si è nascosto, si è fatto perseguitare e non dicendo: io sono Dio! No! Ma tu stai perseguitando il Signore della gloria e questo mi ha aperto gli occhi. E' chiaro che qui c'è tutta l'esperienza pasquale.

    Come viviamo noi questa realtà? Dove mettiamo noi la teologia del servo? Come nutriamo la speranza del successo del regno di Dio, come ce lo immaginiamo? In Israele dopo “l'olocausto” c'è una grande resistenza a ricordarsi del servo, anche perché dopo l'utilizzazione che la chiesa ha fatto di questa teologia nella passione di Gesù, Isaia 53 non si legge più nelle sinagoghe. Prima si leggeva nella liturgia pasquale. Anche il sacrificio di Isacco è un'altra pagina trascurata. Confermerebbe troppo la teologia della pasqua della chiesa. Israele si è difeso in un certo senso e pur conoscendo questa teologia se l'applica forse come popolo, ma rifiuta ogni personalizzazione di questo. Perché? Secondo me, perché la difficoltà di Israele non è tanto la croce ma la risurrezione. In Israele si aspetta la risurrezione, ma allora è una risurrezione di tutti. Non si ammette che la risurrezione sia cominciata con uno solo, perché il tempo escatologico è quando tutti risorgeremo, ma che uno solo sia risorto, questo sembra che sia proprio un inganno. Ed è proprio quello che Paolo ha dovuto sperimentare, perché lui non l'ha visto morto, ma l'ha visto vivo per la prima volta. La visione di Paolo è diversa da quella di tutti gli altri apostoli, i quali non hanno veduto Gesù vivo, ma lo hanno visto morto e poi incontrano il risorto. Paolo lo perseguitava conoscendolo di nome, ma la prima cosa è che gli è apparso vivente. E' inutile negare che uno possa risorgere! Qui, io l'ho incontrato! E da lì è cominciata tutta la conversione di Paolo! E' chiaro che la conversione di Paolo è segnata dal crocifisso. Io lo stavo perseguitando e lui è il vivente che mi vedeva! Ho visto colui che mi vedeva, come Agar nel deserto! Non ha più potuto dimenticare una cosa simile.

    Quanto contiamo noi sulla croce? Quanto predichiamo la croce? Quanto ci compromettiamo con la nostra fede sulla croce? E quanto crediamo veramente nella risurrezione? Oggi si parla molto di più della risurrezione! Ma di quale vita noi parliamo? Della vita risorta o della vita delle cellule staminali? Quanto la chiesa conta sulla risurrezione, perché Dio ci conta? Dio continua l'economia del servo. Perché è questo che ha fatto risorgere Israele dall'esilio e il Messia dalla morte. La metodologia di Dio: la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo è sempre la stessa! Dio continua a ragionare così! Questo è un manifesto della sapienza nascosta di Dio, quindi bisogna stare almeno con un piede alzato per dire: attenti, forse siamo là! Chiediamo al Signore che ci faccia capire che cosa ci vuole dire attraverso questa memoria del servo.

     

    Settima meditazione 

    Cerchiamo di capire che cosa Dio ha fatto di una vicenda storica di grandi dimensioni nella storia del suo popolo Israele e, se pensiamo alla misura di Dio, direi questa è una lontana preparazione alla venuta e al giorno del Figlio. Questo ci aiuta a misurare un po' finchè ci riusciamo come Dio ha un disegno sulla storia che va molto al di là dei disegni umani, ma che nello stesso tempo si sa servire di tutti i piccoli disegni umani.

    Il secondo Isaia a un certo punto chiama Nabucodonosor “mio servo”. E' interessante per l'identificazione del servo. Rimane il problema: chi è questo servo? Non lo sappiamo identificare perfettamente, perché potrebbe essere secondo alcuni il profeta stesso, che dopo aver annunciato un futuro pieno di speranza, forse ha conosciuto una passione, una contraddizione. Potrebbe essere anche Zorobabele che è stata l'ultima speranza davidica già quando l'impero persiano era succeduto all'impero babilonese. Zorobabele era un personaggio molto misterioso che a un certo punto è sparito dalla storia, perché i persiani saggiamente lo mandarono come governatore dei reduci dall'esilio e lui era un nipote dell'ultimo re di Gerusalemme; quindi era della casa di Davide. Infatti, se leggiamo Zaccaria, specialmente al cap. 6 e poi soprattutto Aggeo, vediamo che la speranza che si riponeva in Zorobabele, essendo davidico, senza essere re, perché ormai era un governatore persiano, poteva però risuscitare le sorti della casa di Davide. Poi a un certo punto lui ha rialzato l'altare dei sacrifici prima ancora che si ricostruisse il tempio, cominciò questi lavori di ricostruzione nel 520 a. C. e poi sparisce, tant'è vero che nello stesso Zaccaria il suo nome viene sostituito dal sacerdote Giosuè. Allora molti pensano che forse proprio perché era davidico è stato eliminato, forse dai persiani stessi per paura che risuscitasse il regno di Davide, ma certamente è un personaggio misterioso. Potrebbe essere legato alla profezia del servo. Il mio avviso è diverso. Io penso che oramai sono passati 60, 70 anni dalla morte di Giosia; è successo tutto questo insieme di catastrofi: la morte di Giosia, la sorte di Geremia, l'esilio, le distruzioni del tempio, l'incendio, la deportazione… Alla nostra contemplazione religiosa si staglia soprattutto la figura di Geremia. Noi troviamo nel secondo libro dei Maccabei ancora Geremia, celebrato come colui che prega per il suo popolo, colui che è vindice della sorte del suo popolo. Quindi mi sembra probabile che questa figura del servo sia una riproiezione della sorte di Geremia nel momento in cui si capisce che era lui l'unico profeta e che veramente diceva la verità e che il Signore parlava attraverso di lui.

    Mi pare possibile e probabile che questo servo, di cui non si dice il nome, in realtà sia il profeta stesso che ha cominciato questo movimento e che il secondo Isaia celebra retrospettivamente. Rilegge la vita di Geremia in un senso anche poetico, letterariamente molto alto in questa canzone del servo, che è insieme la canzone di Israele e la canzone del suo profeta. Però nel disegno di Dio ormai è entrata questa figura di qualcuno di cui Dio si può servire in modo privilegiato e che invece appare rigettato da tutti. Paolo dirà, parlando di Gesù: Dio l’ha fatto peccato per liberarci dal peccato. Maledetto colui che pende dal legno! Gesù è apparso crocifisso fuori delle mura di Gerusalemme e tutti potevano passare mostrando anche ai loro bambini come finisce l'empio! Quest'uomo è stato abbandonato da Dio; era un ribelle, un mentitore, un seduttore… vedi come Dio punisce la gente che non gli sono fedeli! Dio lo ha fatto peccato, lo ha esposto, mostrato come rigettato e invece è la pietra angolare del suo edificio. C'è tutta una serie di personaggi così, appunto i 36 giusti della leggenda cabalistica, che sono immagine di questo Forse anche noi abbiamo conosciuto direttamente persone che sono apparse come disapprovate dal popolo di Dio e che – invece – sono state delle cellule vitali della vita del popolo di Dio. Credo che così bisogna leggere anche tutta la vicenda della shoà. Forse noi oggi siamo vivi perché loro sono morti. Stiamo cercando di domandarci per quanto è possibile e a distanza di parecchi secoli forse è più facile che a distanza di pochi anni, che cosa Dio ha detto con questi fatti? I fatti sono successi, sono là! Tutti i libri di storia ne possono parlare, credenti o non credenti, biblisti o non biblisti, i fatti sono là. Israele pure esiste, è là e Israele che esiste è Israele modificato dalla nuova alleanza. Il tempio non c'è, c'è la sinagoga, l'osservanza della thora, c'è il primato della parola; poi ci sono le esagerazioni formalistiche come ci sono anche tra di noi, nelle nostre chiese. Noi continuiamo a dare sempre una grande importanza ai nostri abiti molto più che alle nostre anime! Questo è un fatto umano. Insomma i fatti sono là! L'interpretazione di questi fatti sta qui, nella parola. E allora abbiamo ricordato che la prima cosa è che la distruzione del tempio, l'inutilità del sacerdozio, reso inutile dal fatto che non c'è più culto sacerdotale, ha richiamato il primissimo piano la circoncisione del cuore. Quindi l'interiorizzazione del culto che diventa prima di tutto culto esistenziale, cioè offerta del corpo. Il nostro corpo è il primo tempio. Non sapete che i vostri corpi sono tempio dello Spirito santo - dice Paolo? Questo viene dalla nuova alleanza! E questo riguarda il rapporto con Dio, perché dicevamo che la novità della situazione si può articolare nei tre rapporti, con Dio, con il prossimo e con la terra. Questo riguarda il rapporto con Dio e il rapporto con Dio è visitato pure da questa rivelazione del servo, perché colui che ci sembra l'ultimo è il primo! Quello che ci sembra l'uomo da buttar via, la pietra scartata dai costruttori, forse invece è la pietra angolare. Quindi, attenzione nell'avvicinarci a Dio, nell'interpretarlo; lasciamoci piuttosto interpretare da lui.

    Poi c'è una seconda dimensione che è la nascita della sinagoga, cioè il popolo che non rinuncia a essere popolo, anche se si trova fuori della sua terra, senza il suo tempio e si autoconvoca intorno alla parola. E quindi nasce la sinagoga e nasce tutto un mondo religioso da cui nasce la chiesa. La chiesa è nata dalla sinagoga, più che dal tempio di Gerusalemme. Nasce tutta una vita familiare, popolare, di comunità che prima non c'era. Nasce una comunità devota; la comunità che poi si chiamerà dei “poveri del Signore”. Quando Isaia dice: che mi state ricostruendo il tempio? E' il momento in cui si sta ricostruendo il tempio di Neemia. Va bene! Ricostruitevi pure il tempio, ma io ho creato il cielo e la terra; non ho bisogno del tempio. Ho vissuto sotto le tende con i vostri padri, per secoli nel deserto; chi sarà il mio tempio? Il povero e l'umile che ascolta la mia parola. I discendenti di questi poveri, di questi umili li troviamo in Maria, Giuseppe, in Zaccaria, Elisabetta, Simeone, Anna, fino alle soglie del N.T., dove Gesù, nel discorso della montagna, parla della preghiera, del digiuno e dell'elemosina; e queste sono le dimensioni del giudaismo postesilico. Le vostre parrocchie sono la successione di queste comunità, che sono poi quelle a cui Paolo attraverso il Mediterraneo orientale ha annunciato l'evangelo. Diciamo che Paolo ha lasciato Israele per passare ai pagani, no! Paolo ha lasciato la sinagoga per passare alla prossima sinagoga. Poteva andare solo tra gente che aveva il fondamento delle Scritture. Una volta che si è messo a parlare a tutti all'Areòpago è stato un fallimento generale. Possiamo andare in mezzo alle strade a parlare alla gente, ma chi ci prende sul serio? Bisogna dialogare con le persone; l'annuncio del vangelo non è un grido nella notte. Bisogna parlare il linguaggio della gente; non si può andare con il megafono, dicendo: Cristo è la soluzione! La soluzione di che? Il dialogo fa parte dell'annuncio. Non annunciamo un prodotto, ma qualcuno che deve essere ricevuto liberamente dalla coscienza di colui che riceve l'annuncio. Queste sono le comunità che si sono formate soprattutto nella diaspora e di lì è rinato il giudaismo vivo, spirituale, serio. E' arrivato fino a noi e continua anche dopo di noi. Noi ci fermiamo in un altro aspetto ancora di questa situazione di fatto riscontrabile a tutti i livelli storici e anche umani, domandandoci che cosa il Signore ha voluto dire con questo? Geremia è stato un grandissimo profeta anche perché ha dissociato completamente la fede dalla politica. Fino ad allora, con la monarchia, ma già dai tempi del deserto, già dall'esodo egiziano e dai tempi della conquista, in Israele si era associato la fedeltà al Signore con la prosperità politica e nazionale. Sempre per quella teologia della retribuzione, di cui parlavo, per cui se siamo fedeli al Signore, le cose ci vanno bene; quindi, i cananei erano stati cacciati dalla terra promessa, i filistei erano stati sottomessi da Davide. E' vero che il regno del nord, che era un regno scismatico, era caduto sotto gli assiri, ma appunto perché erano scismatici; con noi invece c'è il Signore, Dio è con noi! Senza preoccuparci troppo di essere noi con lui! Lui è il nostro Dio, in un certo senso l'abbiamo in mano. E Geremia, quando ancora il tempio esisteva, si era messo alla porta del tempio a dire: Non dite tempio del Signore, tempio del Signore! Perché questo tempio può essere anche distrutto! E l'avevano cacciato via in malo modo! Ma quando il tempio è stato davvero distrutto e quando l'indipendenza nazionale è finita e il popolo è stato deportato in esilio, è stato un crollo politico di prima grandezza! E allora ecco la crisi anche di fede, perchè vuol dire che il Signore ci ha abbandonato! E Geremia è stato capace di qualche cosa di inimmaginabile in quel tempo e in quel mondo, cioè di dire: No! Perché dite che il Signore vi ha abbandonato? Voi siete ancora il popolo del Signore. Avete perduto la vostra indipendenza? Ebbene: si può essere popolo del Signore anche senza indipendenza. La lettera che scrive agli esiliati nel cap. 29, quando dice: statevene buoni a Babilonia! Mettete su casa! Fate sposare i vostri figli e le vostre figlie! Pregate per il popolo che vi ha sottomesso. Fa un discorso che sembra apparentemente di collaborazionista e infatti era poi quello che diceva di arrendersi ai Babilonesi e consigliava ai re di Giuda di piegarsi a Nabucodonosor. E no! Nella lettera lui dice: un giorno anche Babilonia cadrà! Non è vero che è un profeta pro-babilonesi! E' un profeta di Dio, quello sì! Anche Babilonia pagherà per i misfatti, ma voi intanto non cercate di fare una lotta di liberazione nazionale per ricuperare l'indipendenza; il Signore vi ridarà l'indipendenza, ma sarà lui! Sarà un dono, come è stato un dono quello della terra, quando l'avete conquistata la prima volta. Lui introduce una differenza radicale tra la fedeltà al Signore e l'essere popolo di Dio, anche con le sue strutture di popolo di Dio, appunto la sinagoga, il culto, la thora e la situazione terrestre, la politica terrestre, lo statuto terreno del popolo di Dio. Ma questa è un'operazione di importanza fondamentale, sia a livello storico, sia a livello spirituale. Questo incide sulla nostra situazione di oggi, qui in Italia e altrove! Ad esempio in riferimento alla situazione del Libano di oggi, che è retto strutturalmente e politicamente sulle religioni. Bisogna che il presidente sia cristiano, che il capo del governo sia musulmano sannita,… cioè: c'è la proiezione terrestre della religione e quando c'è questa proiezione terrestre vuol dire che stiamo ancora indietro, che stiamo ritornando al tempo di Davide. Ma questo non può essere una prospettiva di nuova alleanza. Quando le sorti della chiesa dipendono dal voto politico, vuol dire che stiamo molto indietro! Dunque Geremia ha fatto avanzare la coscienza del popolo di Dio che hanno scoperto per la prima volta che si poteva essere popolo di Dio più vivo che mai; anzi, più vivo che mai, perché l'esilio è stato un corso di esercizi spirituali per il popolo di Dio. Ne sono usciti molto più ferventi di prima, tanto che quando sono ritornati, non si sono riconosciuti con quelli che invece erano rimasti, perché Ezechiele e i suoi sacerdoti avevano fatto un buon lavoro pastorale, dando a questa gente la coscienza: siamo in mezzo alle nazioni pagane che ci hanno sottomesso e però, approfittando della tolleranza che i babilonesi suscitavano, abbiamo ritrovato anche il fervore della nostra fede.

    Oggi si parla molto del problema dei cristiani palestinesi, se ne vanno, sono l'1,8% , bisogna tenerli assolutamente! Ma non sono cristiani! Sono cristiani di nascita! Ho conosciuto parecchi di questi cristiani che sono stati mandati via e se ne sono andati; se ne sono andati dai loro parenti, dalle loro comunità, perché i cristiani palestinesi sono disseminati nell'America Latina, nell'America del Nord, in Australia… sono ritornati con la fede, perché hanno trovato delle parrocchie vive, in cui aveva scoperto che cosa voleva dire essere cristiani. L'esilio può essere il luogo della rinascita spirituale; non dico che lo sia automaticamente! Ma certo non si è cristiani rimanendo nella comunità cristiana, che non ha nulla di cristiano, se non forse le croci che si portano al collo! Come ragiona il Signore? L'importante è il bene di questa gente, è che cosa avviene nelle loro coscienze! Che cosa c'è di cristiano, se poi fanno vendette come gli altri cristiani? C'è di cristiano solo il nome. Questo è il nostro problema: lo statuto terreno del credente! Noi abbiamo bisogno di uno statuto terreno, perché abbiamo un corpo! Questo corpo si deve situare in qualche luogo! E questo corpo ha bisogno di un'economia, di una socialità e di una presenza. Dobbiamo anche e giustamente desiderare di annunciare la nostra fede, quindi: libertà di parola, di insegnamento, ma per fare questo non possiamo allinearci ai modelli mondani! Perché noi siamo il popolo di Dio e la società umana non è il popolo di Dio! La chiesa ha subito alla fine dell'800, alla fine della rivoluzione francese, un complesso di inferiorità rispetto alla società civile e allora abbiamo detto: lo Stato è una società perfetta, anche la Chiesa è una società perfetta, perché ha tutti i mezzi per raggiungere il suo fine. Lo Stato ha fatto il codice civile, allora noi abbiamo fatto il codice di diritto canonico, che è nato all'inizio del 900. La società civile promuove la scienza e allora anche la teologia fa scienza. Abbiamo fatto l'apologetica, avevamo un ripetitore di morale, quando abbiamo studiato in teologia. Ci dicevano: quando confessate, dovete dimostrare l'esistenza di Dio, la divinità di Cristo e la divinità della chiesa; due minuti per l'esistenza di Dio, due minuti per la divinità di Cristo, due minuti per la divinità della chiesa. Perché questo? Perché tutto è dimostrabile! Che Dio esiste, le vie di S. Tommaso… tutto è dimostrabile come la matematica! Allora abbiamo pensato di organizzare la chiesa sul modello dello Stato fino a benedire i gagliardetti fascisti… Il Vaticano II è stato un evento di nuova alleanza! Perché ha cominciato a dire: la chiesa è popolo di Dio, lo Stato non lo è! Cominciamo da ciò che è diverso e non da ciò che è uguale! La chiesa è la sposa di Cristo, lo Stato non è lo sposo di nessuno! Questo non vuol dire che dobbiamo disprezzare lo Stato, ma lo Stato deve fare lo Stato per tutti i cittadini! Lo Stato non è il difensore della chiesa; lo Stato deve dare libertà a tutti i cittadini, fare il bene comune e noi come cristiani dobbiamo volere che lo Stato faccia il bene di tutti gli altri, anche dei non-cristiani, perché è giusto, è l'economia della creazione. Noi però dobbiamo pensare alla nostra vocazione dentro questo Stato. Questo è il problema di Geremia: siate popolo di Dio a Babilonia! Non aspettate di ritornare nella vostra patria per dire: allora ricominceremo ad andare a messa! Inventate un modo di essere popolo di Dio in mezzo alla gente in cui siete stati disseminati e che non partecipa della vostra fede, ma non aspettatevi che il loro modo di vita favorisca la vostra fede. Caso mai siete voi che dovete testimoniare qualche cosa di nuovo in mezzo alla gente in cui vivete. Ecco perché l'esilio è stata una forte iniezione di identità spirituale nel popolo ebraico, proprio perché provocati dal fatto che si vive a contatto con altri che non partecipano della nostra fede. Ma se aspettiamo che i Babilonesi ci aiutino a essere buoni ebrei, certamente non avverrà mai! Questo problema da affrontare riguarda il rapporto con la terra. Noi siamo sulla terra e dobbiamo essere terreni, ma non terrestri. E Geremia ha avuto il coraggio, a proprie spese perché ha pagato caro questo, di predicare proprio questo. La prosperità nazionale non è direttamente proporzionale alla prosperità spirituale! Se viene, benedetto sia il Signore! Non si tratta di respingere la dimensione terrena, ma si tratta di distinguere bene che cosa appartiene a Dio e che cosa appartenga al mondo. Questa è stata un'operazione formidabile per tutta la storia umana e noi siamo ancora alle prese con questo problema soprattutto nei confronti dell'Islam, perché l'Islam invece unisce assolutamente l'identità nazionale e l'identità religiosa. E non solo l'unisce, ma oggi dobbiamo vedercela direttamente con loro!

    C'è la chiesa e c'è lo stato, ci deve essere un'accoglienza mutua dell'uno verso l'altro, la comprensione non di come io mi posso servire di te per i miei interessi; questa non è amicizia o dialogo, ma di comprensione di cosa tu devi essere e di cosa io devo essere e di come possiamo aiutarci a essere ciascuno quello che deve essere. Questo come programma è una cosa meravigliosa, ma viene da questa situazione di cui stiamo parlando; questo è nato con la nuova alleanza! C'è voluto l'esilio per scoprire che si può essere chiesa anche in esilio. Questo è ancora qualche cosa di sconosciuto nella maggior parte del mondo civile, perché ci sono migliaia di morti a causa della religione che vuole servirsi della politica e viceversa! Quando una chiesa è in maggioranza si pongono problemi di un certo tipo, quando la chiesa è in minoranza si pongono problemi di un altro tipo! La nuova alleanza non è la soluzione trovata, perché le cose di Dio non sono mai le cose belle e fatte, ma è una direzione indicata verso cui bisogna andare se si vuole avanzare; se invece vogliamo retrocedere allora facciamo le crociate, la battaglia di Lepanto… Ma non è vero che la Madonna ci ha aiutato a Lepanto? Certo! In quel momento è stato un modo di salvezza della cristianità, però oggi i turchi arrivano da altre parti! Non è più questione di battaglia di Lepanto, bisogna affrontare il problema senza nessuna esigenza di dire: questa terra è nostra! Qui non dovete entrare! La terra è di Dio e il Signore è abbastanza potente per guidare il suo popolo in situazioni nuove e completamente inimmaginabili, perché certamente il mondo si sta talmente mescolando, in un modo tale che il piano di Dio non è più riconoscibile nelle cittadelle cristiane, assediate dai barbari.

    Questo aspetto non ha una dimensione personale che tocca ciascuno di noi? A me pare che questa dimensione personale stia in questo: nel mio bisogno di avere uno statuto sociale come cristiano, come sacerdote, come religioso, cioè di essere riconosciuto come autoritativo, perché sono sacerdote, di essere rispettato in un modo particolare… Facciamoci rispettare per quello che siamo, non perché è vietato prenderci in giro! Il prete deve essere rispettato perché ha il colletto romano? Tutt'altro! Ma perché ha la coscienza pulita! Se poi ci portano in prigione perché abbiamo la coscienza pulita, diciamo: sia benedetto il Signore! La libertà che ci dà Dio! La dignità che ci dà il nome di Gesù! Certe forme, certi modi di presentarsi, certe apparenze possono aiutare, ma siamo proprio sicuri che sia quello un vero aiuto? Questo aspetto di avere uno statuto terreno della nostra fede! Oggi ricordiamo S. Clemente. Scrive una grande lettera ai Corinzi, proprio come scrivevano gli apostoli e il titolo è così: la Chiesa di Dio “pellegrina a Roma” scrive alla chiesa di Dio pellegrina a Corinto. Non la chiesa di Roma scrive alla chiesa di Corinto! Non c'è una chiesa di Roma e una chiesa di Corinto. La chiesa è di Dio, pellegrina a Roma e pellegrina a Corinto. “Paroikousa” ci ricorda la parrocchia e la parrocchia non è una cosa di Roma, ma è un una tenda di pellegrini, accampata a Roma. Infatti la prima lettera di Pietro parla proprio di questo: Voi siete stranieri e pellegrini e comportatevi allora non secondo la carne, ma secondo lo spirito. “straniero e pellegrino” traduce il termine ebraico che significa “di passaggio”, nomade. E questa era la definizione dei patriarchi, di Abramo e Dio lo dice nel Levitico, al cap. 25, quando parla di come si vive nella terra promessa che il Signore vi ha donato: Voi non potete vendere le terre, perché la terra è mia! E voi davanti a me siete stranieri e pellegrini! Ha detto agli Ebrei nella terra di Israele. Nessuno ha diritto alla terra! Se Israeliani e Palestinesi oggi capissero questo, non sentirebbero il bisogno di affermarsi, cacciando via l'altro! E questa definizione dei patriarchi nella lettera agli Ebrei al cap. 11 diventa invece la definizione della fede. Per la fede Abramo lasciò la sua terra e divenne straniero e pellegrino! E la chiesa è nomade nel mondo, ma presente. Non abbiamo più il tempio; il tempio siamo noi, la comunità cristiana. Possono distruggere tutte le nostre basiliche, ma la chiesa non si regge sulle basiliche, ma si regge sui cristiani. Questo è vero, ma bisogna che la gente lo veda e lo capisca. Il funerale di Giovanni Paolo II è stata una cosa meravigliosa, ma non perché la gente veniva a S. Pietro, ma perché la gente veniva a lui. E' stato un risveglio di persone che hanno fatto la fila per ore, per vederlo! Questa è la testimonianza della chiesa, dei vergini e dei martiri. Che questo sia fatto in piazza o in basilica, questo importa poco! Bisogna che queste verità della nostra fede diventino visibili. Una visibilità dobbiamo averla, ma è la visibilità di cui parla la lettera a Diogneto, quando dice che i cristiani non si distinguono perché vanno vestiti in un modo speciale, ma perché vivono in un modo speciale. E' la condotta cristiana, cioè il modo di camminare, il modo di condursi che deve essere differente, che deve parlare in un certo senso al mondo. Quanto dobbiamo ancora liberarci dalla terrestrità, dalla falsa convinzione che abbiamo bisogno di tanti sostegni socio-politici, culturali… Tante volte la chiesa fa il progetto culturale, ma non bisognerebbe fare il progetto cristiano della cultura? Il cristianesimo deve diventare cultura o la cultura deve diventare cristiana? Questo incide a un certo punto anche sulla nostra anima. E allora quanto mi devo occupare delle partite di calcio, della politica, dei giornali, del cinema, della TV… Certo si può sempre trovare una ragione apostolica di fare il cappellano della squadra di calcio…, ma insomma qual è la nostra chiamata, il modo di impiegare il nostro tempo? Non c'è una regola generale, ma ognuno deve trovare la propria identità conforme alla parola del Signore. Dove sta il mio cuore e se una campagna politica mi può occupare in modo così eccessivo, allora è meglio andare a fare il politico? Qual è la politica di Dio, quella che ci sta rivelando la lettura dei profeti? Qual è stata la politica di Dio e come tutto questo lo possiamo riconoscere nella condotta di Gesù? Come ha risolto Gesù questo problema? Date a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare! Certo Gesù ha avuto una statura sociopolitica; la sua morte ha anche una dimensione politica, ma l'ha risolta sulla croce! In questa dissociazione tra prosperità sociopolitica nazionale, indipendenza e prosperità spirituale di popolo di Dio, questo è un altro capitolo molto forte di questa alleanza nuova che sia Israele, sia la chiesa sono chiamati a vivere e sono chiamati ancora a progredire in questo. Bisognerebbe capire qual è il valore religioso di Israele che ha recuperato il suo Stato? Ha recuperato il suo Stato per ritornare al tempo di Giosuè oppure per avanzare e condividere questa terra con altri, dato che la terra è soltanto del Signore?

     

    Ottava meditazione 

    Meditiamo un ultimo aspetto del modo in cui si presenta la nuova alleanza nella storia e che rimane un aspetto fondamentale anche nella nostra chiesa, ma ognuno di questi capitoli che abbiamo toccato sarebbero da sviscerare perché ne nascono tutta una rosa di conseguenze, di chiarificazione di che cos'è quest'inizio del regno dei Dio che poi è affidato alle nostre povere mani.

    L'ultimo aspetto mi pare di poterlo presentare così. Oggi vi dicevo che la definizione sociologica prima di tutto dei patriarchi era quella che Abramo dice quando deve seppellire sua moglie: Io sono tra voi uno straniero e un pellegrino. Questa che allora era una condizione sociologica, perché Abramo era un nomade, uno che non ha fissa dimora, tant'è vero che deve comperare la prima grotta di Macpelà, dove seppellirà sua moglie; la lettera agli Ebrei invece rappresenta come: è per la fede che noi siamo stranieri e pellegrini! Questo concetto “la tua chiesa pellegrina sulla terra”, è entrato poi nella nostra liturgia. La chiesa è pellegrina sulla terra. Non abbiamo una terra santa, tutta la terra è santa! Non abbiamo una città santa; la nostra città santa è l'Eucaristia, che può essere celebrata dovunque! Questo rende il popolo di Dio “ambivalente” in un certo senso, perché è presente sulla terra, ha un'identità. Sul portale di S. Giovanni in Laterano c'è scritto: “caput et mater omnium ecclesiarum”; quella è una bugia costantiniana, perché S. Giovanni in Laterano non è la madre di tutte le chiese, però è il centro, il caput di tutte le chiese. La madre di tutte le chiese è Gerusalemme. Infatti se andate a Gerusalemme nella chiesa della dormitio Mariae, nella cripta, ci sono delle colonne che sono state ritrovate dagli scavi dei padri benedettini e sopra c'è scritto: queste sono le colonne della chiesa madre di tutte le chiese. E Paolo VI in una lettera scritta alla chiesa della terra santa, dice: questa è la madre di tutte le chiese! Noi veniamo di là! Però a S. Giovanni in Laterano c'è non il cuore, ma il capo della chiesa, la testa. La chiesa ha una sua testa, ma nello stesso tempo è mandata al mondo! E allora l'esilio è stata una grazia per Israele perché si è trovato disseminato al di fuori della sua terra. Così è cominciata l'evangelizzazione dell'Europa, per cui le radici dell'Europa sono piuttosto ebraiche, ebraico-cristiane, perché allora nelle comunità giudaiche della diaspora si è diffusa la religiosità biblica. Gli Atti degli Apostoli ci mostrano bene come l'evangelizzazione è nata dalle varie comunità ebraiche della diaspora e noi sappiamo quanti ufficiali, governatori e addirittura imperatori romani hanno sposato delle donne ebree, perché le donne ebree erano stimate molto più pure e oneste delle donne gentili. E attraverso il matrimonio, come poi è avvenuto delle donne cristiane con i barbari germanici, è avvenuta l'evangelizzazione dei popoli. Ora in esilio cosa è successo? Leggetevi soprattutto Tobia 13, un testo molto bello che noi troviamo spesso nell'Ufficio. Tobia dice: Tu ci hai disseminato in mezzo alle nazioni e in mezzo alle nazioni abbiamo ritrovato il senso della nostra vocazione… La vocazione di Israele è santificare il nome del Signore in mezzo alle genti e per santificare il nome del Signore in mezzo alle genti, bisogna stare in mezzo alle genti! Certo, non assimilati alle genti: è la grande preoccupazione di Israele. Non farsi assimilare e nello stesso tempo rimanere differente, ma di essere presente in mezzo per essere il lievito nella pasta, il sale nel cibo. Il sale non si può mettere insieme, non può costituire un cibo; anzi è un guaio quando mangiamo e si trovano pezzi di sale! Però è un guaio anche quando si trova il cibo insipido. Il sale deve essere sparso, ma rimanere sale per salare. Questo c'era nella fede di Israele fino all'esilio, perché c'è nella vocazione di Abramo: tu sarai una benedizione per tutti i popoli della terra! Però si stava a Gerusalemme, in Giuda, in Israele, nella terra santa. In un certo senso l'esilio ha rotto questa concentrazione e ha sparso il sale tra le nazioni, tanto che Babilonia è diventata il centro principale della cultura ebraica fino al decimo secolo dopo Cristo. Un po' come è stata poi la Polonia, la Lituania soprattutto e come oggi è il mondo nord americano, dove c'è un centro della cultura ebraica adesso insieme a Gerusalemme che è diventato un centro internazionale. Cioè l'esilio ha ridato al giudaismo la sua vocazione missionaria. Il Signore si serve veramente delle prove più dolorose del servo per costruire qualche cosa che sviluppa il suo disegno guardando molto lontano. Paolo non avrebbe mai potuto evangelizzare il mediterraneo orientale fino a Roma e forse fino in Spagna, nell'Illiria, se non ci fossero state le comunità ebraiche; dove andava? A chi andava a parlare? Alessandro Magno ha fornito senza volerlo una lingua comune a tutto questo continente europeo asiatico con il greco della koinè, perché anche per evangelizzare bisogna parlare una lingua, non si può parlare una lingua che non è conosciuta da colui che viene evangelizzato. C'è stata questa mescolanza dal secolo VI in poi, perché poi i grandi imperi, non solo i Babilonesi, ma anche i Persiani, i Greci e i Romani sono serviti proprio per unificare le nazioni, gli stati e quindi per costruire le strade su cui poi sono passati anche gli evangelisti. Si è iniziato allora questo movimento che noi vediamo, ad esempio, alla fine del libro di Zaccaria. C'è la battaglia intorno a Gerusalemme e poi che tutti devono venire a Gerusalemme; guai se non vengono a Gerusalemme anche le nazioni che hanno marciato contro di essa! Devono venire tutti a celebrare una grande festa, la festa delle Capanne sul monte Sion, in cui si mangeranno carni grasse, si berranno vini prelibati, perché tutti sono invitati là a fare festa. Questa è la visione che poi riprende Giovanni nell'Apocalisse, è la visione già anticipata della storia di Giuseppe in Egitto, cioè il mondo va verso una grande comunità culturale, economica, di pace intorno al popolo di Dio a Gerusalemme. E Gerusalemme diventa la città da cui si discende verso le nazioni e verso cui le nazioni salgono. Abbiamo questa immagine della salita e della discesa che è quello che è successo dopo l'esilio, perché da una parte, non è mai stato dimenticato che Gerusalemme è la città di Dio; e c'è questo fatto ammirevole che le comunità ebree della Lituania, della Finlandia… hanno sempre il cuore orientato verso Gerusalemme, anche senza esserci andati mai! Da una parte quella è la città santa; dall'altra siamo disseminati nel mondo. Quindi abbiamo il cuore orientato verso Gerusalemme, però siamo in mezzo alle nazioni. E voi sapete che gli Ebrei si sono distinti per essere brillanti in tutti i campi, umani, di scienza, di filosofia, di musica, di arte. C'è stata veramente una semina abbondante pur restando differente, tanto differente che, alla fine, Hitler gli ha fatto sentire bene la loro differenza! Ma questo aspetto di semina è fondamentale, perchè ha fatto riscoprire la vocazione missionaria. Per cui non sarebbe sano se tutti si concentrassero in Israele. La comunità ebraica ha bisogno della diaspora! Nella diaspora è successo l'ultimo capitolo della nuova alleanza e anche un po' dell'A.T., il dialogo con le culture pagane. La letteratura sapienziale, che occupa 1/3 della Bibbia è nata dopo l'esilio. Prima c'era stato qualche contatto culturale soprattutto con la cultura egiziana. L'Egitto è stato sempre il parente prossimo, ma poi c'è stato il grande incontro e confronto con la cultura mesopotamica e sono nati i Proverbi, il Qoèlet, il Cantico dei Cantici, Giobbe. Giobbe non era un israelita, era un pagano di nuova alleanza! E' molto interessante che un personaggio come Giobbe che in fondo è l'amico di Dio, quello che il Signore tiene vicino, anche se lui non se ne rende conto, non è un israelita. E' chiaro che la letteratura sapienziale è una letteratura ebraica, ma è una letteratura ebraica in cui l'ebraismo fa da sottofondo nella fecondazione della cultura umana. Che cos'è in fondo la Sapienza? La Sapienza è l'esperienza della vita che gli uomini hanno, che cos'è la vita e che cos'è la morte, che cos'è l'uomo e che cos'è la donna; che cosa sono i figli, come si fa il commercio, come si fa la pace e come si fa la guerra… tutto fecondato dalla fede israelitica; tutto anche fatto oggetto di discernimento, che cosa possiamo accogliere dalla sapienza delle nazioni e che cosa possiamo dare alla sapienza delle nazioni. Ma questo è fondamentale per la testimonianza del nome del Signore, perché bisogna pure avere un dialogo, dei rapporti di amicizia, di stima. Bisogna dire all'altro a cui io annuncio l'evangelo: mi interessi tu, mi interessa la tua cultura, mi interessa come tu vedi la vita e la morte, qual è la tua speranza prima di dirti la mia, che cosa possiamo mettere in comune? Tutta questa è la dimensione sapienziale che Israele ha scoperto con l'esilio, cioè stando in mezzo alla gente. Intendiamoci, stando in mezzo alla gente ci sono anche in tutti i profeti dell'esilio e del post-esilio gli oracoli contro le nazioni. Li ha Geremia; li ha Ezechiele, li ha il secondo e il terzo Isaia, perché chiaramente c'è anche lo scontro! Infatti il dialogo è fatto di botta e risposta. C'è lo scontro, c'è la denuncia soprattutto dell'idolatria, ma ancora di più c'è la denuncia della sufficienza delle nazioni pagane che si credono padroni e controllori del mondo. Basta leggere gli oracoli contro Tiro. Tiro è stata una grande potenza a lungo assediata. Quest'arroganza delle nazioni! Perché c'è tanto americanismo nel mondo? Perché c'è questo aspetto degli Stati Uniti come la nazione suprema, come i padroni del mondo! Alcuni lo capiscono, altri no! Gli oracoli contro le nazioni sono molto forti, ma nello stesso tempo c'è l'apprezzamento di ciò che c'è di bello e di buono nelle nazioni. Questo discernimento fatto fra il popolo di Dio e le nazioni, fra la chiesa e il mondo: questo è fondamentale anche per l'avvenire dell'umanità e per l'avvenire del regno di Dio. Certo su questo punto si può esagerare. Ho letto il titolo di un libro: “mi hanno evangelizzato i poveri!” E' Cristo che ci evangelizza, non i poveri! Certo, i poveri mi fanno capire le parole del vangelo, molto di più che se noi siamo solo ricchi, perché allora facciamo i gruppi del vangelo nei nostri salotti, ma questa non è evangelizzazione. E' vero: i poveri ci fanno capire parecchie cose di ciò che dovremmo essere. Non bisogna esagerare né nel fatto che i poveri non hanno niente e noi gli diamo tutto, né nel fatto che noi non abbiamo più niente e i poveri ci danno tutto! C'è un dialogo da fare, un dialogo da parte di Dio; non è un dialogo di culture soltanto. Parliamo di parola del Signore rivolta agli esseri umani, che sono creati per essere ascoltatori della Parola, uditori della parola. Noi siamo strutturati per creazione come capaci di accogliere la parola di Dio. Certo, perché se Dio parla e poi crea, crea della gente che sia capace di ascoltare. Vuol dire anche che se Dio parla, la prima cosa che dobbiamo fare è quella di stare zitti, cioè ascoltare; non possiamo parlare prima di tutto. Ma questo è fondamentale per essere veri esseri umani prima ancora che evangelizzatori. E per questo non bisogna avere paura degli altri, di perdere la nostra identità; anzi Israele ha rafforzato la propria identità proprio a contatto con le nazioni.

    Che cosa dovremmo concludere su questo? Come portare i remi in barca per quello che stiamo facendo qui? Queste linee di identificazione della nuova alleanza si ritrovano tutte in Gesù, nella chiesa del N.T. Gesù durante la cena, prima della passione, prende il pane e il vino e dice: questo è il calice della nuova alleanza! Che cosa fa? Inaugura l'alleanza o tira le somme di sei secoli in cui questa alleanza è vissuta dal suo popolo? Questa è la nuova alleanza e che cosa cita? Geremia. L'unica parola che porta nuova alleanza la dice Geremia. E quando Paolo dice: noi siamo i ministri di un'alleanza nuova, cita Geremia. Questa citazione è esplicita nella lettera agli Ebrei. C'è tutto Geremia, il cap. 31. Quindi è chiarissimo che nella coscienza di Gesù e dei primi cristiani e degli apostoli c'è questa illuminazione che si fa; in lui, in questa persona, in quello che noi chiamiamo il Messia che è morto e risorto, si compie quello di cui parliamo da sei secoli e che andiamo cercando di vivere e di mettere in pratica tra mille difficoltà. Infatti la nuova alleanza non è una dimensione sociologica, ma è una dimensione spirituale. Non avrei nessuna paura a dire che Mosè è uomo della nuova alleanza, perché ha un rapporto con Dio e un'apertura al suo popolo che in situazioni certamente diverse, però mette in opera i criteri della nuova alleanza. Giuseppe, figlio di Giacobbe, è un uomo della nuova alleanza; è un esempio di perdono e non solo di giustizia, che è del tutto neotestamentario. La prima cosa da capire bene: la nuova alleanza non è il N.T. Della nuova alleanza ne parla l'A.T. L'unica questione che si potrebbe fare: nell'A.T. si parla di una nuova alleanza che verrà solo nel N.T. o no? Se prendete Geremia, dai capp. 30-33, tutto il contesto di quei versetti che parlano della nuova alleanza vanno insieme. Quell'introduzione: verranno giorni in quel tempo…quante volte è ripetuto? Continuamente! Tutto questo contesto è il ritorno dall'esilio. E se in questo contesto c'è la profezia della nuova alleanza vuol dire che la nuova alleanza fa parte delle cose che si verificano dal ritorno dell'esilio; comincia… Però anche perché la nuova alleanza è anche l'ultima alleanza, perché è l'alleanza perenne, di pace, eterna, allora si estende attraverso i secoli e il compimento pieno della nuova alleanza deve ancora venire.

    Noi l'aspettiamo nell'avvento, aspettiamo che venga il Signore! Lui che cosa rappresenta? Un primo compimento, perché si presenta come persona, dicendo: io sono la nuova alleanza! Certamente nel N.T. c'è un passo avanti, decisivo; però resta vero anche oggi che la nuova alleanza ha una dimensione spirituale. Possiamo nascere oggi o domani, ma non siamo ancora nella nuova alleanza, se non diventiamo uomini della nuova alleanza! Possiamo essere nella chiesa, ma essere ancora nell'alleanza del Sinai. Possiamo essere sacerdoti, ma non ancora sacerdoti secondo Gesù. Spesso possiamo stare con un piede da una parte e un piede dall'altra. Luca ci mostra continuamente che i discepoli di Gesù lo seguono, ma senza ancora aver capito bene chi è. Ad esempio: Marta e Maria. Maria ha capito subito; Marta non ha capito bene, perché Gesù c'è, ma è diventato una delle molte cose da fare, tanto che vuole strappare la sorella, dicendo: vieni ad aiutarmi! Sì, maestro parla; ma lo si può ascoltare anche mentre si fanno le faccende di casa. Il giovane ricco ha osservato tutte le leggi del Signore dalla sua giovinezza e questo giovane è un santo, però non è capace alla fine lasciare tutto e seguire Gesù, lasciare anche tutta questa osservanza dei comandamenti, perché poi continuerà ad osservarli ancora di più seguendo Gesù, perché ha ancora molte ricchezze; non è capace di semplificare la sua vita sull'unica cosa necessaria. E' qualcuno che si avvicina a Gesù e gli dice: Maestro buono. Gesù lo guarda negli occhi e lo ama, però… Pietro invece dice: e noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che cosa ci succederà! Ha lasciato tutto e l'ha seguito, ma poi lo rinnega nel momento della passione. La nuova alleanza è' una dimensione spirituale in cui si può entrare e uscire, magari senza accorgersene, seguendo un disordine spirituale che ancora non si è semplificato in noi. E questo credo si possa dire anche della chiesa. La chiesa com'è oggi, non credo che nessuno potrebbe dire che è completamente al 100% una chiesa della nuova alleanza. Ci sono ancora tante cose che sono in cammino. Come spiegare che ci sono dei cristiani razzisti; anzi il razzismo usa proprio il cristianesimo per dire: noi siamo diversi perché siamo cristiani. E cosa ha a che fare questo con la nuova alleanza? Eppure sono nella chiesa, sono nostri fratelli e dobbiamo amarli, sapendo che siamo chiamati ad andare un po' più avanti. Si può addirittura tornare indietro come si è tornati indietro con le crociate. E' stata percorsa l'Europa al grido di “Dio lo vuole!” e sono sicuro che Dio non lo voleva. Si sono fatti santi come S. Bernardo, si sono guadagnate indulgenze per chi andava nella crociata… il Signore sicuramente si è servito anche di questo, perché questo è poi il discorso che si impara dalla meditazione della nuova alleanza. C'è un gioco di Dio enorme; è il gioco che comincia con la creazione e finisce alla Gerusalemme celeste; c'è un disegno di Dio che copre tutta la terra. E noi stiamo giocando il nostro piccolo gioco, vedendo le cose a distanza di pochi metri.

    Sono sicuro che questo viaggio in Turchia del Papa, sarà qualcosa di molto diverso da quello che noi ci immaginiamo, qualunque cosa succeda! Noi non siamo gli interpreti di Dio, ma siamo mandati da lui per una missione chiara, vera, se ci manteniamo nell'ambito della sua parola, facendo anche il nostro piccolo gioco nel modo più pulito possibile, almeno nelle nostre coscienze, non facendo trucchi, ambiguità, doppi giochi, fatti compiuti davanti a cui mettiamo il Signore… ma cercando veramente, avendo la coscienza pura; però siamone certi: il nostro gioco non sarà mai il gioco di Dio completamente! Dobbiamo preoccuparci non se Dio è con noi, ma se noi siamo con Dio. Non possiamo mai fare Dio “nostro”. Io sono il vostro Dio (sarebbe il vostro Signore), voi siete il popolo mio. Questo “mio” e “mio” non è sullo stesso piano, perché il Signore è anche padrone del cielo e della terra. E' anche il Dio degli Egiziani, dei Babilonesi! Di Nabucodonosor il secondo Isaia dice: il mio “servo” Nabucodonosor! E di Ciro dice “il mio Messia”. Perché se voi che siete il mio popolo non mi sapete essere fedeli, io vado a cercarmi altri presso i gentili. Il Signore non sta nelle nostre mani, non lo afferriamo, non lo possediamo; non sarebbe il vero Dio se lo possedessimo e parlasse solo la nostra lingua! Quindi dobbiamo comporre queste due cose: un respiro largo davanti al Signore, davanti al trono di Dio, dove è seduto qualcuno che non si vede… e però, nello stesso tempo, camminare verso Gerusalemme, sapendo che non sappiamo nulla di come finisce la storia, perché il giorno del Figlio dell'uomo non conosce preparazione, arriva come fulmine nel cielo, per cui chi sta nel terrazzo è meglio che non scenda per prendere la valigia in camera perché non fa a tempo. Trovarci bene in questa situazione: questo è importante spiritualmente per vivere nella pace; trovarci bene in questa sproporzione davanti al nome del Signore, e però anche ben coscienti di quello che dobbiamo fare. Siamo servi inutili; abbiamo fatto solo quello che dovevamo fare! Allora, il padrone verrà; invece di mettersi a sedere e farsi servire, ci laverà i piedi e si metterà a servirci.

     

    Nona meditazione

    Dicevo all'inizio che la teologia, una certa intelligenza della parola di Dio comincia sempre dai fatti. Abbiamo visto in questi giorni come vicende storiche avvenute sullo schermo della storia del Medioriente abbiano provocato a distanza di 50-60 anni tutta una svolta molto importante di spiritualità, di teologia. E' nato il giudaismo, ciò che in germe già esisteva è stato portato a compimento progressivamente e quindi sempre, questo si può vedere anche negli Atti degli Apostoli, i discorsi apostolici nascono da situazione concrete, da fatti. Gli apostoli parlano e si fanno capire da gente di varie lingue e allora Pietro fa il primo discorso kerigmatico della Pentecoste. Viene un terremoto a Filippi, Paolo e Sila che stanno in prigione ne approfittano per dire al carceriere di non uccidersi perché non sono scappati e da questo fatto viene l'evangelizzazione della famiglia del carceriere. Cioè, la vita precede sempre l'evangelizzazione, anzi deve precederla sempre. Per cui Pietro poi dice: rendiamo ragione della speranza che è in noi; vuol dire che deve apparire che viviamo di speranza. Quando sono stato destinato a Gerusalemme mi ha colpito molto l'incontrare delle persone viventi. Conoscevo vari libri sui giudeo-cristiani, ma queste erano cose del terzo, quarto secolo. Una cosa che mi ha impressionato molto, un fatto inevitabile, incontrare per le strade di Gerusalemme dei cristiani giudei che avevano proprio la convinzione che non erano diventati cristiani, che avevano la coscienza di essere rimasti perfettamente giudei, anzi più giudei degli altri, proprio perché avevano incontrato il loro messia e alcuni, ci sono ancora, sono anche entrati nella chiesa cattolica con tanti sacrifici, con tante difficoltà come quella di diventare latini, mentre loro non hanno nessuna ragione di essere latini., né come lingua, né come tradizione, né come liturgia. E allora sono 30 anni che io mi sforzo di capire che cosa è successo in questa gente. A fianco ci sono tutti gli altri giudei loro fratelli che non prendono sul serio l'insistenza delle chiese cristiane, il nome di Gesù… anche se a livello culturale soprattutto in certi ambienti universitari si parla di Gesù. Ci sono dei corsi su Gesù, per esempio sul discorso della montagna, fatto da professori ebrei. C'è un certo interesse culturale per Gesù e anche per la chiesa, ma certamente non è questa la fede dei giudeo-cristiani, che ho incontrato… Mi sono reso conto: questo è quello che è successo alla prima generazione! Domandarmi che cosa è successo nella coscienza di questa gente è domandarmi che cosa è successo nella coscienza dei Dodici, di Maria, di Paolo, di Barnaba, di Marco… Perché come risulta dagli Atti degli Apostoli anche loro non hanno avuto nessuna coscienza di passare a un'altra religione. Si sono rivolti ai loro fratelli ebrei, dicendo: vi annunciamo quello che Andrea dice a Pietro, suo fratello: abbiamo trovato il messia, il nostro messia! Vieni e vedi! Noi gentili siamo nati alla fede attraverso l'esperienza di questa gente. Maria non è mai stata cristiana e nemmeno i Dodici. Non veniamo da un'altra religione! No! Siamo perfettamente inseriti! Poi noi abbiamo cambiato tante cose… Ancora non ci siamo a proposito di questa continuità, che d'altra parte è una continuità che è sorta dentro una discontinuità in coloro che non hanno accettato Gesù. Una continuità che si è affermata in faccia a una discontinuità in coloro che non hanno riconosciuto il passo che hanno fatto gli altri e da lì si è spaccato… Gesù ha diviso il suo popolo veramente come la spada di Simeone. Sono 30 anni che cerco di studiare questo attraverso la Bibbia, attraverso i fatti che incontro, perché in fondo quello che è successo nella coscienza di questa prima generazione apostolica dovrebbe succedere anche nella nostra coscienza, perché la nostra fede è apostolica. La nostra fede è essersi aggiunti alla fede della chiesa di Gerusalemme e dunque essersi aperti a quella stessa esperienza spirituale che ha fatto nascere il N.T. Ha fatto nascere il N.T. come continuità della nuova alleanza che era già cominciata nell'A.T. Questo è il germe della nostra fede! Per cui non mi interessa un fatto storico semplicemente, ma il fatto storico che diventa poi la base della nostra formulazione di fede, del nostro Credo. Volevo riassumervi qualche cosa di quello che abbiamo visto in questi giorni, in questa luce. Credo che un fatto fondamentale che poi ha fatto nascere la riflessione teologica del N.T. sia che con la distruzione del tempio da parte delle legioni di Tito nel 70 d. C. si è riprodotta la situazione del 587, cioè della distruzione del tempio da parte dei Babilonesi. Si è riprodotta la stessa situazione: il tempio incendiato, la popolazione cacciata alla fine della prima guerra giudaica fino alla seconda guerra giudaica nel 135; i giudei esclusi da Gerusalemme, sono impediti di entrare, addirittura sono cambiati i connotati della città… ma questa volta avevano un precedente a cui riferirsi. Per questo mi sembra molto importante che ben quattro volte, nel cap. 3 e 4 degli Atti si parli di Gesù “tuo servo”. Il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe, il Dio dei nostri Padri ha glorificato il suo servo Gesù… Dio, dopo aver risuscitato il suo servo l'ha mandato prima di tutto a voi (ebrei) per portarne la benedizione, perché ciascuno si converta dalle sue iniquità. Poi nella preghiera che fanno gli apostoli per quelli che di loro sono stati arrestati: Davvero in questa città si radunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo…Prima di tutto il nome di Gesù è “servo”, ancora prima che “Cristo”… Erode, Ponzio Pilato con le genti e il popolo di Israele… stendi la mano perché si compiano prodigiosi miracoli e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù. A me sembra che proprio questa chiave, cominciando dal servo, hanno reinterpretato la loro situazione con le categorie della nuova alleanza di cui Gesù del resto aveva parlato chiaramente, dicendo nell'Eucaristia: questa è la nuova alleanza! E quindi si è illuminato il buio della prova, ancora più grave dell'esilio di Babilonia. La dispersione è stata ancora più grave e poi non c'è stato il ritorno dall'esilio se non ai nostri giorni. Tutto quello che si era spento si è invece acceso, dicendo: ma questo è il mondo che abbiamo vissuto nel secolo VI! E infatti quelle cose che abbiamo indicato come i capisaldi della nuova alleanza le hanno riconosciute in quello che Gesù aveva fatto e compiuto.

    Prima di tutto, la circoncisione del cuore, cioè l'interiorizzazione del culto. Gesù non era sacerdote – lo dice la lettera agli Ebrei – non ha avuto a che fare con le cose del culto. Ora è diventato lui il soggetto del culto. Infatti l'attenzione poi si è concentrata sul cuore di Gesù, ma sulla contemplazione della libertà di Gesù. Il cuore non è la sede dei sentimenti, ma la sede della libertà. E quindi i vangeli sono stati scritti per capire che cosa c'era nel cuore di Gesù mentre avanzava verso Gerusalemme, perché quello è il luogo dove io mi posso conformare a lui. Quindi la devozione al cuore di Gesù è una cosa molto seria, che è nata nel N.T. non nei secoli seguenti, dove invece ha preso altre forme… Il culto di Dio è la libertà dell'uomo che si conforma al cuore di Gesù, alla libertà di Gesù; per questo che siamo tutti assolutamente discepoli e nessuno è veramente maestro. E seguire Gesù vuol dire conformare la mia libertà alla sua, convertire la mia libertà alla sua. Non vivere in buona coscienza, non seguire la propria coscienza, ma seguire la sua coscienza; modificare la mia coscienza sulla sua. Questo è il N.T. E Gesù è stato il discepolo del Padre; questa interiorizzazione del culto e dell'amore poi che Geremia chiamava circoncisione del cuore, delle orecchie, sacrificio delle labbra che invocano il tuo nome… Questo è Gesù! Lui è colui che ha portato a compimento tutto questo in una maniera stupenda. A loro sono stati necessari degli anni per riflettere su questo, per ricordare, per raccogliere memoria. Paolo e Barnaba hanno lavorato ad Antiochia per due anni, per rimettere insieme le tradizioni e certamente sono loro all'origine di tante tradizioni orali che poi sono diventate scritte!

    Il secondo punto era la nascita della sinagoga, la nascita di un popolo di culto, di un popolo sacerdotale, laicale. Nessuno nasceva sacerdote, perché è un sacerdozio di tutto il popolo. Questo loro lo hanno sperimentato. Noi abbiamo i sommari della comunità cristiana nel cap. 2 e 4 degli Atti degli Apostoli. Tutti erano concordi, perseveranti. Questa diventa quasi una definizione della comunità cristiana! Perseveranti nell'insegnamento degli apostoli, nella koinonia, nella frazione del pane e nelle preghiere. Questa è la sinagoga battezzata! Tant'è vero che poi gli Atti degli Apostoli ci dicono che finchè c'è stato il tempio erano assidui nel tempio alla preghiera. La preghiera è quella del tempio e poi a casa loro aggiungevano la fractio panis, perché questa non c'era nel tempio. Quando poi è sparito anche il tempio, allora sono nate le chiese domestiche, che si possono trovare a Cafarnao e in diversi luoghi e che poi pian piano sono diventate delle basiliche, forse qualche volta un po' troppo ingombranti… Sono sempre degli accampamenti degli stranieri e pellegrini, anche quando assomigliano a delle piramidi faraoniche.

    E poi la teologia del servo. Sono venuti fuori quei modi apostolici; Giovanni e Pietro se ne andarono contenti di essere stati battuti per il Nome! E Paolo che sempre amava le cose forti, dice: è quando sono debole che sono forte! E se mi glorio di qualche cosa, mi glorio nella mia debolezza, perché così appare la forza del Cristo: questo è il servo!

    Vivere la diaspora rimanendo orientati sulla terra, perché l'orientamento sulla terra, il nome di Gerusalemme che non è stata mai dimenticata nel N.T. perché l'ultima città dell'umanità è la Gerusalemme dall'alto, cioè la stessa Gerusalemme del basso, però trasfigurata; la Gerusalemme nuova! Non c'è una nuova Roma, una nuova città umana, l'unica città che rimane è Gerusalemme! Non c'è mai stata una sostituzione di Roma a Gerusalemme. Costantino ha voluto un po' riprodurre Gerusalemme, facendo S. Croce in Gerusalemme, S. Giovanni in Laterano… proprio per dire: non abbiamo più bisogno della Gerusalemme vera! Questa è stata un'operazione costantiniana che noi denunciavamo come commistione tra potere civile e potere religioso, quando l'impero ha capito la forza della fede cristiana ha cercato di manovrarla e di impossessarsene a vantaggio del potere politico e civile e così sono cominciati dei guai sia per le società umane sia per le chiese cristiane. Ma nel N.T. la città santa è Gerusalemme; anzi Pietro dice: vi saluto da Babilonia e questa è Roma! Mai dare l'impressione di fare di Roma la città santa; non è così! A Roma la chiesa è fuori dalle mura; è fuori dalle mura dappertutto, anche a Gerusalemme, appunto perché non è venuto ancora il tempo dell'ultima trasfigurazione. E' la chiesa di Dio “pellegrina a Roma”, come diceva Clemente.

    E poi c'è in questa nuova situazione la separazione totale tra la fede e la religione.. Di questo Gesù ne ha dato l'esempio nella sua carne. L'atto di culto più grande che ha dato al Padre è stata la croce e la croce era la condanna fatta dall'autorità politica e sociale del suo popolo. Mi sembra che non è difficile capire come a un certo punto in questa generazione apostolica si sono riaccese tutte le luci della nuova alleanza, ma questa volta concentrate su Gesù ed è questa la cosa straordinaria che è avvenuta. Queste cose della nuova alleanza le conoscono tutti in Israele, anche tutti gli altri. Se le ricordano forse come cose del passato, come cose del futuro che deve venire… sono cose sparse nella storia, ma qui abbiamo una generazione di Ebrei che ha scoperto che tutte queste cose sono realizzate nella persona di Gesù. E' chiaro che quello che ha svegliato tutto questo è stata la resurrezione. Non è un'operazione intellettuale fatta in biblioteca questa di riconoscere i dati della nuova alleanza in quello che è successo, no! Questo è qualche cosa che è stato un fulmine dal cielo, di cui loro si rendono conto. Tre racconti sono fondamentali:

    A. I discepoli di Emmaus. Scappano da Gerusalemme. Emmaus rappresenta il luogo di una grande vittoria di Giuda Maccabeo contro Gorgia, dove il Signore – dice il libro dei Maccabei – aveva operato una grande liberazione in Israele; allora se ne vanno delusi da Gerusalemme per andare almeno a consolarsi in qualche osteria che stava invece verso Emmaus. Dicendo: noi speravamo che fosse questo il liberatore di Israele, ma siccome non lo è andiamo a consolarci con il ricordo della vittoria dei Maccabei! E Gesù appare loro e li convince con tutte le Scritture. Tutte le Scritture sono necessarie per riconoscere il risorto, che la liberazione è già fatta a Gerusalemme e quindi tornano indietro perché sta là. E lo stesso evangelista ci ha fatto già cantare: Benedetto il Dio di Israele che ha fatto la redenzione del suo popolo. Questo capire che la liberazione che loro aspettavano dai Romani, dai Sadducei, da quello che era il potere politico, era stata realizzata dal Crocifisso risorto. Lui è quello che ha cambiato la loro vita e allora, via da Emmaus e ritornano a Gerusalemme; la topografia di Luca è fondamentale in questo; è una conversione vera, conversione a una speranza da nutrire che non è quella morta dopo la crocifissione di Gesù, ma è quella viva, ridestata dalla risurrezione.

    B. L'Agnello che apre il libro sigillato. Questa è un'altra presa di coscienza di ciò che è successo a loro, cioè si sono resi conto che soltanto l'Agnello immolato apre fino in fondo il senso delle Scritture. Questo non vuol dire che senza la fede in Gesù le Scritture non ci dicono nulla, no! I sigilli sono sette, quindi se ne possono aprire fino a sei e si capisce qualcosa. Abbiamo visto in Geremia che anche senza conoscere Gesù, lui ci dà delle lezioni molto grandi di che cosa è veramente il culto… ma soltanto l'ultimo sigillo ce lo apre il Signore e allora si apre tutto, si accende anche Geremia, Mosè ed Elia. Quindi quella pagina dell'Apocalisse è in uno stile diverso esattamente lo stesso insegnamento dei discepoli di Emmaus, cioè tutte le Scritture sono necessarie per riconoscere il Messia e il Messia è necessario per riconoscere l'ultimo senso della Scrittura.

    C. E l'altra pagina fondamentale che pure è comune a tutti e tre i sinottici è la pagina della Trasfigurazione. La trasfigurazione: riconoscere che per capire chi è Gesù ci vuole Mosè ed Elia, e per capire chi sono Mosè ed Elia ci vuole Gesù. L'unità piena del disegno di Dio che fa nascere il N.T. che è necessario per capire l'A.T. e l'A.T. che è necessario per capire il N.T. Quello che è meraviglioso, il miracolo di questo fatto storico, da cui poi sono nate le chiese, è che si è capito che tutto questo si concentrava in un uomo, in quell'uomo che avevano incontrato. Giovanni ce lo dice: Noi l'abbiamo toccato il Verbo di vita, l'abbiamo incontrato… Questo da una parte ha lasciato fuori i loro fratelli ebrei, che invece aspettavano e aspettano ancora le stessa cosa, aspettano il compimento, ma l'aspettano come un evento globale, come un evento escatologico, come il tempo che deve venire, che si possa scrutare dalla finestra (dacci un segno dal cielo), questo certamente! Si aspettano la risurrezione di tutti, la fine del mondo, la fine del tempo. E questo anche Paolo se lo aspettava, perciò perseguitava questi cristiani di cui aveva saputo qualche cosa dai suoi compagni più anziani del Sinedrio, che forse avevano partecipato anche alla condanna di Gesù. Ma quando lui l'ha incontrato vivente e gli ha detto: guarda che io ti conosco! Tu non mi conosci perché mi devi domandare: chi sei Signore? Io invece ti dico: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? E questa è l'esperienza religiosa più alta: finalmente ho visto colui che mi vedeva! Allora Paolo ha dovuto concludere che la fine del mondo è già cominciata. E' rimasto fariseo, perfettamente fariseo e discepolo di Gesù. Ha capito che la sua fede nella risurrezione era esatta, ma che ha già cominciato a compiersi nel primo che è primogenito dei morti, che è risuscitato. E questo vuol dire che il mondo è finito e se il mondo è finito, allora non ci si sposa più, ci si butta sulle strade del mondo per annunciare l'evangelo e perché più si lavora per l'evangelizzazione più si accelera il ritorno del Signore. Questo è quello che è avvenuto nella vita di Paolo, che è rimasto perfettamente ebreo, fariseo… però convertito al suo Signore, al suo messia che è anche il Signore. Quello che è successo in Paolo è successo anche in altri, sia pure in modo diverso e graduale. Gli altri lo hanno riconosciuto nella carne e quindi gli altri sono arrivati alla conclusione che Gesù è il Signore; Paolo invece ha capito subito che il Signore è Gesù. Ma i due si sono incontrati ma non senza difficoltà, perché togliamoci dalla testa che Pietro e Paolo fossero due vecchi amici che si incontravano in trattoria! No! C'è stato un problema serio di tensioni forti; è il Signore che certamente gli ha affratellati, non è certamente né la loro cultura, né il loro carattere, ma la scoperta è stata la stessa. E se Gesù è Signore e se è vivente, allora bisogna seguirlo! Allora c'è questo: sono impazziti di verità e di amore! Non possiamo altro che vivere per lui! Se uno solo è morto per noi, tutti sono morti e noi se siamo vivi dobbiamo vivere per colui che è morto per noi! Questo è il battesimo! Questa è la mistica cristiana. Mi pare chiaro che questa sia la chiave del N.T. Gli stili letterari, le esperienze psicologiche sono diverse, certo: una cosa è la psicologia di Giovanni, una cosa quella di Paolo! E tutti gli altri personaggi…Tutti i personaggi del N.T. hanno una rilevanza teologica. C'è Giuseppe, padre di Gesù, c'è Giuda, Zaccaria ed Elisabetta, c'è il buon ladrone!

    Quell'esperienza che ha creato questo miracolo storico di una comunità giudaica che crede in Gesù all'interno di Israele e che quindi va avanti in questa fede fino a lasciarsi separare dagli altri fratelli; sappiamo quanto gli ebrei stanno insieme, si sentono corpo, quanto si aiutano tra di loro… che un popolo simile a un certo punto, che Paolo dica: io sono disposto anche a separarmi dai miei fratelli per la fede di Gesù: questo è un miracolo storico e sociologico che nessuno può negare! E' successo questo! Ancora oggi è difficile far ricordare agli Ebrei che la chiesa è nata da Ebrei. Loro dicono che il cristianesimo è nato con Giovanni Crisostomo, no! E' nato prima!

    Sempre nella chiesa c'è stato un filone di ebrei credenti e io li ho incontrati per le strade di Gerusalemme e allora mi sono detto: che cosa è successo? Allora questo condiziona anche me

    nella mia fede; allora devo capire che la sorgente di questa rivoluzione di vita e poi di rivoluzione anche sociale, è stata prima di tutto la risurrezione di Gesù. Se Cristo non è risorto, la nostra fede sparisce! E poi questo fatto inedito: che tutta questa ricchezza religiosa si concentra in un uomo. Se Abramo si è messo dietro la parola , seguiva la parola, lui non lo sapeva, ma cominciava a fare quello che hanno fatto i discepoli sulle rive del lago di Galilea e che la vita, il mondo è finito e il tempo ci è dato per seguire Gesù! Non c'è da aspettare nessun avvenimento che cambi i connotati della storia se non il ritorno di Gesù. Questa dimensione escatologica, che poi è il vero avvento, questo si è molto affievolito nella nostra fede e molti problemi ecclesiali dipendono da questo: che noi non siamo più una chiesa di Avvento, ma di insediamento. In questo siamo stati condizionati dal giudaismo postcristiano, perché il giudaismo rabbinico, nato alla fine del secondo secolo, diceva: il tempio non c'è più, ma abbiamo la thora, quindi non dobbiamo aspettare nessuno, nemmeno il messia, altrimenti siamo troppo simili ai cristiani! Seguiamo la thora e basta! E' molto difficile trovare dei gruppi ebraici escatologici! Sì il mondo deve venire; ma tante sono le condizioni perché questo mondo venga che non verrà mai. E noi ci siamo insediati Il cristianesimo è la soluzione ai problemi della vita, difendiamo la vita presente, costruiamo il mondo migliore, facciamo la città cristiana, battezziamo la società civile, promuoviamo la giustizia… l'escatologia dove sta? Siamo diventati pesanti! Certo, bisogna fare il proprio dovere! Anche il Battista cominciava così: pagate il giusto salario, comportatevi bene, non fate violenza… ma questo serve per aspettare qualcuno che sta per venire! E che vi battezzerà con il fuoco e nello Spirito e questo è quello che esattamente anche Gesù ha detto. Aspettate il giorno del Figlio dell'uomo. Non dovete fare niente di particolare, perché non potete nemmeno sapere quando viene; verrà come un fulmine… Intanto fate il vostro dovere sapendo che siete in partenza! Che questo è un modo per prepararvi alla pienezza della vita; non che questa è la vita da tenervi già stretta con i denti, perché viviamo ancora altri dieci anni e speriamo di arrivare a cento. Questo connubio tra escatologia e fedeltà presente, questo fa parte del cammino cristiano; ma il benessere da una parte e forse un certo influsso del giudaismo postcristiano ci ha radicato di più in questo mondo, per cui non è difficile capire perché alcuni paesi che sono più poveri sono più aperti alla fede cristiana. Proprio perché non c'è da radicarsi troppo in questa vita. E questo permette di capire che la vita che abbiamo è qualche cosa che va al di là di questo mondo, di questa terra. E' più potente dei nostri anni di vita terrena. Di questo Gesù è il maestro vivente, perché è il vivente oltre la morte; io ero morto, e ora sono vivente: questa è la vita! S. Agostino lo diceva ai suoi a Tagaste. Sì, diciamo: Vieni, Signore Gesù, però, se poi dite: vieni più tardi possibile… allora non va bene!

    Fraterna Domus (20-24 novembre 06)

    Il testo è stato tratto dalla registrazione e non è stato rivisto dall’autore


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